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Autore: Shichan    09/03/2015    5 recensioni
Quotidianità è la parola giusta, e quella che spaventa di più Hajime, perché Tooru non è mai stato parte della sua vita fino a quando non ha dovuto disegnare la sua stupida locandina e da lì è andato tutto peggiorando: Oikawa e le sue stupide poesie in lingue incomprensibili, con scuse altrettanto incomprensibili; lui e le sue risate, la sua mania di guardare fuori da quella maledetta finestra, lui e il suo non lasciarlo in pace nemmeno quando dorme. Tooru e i sorrisi di chi guarda qualcuno che ama.
[reincarnation!au - Lorca!Oikawa, Dalì!Iwaizumi]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I personaggi sono proprietà di Furudate Haruichi. Per tutti gli altri copyright, le note specifiche e i miei sproloqui vi rimando a fine fanfic.
Un enorme grazie a Stars Trail per aver betato questo ennesimo malloppo *ride*

 

 

 

Hoy siento en el corazón
un vago temblor de estrellas. […]
¿Se deshelará la nieve
cuando la muerte nos lleva?

 

Hajime fa una vita come quella di qualsiasi altro studente al terzo anno di liceo: esce presto la mattina perché non gli piace arrivare trafelato o in ritardo, gli piace prendersela con calma nel tragitto casa-scuola, specialmente il tratto dalla fermata dell’autobus che prende fino all’edificio scolastico. Passa ore della sua giornata seduto dietro a un banco e, quando è finalmente tempo per i club o per tornare a casa, lui finisce di nuovo seduto: il club di arte è una stanza silenziosa per la maggior parte del tempo, perché solo a ridosso dei festival scolastici i membri lavorano tutti insieme nello stesso spazio. Per il resto dell’anno hanno organizzato bene gli orari – complice il non essere poi così tanti, in effetti – e riescono a usufruire tutti del giusto tempo, fra una tela che si asciuga e qualcuno che intanto lavora alle bozze.
Dopo il club, Iwaizumi torna a casa: ripercorre il viale alberato fino alla fermata dell’autobus, non aspetta mai più di cinque minuti perché ormai sa quando il mezzo fa fermata, e arriva a casa per studiare, che gli esami non si passano da soli.
Ha un buon rapporto con i compagni, Hajime, specialmente quelli del suo club: Sugawara Koushi è del suo stesso anno ed è una delle persone più pacate che conosca, capace persino di tenere a bada i due studenti che visitano più spesso il loro club pur non appartenendovi; se Hinata del primo anno non è altro che un innocuo ragazzino pieno di energie, Bokuto Koutarou è un concentrato di voce troppo alta e esclamazioni per lo più prive di senso. Come faccia Akaashi Keiji, il ragazzo del secondo anno che fa parte del club, a mandare via l’altro senza che la cosa causi un mal di testa a tutti per Hajime rimane un mistero. In fondo, va benissimo così.
«Senpai, senpai, senpai!» sente chiamare con un’esagitazione palpabile che gli rivela di chi si tratti prima ancora di voltarsi; in ogni caso arriva un ulteriore suggerimento quando un “Iwaizumi-senpai” è troncato di netto da un tonfo. Alza lo sguardo dal blocco da disegno e nel suo campo visivo rientra Haiba Lev, le mani che massaggiano la fronte sbattuta per l’ennesima volta contro una porta troppo bassa per sfuggirle senza abbassare la testa. Iwaizumi sospira rassegnato a una scena vista già troppe volte e nello stesso momento Sugawara si alza e si avvicina a Lev, un sorriso lieve e intenerito sulle labbra, la mano che va a massaggiargli la parte offesa come se Haiba fosse un bambino da tranquillizzare.
«Perché dimentichi sempre che la porta è troppo bassa per te?» lo richiama bonariamente, mentre lo scappellotto – non così forte come si potrebbe pensare – di Iwaizumi si abbatte implacabile contro la nuca del primino; è più il gesto in sé che la forza che ci mette, in realtà, ma basta a Lev per guardarlo con un broncio leggero: «Ma senpai, era una cosa importante!» ribatte, Sugawara che fa da paciere anche se poi non è nemmeno una vera discussione. Iwaizumi lo guarda e sospira, come a dire che finché Koushi è così buono con lui non ci sarà mai speranza; poco distante da loro, uno sbuffo divertito gli rivela che Akaashi si sta divertendo con il loro siparietto.
Decide che può non guardarlo: «Allora» si rivolge a Lev «che c’è di così importante da meritare una testata?»
«Il club di teatro vuole che illustriamo la locandina per il festival scolastico, senpai!»

Iwaizumi non ha preconcetti, ma conosce indirettamente Bokuto e se l’estro del club di teatro è così per tutti i suoi membri, non è sicuro di voler andare nella sede del club per farsi spiegare cosa vorrebbero facesse il suo. Akaashi si è offerto di accompagnarlo, probabilmente mosso a pietà al pensiero di lasciare Iwaizumi da solo, così quando varcano la soglia dell’aula che usano per le prove sono accolti da un innaturale silenzio a eccezione di un paio di voci. Quando entrano è chiaro che le suddette voci appartengono ai due che sono in piedi al centro della stanza, dei plichi di fogli tra le mani che – Hajime suppone – dovrebbero essere i copioni. Bokuto, che apre la loro piccola fila accolta da sguardi incuriositi, ha un suo estro ed è rumoroso; ma, per quel che Iwaizumi ha avuto modo di osservare nel tempo, è innocuo e una persona sorprendentemente innocente nella sua quotidianità. Hajime non si aspetta che tutto il club di teatro sia così, ma non si aspetta nemmeno Oikawa Tooru: è il classico esempio di persona alla quale si potrebbe dire “la tua fama ti precede”, non fosse che da Oikawa non ci si potrebbe aspettare alcuna reazione stupita né modesta; capita, quando il soggetto in questione non si applica minimamente per mantenere un qualsivoglia anonimato, anzi.
La prima impressione che ha di lui, in realtà, non è malvagia: visto da vicino Oikawa è davvero bello come i sospiri delle ragazze – e non solo – lasciano intendere. Iwaizumi ne osserva i lineamenti e ne studia corpo ed espressioni come farebbe con qualsiasi soggetto da ritrarre. Oikawa ha un viso pressoché perfetto, degli occhi luminosi, un naso dritto e una bella curva delle labbra.
Il problema, come non tarda a scoprire, nasce quando Oikawa Tooru parla.
«Eeeh» si lamenta guardando principalmente Akaashi e Bokuto, con i quali ha evidentemente conversato finora senza che Iwaizumi ci badasse troppo «non so se mi fido così tanto del club di arte. Non ho nemmeno idea di come disegnino!» prosegue, un broncio leggero che gli arriccia le labbra – Hajime alza un sopracciglio, perplesso: non era il club di teatro a volere il loro aiuto?
«Siamo in grado di fare una locandina, Oikawa-senpai.» assicura Akaashi con una calma invidiabile. Tooru lo guarda come se dovesse decidere da qualche suo movimento se fidarsi o meno; quando risponde, però, il broncio si accentua e le braccia vanno a incrociarsi all’altezza del petto: «Certo che sì. Ma non avete mai disegnato qualcosa di scritto, giusto? Ci sono un sacco di sfumature da cogliere, ci sono cose che un disegno non può fare e basta.»
«Se è descritto nel dettaglio, si disegna benissimo.» lo interrompe bruscamente Hajime perché, diamine, non ha lasciato metà dello sketch del dipinto per il festival culturale per andare ad ascoltare Oikawa Tooru che gli dà indirettamente dell’incompetente quando, probabilmente, non è nemmeno in grado di tenere in mano una matita: «Se poi non sei sicuro di come sia descritto, è un’altra questione. A ogni modo è a voi che serve il nostro aiuto: quando decidete cosa fare, sapete dov’è l’aula.» taglia corto, e non aspetta una risposta né di vedere l’espressione stupita di Oikawa sfumare in qualcos’altro.
Si volta, semplicemente, per tornare sui suoi passi – quasi spera che Tooru decida di non volere alcuna locandina. Non disegnata da lui, almeno.

Quando, dopo giorni, nessuno del club di teatro è ancora venuto a fare irruzione nell’aula dove disegna in santa pace, Iwaizumi deduce che il loro aiuto non sia più richiesto; è abbastanza sicuro che sia per il meglio, dopotutto, a dispetto di quanto dica Sugawara sostenendo che in fondo sia un vero peccato non poter collaborare e che da quanto ne sa il soggetto scritto da Oikawa è davvero valido – a quel punto Hajime si ricorda che quella piaga umana e Koushi sono in classe insieme da ben tre anni, e il rispetto che nutre per quest’ultimo aumenta esponenzialmente.
Per quanto si fidi abbastanza del giudizio di Sugawara, comunque, non ci si può far nulla; ne è davvero convinto, per questo non si aspetta di sentire la voce fastidiosamente allegra di Oikawa nell’aula, ma quando si volta verso la porta non c’è dubbio che si tratti proprio di lui. Lo segue a pochissima distanza Lev, con l’aria di chi si sente felice di aver contribuito a una buona causa, ossia guidare lì il compagno più grande. Forse Iwaizumi gli rivolge un’occhiataccia eloquente prima ancora di rendersene conto, perché quasi si figura Haiba abbassare le orecchie e mettersi a sedere con la coda tra le gambe – in realtà lo vede affiancare Sugawara fingendo che sia casuale. Koushi accoglie il compagno di classe con un sorriso e quello sembra sentirsi autorizzato a fare come vuole.
«Che stai disegnando di bello, Suga-chan?» domanda divertito e si accosta a quest’ultimo, un po’ come ha fatto anche Lev; Sugawara sembra tutt’altro che infastidito dall’improvvisa mancanza di un proprio spazio in cui muoversi mentre disegna, e anzi non pare avvertire come un obbligo il posare il carboncino che gli ha leggermente sporcato le dita fino a poco fa. Iwaizumi non presta troppa attenzione alla sua risposta – sa bene a cosa sta lavorando, visto che ne hanno parlato in altre occasioni, quindi lascia che la spiegazione sia tutta per l’intruso di turno.
Preferisce riportare gli occhi sulla tela, il carboncino che torna a scivolare sulla superficie ruvida rifinendo forme ancora confuse, la testa che si inclina leggermente di lato per osservare quello che ai suoi occhi dovrebbe essere più o meno come una creatura che prende vita; peccato che il cicaleccio poco più avanti rispetto alla sua postazione lo innervosisca e basta.
Non sa bene cosa, di preciso, gli urti i nervi a tal punto: lui non è la pazienza personificata come Sugawara, né riesce a mantenere l’imperturbabilità di Akaashi, però non è nemmeno mai stato scortese senza motivo, intollerante alla presenza delle persone. Oikawa fa eccezione, e non conoscerne la ragione lo rende ancora più inquieto.
«Wow.» sente commentare, e si rende conto solo in un secondo momento che Oikawa sta guardando il suo quadro – non che ci sia molto da vedere, comunque, visto che sta tracciando solo le prime linee, più una guida per sé che non qualcosa che possa essere ammirata. Sbircia sul suo viso con la coda dell’occhio e lo vede assumere un’espressione che non saprebbe come descrivere di preciso: sorride, ma c’è qualcosa che non comprende bene: «Certo che così è un po’ bruttino, però. Dopo migliora?»
«Al contrario della tua personalità, sì.»
Lo odia già.

Ci vogliono i ragionamenti logici di Akaashi, le omelette del bentou di Sugawara e i momenti di idolatria di Lev insieme alle scuse poco convinte di Oikawa con broncio annesso – con tanto di pacche sulle spalle da parte di Bokuto, che ha accompagnato l’idiota a scusarsi – per convincere Iwaizumi che può almeno valere la pena ascoltare cosa vorrebbero per la locandina di quel benedetto spettacolo teatrale.
È solo per questo che aspetta Oikawa al cancello della scuola quando finiscono le attività del club, solo per questo che lascia sia lui a scegliere un bar o un qualsiasi altro posto per parlare e sempre per quello che si addentra in un locale accogliente che ospita solo coppie e lo fa sentire un povero imbecille. Ma si impone di non imprecare contro l’idiota, perché è così che ha classificato l’altro nella sua testa ormai, e prendere posto di fronte a lui; si concentra sul menù e prende tempo. La cameriera che si avvicina per prendere le loro annotazioni si lascia sfuggire un mezzo risolino nell’allontanarsi e Hajime vuole convincersi che sia per Oikawa che ha ordinato un dolce di cui nemmeno ha memorizzato il nome, una roba diabetica che Iwaizumi non ha mai sentito nominare nemmeno dalle ragazze nella sua classe quando parlano delle pasticcerie migliori.
Lui ha avuto la decenza di limitarsi a un caffè.
«Allora» esordisce lui stesso, andando a ripescare un quaderno dove ogni tanto schizza qualcosa così, per passare il tempo: «di cosa parla questo vostro spettacolo?» domanda alzando lo sguardo su di lui.
Oikawa sembra totalmente preso da altre cose, ma almeno quando parla si volta a guardarlo. Ha sul viso quel sorrisetto che Hajime trova immensamente irritante, non importa quanti sospiri sognanti scateni nella loro scuola.
«Oh, Romeo, Romeo! Perché sei tu, Romeo?» lo sente recitare, ed è palese; inarca un sopracciglio: «…Romeo e Giulietta?»
«No. Quasi. Simile.» quella di dare a Oikawa una possibilità è stata una pessima idea, se lo sente. O almeno avrebbe dovuto chiedere a Sugawara l’intero pranzo per i prossimi quindici giorni, come compenso, non accontentarsi delle omelette.
«Hai mai visto “Figlio errante”, Iwa-chan?»
«Chiamami di nuovo in quel modo orribile e—»
«Non è orribile, è carino! Lo dice anche Suga-chan.» si lamenta, fissandolo come se dovesse giudicarlo – Hajime porta le dita a massaggiare una tempia. Non sa se può farcela, sul serio.
«Suga è troppo buono per dirti che il tuo nomignolo fa schifo, Oibakawa.» e non sa come gli sia uscito quel gioco di parole, ma si sente improvvisamente soddisfatto della propria persona, mentre la cameriera adagia sul loro tavolo il dolce ordinato da Tooru e il suo caffè.  L’altro lo guarda indignato per una manciata di secondi, anche quando Hajime lo ignora per godersi la dose di caffeina che al momento sembra l’unica cosa bella al mondo; decide di parlargli di nuovo quando l’altro sembra abbandonare la discussione sui soprannomi.
«No, comunque.» riprende come se non si fossero mai interrotti «Non l’ho mai visto: è un film?»
«Un anime.» replica ancora imbronciato, mentre con il cucchiaio sta affondando nella coppa gelato «Guardalo, così ti fai un’idea.»
Iwaizumi sospira, gira con il cucchiaino lo zucchero che ha messo nella tazzina: «Non facciamo prima se mi dici almeno a grandi linee di cosa stai parlando? Non c’è così tanto tempo prima del festival e io vorrei anche finire le cose per il club di cui faccio parte.» osserva un po’ piccato, ma mantenendo la cortesia di fondo di chi si sta impegnando a cercare un compromesso. Oikawa si prende il suo tempo, gustandosi la cucchiaiata di gelato che ha portato alla bocca, senza fretta di rispondergli.
«Beh, tutto l’anime ha più senso se lo vedi da solo, tanto è anche corto.» dice inizialmente «Ma a un certo punto c’è questo ragazzino che scrive un copione per una recita scolastica e riadatta in un certo senso “Romeo e Giulietta”.»
«E tu hai fatto qualcosa di simile?»
«Vagamente.» ammette Oikawa «Se dovessi riassumerti la storia in due parole, ti direi che parla di una donna testarda.» dice, il sorriso sulle labbra che non è più così fastidioso; Iwaizumi ha la sensazione di guardare qualcosa che non dovrebbe vedere, di sbirciare sentimenti che dovrebbero essergli sconosciuti o di cui dovrebbe rimanere all’oscuro – sembra di ficcanasare in una questione privata e prova un profondo disagio. Se Oikawa se ne accorge o meno non riesce a capirlo, in compenso l’altro abbandona la sua coppa gelato il tempo utile di tirar fuori dalla cartella un plico di fogli che poggia sul tavolo, spingendolo quindi verso di lui. Voltandolo in propria direzione Iwaizumi ha modo di leggerne gli ideogrammi per bene: “copione”, “Oikawa Tooru”, “3-D” e “club di teatro”.
Non c’è un titolo.
«Vorrei che lo leggessi, perché anche se ti raccontassi riga per riga la storia non sarei comunque d’aiuto quanto il testo.» afferma sicuro, riprendendo a giochicchiare con il cucchiaino nella coppa gelato: «La vicenda principale è una donna che per motivi che ora non sto bene a spiegarti finisce nel nostro mondo e si innamora di un uomo. E poi succedono alcune cose, e lei in teoria dovrebbe tornare a casa sua, ma è una donna testarda. L’ho già detto? Ecco. Poi finisce. Come non te lo dico, altrimenti ti rovino la sorpresa.» conclude.
Iwaizumi fissa il copione e fissa lui – concede un’occhiata anche al quaderno che ha tirato fuori, senza avere la più pallida idea di cosa scriverci.

«Che succede?» la voce di Sugawara lo obbliga a tornare alla realtà, a smettere di fissare il blocco da disegno che solitamente utilizza per gli schizzi che porta poi su tela, o per quelli che sono destinati a rimanere niente più che bozze. Iwaizumi si ritrova davanti il viso dell’altro, un sorriso incoraggiante sulle labbra e rivolto totalmente a lui, mentre prende posto sulla sedia poco distante.
Hajime lo guarda, poi passa al blocco, poi torna su Koushi; sospira di nuovo, scuote appena la testa e fa per mettere via tutto: «La locandina per il club di teatro.» borbotta poco convinto.
«Non sei sicuro di come stia venendo? O non sai come farla?» prova a interrogarlo l’altro con cautela, senza mettergli addosso più ansia del necessario. Apprezza davvero quel modo di fare di Sugawara.
Abbandona per un attimo il blocco sulle proprie gambe, il foglio su cui ha abbozzato la locandina nascosta allo sguardo altrui; si china verso la cartella alla propria sinistra, poggiata contro la sedia, ma quando sta per iniziare a frugarci dentro sembra ripensarci: «…Hai letto il copione di Oikawa?» domanda, considerando che essendo Sugawara l’unica cosa vagamente somigliante a un amico per quel cretino, forse non ha bisogno che lui tiri fuori la sua copia.
Koushi sorride a metà tra chi sa e chi si sente in qualche modo colpevole, anche se non ce n’è motivo: «Ho assistito anche al suo schema iniziale per mettere giù la trama. E alle lamentele quando qualcosa non funzionava. Avresti dovuto vedere Tooru che non voleva lasciare andare il sipario sostenendo che fosse l’unico a capirlo.» racconta divertito, facendo inarcare un sopracciglio a Iwaizumi.
«Tu come lo sai?»
«Mi chiamarono per staccarlo. O almeno per provare a calmarlo abbastanza così che si staccasse da solo.» conclude, senza riuscire a trattenere uno sbuffo divertito. Anche Iwaizumi si ritrova a sorridere: «Sei meno compassionevole di quanto pensassi.» lo punzecchia bonariamente, e Sugawara semplicemente sorride, come se già quello bastasse a rispondere. Hajime non riprende subito, cercando con lo sguardo qualcosa che in realtà non è da nessuna parte e alla fine sospira, quasi si togliesse dalle spalle un peso.
«Non te l’aspettavi, vero? Che Tooru scrivesse così.» lo incalza Koushi, forse perché lo vede in difficoltà. Iwaizumi lo scruta e annuisce, alla fine: «La prima impressione che dà non è esattamente quella di una persona profonda.» brontola «Però è innegabile che sia davvero una bella sceneggiatura.» ammette poi, occhieggiando la cartella dove ha lasciato il copione. Inspira e si decide finalmente a voltare il blocco in modo che anche Koushi possa vedere la bozza della locandina che ha pensato: il compagno allunga le mani prendendo l’oggetto, girandolo in modo che possa studiarlo con attenzione; gli si forma un sorriso sulle labbra e quando gli porge di nuovo il disegno, Iwaizumi nota nel suo sguardo qualcosa che non riconosce a tutti gli effetti ma che potrebbe definire “morbido” e in nessun altro modo.
«Tooru l’adorerà.» pronuncia, e Hajime si sente un po’ in imbarazzo per un commento tanto positivo.
Cambia idea abbastanza in fretta quando la porta viene aperta e sulla soglia appare proprio Oikawa, l’aria fin troppo pimpante: Iwaizumi non si sente pronto, in generale – per la sua presenza, per il suo giudizio, per il casino che porta di solito con sé.
«Ah, Suga-chan!» saluta allegro, avvicinandosi a loro. Hajime si ritrova a chiudere alla meno peggio il blocco e a sentirsi addosso gli occhi di Sugawara insieme alla sua espressione chiaramente perplessa; lo vede sciogliersi in uno sbuffo divertito che non cela affatto. Oikawa li guarda alternativamente e occhieggia il blocco tra le mani di Iwaizumi: si apre in un sorriso che non lascia presagire nulla di buono, non perché si tratti di un ghigno ma perché riconosce la curiosità nella sua espressione. Koushi decide che quello è un buon momento per alzarsi.
«Io vado a parlare con Takeda-sensei per la mostra del festival.» dichiara, facendo un occhiolino complice a Iwaizumi; Oikawa si imbroncia appena lamentando una mancanza di attenzioni da parte di Sugawara, ma Koushi si limita a dargli un paio di colpetti sulla testa come se avesse a che fare con un bambino e saluta entrambi sparendo oltre la soglia. C’è un silenzio scomodo tra loro, interrotto solo dai movimenti di Oikawa verso la finestra per aprirla e far entrare un po’ d’aria, prima di recuperare una sedia e prendervi posto come se l’aula di arte fosse casa sua. A Iwaizumi sta bene, dal momento che così non è lui il fulcro dell’attenzione altrui e può sperare di fingere che non ci sia nulla da mostrargli.
Ovviamente Oikawa ha altri piani: «Iwa-chan, stai lavorando alla locandina?» gli chiede con ancora quell’accenno di offesa a caratterizzare un’espressione fin troppo infantile per un ragazzo al terzo anno di liceo. Hajime sospira; dopotutto, presto o tardi dovrà pur fargliela vedere per avere un’approvazione o un totale rifiuto. Non ha bisogno di alzarsi, non essendo seduto molto distante dalla finestra: si allunga verso di lui, il blocco in mano che viene preso e Tooru non ha bisogno di girare chissà quanti fogli, per trovare quello che cerca. È impossibile sbagliare, se si conosce il contenuto della sua sceneggiatura: il foglio non è riempito con qualcosa di particolarmente colorato né che possa attirare l’attenzione – non è qualcosa che si accosterebbe a Oikawa, in effetti. Ciò che Tooru vede è delicato, elegante e fa davvero pensare che ci sia una mano femminile dietro: la prima cosa che cattura la sua attenzione è la raffigurazione di un fermaglio ornamentale, di quelli che non sono poi così rari nelle ragazze quando indossano gli abiti tradizionali; c’è un motivo floreale semplice ma raffinato. Non può che immaginarne i colori, dal momento che il disegno è in bianco e nero, ma non ha molti dubbi che possa trattarsi di un rosa pallido o forse gli viene naturale pensarlo perché i pochi petali che si muovono per il foglio come se il vento li stesse davvero facendo volare via gli ricordano quelli dei ciliegi.
Fa caso alla scritta solo in un secondo momento, quasi fosse nascosta da tutto il resto – sgrana gli occhi, perché è un effetto così strano e perfetto per quello che lui stesso aveva in mente, che non si capacita di come qualcuno abbia potuto renderlo in quel modo. Non sono che due caratteri: “sussurro”.
«…Iwa-chan.» lo chiama confuso, alzando lo sguardo su di lui e faticando a trovare gli occhi di Iwaizumi, almeno finché questi non si arrende e lo guarda apertamente: «Se non ti piace puoi dirlo. Ho fatto una prova, ma contavo di mostrartela per vedere insieme cosa volevi cambiare.» spiega, rimanendo in attesa. Tooru scuote la testa e c’è un’espressione sul suo viso che Hajime non riesce a decifrare, un sorriso che starebbe meglio su Koushi, ne è sicuro.
«Non penso ce ne sia bisogno. Mi piace davvero tanto così, Iwa-chan.» mormora, come se il disegno fosse la cosa che ha più desiderato al mondo e Hajime gliel’avesse finalmente mostrata permettendogli di averla per sé e non separarsene mai più: «Pare che ti debba delle scuse. E dovrò offrire il pranzo a Suga-chan.» prosegue divertito «Lui l’aveva detto, che saresti riuscito a disegnare una locandina perfetta. Ma questo?» domanda, l’indice che punta i due ideogrammi sul foglio.
Iwaizumi si schiarisce la voce con un paio di colpetti di tosse: «Sul tuo copione non c’era un titolo. Non ho idea di quale volessi mettere o se lo avessi già deciso. Volevo solo fare una prova con dei caratteri.»
«Come mai hai scritto con i caratteri di “piccolo” e “voce”, anziché l’altra opzione?»
Si aspettava molte domande, Hajime, ma non quella e si ritrova spiazzato per qualche momento – non sa dove Tooru voglia andare a parare, ma se è tutto ciò che vuole sapere, suppone di poterglielo dire: «L’altra opzione è quella che si legge come “discorso segreto” e “voce”?» chiede conferma, vedendolo annuire «…Ho pensato che non ci fosse nulla di segreto in quello che hai scritto.» decreta con una sincerità disarmante, e Oikawa sgrana gli occhi per un istante, sciogliendosi in una risata inaspettata poco dopo. Quando smette di ridere, non senza risparmiarsi un’occhiataccia da parte di Iwaizumi, il sorriso che gli rivolge gli fa stringere lo stomaco; Hajime pensa davvero di odiarlo, anche senza un vero motivo. Semplicemente, nella sua testa qualcosa continua a gridare “no” da quando si conoscono.
«Iwa-chan, tu sei davvero una persona pericolosa.» afferma Tooru: «Mi piace, questo titolo. Lo lascerò così, perciò puoi anche disegnare la versione ufficiale della copertina.» assicura, portando le braccia verso l’alto e stiracchiandosi.
«…Tu non stai bene.» borbotta Iwaizumi perché davvero, secondo quale logica si intitola una propria sceneggiatura su cui si è passato chissà quanto tempo in base alle improvvisazioni di un’altra persona? E se lui avesse messo quel titolo unicamente per screditarlo? «Piuttosto, devi tornare al tuo club?»
«Mh? No, lo sceneggiatore non ha nulla da fare ormai.»
«Non dovresti essere tu a poter giudicare meglio di tutti se gli attori sono bravi?» lo interroga, mentre recupera il blocco dalle sue mani e lo apre a una nuova pagina, chinandosi poi a rovistare nella propria cartella; ne tira fuori niente più che una semplice matita e una gomma e Tooru realizza di essere appena diventato il suo soggetto quando ormai Iwaizumi ha già tracciato qualche linea.
«Mi stai disegnando Iwa-chan?» domanda con una nota divertita nel tono e un sorriso strafottente sulle labbra.
«Sì.» replica l’altro come se nulla fosse, quasi distrattamente visto che gli occhi nemmeno abbandonano il foglio «Dal momento che disegno la tua locandina, fammi da soggetto. Non ho ancora deciso cosa fare per la mostra. Renditi utile, Oibakawa
«I tuoi nomignoli non sono affatto carini, Iwa-chan.» rimbrotta, senza ottenere alcun cambiamento, né una vera e propria risposta. Tooru stesso non trova nulla da aggiungere e si limita a sbuffare e tacere, poggiando un gomito sul bordo stretto vicino alla finestra e fare così da sostegno al viso; punta lo sguardo fuori dalla finestra aperta e rimane così, a guardare senza troppo interesse i club sportivi che corrono all’aperto o gli studenti che man mano se ne vanno. Non sa quanto tempo passa, Iwaizumi non è come Sugawara: il compagno di classe ha disegnato qualche volta in sua presenza, e in una di quelle occasioni Tooru ha persino fatto da modello, come ora. Koushi tuttavia è tipo da chiacchierare mentre disegna, mettendo a proprio agio la persona che sta ritraendo – in effetti forse la cosa gli risulta più facile perché si conoscono da tre anni, ma di certo la cosa si deve principalmente alla differenza di caratteri tra Sugawara e Iwaizumi.
«Sai» rompe lui stesso il silenzio, affatto sicuro che altrimenti Hajime lo farebbe mai al posto suo «penso davvero che mi sarei dovuto fidare di Suga-chan, quando ha detto che avresti fatto una bella locandina.» ammette, e Iwaizumi alza lo sguardo per la prima volta – o meglio, per qualcosa che non sia guardare il suo modello in funzione del disegno – inarcando un sopracciglio; suppone, anche se non può esserne sicuro al cento per cento, che quello sia ciò che più si avvicina alle scuse di Oikawa per quanto detto la prima volta che si sono visti.
«E io non avrei dovuto pensare che tu fossi un cretino troppo pieno di sé.» ribatte e Oikawa ridacchia, già pronto a fingersi offeso, ben sapendo che quella è mediamente la prima impressione di tutti. Viene battuto sul tempo, però, perché Iwaizumi continua a parlare mentre con la matita scivola sul foglio quasi fosse il movimento più naturale al mondo: «Invece sei davvero bravo. Quello che hai scritto è bello.» afferma, e quello sì che stupisce Tooru al punto da fargli assumere un’espressione tutt’altro che intelligente. Hajime viene attirato dal suo silenzio, più che altro, e quando torna con gli occhi su di lui capisce in qualche modo quanto il complimento fosse inaspettato e abbia sortito un effetto che non aveva messo in conto. Si sente quasi imbarazzato di riflesso – si stringe un poco nelle spalle, quasi un meccanismo di difesa, come se fosse possibile sparire lì e ora o divenire tutt’uno con la sedia.
«Aw, non essere imbarazzato dai tuoi stessi complimenti, Iwa-chan!» canticchia divertito Oikawa, e Hajime vorrebbe già rimangiarsi tutto.
«Ti preferivo quando stavi zitto.»
«Quindi quando resto in silenzio ti piaccio?»
«Come fa Sugawara a non volerti uccidere pur stando in classe con te da tre anni?» sbotta seccato, tornando con gli occhi fissi sul foglio. Lo sente ridacchiare di nuovo, ma non vuole davvero vedere quella faccia da schiaffi divertirsi alle sue spalle – molto figurate, visto che gli sta ridendo apertamente davanti, ma Hajime non crede di voler puntualizzare oltre la cosa.
«Suga-chan è una brava persona. Lui è quello pieno di buone speranze e bontà per il mondo.» spiega come se fosse una lezione imparata a memoria, anche se Iwaizumi sta prestando attenzione – più di quanto vorrebbe – ed è abbastanza sicuro che le parole di Oikawa siano sincere. È solo il modo in cui le pronuncia, a farle sembrare ambigue.
«E poi ci sono io.»
«La piaga umana con un carattere discutibile?»
«Iwa-chan!» lo riprende e stavolta c’è uno scambio di sguardi eloquenti, anche se per motivi diversi: Iwaizumi ha l’aria di uno che non ha la minima intenzione di rimangiarsi quanto detto e che, anzi, sfida l’altro a dargli torto; Oikawa ha gonfiato le guance come se avesse cinque anni e per un po’ sembra non volersi dare alcun tipo di contegno, sempre che lo si possa definire così.
«Per tua conoscenza, io sono un ottimo amico! Specialmente per Suga-chan! Lui è così buono con tutti, ci vuole qualcuno che lo tenga d’occhio.» spiega con un picco di orgoglio nel proprio tono di voce. Hajime inarca un sopracciglio perché non è sicuro che siano quelli i ruoli, e vorrebbe far presente a Oikawa che non è molto credibile l’immagine di lui pronto a prendersi cura di Sugawara – semmai è più che plausibile il contrario, vista anche la capacità innata di Koushi di ritrovarsi a fare da mamma ovunque, persino nel loro club.
«Abbiamo un concetto di “tenere d’occhio” molto diverso, immagino.» si limita a dire Iwaizumi; è in quel momento che nota il sorriso furbo che incurva le labbra di Oikawa: «Qualcuno dovrà pur fare il lavoro sporco, no? Io mi assicuro che a nessuno venga in mente di approfittarsi di Suga-chan.» afferma e c’è qualcosa, anche se Hajime non saprebbe dire cosa di preciso, a suggerirgli che non stia scherzando.
Preferisce non approfondire l’argomento e si limita ad alzare gli occhi al soffitto; quando li riporta sull’altro, la risata di Tooru sta già riempiendo la stanza ed è così genuina che Hajime ne rimane quasi stordito, per quanto forte possa sembrare quella parola.
Lo guarda ridere, mentre fuori il cielo è di un arancione intenso quanto quel suono.

Più si erano avvicinati ai giorni del festival, più i ritmi nella scuola si erano fatti caotici.
Oikawa non era capitato spesso nel loro club, una volta che Iwaizumi aveva concluso la parte di disegno per cui aveva bisogno della presenza dell’altro – sarebbe stato inutile disturbarlo, specie considerando che con le prove generali alle porte anche il club di teatro aveva bisogno di lavorare più tempo possibile.
Così Hajime aveva continuato a occuparsi del proprio lavoro, aiutando Sugawara e gli altri studenti del terzo anno a organizzare per bene la mostra da allestire nell’atrio della scuola. Non si era trattato di poco lavoro, specie considerando che avevano dovuto decidere un ordine di esposizione che fosse equo nei confronti tanto degli studenti più grandi quanto delle matricole; fatto quello si erano dovuti occupare dei disegni, di appenderli tutti alla stessa altezza e soprattutto dritti – una cosa che aveva minacciato di farli impazzire – e infine si erano dovuti preoccupare di assegnare a ognuno al giusta etichetta con il titolo del disegno, il nome dello studente che lo aveva fatto e la classe. Avevano controllato tre volte che fosse tutto giusto, spuntato i nomi da liste viste e riviste per giorni e la mattina del primo giorno di festival Iwaizumi e Sugawara erano arrivati a scuola con largo anticipo per poter togliere la pellicola protettiva applicata a tutti i disegni perché non si rovinassero prima ancora dell’inizio dell’evento.
Fatto quello, però, il loro club era stato probabilmente il più libero di tutti: non c’era bisogno di guidare i visitatori come in una mostra, né di attirare la loro attenzione dal momento che tutti i disegni – trovandosi nell’atrio dove si era costretti a passare per dirigersi verso le varie aule – si facevano notare comunque.
Era andato anche a vedere lo spettacolo del club di teatro, il secondo giorno, trascinato da Sugawara in verità: l’altro aveva insistito, soffermandosi sulla locandina in bella mostra all’entrata dell’auditorium. Come c’era da aspettarsi, lo spettacolo era stato davvero bello: tutti i membri del club erano stati bravi, soprattutto Kuroo e Shimizu nei ruoli principali. Sugawara aveva insistito per aspettare che la folla a fine spettacolo scemasse per potersi complimentare personalmente con l’amica, e Iwaizumi non aveva avuto motivo di negarglielo – oltretutto era stato contento di poterlo fare lui stesso. Aveva letto il copione e poteva dire che Shimizu fosse stata davvero brava e credibile nel ruolo della protagonista.
Si era quasi aspettato di veder arrivare Oikawa a vantarsi della sua opera d’arte in quanto sceneggiatore, invece di lui non c’era stata l’ombra; il massimo era stato un commento della ragazza che era costato a Iwaizumi un colpetto e un occhiolino complice da parte di Sugawara, dopo il: «Volevo chiedere a Oikawa-kun a chi dobbiamo restituire il fermaglio. Lo ha inserito all’ultimo al costume di scena, ma non so chi lo abbia prestato al club.»
Tutta la strada dall’auditorium alla bancarella esterna con la yakisoba era stata un susseguirsi di sguardi di Koushi, quelli che accompagnati da un silenzio significavano: “non ti chiederò nulla, ma so che hai capito cosa vorrei domandarti”.
Si era sentito un po’ in colpa per il moto di gratitudine verso Sawamura che era venuto a reclamare la presenza dell’altro; lui aveva preferito girare a dare un’occhiata per conto proprio.
Parentesi dello spettacolo a parte, però, il festival era andato bene ed era stato divertente – ora, a terzo giorno ormai concluso e con il cielo quasi completamente scuro, Hajime desidera più il letto che non fare l’ennesima rampa di scale per recuperare la cartellina con gli schizzi lasciata nell’aula del club ma dopotutto niente lo trattiene al piccolo falò che sono stati autorizzati ad accendere nel cortile, sotto la supervisione dei docenti, per celebrare la fine del festival.
Persino da lì arriva un chiacchiericcio, per quanto privo di senso, data la distanza. Sospetta che non farà in tempo a scendere per unirsi alle danze intorno al fuoco, ma le sue gambe e i suoi piedi implorano pietà, quindi forse non è così male. Quel che non si aspetta è di trovare un ospite in aula, poco ma sicuro.
«Oh, Iwa-chan! Sei in fuga anche tu dagli eventi mondani?» domanda Oikawa con quel tono che sa sempre di barzelletta o di presa in giro ai danni di terzi; Iwaizumi è davvero troppo stanco per avere la forza di ribattere a tono: «Così pare.» pronuncia cercando a tentoni l’interruttore della luce, senza neanche provare a chiedersi perché l’altro abbia deciso di stare al buio.
«Potresti lasciare la luce spenta, Iwa-chan?» gli arriva alle orecchie senza che la distanza tra loro sia diminuita, eppure – forse è l’effetto del buio – Oikawa gli sembra più lontano quando lo fa rientrare nel proprio campo visivo. È seduto su una sedia, al contrario, le braccia che poggiano mollemente sullo schienale e lo sguardo di nuovo fuori dalla finestra. Sono sul lato che non dà direttamente sul falò ma che ne è parzialmente illuminato, perciò Iwaizumi non fatica a scrutarne i lineamenti per quanto non sia come averlo sotto una luce artificiale. Non immagina né comprende il perché della richiesta, ma non ha bisogno della luce per trovare la cartelletta che è venuto a riprendersi, ricordando perfettamente dove l’ha lasciata.
«Mi stupisce che tu fugga dagli eventi di cui parli.» ammette mentre si sposta verso uno dei tavoli addossati alle pareti, ritrovando un po’ a tentoni – trattandosi dell’angolo più buio dell’aula – quello che cerca. Gli sembra di sentirlo sbuffare divertito, ma non ne è sicuro.
«C’è un bel venticello quassù, e c’è silenzio. Troppo giorni di confusione stancano anche me, sai? Sono un animo sensibile.»
«Certo.» replica scettico ancor prima di rendersene conto, in maniera del tutto spontanea, la mano che tocca la cartelletta e le dita che si stringono su un bordo della stessa per afferrarla. Potrebbe andarsene e non lo fa, e nonostante la cosa lo irriti, è esattamente la contraddittorietà che fa parte del suo modo di fare da quando ha incrociato la strada di Oikawa: lo trova interessante – se non altro per come scrive – ma non vuole ammetterlo. Lo considera insopportabile la maggior parte delle volte, ma a parte la prima occasione in cui si sono parlati e in cui se ne è andato, non riesce a scacciarlo. Sente che parlare oltre con lui, addentrarsi nella matassa di pensieri che prendono forma nella testa di Oikawa Tooru sia la cosa più stupida e pericolosa che potrebbe fare, ma ogni volta che gli si presenta l’occasione non è mai abbastanza prudente.
Un mese quasi interamente a stretto contatto, e si sente così stupido – come se fosse al limite di un precipizio e nella totale incoscienza continuasse a dondolare avanti e indietro incurante della possibilità di cadere.
Lo sente sospirare rumorosamente, lasciando scivolare l’aria fra le labbra fin troppo lentamente; quando parla, non dice nulla di ciò che Iwaizumi si aspetta: «Alla fine hai davvero lasciato il titolo che ti avevo suggerito. Per il disegno, intendo.» pronuncia come se la cosa lo stupisse, come se Iwaizumi non gli avesse già detto che avrebbe lasciato quello. Hajime inarca un sopracciglio, perplesso: «Te lo avevo detto. Tu hai lasciato il mio titolo, non è poi così strano. E pensavo ne avresti scelto uno molto più brutto.» ammette senza mezzi termini, aspettandosi una risposta indignata da parte di Tooru che però non arriva mai. C’è solo un mezzo sbuffo, e un borbottio: «”Fuoco e cenere” è suggestivo e bellissimo. Si adatta, visto che il soggetto del disegno sono io.»
«Più il tramonto che non tu, per la verità.»
«Sei una persona orribile, Iwa-chan.»
Iwaizumi si risparmia di sottolineargli che, fosse pure orribile come sostiene l’altro, non arriverebbe mai ai suoi livelli.
Oikawa forse non si aspetta una risposta, perché non dice altro in merito, non lo esorta né lo rimprovera di ignorarlo – cosa che Iwaizumi ha fatto spesso, specie mentre lavorava in silenzio al disegno e Oikawa sembrava incapace di tacere per più di due secondi netti. Quando l’altro parla di nuovo, per un momento Hajime crede davvero che sia impazzito: «Si muero, dejad el balcòn abierto.» è palesemente una lingua che Iwaizumi non conosce, eppure la voce di Oikawa gli accarezza le orecchie con la delicatezza che userebbe una madre per accarezzare il suo bambino, gli si insinua dentro come una boccata d’aria dopo minuti passati senza respirare. Lo fa sentire a casa, e lo spaventa, e gli stringe il cuore nemmeno dovesse ucciderlo. La sua pronuncia non è perfetta, ma Hajime non riesce a immaginarne una migliore: «El niño come naranjas (desde mi balcòn lo veo).» fa una pausa e Iwaizumi lo vede guardare fuori ma non verso il falò: Tooru guarda lontano, all’orizzonte, dove non c’è nulla di strano da vedere – eppure l’altro sembra trovare esattamente ciò che cerca, qualunque cosa sia.
«El segador siega el trigo (desde mi balcòn lo siento). Si muero, dejad el balcòn abierto.» pronuncia in un sussurro, abbassando volutamente la voce, e Iwaizumi avverte l’impulso quasi irrefrenabile di avvicinarsi e prenderlo per le spalle, scuoterlo, arrabbiarsi.
Tooru non si volta subito in sua direzione, in compenso parla senza che Hajime possa vedere bene la sua espressione: «Bella, vero? Anche se la mia pronuncia non è proprio impeccabile.»
«…che lingua è?»
«Spagnolo. Ho letto sul libro dove c’era anche questa poesia che “lo siento” non significa solo “lo sento”. Ho pensato che l’autore fosse davvero antipatico, a usare una frase tanto ambigua.» ammette stiracchiandosi, stendendo le braccia verso l’alto per poi sporgersi un poco più in avanti e poggiarle direttamente sul davanzale in modo che le mani penzolino nel nulla fuori dalla finestra.
Iwaizumi non osa spostarsi, non sa perché: «E che significa?»
«Mi dispiace.»
Sente una tristezza senza fine mangiarlo vivo, dall’interno, e non riesce a capirne il motivo.

La prima volta che si sveglia da un sogno in cui appare Oikawa, Hajime non ricorda granché se non la presenza di quest’ultimo e la sensazione fastidiosa di un sogno che scivola via contro ogni sua volontà di ricordare quanto visto. Non può nemmeno parlare di immagini o ricordi confusi, perché la sua unica certezza è la presenza dell’altro, e non sarebbe nemmeno così tragico se la cosa non si ripetesse.
Per giorni.
Per settimane.
La maggior parte delle volte Hajime non riesce a focalizzare, al risveglio, il contenuto di quanto visto; man mano che le notti passano gli rimane qualche particolare in più – una volta si tratta di un colore dominante per tutta la durata del sogno, in altre occasioni di suoni o odori o solo sensazioni.
Quando una mattina si sveglia ricordando almeno a grandi linee qualcosa, Hajime non sa cosa pensare: con il tempo la sua memoria diventa più collaborativa e lui non ha idea del perché questo accada, se sia una volontà superiore che vuole dar pace ai suoi nervi e interrompere il regno di terrore che a causa del suo nervosismo si instaura a momenti alterni anche durante le attività del club. Ricordare però non lo aiuta a capire perché mai l’Oikawa nei suoi sogni sembri al tempo stesso così diverso e così simile a quello che incrocia a scuola – ha smesso di chiedersi perché quell’idiota sia diventato il suo sogno ricorrente, o forse se lo spiega dicendosi che è normale essere martoriato psicologicamente anche quando dorme, visto che dal festival la presenza di Oikawa nella sua vita sembra un must che lui si sarebbe volentieri risparmiato.
Ci sono volte in cui la cosa che gli rimane più impressa è solo un’espressione di Tooru, non importa da cosa sia stata scatenata; molto spesso attorno a loro ci sono distese di prati verdi a perdita d’occhio, paesaggi che Iwaizumi non ha mai visto in vita sua ma che nel sogno gli suscitano la stessa stretta al cuore di qualcosa di caro, del quale si sente la mancanza. A volte Hajime si sveglia trascinandosi dietro la sensazione forte di un addio, altre con l’odore penetrante dell’erba seccata dal sole anche se l’estate per lui è a malapena alle porte.
Una mattina si sveglia con il rumore delle onde a rendere ovattata la voce di sua madre che lo chiama dal piano inferiore – non è spiacevole, non come svegliarsi con gli occhi umidi e la risata di Tooru nelle orecchie e il cuore che gli batte in petto così forte da sembrare in procinto di saltar fuori e lasciarlo lì vuoto a morire con la consapevolezza di aver perso qualcosa d’importante.
Il peggio arriva quando comincia a sognare di essere sott’acqua, e le prime volte si sveglia con addosso il panico di chi rischia di annegare senza poter nemmeno gridare aiuto. Arriva al punto di non riuscire a dormire bene, disturbato durante il sonno e affaticato, irritabile; Sugawara un giorno quasi gli impone di andare a riposare in infermeria, quando la mattina lo incrocia e Iwaizumi ha l’aria di uno che non dorme da giorni.
Ritrovarsi Oikawa vicino al proprio letto durante la pausa pranzo non è esattamente ciò che Iwaizumi auspicava per la propria persona; non ha la forza di cacciarlo, però, quando aprendo gli occhi se lo ritrova lì.
«…che vuoi.» grugnisce, conscio di essere tutt’altro che gentile, ma senza riuscire a forzarsi a fare di meglio. Tooru porta lo sguardo su di lui, abbandonando qualunque fosse l’oggetto della sua attenzione fuori dalla finestra: Iwaizumi si è abituato a questa sua mania di guardare sempre all’esterno ogni volta che si trova a ridosso di una finestra. Cosa cerchi non glielo ha mai chiesto.
«Non essere antipatico, Iwa-chan.» rimbecca, senza parvenza di severità nel tono «Allora, hai dormito un po’? Suga-chan dice che stamattina avevi un aspetto peggiore del solito. Almeno di quest’ultima settimana.» si corregge, aspettandosi evidentemente una risposta. Hajime sospira stancamente, portando un braccio a coprire gli occhi chiusi, cercando nel contatto un qualche tipo di sollievo: sente la testa pulsargli fastidiosamente, ma la manovra non serve a nulla. Lascia ricadere il braccio con un tonfo morbido, tenendo gli occhi chiusi, almeno finché non avverte inaspettatamente qualcosa di fresco contro la fronte. Impiega qualche istante a rendersi conto che si tratta della mano di Oikawa, che gli sta rivolgendo un sorriso che lo fa vergognare – Hajime si è accorto, e non di recente, che l’altro ha preso a sorridergli in quel modo e non solo quando è sicuro di non essere visto. Tutt’altro, sembra farlo a maggior ragione quando sa di avere l’attenzione di Iwaizumi su di sé.
«Che stai facendo?» borbotta, ma non scansa la mano voltando il viso dalla parte opposta. Oikawa non muta espressione, tuttavia sposta lo sguardo tornando a guardare fuori: «Mi rendo utile, Iwa-chan. Hai davvero un pessimo aspetto, dovresti riposarti. Altrimenti stonerai troppo camminandomi di fianco!»
«Imbecille.» pronuncia, e non sa bene quando ma a un certo punto scivola di nuovo nel sonno.
Non si rende nemmeno conto di sognare, almeno finché non si sveglia, perché tutto sembra così vivido nel momento in cui lo vede da non fargli pensare ad altro se non di star vivendo la realtà: l’acqua in cui pensava di annegare in realtà è calma, di un fresco piacevole contro la pelle. Muove le gambe piano, senza l’affanno di chi cerca di sopravvivere e davanti a lui c’è Tooru – un Tooru che non crede di riconoscere del tutto, come ogni altra volta: ha un sorriso sulle labbra rivolto solo e unicamente a lui, ma c’è qualcosa di timido che sembra stonare totalmente con l’Oikawa a cui lui è abituato, quello che per quanto si impegni finisce sempre per dire qualcosa a sproposito. Se sia voluto o meno questo Iwaizumi non lo sa.
Oikawa nuota con lui, o per meglio dire rimane a galla, e lo guarda come se Hajime fosse la cosa più preziosa al mondo, l’unica che valga la pena guardare. Si sente imbarazzato da quello sguardo, o almeno è come si sentirebbe di norma, come dovrebbe sentirsi; invece insieme a quella sensazione c’è, più forte, quella di qualcosa di gradito. È quel dualismo che negli ultimi sogni c’è sempre, completamente estraneo a Iwaizumi – in nessun caso vorrebbe essere guardato a quel modo apertamente, senza avere il tempo di processare la cosa nella propria testa, di capire. Invece tra lui e Oikawa non c’è niente, e il poco di distanza che li divide si affievolisce lentamente, quasi la corrente li spingesse l’uno verso l’altro.
Troppo vicino è il pensiero che Hajime sente nascere, razionalmente, nella propria testa; eppure è totalmente schiacciato da un altro che quasi urla per annullare quel barlume di lucidità che lo potrebbe far allontanare. Allora si sente in corpo una forza che gli impone di avvicinarsi ancora, e ancora, di guardare Tooru e di toccarlo, semplicemente perché l’idea di farne a meno è impensabile. E Tooru non fa nulla per impedirglielo, per ritrarsi: lo guarda ancora a quel modo e sorride, come se avesse già capito – e forse è davvero così – finché non gli è davanti, sulle labbra, e non ha bisogno di fare altro che sussurrare per farsi sentire.
«Ti voglio baciare.» mormora pianissimo e Iwaizumi si sente nascere dentro un’euforia che non capisce e che al tempo stesso sente così sua da provocargli un capogiro, quasi: «Ti posso baciare?»
E non gli risponde, sente di non averne bisogno: Tooru è praticamente sulla sua bocca che respira, e gli ruba l’aria, e lo chiama – Salvador, pronuncia, e Iwaizumi non ce la fa più a stare lontano da lui, dalla sua bocca e da qualunque cosa Oikawa Tooru rappresenti.
Perché la sua mente non faccia altro che ripetere come una nenia la parola “Federico”, non riesce a capirlo; sa solo che quando si sveglia quasi sussultando e il volto di Oikawa è pericolosamente vicino al suo non importa che sia chiaro l’intento altrui di svegliarlo e niente di più: lo spintona via, una mano a nascondere parte del viso.
La voce che pronuncia un secco: «Vattene, non riesco a dormire con te qui.» suona così estranea da non sembrare nemmeno sua.
Eppure lo è.

Passano giorni, da quell’episodio, giorni in cui Iwaizumi si impegna davvero a stare alla larga da ogni possibile contatto con Tooru. I sogni in compenso vanno diminuendo, fin quasi a sparire, diventando un’eccezione e smettendo di essere una fastidiosa, confusionaria routine.
Oikawa non si affaccia più al loro club con tanta frequenza, anche se la sua presenza si fa sentire comunque: non è che Iwaizumi non gli parli, se gli viene rivolta la parola, ma c’è quella diffidenza iniziale tra loro, e sa perfettamente che la colpa è sua. Non è sicuro di cosa tutti quei sogni significhino, specialmente quello dell’infermeria – qualsiasi teoria abbia tentato di formulare è così fuori dal mondo e inverosimile che Iwaizumi non ha avuto nemmeno la forza di pensarla fino in fondo.
Sugawara non ha mai chiesto nulla, ma Hajime è sicuro che sappia della sua reazione dopo quel risveglio e che abbia notato con fin troppa facilità che l’atmosfera tra lui e Oikawa non è delle migliori; Tooru in compenso lo ha sorpreso: si era aspettato un infantile tentativo di tampinarlo fin quando Hajime non gli avesse spiegato il perché del proprio gesto, invece l’altro si è comportato come al solito. E questo non gli sembra affatto da Oikawa, per quanto possa vantare pochi mesi di conoscenza – a sua difesa, sono stati fin troppo a contatto in quel breve periodo, più di quanto Iwaizumi lo sia stato con Sugawara, e sì che fanno parte dello stesso club.
È Koushi a richiamarlo alla realtà, agitandogli una mano davanti al viso. Hajime sbatte un paio di volte le palpebre e sospira, conscio di essersi incantato di fronte al nulla. La sua classe si è praticamente svuotata senza che lui se ne rendesse conto, i libri ancora nel sottobanco e la cartella tutt’altro che pronta per spostarsi nell’aula di arte.
«Passando ti ho visto ancora seduto.» spiega Koushi con un sorriso gentile, quasi materno, come se avesse già presagito che qualcosa non va «Per un attimo ho creduto ti fossi addormentato a occhi aperti.» ammette in una presa in giro bonaria che strappa un sorriso persino a lui. Porta in automatico le mani a recuperare i libri per poterli mettere nella cartella e scuote appena la testa: «Mi ero incantato, ma ero sveglio. Grazie di avermi chiamato.»
Sugawara lo lascia sistemarsi in silenzio e con i suoi tempi, mentre Hajime si concentra sui piccoli gesti come se ne andasse della sua vita. Non ha idea di cosa il compagno guardi nel mentre, se lui o qualsiasi oggetto nella stanza, eppure quando arriva la domanda non se ne stupisce davvero: «È successo qualcosa?» si sente chiedere, e anche se Koushi non lo dice sanno entrambi che “con Tooru” è implicito. Cosa mai dovrebbe rispondergli? “Oikawa mi angosciava nei sogni e quindi ho deciso di tenere lontano almeno quello della vita reale”?
Di certo sarebbe più sensato del motivo reale, ossia ammettere di essere andato nel panico per aver sognato di baciarlo. Iwaizumi non saprebbe nemmeno dire quale sia stata la maggiore causa di stupore – o di qualsiasi altra cosa si sia trattata – per lui: il baciare un ragazzo, il baciare Oikawa, il fatto che sembrasse perfettamente giusto, qualcosa che tornava alla normalità.
Quotidianità è la parola giusta, e quella che spaventa di più Hajime, perché Tooru non è mai stato parte della sua vita fino a quando non ha dovuto disegnare la sua stupida locandina e da lì è andato tutto peggiorando: Oikawa e le sue stupide poesie in lingue incomprensibili, con scuse altrettanto incomprensibili; lui e le sue risate, la sua mania di guardare fuori da quella maledetta finestra, lui e il suo non lasciarlo in pace nemmeno quando dorme. Tooru e i sorrisi di chi guarda qualcuno che ama, e Oikawa non può amarlo, cazzo.
Non ne ha motivo. Crede, almeno.
Sospira e si lascia scivolare sul banco: vorrebbe solo che le cose tornassero semplici com’erano prima, senza quella sensazione di un masso che gli schiaccia il torace impedendogli di respirare.
«Hai mai avuto la sensazione di… non lo so.» ammette, perché è bizzarro da spiegare e non trova davvero le parole per evitare di sembrare solo fuori di testa a quel poveretto di Sugawara: «Sogni mai di persone che conosci come se non le conoscessi? Quello che intendo» sbuffa seccato «come se fossero altre persone, non come se tu non le avessi mai incontrate prima. Non so se riesco a spiegarmi.»
«Credo di aver capito, più o meno.» lo rassicura Koushi, anche se Hajime è abbastanza sicuro che l’altro direbbe così anche se non avesse capito affatto, pur di tranquillizzarlo. Sugawara si prende qualche momento per rispondere – Iwaizumi non sa dire se l’altro stia cercando le parole o facendo mente locale sulla sensazione di cui parlano – e quando gli parla, lo fa davvero con tutta la sincerità del mondo: «Non mi è mai successo.» è la sua premessa «Però a volte ho dei dejà-vu, anche da sveglio. Non so se intendi qualcosa del genere, ma quando succede ho un po’ di… nostalgia. E un po’ di paura. Non proprio paura» si corregge e già il suo modo di parlare riesce a rilassare Hajime, perché è così da Sugawara che non potrebbe essere altrimenti  «più qualcosa a metà tra “cos’è successo dopo?” e il “sta succedendo di nuovo”. In realtà raramente ricordo quello che accade poi, o ho la sensazione di un dejà-vu costante.» conclude. Non gli chiede perché glielo abbia domandato, né niente del genere: Sugawara semplicemente lo guarda, quasi fosse pronto per il suo prossimo interrogativo.
Iwaizumi vorrebbe davvero dargli voce, ma non ha il tempo di pensare perché nel suo campo visivo rientra Oikawa: con la coda dell’occhio nota il movimento alle sue spalle e poi al proprio fianco, e l’istante dopo la mano di Tooru è sulla spalla di Sugawara e la sua voce chiede all’amico se possono restare da soli a parlare. Tutto, tutto nel corpo e nella testa di Hajime urla che no, non esiste restare da soli in una stanza – eppure, per l’ennesima volta, si ritrova a non muoversi in alcun modo per esternare quel rifiuto così netto.
Koushi lo occhieggia per qualche istante e poi annuisce, forse in mancanza di un qualsiasi cenno da parte di Iwaizumi. Pronuncia qualcosa che Hajime non coglie, sebbene si ritrovi meccanicamente ad annuire, e poco dopo gli unici occupanti dell’aula sono lui e Oikawa.
«Iwa-chan.» non perde tempo in chiacchiere, l’altro, proprio l’unica volta in cui la sua logorrea avrebbe fatto comodo a Iwaizumi; incredibilmente si ritrova ad alzare comunque gli occhi su di lui, con un’espressione più decisa – e seccata, forse – di quanto vorrebbe o si riteneva capace fino a una manciata di secondi prima.
Non si aspetta un sorriso abbozzato, quasi impacciato, perché quando mai Oikawa ha dimostrato di avere pudore nella sua vita o almeno nella parentesi di vita di cui Hajime è a conoscenza? Mai.
Ovviamente deve iniziare ora.
«Potresti smettere di evitarmi? Non è per niente carino da parte tua.» comincia così, in modo stupido ma veritiero, ed è solo per quello che Iwaizumi non lo aggredisce a parole: sa di avere torto.
«Credo di aver capito il problema, non sono stupido.» prosegue e Hajime vorrebbe ridere perché no, oh no, Oikawa non ha minimamente idea di quale sia il problema.
«Mi dispiace, va bene? Mi dispiace di aver cercato di baciarti in infermeria, e che ti sia svegliato proprio in quel momento.» sputa fuori e Hajime per un attimo non sa davvero cosa dire perché… seriamente.
«Hai cercato di baciarmi in— tu hai—»
«…Perché sei sorpreso? Pensavo fossi arrabbiato per quello, Iwa-chan!»
«Certo che sono arrabbiato!»
«Ma lo hai scoperto solo adesso, ora non vale! Io intendevo prima, mi hai evitato per settimane!» si lamenta, come se fosse lui ad aver subito un torto e Iwaizumi non crede di potercela fare. No, non ce la fa e basta: «Perché ti ho baciato!» sbotta nervoso e alzandosi di scatto – c’è del tragicomico nell’espressione che gli rivolge Oikawa.
«Ma quando?! Iwa-chan ti assicuro che se mi avessi baciato di tua spontanea volontà io non ti avrei evitato affatto
«Puoi smettere di sventolarmi davanti agli occhi il fatto che tu sia più che felice all’idea di fare cose come me?!»
«Ma Iwa-chan tu dici di avermi baciato, sto solo dicendo che non è possibile, anche perché me lo ricorderei se tu e io avessimo fatto—»
Non ce la fa, e gli tappa la bocca con una mano, forse in un gesto un po’ troppo brusco ma non gli importa molto ora come ora. Sente il calore sul viso e un imbarazzo senza fine farsi prepotentemente avanti quando, prima di potersi imporre di tacere, sente la propria voce sbottare in un: «In sogno, cretino!»
Silenzio. Da quando conosce Oikawa si è ritrovato più volte a pensare che il silenzio tanto agognato quando l’altro non fa che rifilargli idiozie e commenti stupidi sia scomodo, tra loro. Non riesce a ricordare una sola volta in cui si sia sentito a suo agio con Tooru che taceva, eppure questo è esattamente ciò che fa ora: Oikawa lo guarda come se lo vedesse per la prima volta e Hajime vorrebbe essere invisibile.
La mano di Tooru raggiunge il suo polso, al solo scopo di allontanarlo dalla propria bocca e poter parlare: «…hai sognato di baciarmi, Iwa-chan?»
Vuole morire. O uccidere Oikawa, non ne è sicuro.
«Smetti di ripeterlo.»
«Quindi ti piaccio. Almeno un po’. Abbastanza da volermi baciare.»
«Oikawa io ti giuro—»
«Iwa-chan, è importante!» lo interrompe e alza la voce, non nel modo solito che ha di parlare per lamentarsi di quella che a suo avviso è un’ingiustizia; c’è un’urgenza che Iwaizumi non ha mai sentito nel suo tono di voce, come se dalla sua risposta dipendessero le sorti del mondo intero – e Hajime non vuole, perché a malapena riesce a pensare a cosa sia meglio per lui al momento, figurarsi al resto del globo terrestre.
Non gli risponde, perché non sa davvero cosa dirgli o come dirglielo, è peggio che con Sugawara.
«Iwa-chan» lo richiama Tooru, e stavolta la voce è poco più di un mormorio «adesso non stai dormendo, giusto?» è una domanda retorica, è palese, e non solo perché basta guardare Iwaizumi in faccia per vedere che è sveglio. Si tratta di altro, di Tooru che lo avvicina piano, della mano che accosta al suo braccio fino a toccarlo e che Hajime sente tremare contro di sé. È nel modo in cui lo guarda, che non è come nel sogno in cui sono nell’acqua e lo chiama con un nome che non è suo ma che al tempo stesso non potrebbe essere di nessun altro – ed è sempre più vicino, quello è davvero come nel sogno, e Hajime si ritrova bloccato ancora tra il desiderare di fuggire più lontano possibile e il desiderare di essere lì, esattamente dov’è.
Il naso di Oikawa sfiora il suo, la mano contro il braccio è risalita fino a sfiorargli incerta il collo e a posizionarsi sulla sua nuca; Tooru gli respira sulle labbra e per un momento Iwaizumi pensa con orrore che chiunque potrebbe entrare e ci sarebbe poco da fraintendere perché effettivamente le labbra di Tooru stanno davvero sfiorando le sue. C’è un istante, uno solo, in cui lui e Oikawa sono in un altro posto, e poi sono lì nella stanza, e in mille altri luoghi ancora; prima che possa processare il tutto, scegliere tra vite che non sono le sue, la bocca di Tooru annulla la distanza.
È strano. Non il bacio in sé – in verità anche quello, molto, troppo. Ancora più strano è che la bocca di Tooru sappia di qualcosa che Hajime riesce a chiamare solo “nostalgia”. Poco importa che la mano sulla sua nuca stringa piano in cerca di una certezza che Iwaizumi non sa dare nemmeno a se stesso, ma che si ritrova a cercare di infondergli con le mani che salgono a toccargli le guance in una carezza leggera di cui a malapena si rende conto. Poco importa se le labbra di Tooru si schiudono incerte contro le sue e se non capisce subito di dover fare lo stesso.
Tooru sa di nostalgia, di cosa Hajime non lo sa – l’odore dell’erba bruciata da un sole troppo caldo gli invade le narici, l’aria secca di terre del Sud che non dovrebbe nemmeno conoscere gli grava sul corpo e da qualche parte sente che tutto quello è stato importante. Se non può dargli un nome, se non può chiamarlo “casa”, sarà nostalgia.
Sarà Tooru. 

 

 

 

Avevo in testa questa sorta di reincarnation!au da un sacco, ma la pigrizia è una brutta bestia. Avrei voluto renderla più “concreta”, far sì che sia Iwaizumi che Oikawa risalissero alle vite passate in questione e ricollegassero tutto, ma… sarebbe sfociato in un progetto long che non avrei avuto tempo di scrivere e aggiornare. Così ho optato per una cosa più soft, una sorta di “pre-realizzazione”: ci stanno arrivando, ma non ne hanno la certezza. Spero davvero che non sia stato solo confusionario XD
Passiamo alle mille citazioni da segnalare, con relativi copyright: la citazione in apertura viene da “Canciòn otoñal” di Federico García Lorca (“Oggi sento nel cuore un vago tremolio di stelle. […] La neve si scioglierà quando verrà la morte?”).
Figlio errante”, citato da Oikawa, è l’anime di Hourou Musuko che personalmente consiglio sebbene la tematica sia particolare, e nello specifico quando il protagonista porta in scena una versione rivisitata di “Romeo e Giulietta”.
Fuoco e cenere”, il titolo che Oikawa dà al disegno di Iwaizumi (che per i più curiosi, ha come soggetto Tooru che guarda fuori dalla finestra XD) è un richiamo a “Piccole ceneri” il titolo di un quadro di Dalì: lessi in proposito che alcuni sostengono il titolo sia stato dato da Lorca (o suggerito), e ho voluto mantenere questo dettaglio per quanto non attestato con certezza.
La poesia citata da Oikawa è “El balcòn” di Lorca (“Se muoio, lasciate aperto il balcone. Il bambino mangia le arance (dal mio balcone lo vedo). Il mietitore sta raccogliendo il grano (dal mio balcone lo sento). Se muoio, lasciate il balcone aperto.”). In una delle analisi che ho trovato per questo testo, si fa riferimento appunto al doppio significato di “lo siento”: pare che più di qualcuno, nel tempo, abbia interpretato questa poesia come delle scuse di Lorca alla famiglia e agli amici che non avrebbe più rivisto.
La scena nel sogno più vivido di Iwaizumi è un hint a una scena del film “Little Ashes” (Piccole Ceneri) che ha trattato appunto la relazione – presunta o reale – tra Lorca e Dalì. Essa non è mai stata confermata né totalmente smentita (molte frasi di Dalì risultano ambigue, per cui c’è una discussione in corso da anni sul fatto che si trattasse solo di amore da parte di Lorca – dichiaratamente omosessuale – e non di Dalì, o che ci sia effettivamente stato qualcosa che non è andato però a buon fine). Ho voluto giocare dal lato gay della questione, sì XD
Il titolo della fic si rifà invece alle parole dello stesso Lorca: “Ho il fuoco nelle mani”, riferito alla sua attività poetica; nel mio caso vale tanto per la scrittura di Lorca!Oikawa che per il disegno di Dalì!Iwaizumi.

…credo di aver finito *piange*
Sì, mi sono divertita a infilare ovunque riferimenti.
A chi ha avuto la pazienza di arrivare fin qui, un grazie di cuore. Spero davvero di aver scritto qualcosa di godibile, almeno (L)



   
 
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