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Autore: Mattie Leland    10/03/2015    1 recensioni
«Questo è l’espresso di mezzanotte.»
«Che… treno è?»
«Non è un vero treno. E’ un’espressione che significa… scappare.»
«…»
«Ma non si ferma da queste parti.»
«Cosa vuol dire? Che non posso scappare?»
«No, Shinji. Vuol dire che una volta che ci sali… non puoi più scendere.»
Questo treno non sta facendo fermate.
[Questa ff si è classificata al 1^ posto al contest -Beware the... Warning Contest- di Rota]
[Prompt: Sogni compromettenti]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kaworu Nagisa, Shinji Ikari
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Aldilà (Al-di-là) del sogno



“Catch the midnight express.”
- Fuga di mezzanotte



A volte soffro di alienazione. Durante le mie giornate, durante quei secondi interminabili che sono la mia realtà, smetto improvvisamente di esistere e divento spettatore. Dura pochi secondi ma l’effetto è sorprendente.
Inizio a credere che la mia realtà non sia la vera realtà, che sia un sogno, e che io mi debba svegliare –andare a dormire- per tornare a casa. E a quel punto non sono più sicuro di niente.

«Questo è l’espresso di mezzanotte.»
«Che… treno è?»
«Non è un vero treno. E’ un’espressione che significa… scappare.»
«…»
«Ma non si ferma da queste parti.»
«Cosa vuol dire? Che non posso scappare?»
«No, Shinji. Vuol dire che una volta che ci sali… non puoi più scendere.»
Questo treno non sta facendo fermate.
«Ayanami…»
«Non sono Ayanami. Questa faccia…» sta cambiando, no era nel buio, no non aveva una faccia, forse solo una voce «… va meglio?»
Kaworu?
 
Ognuno di noi esiste nelle menti delle altre persone. Ed è diverso in ognuna di queste visioni. Il me che esiste nella mente di Asuka non è lo stesso me che esiste nella mente di Ayanami, e non è lo stesso me che vive nella realtà. La percezione che queste persone hanno di te dipende da tante cose, molte non sono ancora riuscito ad afferrarle. Esistono tanti Shinji in questo universo, corporei ed incorporei. Persino nella mia mente c’è uno Shinji che non è identico a quello reale, o a quello che dovrebbe essere reale.
Perché è possibile che queste percezioni, queste proiezioni di me stesso mi rappresentino meglio di quanto sappia fare io?
E cosa sono queste proiezioni?
Immagini di un ragazzino vigliacco, incapace, solo, inutile, odiato non ho bisogno di te, perché non te ne vai? devi proprio stare qui? non mi servi, perché non cresci un po’? non hai altro da fare? tu non mi piaci, io non ti sopporto, sei proprio uno stupi-Shinji!
Meglio rannicchiarsi e dormire.
Tornare alla mia realtà.

«Ci sono diversi livelli in un sogno, Shinji. Il primo livello è quello di ogni notte. Vedi cose che hai carpito durante il giorno o durante la tua intera vita. Un uccellino su un albero diventa uno stormo intero pronto a divorare il cielo. Una ragazza dalla gonna corta in fondo alla strada diventa la donna che ti porti a letto. Il primo livello, Shinji, serve solo a dormire. E a nulla vale quello che ci trovi. Qui la tua mente e il tuo cuore sono scollegati.»
Questo lo so… eppure è il livello in cui sto meglio. So che tutto è privo di senso. Nessuno può rimproverarmi per quello che faccio, perché nessuno potrebbe fare di meglio.
Non è perfetto?
«Ad un livello più profondo si inizia ad entrare non solo nel sogno, ma nel tuo subconscio. E’ affascinante ma spaventoso. Se un giorno qualcuno riuscisse a trasferire i tuoi sogni su uno schermo, potrebbe vedere dentro di te. Ma in fondo, per te è già abbastanza spaventoso che sia tu stesso a guardare all’interno della tua mente, vero?»
Perché dici questo?
«Potresti ricordare cose che volevi dimenticare. Realizzare sentimenti ed emozioni che volevi seppellire. Sono tante le cose di cui l’essere umano deve avere paura. La prima, è sé stesso.»


Torniamo a parlare delle proiezioni. Nella mente di mio padre ci sono io che piloto l’Eva. Lo so questo, non potrebbe essere altrimenti. Perché per lui sono solo questo, un pilota, senza un Eva accanto la mia immagine nella sua mente non può comparire. L’Eva, invece, può apparirgli anche senza di me.
Nella mente di Asuka ci sono io che piloto l’Eva e poi ci sono io che vivo con lei. Riesce a far collidere le due proiezioni ma non le accetta, probabilmente. Non mi sopporta. E che io sia un pilota o semplicemente il suo coinquilino, non le piaccio, la sua proiezione di me è sempre qualcosa di negativo.
Ayanami è in parte un’incognita. Credo comunque di essere la proiezione di un ospite. E lei è molto cortese, non mi caccia via. Questo non vuol dire che ad un certo punto non avverta la mia presenza come un peso. E allora mi fissa, senza dire niente.
La signora Misato vede un bambino che deve convincere con ogni mezzo a fare ciò che serve. Prova pena per questo bambino, ma non lo comprende, non lo sopporta e vorrebbe allontanarsi da lui. Dato che non è possibile, gli vuole bene come meglio riesce.
Quali di queste è la più vicina alla realtà?
Quale di queste proiezioni sono io?
Io esisto come essere umano o posso vivere solo attraverso l’immagine che la gente ha di me?
Se la gente smettesse di avere queste proiezioni nella mente… io che fine farei?


«E’ per questo che sei su questo treno?»
«Forse… non lo so.»
«Hai paura che la tua esistenza sia determinata dalla visione che gli altri hanno di te?»
«Non è così?»
«Io non posso risponderti. Perché sono qui nella tua mente. Ciò che non sai tu io non posso saperlo.»
«E allora come puoi essermi utile?»
«Dicendoti ciò che già sai. E ti assicuro, Ikari Shinji, che è davvero una gran cosa. Molto utile.»
«E allora dimmi qualcosa che già so.»
«Tu hai paura, Shinji. Ma non solo di questo. Non è questo che ti sta portando ad un livello più basso del sogno.»
«Allora dimmi cos’è. DIMMELO! Io non lo so! Smettetela di parlarmi come se dovessi sapere ogni cosa! Smettetela di pretendere che io conosca tutto!»
«… il treno sta andando sotto terra.»
 
Dal secondo livello di un sogno ci si sveglia in modo più brusco.
Quasi sempre, con la sensazione di cadere o di stare morendo. Qui non esiste più il paesaggio reale di prima. Il quartier generale, la mia casa, la stazione… è tutto confuso, mescolato, come colori in un bicchiere d’acqua, ma ancora riesco a distinguere qualcosa.
Vorrei finalmente riuscire a capire cosa ci faccio qui. Cosa mi sono perso.
Vedo un posto in cui non sono mai stato. Una camera fredda, monocromatica, con solo un letto. E’ strano… non ho mai visto quel posto eppure mi sento come se mi appartenesse.
Ho paura di stendermi sopra il letto e sentirlo freddo contro la mia pelle. In qualche modo a volte riesco a riflettermi nelle pareti gelide e attorno al mio collo scorgo quello che sembra un taglio o il segno di un cappio, non riesco a capirlo bene. E’ vecchio però… come se fosse stato medicato.
Mi sento stremato per qualche oscura ragione, e quindi finisco col sedermi sul letto. Il materasso è tiepido, intriso del calore di un corpo umano. Mi distendo, poggiandoci sopra il viso, godendomi quel calore che direttamente invece mi farebbe rabbrividire, mi farebbe scappare via.
Mi sembra di conoscere questo calore… questo odore.
Una porta meccanica si apre con uno scatto ed un rumore sordo e una figura esile e bianca avanza verso di me.
«Shinji…»
Anche la sua voce è bianca come il suo corpo, è dolce, è delicata, eppure non mi piace udirla. La figura ha attorno al collo una ferita identica alla mia. Ma questa è fresca, grondante di sangue, che scende lungo il suo esile fisico come vernice densa su un muro.
«Shinji… non fare quella faccia…»
Non ne sono sicuro ma mi sembra che mi sorrida. Allunga le braccia verso di me, come a volermi invitare a ballare. E’ a questo punto che la sua testa scivola dal collo, rimbalza sul pavimento e io mi metto ad urlare.
 
«AAAAAAAAAAAAH!»
Non so quando ho iniziato e non so se finirò mai. Mi brucia la gola, tutto è diventato buio. Ma è un falsa oscurità perché io riesco a vedere me stesso. Continuo ad avere davanti agli occhi la testa che scivola via dal collo con frustrante lentezza per poi rotolare vicino ai miei piedi.
E’ quando riapro gli occhi mentre mi tengo la testa – la mia, ancora attaccata al mio collo ancora attaccato al mio corpo ancora attaccato alla mia vita-  tra le mani che vedo che nella stanza ora c’è dell’acqua. Mi arriva fino alle caviglie ma per qualche motivo il capo dell’esile figura bianca vi è già affondato e io non lo vedo più.
In tutto questo non ho smesso di urlare. Sento che mi fa male la gola per lo sforzo.
Inizio ad artigliarmi il collo, nel punto in cui ho visto il segno ormai cicatrizzato. Gratto, gratto come un animale malato, ma non vedo sangue.
Lo odio.

«Hai mai provato il senso di colpa?»
«Dimmelo tu… ormai sai tutto.»
«Come te. E questo sentimento ti è nuovo. Non è bello, vero? Non poter più fare finta di niente deve essere difficile, non potersi più riparare dietro ad una gonna.»
«Smettila.»
«Il senso di colpa anche ti è nuovo. Quando pensi che tutto il mondo ti sia contro, quando sei sicuro che nessuno su questa terra voglia darti ciò che di cui hai bisogno, perché dovresti dispiacerti per loro? Perché dovresti sentirti mortificato se pesti loro un piede? Loro non si sentirebbero così. Non ti guarderebbero neppure e passerebbero oltre.»
«Infatti è così. Non è un sentimento da provare incondizionatamente! E’ stupido! Perché dovrebbe importarmi se ho fatto del male a qualcuno che ne ha fatto a me? Perché dovrebbe importarmi se qualcuno che odio piange a causa mia?»
«E’ così che capisci.»
«Che capisco cosa?»
«Nel momento in cui ti senti in colpa verso qualcuno… forse vuol dire che ci tieni, a questo qualcuno. O che ci tenevi.»
«… non mi piace dove sto andando.»
«Siamo ad un livello troppo basso perché tu possa scendere, Shinji. Inoltre, non esiste un altro treno per scappare da quella che è già una fuga
 
Non mi piacciono le persone.
Ogni essere umano… non posso credere che provi ciò che provo io, che pensi come me, che occupi il suo spazio nel mondo come me. Non è qualcosa che posso concepire, in generale non credo che esista una mente abbastanza grande da contenere l’idea della singola esistenza di 8 miliardi di individui.
Tuttavia, sono ancora le proiezioni di alcune persone a tenermi in piedi come occupatore di uno spazio reale nell’universo.
Odio pensare di dipendere da qualcosa che non sopporto, di non essere che un mero stampino difettoso per le immagini che gli altri hanno di me.
A questo livello del sogno però non c’è niente. Se tutto fosse scomparso, se l’intero mondo si fosse inglobato da solo, non mi sentirei in colpa. Il mio disagio è dato però dalla figura davanti a me.
Sono io.
Identico a come sono adesso.
Mi muovo e lui si muove.
Parlo e lui parla.
E’ sottile come un foglio di carta, per cui ne deduco che è una proiezione. Quello sono io nella mente di qualcuno. Ma… non c’è nulla di diverso. Sono semplicemente io, né più né meno, né meglio né peggio. Nel percorso che mi ha portato qui e che forse, chissà, mi porterà sempre più giù, non avevo mai visto me stesso.
E ora è qui.
Sembra così umano che sono quasi deluso. Di chi è questa proiezione? E perché non aggiunge o toglie niente a quello che sono davvero?
«Questo è ciò che hai distrutto.»
Ayanami?
«Questo è ciò che hai lasciato andare.»
Asuka? Perché sono qui?
«Questo è ciò a cui hai rinunciato.»
Signorina Misato!
«Ti è passato davanti ed è andato via.»
«Non ci hai neppure provato ad afferrarlo.»
«Eppure lo hai disintegrato in fretta.»
«Forse… anche più volte.»
«Sicuramente più volte. Gli universi sono infiniti. Ma lui è sempre stupido.»
«Quante possibilità vuoi avere ancora?»
Ti senti in colpa adesso? Hai realizzato? Non volevi vero? Perché ora fa tutto più male, ora è tutto peggiore. Stupi-Shinji, ora l’universo sembra più grande, sembra più vuoto, adesso non puoi più odiare solo l’umanità, ma non volevi avercela realmente con te stesso, vero? Autocommiserarsi, elemosinare compassione, è questo quello che vuoi, non essere davvero arrabbiato per quello che sei e per quello che hai fatto.
Perché te lo ricordi, quello che hai fatto, vero Ikari Shinji?
Hai distrutto questa percezione, hai distrutto l’unica vera, intatta, immacolata immagine di te stesso.
E lo hai fatto perché hai eliminato l’unico essere esistente che ti vedeva per come sei davvero, che non aveva bisogno di percezioni distorte per stare con te.
Hai ucciso l’unico al mondo che ti amava per quello che sei.
 
Mi sono svegliato urlando. Sudato, ansimante, il cuore che chiedeva di sfondare la gabbia toracica.
Il treno si è schiantato. Per questo ora sono qui, mi ci hanno ributtato a forza.
Ricordo di aver pianto, tantissimo, e il cuscino umidiccio lo conferma, così come il mio viso ancora rigato.
… il mondo sembra un posto peggiore, adesso.
E io mi odio.
Mi alzo dal letto.



Io non mi intendo di fiori. Ho preso dei gigli bianchi perché mi ricordano i suoi capelli e la sua pelle. Adesso anche questo fa male, tutto ciò che mi riconduce a particolari come quelli, che in un’altra circostanza sarebbero stato, immagino, bellissimi da notare.
Non c’è un luogo preciso in cui posso andare e anche questo mi rattrista.
Un punto fermo, una sicurezza, un qualcosa che mi desse conforto non esiste più adesso. Per qualche motivo sento di essermi già ritrovato a questo punto della mia vita più volte, ma di averlo dimenticato.
È spregevole dimenticare una cosa del genere.
Nella mia testa risuonano parole che sono come un eco futuro e passato al tempo stesso, frasi mai udite che però sottolineano un qualcosa che già c’è stato e che forse ci sarà. Sono le parole di qualcuno che non si è dimenticato ciò che io solo adesso ho realizzato.
Mi siedo, tenendo i fiori in grembo.
«… sono qui. Tu no ma… non credo sia importante.
… io non ho delle percezioni di me stesso. Onestamente, non credo di potermi vedere come sono davvero, sarei condizionato dal mio umore, dalle altre persone, da tante cose. Non potrei essere diretto, ecco.
Ma mi sono visto, attraverso te. Per pochi attimi non mi sono chiesto chi io fossi, non mi sono sentito disperso in uno spazio vuoto, non ho avuto bisogno di pensare che altre persone, in quel momento, stavano facendo supposizioni sul mio essere come sono.
In quel momento tu mi vedevi. Io mi vedevo. Perchè tu mi parlavi e io non sentivo accuse, ma nemmeno bugie. Sentivo solo il cuore che batteva veloce, le guance che mi facevano male per il sorriso che non voleva spegnersi… ed ero felice. Per la prima volta da quando ho memoria mi sono sentito veramente felice.
C’ero io, esistevo, ero qualcosa per qualcuno, non solo un essere che poteva disperdersi nell’aria, perché tu non mi avresti mai lasciato andare.
Esistevo! Io esistevo veramente! Non avevo bisogno di alienarmi, non avevo bisogno di prendere l’espresso di mezzanotte, perché c’eri tu… tu… Kaworu… »
Sto piangendo.
Poso i fiori nell’acqua e li lascio andare. Sfiorano lo scoglio sulla quale eri seduto e si allontanano lentamente. C’è il tramonto e non si capisce se l’acqua è blu o rossa.
Vorrei seguire quei fiori. L’unica ragione per cui non lo faccio è che tu hai fatto in modo che io andassi avanti a discapito tuo… ancora. E ancora e ancora e ancora e ancora
Kaworu… realizzare che ti amo è stata la cosa più grande e dolorosa che ho mai provato e che mai proverò.
 
FINE
 
 
Note:

“Catch the midnight express.”: E’ un’espressione utilizzata nel film/romanzo “Fuga di mezzanotte”, in prigione –prendere l’espresso di mezzanotte- è un modo di dire che significa –evadere/scappare-. Proprio la frase usata subito dopo “Non è un vero treno. E’ un’espressione che significa… scappare” viene dal film.
 
“Questa faccia va meglio?”: Rei che cambia faccia viene da una scena di “The End of Evangelion”

Livelli: Il discorso sui vari livelli del sogno e dal modo in cui ci si sveglia è preso dal film “Inception”, l’ho solo reso più breve e semplificato molto.
 
Camera: Nel secondo livello del sogno Shinji si trova nella stanza presente in “Evangelion: 3.0 You Can (Not) Redo”, i segni che ha sul collo rappresentano il collare che gli è stato tolto da Kaworu.
Successivamente la testa della figura bianca scompare nell’acqua perché quando Shinji ha ucciso Kaworu con l’Eva, la sua testa è caduta in acqua.
 
Tutti i riferimenti al fatto che Shinji crede di aver già vissuto certi momenti e ricordare certe parole (compreso il ancora, ancora ancora ancora finale) derivano dalla teoria oramai quasi confermata secondo cui l’universo di Eva è intrappolato in un loop.
“…frasi mai udite che però sottolineano un qualcosa che già c’è stato e che forse ci sarà.” ad esempio, riconduce al fatto che Kaworu nella serie dice a Shinji “Potrei essere nato per incontrare te” mentre nell 3.0 dice “Sono davvero nato per incontrare te”.
Quel davvero vuole rimandare ad una frase precedente, quindi Kaworu ovviamente si ricorda di Shinji.
Alla fine della FF il mare non è né rosso né blu, questo perché voglio lasciare un punto di domanda sul fatto che la storia sia ambientata prima o dopo “The End of Evangelion”.
 
Mattie Leland
  
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