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Autore: CitazioniLarry    08/03/2015    2 recensioni
«Sai cosa? Fanculo questa lettera. Freghiamocene delle Luci e anche dei soldati. Fanculo a tutti quanti in questa città. Scappiamo e basta. Lasciamo questa zona. Ho sentito che ci sono altri posti, posti che-»
«Basta», disse Riley singhiozzante. «Lasciare questa zona? Ciò che ci farà, sarà darci solamente un'altro modo per morire».
Genere: Avventura, Drammatico, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Ellie, Joel, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Attenzione: Questa storia è fedele al gioco principale "The Last Of Us", al DLC "The Last Of Us: Left Behind" ed ai quattro fumetti "American Dreams", cercando di ricreare la personalità di Ellie tramite il suo diario. Il Trailer è quello originale del gioco e la storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Tutti i diritti e copyright riservati alla Naughty Dog.




Dal Diario di Ellie Williams
 

 

 

 
2031

 

 

   Fuori era buio pesto ed erano solo le sei di pomeriggio. Il bus viaggiava piano e la mia canzone preferita era appena finita. Mi tolsi una cuffietta e infilai la mano nello zaino per controllare se le mie cassette c'erano tutte. 
   Il bus era pieno di sopravvissuti e mi sentivo felice ma allo stesso tempo intimorita da ciò che mi aspettava. Il ronzio che proveniva dall'inizio del bus mi fece capire di essere quasi arrivati. Affacciandomi al finestrino potevo vedere come l'entrata fosse vigilata da guardie militari. Erano ovunque, e il turbamento che provavo si ingigantì. Per un momento mi chiesi chi fossero quelle persone prima di diventare delle pedine tutte uguali.
   
I muri erano ricoperti di scritte, imprecazioni e suppliche. Una diceva «Le Luci ci salveranno» e un piccolo disegno appariva accanto, mentre sotto, una grande scritta arancione diceva «RIFERISCI L'INFEZIONE: la tua inazione costa vite». Chiusi gli occhi e per un momento pensai di essere nei panni di un infetto e a quanto fosse stato difficile ammetterlo. Il bus si fermò al cancello. Una guardia si avvicinò all'autista, mentre io, sempre con la faccia spiattellata al finestrino, notai due guardie che portavano un uomo proprio dove poco prima stavo leggendo i graffiti sul muro. Lo controllarono, e poi passarono lo scan su tutto il suo corpo. Ma la cosa che mi spaventò, fu il volto dell'uomo dopo che le guardie vennero a sapere il risultato. Positivo. Potei vedere i due che sguainavano i loro fucili e l'uomo fu costretto a inginocchiarsi davanti a loro. Mi dispiaceva per l'uomo. Due colpi di fucile, una minaccia in meno.
   
Il bus partì con una sgommata e subito mi girai avvicinando le ginocchia al petto, ancora terrorizzata. Lì dentro sarebbe stato più sicuro? Entrammo dentro e, diamine, ero più intimorita che mai. L'autista si fermò, e una di quelle personcine imbacuccate fino alla testa ci fece un cenno con la mano.
   
«Uscite tutti quanti!» gridò.
   
Il suo fucile mi metteva agitazione. Volsi lo sguardo altrove e fui colpita da tre ragazzine che ascoltavano con attenzione un uomo con la giacca bianca. Sembrava piuttosto arrabbiato. Sorvolando quella scena, mi incamminai verso l'entrata con il resto del gruppo appena sceso.
   
«Aspetta», qualcuno mi fermò.
   
Mi voltai e notai che quella guardia non aveva il casco. Così erano più rassicuranti, pensai, non potevano restare così per sempre? Si avvicinò a me. Ero pronta a sentire cosa aveva da dirmi.
   
«Ascoltami, in questo posto non potrai più prendere in giro nessuno con le tue bravate. Non potrò più starti dietro», affermò, incrociando le braccia al petto. Con una mano che sosteneva lo zaino, rimasi basita.
   
«Allora portami con te! Potrei aiutarti. Io...» non mi lasciò finire la frase.
   
«E' finita. Ho una famiglia a cui badare. Non posso». Il suo volto si colorò di infelicità. Ci rimasi male, per un momento sperai in un altro lieto fine.
   
«Vuoi dire che non lo farai». Cercai con tutta me stessa di tirar fuori una faccia da cucciolo, ma non ci riuscii. Ci guardammo per un istante con occhi malinconici e poi mi decisi a spostare lo sguardo con delusione. In un soffio sparì.
   
«Pff, come ti pare», girai i tacchi e continuai a camminare. «so cavarmela bene anche da sola». Cercai di parlare a voce alta così che una delle guardie mi sentisse.


   Quando, poco prima, mi chiesi se questo posso fosse stato più sicuro di qualsiasi altro rifugio, non pensavo ai bulli e non intendevo risse. Anzi, non sapevo nemmeno esistessero i bulli della zona di quarantena. Era una cosa nuova per me. Fatto sta che mi presi un bel pugno nella guancia. Il dolore era anche peggiore di quello che provai quando mi tagliai il sopracciglio. Odiavo il sapore del sangue e non capii se proveniva dalla bocca o dal naso. Cascai come una pera cotta tra i due ragazzi.
   
«Cazzo! Devi essere la ragazzina più stupida ad esser mai scesa da quel bus», disse, asciugandosi la mano sanguinosa ai pantaloni. «tirala su!» ordinò al suo amico. Il gigante con il gilè verde mi prese per il collo con il braccio ed io cercai di dimenarmi il più possibile.
  
«Vi ho avvisati di non toccare la mia roba», dissi «ma avrei tirato fuori i miei pugni se avessi saputo quanto fragili eravate». Il gigante biondo spalancò gli occhi e subito dopo mi ritrovai sollevata a venti centimetri da terra. Non ero pronta per un altro pugno in faccia e non ne desideravo altri.
   
«Otterrò quello che voglio e ti farò il culo»
   
«Affrontami a quattrocchi, fifone!» gli urlai contro.
  
«Continua così, stronzetta», il suo pugno stava per accarezzare nuovamente la mia guancia paffuta, ma qualcosa, o meglio, qualcuno, quel giorno decise di salvarmi il culo.
   
«Che ne dici di affrontare qualcuno della tua portata?»
   
Confermato. Quel qualcuno, era una tizia incappucciata. La tizia strattonò il gigante biondo ed io battei a terra, facendomi male al sedere. Diamine, non avevo mai visto nessuno così abile. Io, ancora per terra e il ragazzo dal giubbotto verde rimanemmo a bocca aperta. Ma non feci in tempo a pensare, che pure lui fece una brutta fine. Pugni e calci a destra e a manca. Era uno spettacolo, stavo assistendo ad un miracolo? Ma non si faceva male alle nocche?
   
«Dovrei calpestarti le palle», diamine, quella ragazza era pericolosa. Il biondo se la svignò e io raccolsi le mie cose cadute fuori.
   
«Che mucchio di coglioni. Che cosa volevano?» mi chiese.
   
«Qualcosa che non era loro», dissi. «Lo avevo coperto». Tirai fuori il mio lettore CD e lo sventolai per pulirlo.
   
«Sì, lo vedo». Non lo so, non mi andava a genio quella ragazza.
   
«Oh, qualche consiglio: trovati qualcuno che ti guardi le spalle. Prova a farti qualche amicizia prima-»
  
«Ho per caso chiesto un tuo consiglio?» la fermai prima che potesse finire la frase. Non fu una buona idea, poiché mi fulminò con lo sguardo e ripensai alla rissa di cinque minuti fa. No grazie, non volevo mettermi nei casini.
   
«Hai seri problemi nel fidarti delle persone, nuova arrivata».
   
Scusa? Mi aveva appena chiamata nuova arrivata? «Un'ultima cosa: corri» disse.
   
«Cosa? Perché?» che significava?
   
«Devi solo fidarti di me!» mi urlò mentre si dissolveva nel nulla.
   
Capii. I passi che sentii poco dopo non promettevano nulla di buono. Mi girai, e l'uomo con la camicia bianca che vidi al cancello sembrava un grattacielo da vicino.
   
«Nel mio ufficio. Adesso».
   
Come non detto.

 

   L'ufficio del capo era una stanza accogliente ma lui un po' meno. Non era così che avevo previsto la mia entrata nell'orfanotrofio. Si mise a sedere dietro alla sua scrivania.
   
«Mh, vediamo... Risse, furti, fughe...» ok, di cosa parlava? «risse, disobbedienze agli ordini...» no, non ero io la tizia in questione, ma avevo qualche suggerimento. «... e altre risse». Incrociò le dita. «Hai qualcosa da dire?»
   
Rimasi muta. Non sapevo cosa dire, e negare le sue affermazioni mi avrebbe cacciata in un guaio ancora più grande.
   
«Sai cosa sta in mezzo alle orde di infetti e tutti quelli che lottano in questa città?»
   
«Uhm.. un enorme muro di cemento?»
   
«IO!» saltai dalla sedia. «e qualsiasi altro soldato che mette la sua vita a rischio per queste persone» continuava a indicarsi da solo. Pensai che questo tizio avesse dei problemi. «Manteniamo l'ordine che salva le vite! Ogni cavolo di essere umano di questo mondo sarebbe infetto se non fosse per noi!» Avvicinò il dito alla mia faccia. «Siamo gli unici che vi proteggiamo da tutto, incluso quel fottuto gruppo fuorilegge!»
   
Gruppo fuorilegge?
   
«Le Luci?» domandai.
   
«Sì, le Luci. Tutta la città agisce come se fossero la seconda venuta!»
   
Poi, si avvicinò a me con la faccia. «Pensi che quegli assassini siano la tua salvezza?»
   
Ci pensai. Ne dubitavo, ma se era vero? Se le luci avevano veramente un piano per sconfiggere quest'apocalisse?
   
«No» dissi. «In realtà non penso affatto alle Luci», lì mentii.
   
«Allora è tempo che tu inizi, ragazzina», e con questo, mi mandò a pulire le auto come punizione. Che non meritavo.

 

   Poche ore che ero qui e già mi ero beccata un pugno in faccia e un lavoro come lava-macchine. Fissai il camioncino sporco di sangue con il panno in mano ed il secchiello pieno di acqua e sapone. Immersi il panno infuriata per poi iniziare a strofinare il cofano dell'auto.
  
 «Dovrei calpestarti le palle», dissi strusciando ancora più forte. Ripetei il procedimento ancora più infastidita.
   
«Dovrei calpestarti le palle...» ribadii.
  
Posai il panno e decisi di prendere il mio lettore CD.
   
«...ma dove...» dissi, infilando la mano nella tasca del giubbotto. Non potevo credere di averlo perso, e poi come?
   
«Oh no!», il mio lettore CD non poteva essere sparito. Ma poi misi le carte apposto.
   
«O Dio mio, me l'ha rubato, cazzo!» urlai infuriatissima sventolando il cappotto. «Me l'ha rubato!»
   
Mi chinai in ginocchioni e affondai la faccia nelle mani dalla disperazione.
   
«Come ha fatto? Come diavolo ha fatto?», pensandoci, era una mossa parecchio astuta. Era il mio lettore CD e nessuno doveva toccarlo. Portandomi via quello, mi aveva portato via tutta la voglia di vivere che avevo in quel momento, ed era poca.
   
Quando alzai gli occhi, davanti a me, schiacciato nella portiera del camioncino, c'era un dito amputato di un soldato.
  
Oh Dio, a momenti vomitavo. Potei sentire tutto lo spavento e tutta la pavidità che avevo in corpo risalire su e ad un certo punto, senza volerlo, mi immaginai quella scena.
   
Soldati, due soldati. Delle Luci, probabilmente. Hanno due grossi fucili d'assalto in mano. Uno fa cenno all'altro di sparare al soldato della zona di quarantena. Fuoco. Bastò un colpo alla testa per farlo cadere a terra.
   
Ora forse capivo il significato della ramanzina che mi aveva fatto il capo. Forse avevo esagerato.
   
Buttai via l'acqua del secchio e gettai il panno da un'altra parte. Decisi di andarmi a riprendere il lettore CD.

 

Entrando nella mensa, non si sarebbe detto che fosse stato un orfanotrofio. La gente parlava, giocava a carte o discuteva. Sembravano tutti molto legati.
Percorrendo la sala, incrociai con gli occhi il tavolo della ragazza dalla giacca rossa ed avvicinandomi potevo sentire la loro discussione.
   
«Non è possibile che le Luci abbiano ucciso quei soldati», parlò lei.
   
«L'intera jeep è ricoperta di buchi. Ho sentito che sono morti tre soldati», replicò un ragazzo davanti a lei.
   
«Devono essere stati provocati o monopolizzati»
   
Mi avvicinavo sempre di più.
   
«Attenta adesso, devi badare a ciò che dici. Se qualcuno sentisse...»
   
«E il tuo culo smilzo deve smettere di credere a tutto quello che dicono in classe. E' più complicato di-»
   
Non le lasciai finire la frase nemmeno questa volta.
   
«Dov'è?» i miei pugni si strinsero e le nocche si colorarono di bianco. La sua faccia si trasformò da impassibile a divertita.
   
«Oh, ciao nuova arrivata! Come sta andando il tuo primo giorno all'inferno?»
   
Non avevo voglia di giocare né di essere presa in giro.
   
«Il mio lettore CD. Dammelo»
   
«Cosa ti fa pensare che io prenderei qualcosa di tuo?»
   
I suoi amici mi fissavano divertiti. C'eravamo di nuovo. L'avevo già detto che non volevo un'altra rissa?
   
«Non lo penso. Lo so che l'hai preso tu» affermai,«Sei una ladra carina e pidocchiosa» la sua bocca si curvò all'insù.
   
«D'accordo, nuova arrivata» disse, mettendo una mano dentro alla giacca. «hai dei gusti musicali orribili, comunque» disse, lanciandomelo. Lo presi al volo e sperai di non farlo cadere. E comunque, cara sconosciuta, I Got You Babe di Etta James era un capolavoro. Non poteva capire.
   
Me ne andai voltando loro le spalle e stringendomi al petto il Walkman.

 

   Quella notte non dormii.
   
«Dovrei calpestarti le palle», quella frase iniziava a suonare bene. Strinsi il mio Walkman e provai a riposare, ma dei passi mi fecero sobbalzare. Socchiusi gli occhi e pensai di andare a dare un'occhiata.
   
Presi il giubbotto e lo indossai. Cercando di non attirare l'attenzione di guardie, aprii la porta con estrema cautela. Niente guardie. Di soppiatto, uscii dal reparto e seguii quella figura nera che si addentrava nell'ombra.
    
Arrivammo tutte e due all'atrio principale. Beccata. Che voleva fare? Pensai che sarebbe stato divertente andare a spifferare ciò che aveva in mente, solo per avere la mia vendetta. Ma non ero così stronza.
    
Mi avvicinai, e le toccai due volte la spalla. La vidi sobbalzare all'indietro spaventata. Risi sotto i baffi.
   
«Cristo! Nuova arrivata!» non quel nome di nuovo, ti prego.
   
«Qualche consiglio: trova qualcuno che ti guardi le spalle», dissi.
   
Si arrabbiò.
   
«Torna a letto, nuova arrivata!» gesticolò con il braccio. Non mi mossi, non poteva comandarmi e non mi avrebbe convinta.
   
«Mi dirai come sgattaiolare fuori di qui»
   
«Oh fottiti, nuova arrivata. Sei incredibile», disse sottovoce.
   
«Beh, possiamo litigare affinché qualcuno ci senta e ci scopra, o... possiamo aiutarci a vicenda», suggerii «e smetti di chiamarmi “nuova arrivata”. Ho un nome»
   
Ci fissammo negli occhi: lei con aria da superiore, io mi sentii mancare vedendo meglio quegli occhi.
   
«Pensi di potermi stare dietro?» chiese, dirigendosi verso la porta.
   
«Oh, non è un problema, sono abituata».
   
La ragazza aprì la porta.
   
«Non farmene pentire, Ellie»
   
Avevo sentito bene?
   
«Come...?» come faceva a sapere il mio nome?
   
«Andiamo» disse lei, ridendo.
   
Raggiungemmo l'enorme rete. Sarà stata alta più di quattro metri e non vedevo l'ora di scavalcarla. Salì per prima lei, infilando perfettamente i piedi dentro ai buchi della rete, ed io la seguii. Potevo vedere le case abbassarsi ai miei occhi man mano che salivamo. Arrivate in vetta, decisi di chiederglielo. 
   
«Come sai il mio nome?»
   
Lei sorrise e si girò verso di me. Tutte e due eravamo aggrappate all'asta di ferro che sorreggeva la rete.
   
«Ho i miei metodi. Sembri folle a sufficienza per essere interessata», dichiarò, voltandosi a guardare ciò che ci aspettava dietro a quella barriera. «Il nome è Riley. Sei pronta a farlo, Ellie?»
   
Ero pronta.
   
«Sì», e mi fidai. Mi fidai della ragazza che poche ore prima mi rubò il Walkman, ma soprattutto della ragazza che mi salvò la vita, e quella sera me la salvò una seconda volta.
   
E fuggimmo nella notte che ci abbracciava e ci proteggeva, con l'aria fresca d'autunno che ci sgarbugliava i capelli. Con la voglia di iniziare di nuovo, con la voglia di vivere.

 

 
   
 
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