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Autore: Queen_Of_Ice    10/03/2015    0 recensioni
Di notte siamo meditabondi, la mente ci porta in viaggi e in situazioni non sempre piacevoli. Siete fortunati che avete dei sogni, le mie notti sono nere e popolate da incubi, solo incubi nefasti che ti lasciano l’amaro in bocca e un angoscia che ti porterai dietro per un po. Se siete facili da influenzare, vi consiglio di non leggere ciò che una mente può giocare a una persona..
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ghost’s Twister

16/08/14
 
Non sono sicura di dove mi trovavo, ma una cosa era certa, io dovevo essere li, in quel luogo che era una sorta di ospedale e istituto.
Porte automatiche che scorrevano attraverso una fotocellula, la gente che entrava era un mix di popolazioni e culture, ma la maggior parte erano asiatici.
Credo che all’interno dell’istituto svolgevo un ruolo di volontariato, una sorta di vigilante o anche infermiera, il compito di salvare e proteggere, ne sono certa.
Come da tale ruolo mi assicuravo che tutto scorresse tranquillo e senza problemi, aiutando in indicazioni e altri vari compiti.

 
Girava una leggenda su quella struttura: Due gemelle asiatiche erano morte durante un operazione che  consentiva alle due di vivere in modo separato, erano nate unite.
Un’anziana signora mi stava raccontando i dettagli di quella storia, da quanto tempo girasse e come fosse nata.
Nei suoi occhi a mandorla color cacao vedevo la sofferenza, l’animo di chi aveva davvero vissuto quel traumatico momento.
La leggenda narrava che ad ogni anniversario di morte delle due bambine, i loro spettri comparivano rubando l’anima di chi incontravano sul loro cammino, per avere una sorta di compagnia.

“Una bella storia”osai dire rimboccando le coperte all’anziana donna, per l’ultima volta secondo i medici del reparto, secondo loro quella sarebbe stata l’ultima notte per la donna che mi sorrise prendendo nelle sue affusolate mani color cappuccino le mie cadaveriche.
Aveva un tocco così rassicurante e caldo per qualcuno che da lì a poco si sarebbe spento per sempre.

“Tu mi credi cara?” mi chiese con quel suo accento orientale.
Mi limitai ad annuire con un dolce sorriso.
Mi tirò a se con un grande sforzo, avvicinando le sue labbra sottili e chiare al mio orecchio per un sinistro sussurro:

 
“Salutami le mie bambine. Dì loro che mi dispiace, che le ho sempre amate” calò le palpebre ed esalò il suo ultimo sospiro.
La sua vita era finita pronunciando quel sussurro ed io, venni investita da dei brividi lungo la schiena, un misto tra dispiacere e inquietudine.

Arrivarono i medici, le stavano togliendo le varie apparecchiature, macchine e i loro collegamenti che tenevano sotto controllo i valori vitali, i battiti, quando la luce e l’elettricità cominciò a lampeggiare come se fosse impazzita, poi a scemare fino a lasciarci nel buio più totale.

Deglutì più volte avendo la bocca impastata come se stessi mangiando polvere e cemento, ricordandomi di stare calma e rendermi utile, come ad andare a cercare le luci d’emergenza per capire per quale motivo non si fossero accese automaticamente.
Tranquillizzavo chiunque, ribadivo di stare calmi e di tornare alle loro stanze, di chiamare l’assistenza infermiera solo in casi gravi.

Era buio, poi d’un tratto le luci del corridoio s’accesero, illuminando persone e solo il corridoio che stavo percorrendo, ma le illuminazioni non erano quel caldo e rassicurante giallognolo.
Era azzurrina e fredda, le temperature calate di colpo, iniziava a fare freddo e le persone spaventate iniziarono ad allarmarsi e a scappare investendomi.
Urlare di rallentare, di mantenere la calma era oramai inutile, quando poi scoprì il motivo della loro fuga, era troppo tardi.

Erano loro, ed erano li, fredde, pallide,portatrici di qualche handicap, soprattutto agli occhi, ricoperte di cicatrici che si intravedono dal loro camice.
Camice che era di uno strano ciano candido, sporcato da piccole chiazze di presumibile sangue divenuto nero col tempo. 
Mi guardavano, le fissavo pietrificata mentre le persone dietro di me mi lasciava sola con loro due per mettersi in salvo.
Iniziarono a muoversi lente verso di me, lamentandosi, oscillando come salici piangenti piegati al continuo ululare lamentevole del vento autunnale.

Se non fosse stato per le cicatrici e i vari handicap, sarebbero state lo specchio della giovinezza della madre, che nemmeno un’ora prima avevo visto morire dolcemente, ormai stanca di sofferenze e vari dolori.

Sorrisi, restavano comunque delle bambine.

Vostra madre vi saluta” iniziai senza muovermi, continuando a guardarle, lasciando che le braccia mi penzolassero inerme lungo i fianchi.

“Mi ha raccontato di voi, della vostra morte. Vi ama, vi ha sempre amato e non si perdona per ciò che vi ha fatto. Voleva regalarvi una vita normale ed indipendente. Ma sessant’anni fa non c’erano i mezzi e capacità adatte. Si scusa” riferì il messaggio nel modo più premuroso, dolce e materno che potevo conoscere e fare.
Sembravano sorde, apatiche, il loro volto pallido e tormentato dagli handicap e cicatrici, inizialmente era inespressivo, mentre recepivano lentamente quelle parole, dai loro occhi persi iniziarono a scendere delle lacrime, ma strapparono lo stesso dal mio corpo la mia anima.

Fui l’ultima delle loro vittime, l’ultima e unica in grado di ricongiungere le gemelle alla madre, ridonando un dolce e meritato riposo non solo a loro, ma anche a chiunque in passato si era ritrovato sul loro cammino.

Quella leggenda, fu resa tale, senza più vittime.
  
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