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Autore: Abraxas    12/03/2015    3 recensioni
Per alcuni il venerdì sera è un incubo.
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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La serata è uno schifo.
 
Non che la cosa sorprenda Nate più tanto. Per uno che odia la discoteca, una serata che consiste nell’andare in discoteca non parte con chissà quali aspettative. È solo che alla fine, per tipo la trecentesima volta, si ritrova a darsi dell’imbecille perché, insomma, avrebbe sempre potuto dire di no e passare la serata con la sua matita. Magari non può sembrare il piano più entusiasmante del mondo, però… però magari eviterebbe di ritrovarsi con l’umore a terra e le palle girate, ecco.

Riesce a richiamare l’attenzione di Shane, impegnato in un’imitazione niente male di Beyoncé, e gli fa capire a gesti che sta andando a prendere una boccata d’aria. Ci aggiunge un sorriso da chi se la sta spassando un sacco non appena nota l’ombra di preoccupazione nello sguardo di Shane. Un giorno dovrà pur dirglielo che a lui la discoteca fa cagare, ma non oggi. E nemmeno domani.
Uscire da quel groviglio di corpi danzanti è più complicato del previsto, e riuscirci senza rovesciare birre addosso alla gente è un successo non da poco. Qualche minuto dopo Nate riesce a chiudere dietro di sé l’irritante voce remixata di Single Ladies e a tirare un sospiro di sollievo. Pace.

Beh, oddio, la pace che può avere il vicolo che tutti prendono per zona fumatori. Sempre meglio che fingere di divertirsi dimenandosi a ritmo di musica, comunque. Prende un profondo respiro, poi si blocca a metà appena si accorge della quantità di fumo che sta tirando su, lo trasforma in uno sbuffo e cerca di allontanarsi il più possibile da chiunque abbia una sigaretta accesa. Tira fuori il telefono, con la speranza che qualcuno abbia avuto il malsano desiderio di scrivergli qualcosa alle due e ventisette di venerdì mattina, ma nada. Ovviamente.

È in momenti come questo che si chiede se venire a Palo Alto sia stata una buona idea. Certo, solo un deficiente avrebbe rifiutato una borsa di studio per Stanford, e probabilmente il consiglio tribale avrebbe voluto la sua testa se si fosse permesso di fare una cosa del genere – il primo Quileute ammesso ad un’università del genere, vogliamo scherzare? – però… però. Diciamo che tutto l’entusiasmo per la Vita Vera al di fuori di La Push è evaporato in un paio di settimane.

No, dai, così è farla tragica. È solo che si è reso conto che la sua idea di divertimento cozza con quella del resto della popolazione studentesca della città, ecco. Perché serate come questa lo fanno sentire più che mai il ragazzino indiano capitato per caso su un altro pianeta. E non c’è cosa peggiore dell’annoiarsi a morte in mezzo a tutta quella gente che sembra starsela spassando come mai nella vita. Quasi quasi preferisce quando Sim e compagnia bella gli danno del nerd sfigato.

“Scusa, hai da accendere?”

Nate annuisce e pesca l’accendino dalla tasca dei jeans – una delle prime cose che ha imparato i primi giorni è che il suggerimento di Paul di averne sempre uno dietro non era poi così stupido: avere un accendino anche se non fumi è un ottimo metodo per attaccare bottone con gente che non conosci – e solo quando lo porge all’altro alza la testa dallo schermo del cellulare. Apperò, pensa, mentre quello che sembra essere un modello appena uscito da Abercrombie gli sorride per ringraziarlo.

“Anche tu ti stai divertendo da matti, vedo”, dice Tizio, dando i primi tiri alla sigaretta.

“No, beh, sono uscito un attimo. Non riesco a ballare per quattro ore filate, a differenza degli altri.”
Ci manca solo fare la figura del disadattato pure con lui. Che comunque non sembra granché convinto della sua risposta, visto il sopracciglio inarcato.

“…ok, sì, ero a tanto così dal tentare il suicidio”, ammette Nate.

Tizio ride, e Nate sente lo stomaco fare una capriolina. Se non fosse fidanzato, un pensierino o due…

“Siamo in due”, continua Tizio, con una scrollata di spalle. “I miei amici son lì”, e indica un gruppetto di ragazzi dall’altra parte del vicolo. Un po’ meno che sobri, con una impegnata a spargere sull’asfalto qualsiasi cosa fosse quella che aveva nello stomaco e gli altri impegnati o a ridere o a cercare di tenerla in piedi. “Seratona, come vedi. Domani mi diranno che è stato uno sballo. Se arrivo vivo a domani, intendo.”

Gli restituisce l’accendino con un grazie. Nate quasi non riesce a credere all’idea di aver trovato un altro come lui.

“Beh, dai. Una volta ogni tanto possiamo anche sopravvivere.”

“Certo. Ma la mia idea di ‘una volta ogni tanto’ non è la stessa che hanno loro.”

Scuote la testa, buttando fuori una nuvoletta di fumo. Forse per la prima volta da quando è arrivato a Palo Alto, Nate non fa caso all’odore acre. È troppo impegnato a chiedersi come mai uno così sia lì fuori a chiacchierare con lui anziché dentro a collezionare numeri di telefono.

“No, proprio no. Ma allora perché esci con loro?”

Tizio sorride di nuovo, e Nate si ripete che se non fosse fidanzato…

“Per la stessa ragione per cui lo fai tu, immagino. Non ci piace andare in discoteca, ma ci piace ancora di meno quando restiamo fuori dal gruppo. Giusto?”

Giusto. Gli sembra assurdo di sentirsi così a suo agio con un tizio che ha incontrato da… un minuto? Eppure… Conosce Shane da sei mesi, e non si è mai sentito a suo agio con lui pur dividendo la stanza. Figuriamoci gli altri.

“Giusto.”

“Uh, non ci siamo ancora presentati”, esclama Tizio, passandosi la sigaretta nella sinistra per allungare l’altra mano verso Nate. “Herbert.”

“Nathan. Sei uno studente anche tu?”

Herbert mormora un “mh-mh”, tirando un’altra boccata dalla sigaretta. “USF, Architettura. Tu?”

“Stanford. Faccio Economia.”

“Apperò. Tanta roba.”

Nate sorride, imbarazzato.

“Beh, sì, sono stato fortunato.”

“E da dove vieni? Hai un accento strano. Ohio?”

“Ohio?”, scoppia a ridere. “No, direi proprio di no. Dalle parti di Seattle, diciamo.”

Altro sopracciglio inarcato, altra nuvola di fumo.

“Diciamo?”

“E’ più sulla costa del Pacifico. Vengo da un posto che si chiama La Push, è una riserva. Mio padre è indiano.”

“Quindi questa non è l’abbronzatura della spiaggia, eh?”

Nate ride di nuovo. Due volte in un minuto, in una serata che aveva già bollato come irrimediabilmente persa.

“No, direi proprio di no.”

Herbert gli sorride. “Sai fare surf?”, chiede, apparentemente senza motivo.

“Beh, ho… provato? A casa, dico.”

“Non è andata bene?”, domanda Herbert, con gli occhi che brillano di curiosità.

“Mi hanno preso in giro per due settimane. Non sono quello con la coordinazione migliore, ecco.”

Chi lo è, in compagnia di un branco di licantropi?

“Altro motivo per odiare la disco. La vostra non è antipatia, è proprio odio, eh?”

“Abbastanza”, e terza risata. “Comunque, perché…? Ah, per l’abbronzatura.”

Herbert alza le mani, a schermirsi.

“A me surfare piace un sacco, e siccome è già difficile trovare qualcuno che non sopporti questo genere di divertimento…”, spiega, indicando col pollice l’ingresso del locale alle sue spalle. Ed ecco il perché del fisico da fotomodello.

“Beh, puoi sempre provare a insegnarmi. Se mai avessi voglia.”

Non l’ha detto davvero.

“Più che volentieri.”

Ultimo tiro, e poi Herbert butta il mozzicone a terra. E ora?

“Dovremmo tornare dagli altri?”, domanda Nate, non troppo convinto.

“Forse, ma non ne ho assolutamente voglia”, è la sua risposta. Herbert osserva i suoi amici, ancora lì dall’altra parte del vicolo, e gli sfugge una smorfia di disgusto. “Ti va di continuare a chiacchierare ancora un po’?”

“Quando l’alternativa è tornare lì dentro? Aspetta, fammici pensare un attimo…”

Ride ancora.

“Se ci fosse un pub ancora aperto… Ehi, io abito a dieci minuti da qui, e ho ancora qualche birra in frigo. Ti va di andare da me?”

Il buonumore di Nate svanisce rapido come le magliette del branco. A casa sua? E mollare tutti qui?

“Ehm. Ahem”, tossicchia, toccando istintivamente il braccialetto col lupo. Herbert lo guarda con sopracciglia inarcate e l’espressione più innocente del mondo, e Nate riesce solo a ringraziare il Grande Spirito che David sia dall’altra parte della Costa, o ci sarebbero state polpettine di Herbert sparse per il vicolo nel tempo di un respiro.

“…sono fidanzato”, borbotta dopo qualche altro secondo di silenzio imbarazzato. Herbert ride di nuovo, ma stavolta Nate non ci trova proprio nulla di simpatico.

“E quindi?”

E quindi? Come sarebbe a dire, e quindi? Passare da migliore nuovo amico a mi stai sul cazzo in una sola frase, parte I.

“E quindi… no?”

Herbert sorride, ma il sorriso di adesso non ha nulla a che vedere con quelli di prima. È talmente affilato che a Nate quasi sembra di tagliarsi solo a guardarlo.

“Per una sola notte”, gli sussurra Herbert, “chi vuoi che se ne accorga?”

Prima ancora che Nate se ne renda consapevolmente conto, Herbert gli ha posato una mano sul braccio e con l’altra sta provando ad accarezzargli una guancia. Fermi tutti.

“Vorresti farmi credere che non mi trovi attraente?”, continua, con un’espressione fin troppo simile a quella di un certo licantropo.

“Ehi!”, scatta Nate, ora ben più che seccato, afferrandogli il polso per allontanarlo da sé. Riesce a spostare quell’arto gelido solo dopo un istante, come se fosse solo perché Herbert gliel’ha permesso.

Gelido.

Permesso.

Sorriso affilato.

Nate sente una voragine aprirsi dove fino a poco fa c’era il suo stomaco. Oh, cazzo. Cazzo cazzo cazzo cazzocazzocazzo. David, dove sei?

Deve avere delle lenti, sicuro. Ma com’è che non ha notato prima quanto fosse freddo? Quando gli ha stretto la mano? Come ha fatto ad essere così coglione? Se fosse rimasto dentro con gli altri, se per una volta nella sua vita fosse stato in grado di fare quello che fanno tutti, porca puttana, allora forse, forse

Intanto Herbert sembra essersi accorto di qualcosa, perché il suo sorriso si allarga. A scoprire due canini decisamente fuori dalla norma.

“Sai chi sono?”, chiede, con un tono a metà tra il sorpreso e il divertito. Nate deglutisce e annuisce, incapace di aprir bocca.

“Curioso. Come –”

“Ehi, Nathan! Hai mica da accendere?”

Si voltano entrambi verso la voce. Adam cammina tranquillamente verso di loro, una sigaretta nuova in mano e la sua odiosissima maglietta Armani Jeans aderente addosso, ignorando spudoratamente lo sguardo di puro panico di Nate.

“È un tuo amico?”, chiede Herbert, la voce all’improvviso cordiale e affabile come nei primi momenti. Nate annuisce di nuovo. Ti prego, vattene. Vattene vattene vattene vattene.

“Adam”, si presenta. Lui e le sue eterne buone maniere da figlio di papino. Levati di torno, coglione, non sai che stai per morire?

“Herbert. Io e Nathan ci siamo conosciuti qua fuori.”

“Fai colpo, Nat?”, ridacchia Adam. Herbert si limita a sorridere, Nate si riscuote dal torpore da panico e comincia a rovistare freneticamente nella tasca per trovare l’accendino. Così magari lo prende e se ne va. Grande Spirito, no, no, no no no no no no. No. No. Non voglio morire. Ti prego. Ti pregotipregotiprego. David, aiutami.

“Nathan, stai bene?”, chiede Adam quando Nate gli allunga l’accendino con una mano salda quanto quella di un novantenne. No che non sto bene, coglione. Si sforza di sorridere, anche se probabilmente è più una smorfia inquietante. Effettivamente Adam non sembra molto rassicurato.

“Nathan mi stava dicendo che si stava annoiando. Gli ho offerto di prendere una birra a casa mia”; il tono di Herbert è più gelido della sua pelle.

“Ah”, è tutto quello che dice Adam prima di accendersi la sigaretta. Non sembra intenzionato a sloggiare.

“Scusatemi un momento, devo andare in bagno”, riesce a balbettare Nate. Si congeda con un mezzo cenno del capo e un attimo dopo sta correndo giù per le scale del locale. Spalanca la porta dei servizi igienici, trova un cubicolo libero e vi si butta dentro, con la certezza di essere sul punto di buttare fuori tutta la pizza della cena e magari anche qualcosa di più. Invece…

Nonvogliomorirenonvogliomorirenonvogliomorire.

Riesce a trattenere sia il cibo che le lacrime, perché non è proprio il momento. Cosa fare? David aveva ragione a preoccuparsi, quando gli aveva detto che sarebbe andato a studiare a Stanford. Il pensiero di quello che potrebbe succedere a David è abbastanza per fargli perdere quel poco di autocontrollo che è riuscito a raggranellare, e un attimo dopo è chino sulla tazza del water.

Cosa succede quando un imprinting muore? Non l’ha mai chiesto. Sicuramente niente di buono. Mi dispiacemidispiacemidispiace, sono stato una testa di cazzo. Non ti meriti questo. Se solo ti avessi dato retta, se solo fossi un lupo pure io, se solo… se solo…

Sente un paio di mani gelide aiutarlo a sostenersi, un attimo prima che le ginocchia lo abbandonino.

“Oh, andiamo, su. Non fare così. Mi fai quasi sentire in colpa.”

Herbert lo aiuta a rimettersi in piedi e a camminare verso il lavandino.

“Non voglio morire”, Nate implora con un filo di voce, conscio che tanto l’altro riesce a sentirlo perfettamente. “Ti prego.”

“Certo che non vuoi morire. Nessuno vuole. Coraggio, non è detto che tu debba morire oggi.”

Nate sente un barlume di speranza spuntare prepotentemente dentro di lui. Solo un barlume, ma nell’oscurità più profonda un barlume brilla anche più di una stella.

“N-no?”

“Sembri un tipo a posto, Nathan. E hai un sacco di cose da raccontarmi. Vieni davvero da La Push? Si dice che perfino i Volturi non vadano volentieri da quelle parti. Solo voci, ovviamente. Personalmente le ritengo un ammasso di idiozie – il giorno in cui vedrò i Signori impauriti da qualcosa saprò che il mondo sta andando a pezzi – ma sembra una buona premessa per una storia interessante. E oh, se amo le storie interessanti.”

Volturi? Il nome gli ricorda qualcosa. David aveva borbottato qualcosa in uno di quei pomeriggi nel bosco in cui gli aveva spiegato il mondo dei licantropi, ma non ne aveva parlato volentieri, e quindi Nate non aveva più fatto domande. Pessima scelta.

“Quindi vedila un po’ così, Nathan. Sarai la mia Shahrazade”, Herbert gli sorride mentre lo aiuta a ripulirsi. “Facciamo che ora tu vai dai tuoi amici e gli dici che vieni da me, di non preoccuparsi eccetera eccetera – tanto saranno troppo sbronzi per farci davvero caso. Io ti aspetto qua fuori. E niente passi falsi, per favore? Cerchiamo di evitare… inutili spargimenti di sangue, ecco.”

Ridacchia. Nate si sente sul punto di riprendere a vomitare.
 
* * *
 
Quando esce di nuovo dal locale, Herbert lo sta aspettando a braccia conserte e con un’espressione annoiata sul volto.

“Fatto?”

Nate annuisce. Shane non sembrava molto convinto di lasciarlo andare, ma alla fine Nate è riuscito a convincerlo. Anche se ha continuato a sentirsi i suoi occhi addosso finché non è sparito dal locale. Chissà come si sentirà in colpa, quando verrà a sapere che non è mai tornato a casa.

“Spero che a nessuno dei tuoi amici saltino in testa idee bislacche.”

Si incammina verso il parcheggio che non è un parcheggio ma che tutti usano come parcheggio, e Nate lo segue controvoglia. Potrebbe cercare di correre via, ma ha come l’impressione che Herbert riuscirebbe a fermarlo senza nemmeno rischiare di fargli male, se volesse. Cosa può fare? Pensa, pensa, pensa…

Niente.

Zero assoluto. E intanto Herbert si è fermato accanto ad una BMW grigia.

“Salta su”, gli dice agitando una mano, come se lo stesse invitando ad una scampagnata. E ancora una volta Nate si chiede che scelta abbia, se non ubbidire?

“Cinture”, si sente rimproverare quando si limita a sprofondare nel sedile del passeggero.

“Cinture? Cinture? Stai per sgozzarmi e bere il mio sangue e ti preoccupi delle minchia di cinture?”, sbotta.

Herbert gli lancia un’occhiataccia mentre lo aiuta a sistemarsi. Come se fosse un bambino.

“Ci sono delle regole che se ne fregano se tu stai per morire, tra cui, guarda un po’, il codice della strada. E piantala di fare tante storie, Nathan, dai. Stavi vivendo una vita di merda, lo si vede lontano un miglio. Sei il diverso del gruppo ma continui a far finta di esserne parte. Grazie a me non passerai i prossimi cinquant’anni a pensare che vita di merda stai vivendo per colpa della tua adolescenza di merda, vedila così.”

“Oh, grandioso. Un vampiro altruista. Che culo.”

Herbert non risponde. Mette in moto l’auto e ingrana la retro per uscire dal parcheggio. Nate si accorge che dopotutto  preferisce le chiacchiere stupide a quel silenzio inquietante, e quindi si sforza di riempirlo con la prima cosa che gli passa per la testa.

“Come mai avevi le mani calde?”

Un angolino della bocca di Herbert si piega all’insù.

“Le scaldo apposta, da quella volta in cui quella tizia voleva assolutamente portarmi da un dottore.”

Quella tizia. Morta, probabilmente, e da un bel pezzo. Guardare le auto parcheggiate che scorrono via dovrebbe aiutarlo a non pensarci, ma invece non riesce a concentrarsi su nient’altro.

“Lo sapevi che la pelle di un vampiro trattiene il calore molto più a lungo di quella di un semplice umano?”, gli dice Herbert, che sembra non avere nulla in contrario allo scambiare quattro chiacchiere prima di… di quel che deve succedere. Nate non lo sapeva, e probabilmente nemmeno il branco. Avrebbero voluto saperlo?

“Ah”, è tutto quel che riesce a tirar fuori.

Herbert mette la freccia e svolta a sinistra, con tutta la calma del mondo. Comincia ad accelerare lungo il nuovo vicolo, deserto.

“Abiti davvero a dieci minuti da qua?”

“Yup. Non è lunga. Vedrai che no-EHI!”

Inchioda di botto, e l’unica cosa che impedisce a Nate di sfondare il cruscotto con una craniata è la cintura che è stato costretto ad allacciarsi. Solo allora si accorge che c’è qualcuno in piedi fermo in mezzo alla strada.

“No, dico, sei completamente impazzito?”, ringhia Herbert, scendendo dall’auto che ora è ferma a nemmeno due metri dall’ostacolo vivente. Nate non sa bene cosa fare. Potrebbe provare a svignarsela, ora che l’altro è distratto?

“Domando scusa per il metodo un po’ spiccio, ma mi era sembrato di capire che Nathan non avesse nessuna intenzione di andare a casa con lei, Herbert.”

La voce lo gela. Adam. Stupido coglione viziato e suicida, che ora sta… sussurrando al suo braccialetto?

“Ha cambiato idea. Ora sparisci.”

Nate si slaccia la cintura e scatta fuori dall’auto. Per poi bloccarsi senza avere la più pallida idea di come intervenire per salvare Adam.

“Herbert, sono costretto a chiederle di allontanarsi dalla macchina.”

Herbert risfodera il suo sorriso affilato e si avvicina minacciosamente ad Adam, che però non fa un passo.

“Adam, lascia stare”, esclama Nate, con la voce decisamente un po’ troppo alta rispetto al solito. Lui non c’entra niente, non sa niente, lascialo andare. Grande Spirito, ti prego ti prego ti prego.

“No, Nathan”, replica Herbert. “Non lasciamo stare. Torna dentro, ci metto un attimo.”

Nonononononono…

Herbert allunga una mano per afferrare una spalla di Adam, e… e poi succedono un sacco di cose tutte insieme.

La mano di Adam scatta ancor più rapida di quella di Herbert, se possibile. Gli afferra il polso e prova a spostarla, non ci riesce, Adam si lascia cadere a terra un attimo prima che Herbert riesca ad afferrarlo. Poi fa una roba strana con tutto il corpo e voilà, rieccolo balzare in piedi ad un paio di metri da Herbert. Tutto ciò è avvenuto nello spazio di… un nanosecondo? Herbert sembra sorpreso quanto Nate. Adam resta impassibile, mentre i suoi occhi scattano a destra e a sinistra talmente in fretta che Nate per un attimo teme che stia per avere una crisi epilettica.

E invece resta lì, perfettamente in piedi, destra-sinistra-destra-sinistra. Esattamente tra Nate ed Herbert, che non si è ancora ripreso abbastanza dalla sorpresa per fare qualcosa di diverso dal ringhiare all’indirizzo di Adam e scoprire i canini.

“Nathan, sarebbe preferibile che tu ti allontanassi”; il tono di Adam è quello che avrebbe potuto usare per commentare il tempo. “Non è sicuro per te.”

Nate voleva dirgli di piantarla di sparare cazzate e filarsela, ma non ne è più troppo convinto. Insomma, Adam Bechor, suo compagno di corso e vicino di dormitorio e amico-ma-non-troppo, l’odioso damerino con la zia ricca sfondata che lo riempie di roba di marca, quello per cui si era preso una mezza sbandata dopo un mese che non vedeva David, ecco, quell’Adam, ha appena tenuto testa ad un vampiro. Per qualche istante, sì, però…

“Ma…”

“Sono Adam Bechor, sono qui per salvarla.”

Adam sfodera una pistola dall’interno dei pantaloni. Dove fosse nascosta, di preciso, è una domanda a cui Nate preferisce non pensare troppo.

“Herbert, la invito a rif-”

Il –lettere sparisce sotto tre spari non appena Herbert si lancia contro Adam. Spari che però, al di là dell’insolito ka-tun invece del ben più comune bang, non è che combinino granché. Adam lascia cadere l’arma e si cava d’impiccio con una sorta di salto mortale all’indietro assurdamente lungo, che lo fa atterrare sul davanzale dell’appartamento al primo piano della palazzina lì accanto.

Herbert si acquatta al suolo, pronto a scattare, canini scoperti e sguardo furioso, apparentemente dimentico di Nate. Nate decide che allontanarsi un poco potrebbe essere una buona idea, dopotutto. Potrebbe esserlo anche cercare di capire che diavolo di creatura sia Adam, per riuscire a far fesso un vampiro – un vampiro sorpreso, ok, ma pur sempre un vampiro – due volte di fila. Perché se fosse un mutaforma – in un attimo di improvvisa speranza si ricorda di quando David gli aveva detto che secondo Sam ne esistono molti altri, al mondo – a quest’ora si sarebbe già trasformato. E se fosse un vampiro, non avrebbe avuto problemi a combattere con Herbert, mentre è abbastanza evidente che per quanto sia bravissimo a zampettare qua e là, gli manca la forza necessaria per sostenere uno scontro alla pari.

Ora i due son fermi a fissarsi. Herbert acquattato in mezzo alla strada, Adam in piedi sul cornicione. Cioè, Herbert fissa Adam. Gli occhi di Adam continuano a fare destra, sinistra, destra…

Alla fine è Herbert a perdere la pazienza per primo. Salta come solo un vampiro può fare, e Nate approfitta di quel momento per tuffarsi e raccattare la pistola. Presa!

È molto più leggera di quello che si aspetta, e anche la forma è diversa da qualsiasi cosa abbia mai visto. Non che gli importi qualcosa: ora è armato, e per quanto abbia visto poco prima che i proiettili sono inutili, si fa strada in lui la stupida consapevolezza che forse potrebbe riuscire a piazzare un colpo fortunato. Se solo…

Il rumore di qualcosa di molto pesante che cade molto vicino da molto in alto lo convince a lasciar perdere quelle digressioni. Il qualcosa si rivela essere Herbert, a uno sputo di distanza, con un braccio in meno che cade un po’ più in là e un coltello conficcato nel petto fino all’impugnatura. Urca. Un attimo dopo, Adam atterra a nemmeno un metro di distanza dal vampiro, con la maglietta strappata e un taglio impressionante dalla spalla sinistra al fianco destro. Taglio che si sta rimarginando a vista d’occhio.

“Herbert, lei è-”

Nessuno capisce bene cosa sia Herbert, perché il vampiro si rimette in piedi senza nessuna fatica e riesce ad artigliare la spalla di Adam. Il suo urlo di trionfo gela il sangue nelle vene di Nate. Adam resta impassibile, anche quando tira una botta clamorosa con l’avambraccio destro sul collo di Herbert. Clamoroso è anche il crac che si sente, e poi l’avambraccio di Adam penzola giù ad un angolo innaturale.

Distrailo. Distrailo.

“Ora muori”, sibila Herbert, il volto distorto in un ghigno feroce.

Nate punta la pistola e… beh, in teoria preme il grilletto. In pratica Adam gli viene scaraventato contro, il colpo finisce con un sonoro sdeng contro la scala antincendio del condominio di fronte, l’arma gli sfugge di mano e l’asfalto gli sfregia la schiena. Brucia da morire.

Quando il mondo riacquista finalmente un sopra e un sotto stabili, riesce a rialzarsi. Adam è di nuovo in piedi, molleggiato sulle gambe e il braccio sano armato di un altro coltello. Herbert è rimasto fermo vicino alla macchina, a riattaccarsi il braccio.

Ok, pensa pensa pensa.

In tasca ha un accendino, quindi se riuscissero a mettere Herbert al tappeto… Dunque, un vampiro. Cosa potrebbe dar loro una possibilità contro un vampiro?

Un licantropo, per esempio. Un lanciafiamme. Un carro armato.

…o una scala antincendio e un cumulo di spazzatura.

“Tienilo occupato”, urla ad Adam, sopprimendo un gemito – ha l’impressione che qualcuno abbia usato un pelapatate sulla sua schiena – e poi comincia a correre verso l’immondizia accatastata contro al muro.
Corre come non ha mai corso prima. Più che alle partite di football, più di quando giocava con David, perfino più di quando vede il pullman chiudere le porte e mettere la freccia per lasciare la fermata. E, meraviglia delle meraviglie, nessun mostro gelido gli blocca la corsa. Metallo, metallo…

Un tubo di ferro rotto, che probabilmente doveva far parte di qualche vecchia caldaia o qualcosa del genere, è semisepolto sotto un mucchio di sacchi neri. Nate ci si butta addosso come se fosse la palla da football, lo prende in mano sforzandosi di non pensare al tetano fulminante che probabilmente si è appena beccato, e comincia a sbatterlo con tutte le sue forze contro la ringhiera della scala antincendio lì accanto, come se ne andasse della sua stessa vita. Beh, effettivamente ne va della sua stessa vita.

Sbreeeeng sbreeeeng sbreeeeng

L’intero vicolo rimbomba di quel fracasso infernale e gli sembra che i timpani vogliano esplodergli nelle orecchie, ma stringe i denti e continua.

Sbreeeeng sbreeeng

Si volta solo dopo cinque o sei colpi, senza fermarsi. Herbert è piegato in due accanto all’auto, le mani premute sulle orecchie. Adam ha recuperato la pistola e gli si sta avvicinando a larghe falcate. Cosa ha…?

La risposta arriva assieme al ka-tun che sparge pezzi di testa di vampiro per tutto il vicolo. Solo quando Herbert si affloscia a terra Nate decide di smetterla di far casino, prima che qualcuno col turno della mattina decida di alzarsi dal letto per sparare a lui.

“È…?”, chiede a mezza voce. Adam si china sul cadavere.

“Morto? Suppongo. Non sento battito.”

Borbotta qualcosa di nuovo al suo braccialetto, resta in silenzio un secondo, poi annuisce e con il coltello comincia a decapitare il fu-Herbert. Nate distoglie lo sguardo, non abbastanza in fretta da notare che Adam sembra star faticando un sacco. E che sta tenendo il coltello con la destra, che è attaccata ad un braccio nuovamente sano. È in quel momento che il mondo comincia a girare vorticosamente e si ritrova a sedersi sull’asfalto, tenendosi la testa tra le mani.

Grande Spirito grazie grazie grazie.

“Nathan?”

La voce di Adam arriva dopo quella che sembra un’eternità, da qualche parte che sembra molto molto lontano ma che non deve esserlo più di tanto, visto che Nate sente una mano sulla sua spalla e una bottiglietta di plastica premere sulla sua bocca.

“Bevi questo. Ti farà bene.”

Effettivamente, già al quarto sorso il mondo sembra rallentare. Quando finalmente tutto la smette di girare, il campo visivo di Nate è occupato dall’espressione preoccupata di Adam. Toh, i suoi occhi hanno smesso di fare destra-sinistra-destra.

“Come va?”

“Boh?”

“Andiamo via di qui.”

Quella gli sembra l’idea migliore dell’intera giornata.
 
* * *
 
Adam guida l’auto di Herbert con la tranquillità di chi non ha un cadavere di vampiro nel baule, sempre che esista una differenza tra un vampiro e un cadavere. Nate si limita a stare in silenzio e a fissare la pistola appoggiata dalla sua parte del cruscotto. La bocca è completamente divelta, come se qualcosa – tipo un proiettile – non fosse riuscito ad uscire bene dalla canna. O come se qualcuno avesse sparato tenendola premuta contro un muro.

O un pezzo di marmo.

Adam, da parte sua, continua a parlare in quello che sembra una versione annacquata dell’inglese al suo braccialetto. Che forse, dopo attenta riflessione, Nate si è finalmente deciso a riconoscere come una ricetrasmittente o qualcosa del genere. Avrebbe dovuto pensarci prima, ma pensare gli sembra così difficile. Vorrebbe solo dormire. Possibilmente tra le braccia di David, ma anche dormire e basta gli andrebbe bene.
Forse è per questo che si accorge che la macchina si è fermata solo quando Adam lo scuote.

“Dovresti scendere. Devo liberarmi di… questo”, gli dice, indicando tutta l’auto con un gesto vago della mano.

Obbedisce, meccanicamente. Vede Adam spostare i due pezzi di Herbert dal baule al posto di guida, lo vede far partire l’auto con solo un cadavere a bordo e lanciarla giù dalla curva del lungomare. Si sfracella contro le rocce qualche decina di metri più sotto, poi Adam tira qualcosa e la carcassa esplode con un boato assordante. E ora?

“Un quarto d’ora a piedi e poi potrai ronfare quanto vuoi. Promesso.”

“Prima vorrei sapere delle cose”, biascica Nate. Adam annuisce, serio come sempre, ma comincia comunque ad incamminarsi. Forse è preoccupato dagli antifurto che hanno cominciato a suonare. Nate lo segue.

“Comprendo, Nathan. Tuttavia, credo che-”

Cosa sei?”, lo interrompe Nate. Non è proprio dell’umore per ascoltare giri di parole.

“Uhm.”

Pausa di silenzio, poi Nate perde la pazienza.

“Uhm?”, sbotta. “UHM?

“Ok”, sospira Adam. “Non sono autorizzato a rivelare certe informazioni.”

“Cosa. Sei”, ripete, impaziente. Autorizzato da chi?

“Sono umano. Un po’… migliorato, diciamo.”

“Migliorato? Da chi? Come? Per cosa?”

“Nathan, sono dalla tua parte, ok?”, sbuffa, gli occhi azzurri fissi di lui. Nate nota per la prima volta che le sue iridi sembrano avere mille sfumature diverse. Sembra quasi che ci sia qualcosa, lì sotto, in continuo movimento. Ingranaggi? “Ti basti sapere questo. Non posso rispondere alle tue domande. Ti chiedo di pazientare ancora un giorno al massimo, e poi ti spiegheremo tutto. Promesso.”

“Spiegheremo? Tu e chi?”

“Una tua vecchia conoscenza, in un certo senso.”
 
* * *
 
Per quanto ci provi, non è che riesca a tirar fuori granché da Adam nella giornata seguente. Adam lo porta nel suo appartamento in centro – un monolocale che a Nate mette claustrofobia solo a guardarlo dalla strada – e Nate è abbastanza sicuro di non aver mai amato così tanto una doccia, almeno tanto quanto non ha mai odiato così tanto un flacone di disinfettante. Poi ronfa qualcosa come dieci ore filate, e dopo un abbondante colazioranzo riesce pure a convincere Adam ad andare a lezione. Perché tanto, se lui comunque non ha intenzione di dirgli nulla…

Ah, e la cosa più seccante è stato il divieto assoluto di dire qualsiasi cosa a David. D’altronde perché mai il suo ragazzo dovrebbe essere interessato al fatto che un vampiro l’abbia quasi accoppato? Ma Adam gli ha chiesto tempo, e anche se Nate non sarebbe troppo disposto a concedergliene, non è che abbia chissà quali mezzi per costringerlo a parlare. Così gli tocca tacere e fumare di rabbia mentre aspetta.

Non deve aspettare così tanto. Alla fine del seminario di macroeconomia, dopo esser sfuggito con un paio di mezze balle al tentato interrogatorio di Carl e Ziva – Allora, com’è andata ieri? Ammicc ammicc – Adam lo raggiunge con stampata in faccia l’espressione più seria che gli abbia mai visto. Il che è tutto dire.

“Nathan? Seguimi, per cortesia.”

“Avrò le mie risposte?”

Un impercettibile cenno del capo, e Adam si incammina verso l’uscita dell’edificio. Nate lo segue subito, indeciso se essere più emozionato o preoccupato.

Un paio di isolati più in là, Adam si ferma accanto ad un Range Rover dai vetri oscurati e gli indica la portiera dietro.

“Arrivati. Su, entra.”

Nate deglutisce, prende un profondo respiro ed apre la portiera.

Non sa bene cosa si aspettasse di trovare. Vampiri, mutaforma, perché non un troll? Sicuramente non una donna incappottata con in mano un bicchiere di Starbucks. Capelli bianchi, corti, le labbra contratte in una linea sottile e due occhi azzurri come il ghiaccio che fanno sentire Nate fastidiosamente nudo. C’è qualcosa, nel cipiglio severo e nella pelle increspata di rughe, che sembra dire non fare cazzate.

“Buongiorno, Nathan”, lo saluta. Senza tendere la mano. Adam ha chiuso la portiera dietro di lui e ora sta salendo al posto del guidatore, dove si accomoda voltandosi verso di loro.

Che comunque… buongiorno? Alle sei di sera?

“Ahem. Salve?”

Poi, dopo un paio di falsi contatti, sente la lampadina accendersi nel suo cervello.

“Lei è la filantropa russa che ha finanziato la costruzione del museo a La Push, qualche anno fa!”, esclama. Lei si volta verso Adam, che dice qualcosa pieno di suoni gutturali, al che lei torna a fissare Nate e annuisce. Poi apre la bocca e Nate si chiede come capire qualcosa da quella mitragliata di russo – è russo? – che per lui non ha né capo né coda.

“Anche il signor Bechor era presente, ma non vi siete mai incontrati”, viene in suo aiuto Adam. È un po’ strano sentirlo parlare di sé in terza persona. “Fortunatamente.”

“Tu sei stato a La Push e non mi hai mai detto niente?”, chiede Nate ad Adam, che traduce subito in quella lingua strana prima di rispondergli.

“Sì.”

Sì? Tutto qui?

Di nuovo una mitragliata di russo.

“Sappiamo che c’è molto a cui dare una risposta, Nathan, e sono qui per questo. Al termine delle spiegazioni, ho una proposta per lei, a cui la invito a riflettere attentamente. Ma prima le sue domande. Cosa vuole sapere?”

Cosa vuole sapere? Tutto, per esempio.

“Beh. Tanto per cominciare… Chi, anzi, cosa siete voi due?”

Nel tradurre, Adam lancia uno sguardo preoccupato all’indirizzo della donna, che alza la mano libera come a prevenire un’obiezione.

“Il mio nome è Irina Yurevic Novikova. Sono un generale dell’Alleanza Terrestre e dirigo il servizio di sorveglianza temporale noto come CHRONOS. Questo è Adam Bechor, unità Aesir 001. Diciamo che è… la mia mano, dove io non posso arrivare. Siamo cronauti e, secondo il vostro calendario, proveniamo dal ventitreesimo secolo.”

Scoppiare a ridere probabilmente non sarebbe molto educato, quindi Nate si sforza di mordersi la lingua – perché sì, saranno anche due squilibrati, ma vale la pena tenere in mente che uno ha tenuto testa ad un vampiro.

“L’obiettivo della CHRONOS è quello di proteggere il corso degli eventi originari che hanno segnato la storia dell’umanità. Come può immaginare, controllare svariati secoli è quantomeno… impegnativo. Il dispiegamento di uomini e mezzi sarebbe proibitivo, ragion per la quale tendiamo ad affidarci ad agenti locali. Il che ci porta al motivo della nostra presenza qua.”

Silenzio.

“Tu”, aggiunge Adam.

Irina prende quella che sembra una versione molto più sottile e molto più figa di un Ipad, pigia un paio di tasti e…
E quello che segue ha dell’impossibile, perché è come se uno dei tasti sullo schermo si sollevasse a mezz’aria, si inclinasse in avanti e si allargasse fino a diventare delle dimensioni di un foglio A4, al cui interno appaiono immagini e caratteri. Anzi, non è come se fosse così. È esattamente quello che succede.

Uao. Non lo dice, ma a giudicare dall’occhiata di sufficienza di Irina deve avercelo stampato in fronte.

“L’Alleanza considera il sito di La Push di importanza strategica, e la CHRONOS è stata incaricata di predisporre un dispositivo di sorveglianza. Abbiamo esaminato un numero di possibili candidati al ruolo… lei risulta essere il migliore.”

Se stanno scherzando, sono davvero bravi.

“Ok, fermi tutti. Ricapitoliamo: voi due siete… viaggiatori del tempo che hanno deciso di fare una capatina duecento anni nel passato per… pfff… offrirmi un lavoro?

Ce l’ha messa tutta per non ridere. Davvero.

“Messa giù così non sembra la cosa più plausibile del mondo, in effetti”, ammette Adam.

“Che lei trovi o meno plausibile quanto le sto dicendo non è affar mio”, taglia corto Irina per bocca di Adam. “Questa è la verità.”

È talmente seccata da sembrare quasi sincera.

“Ok, altra domanda. Cosa c’è di così importante a La Push?”

“L’informazione è riservata.”

Nate corruga la fronte.

“Beh, se volete che lavori per voi credo di doverne essere messo al corrente, no?”

La risposta di Irina è sincera, pacata e comprensiva.

“Nyet.”

E non c’è nemmeno bisogno che Adam traduca.

“Ma…”

“Nathan, suvvia. Per quanto siamo disposti a fare affidamento su di lei, le pare che ci mettiamo a spargere materiale classificato ai quattro venti? Facciamo finta di essere persone adulte e non trattiamoci da imbecilli, le va?”

“E allora cosa volete da me?”, sbotta.

“Che tenga le orecchie aperte. Che confronti quotidianamente gli eventi mondiali con i nostri tabulati. Che sia pronto a fornire un punto d’appoggio logistico nell’eventualità in cui si renda necessario inviare personale nella sua linea temporale. E che sia pronto a fare la sua parte come cittadino di questo pianeta.”

Tutto qui?

“Tutto qui?”

Irina lo fulmina con gli occhi.

“Nel caso in cui accettasse, l’esistenza di quarantasette miliardi di persone si troverebbe a far affidamento su di lei. Ma sì, possiamo dire che è tutto qui.”

Ok, domanda stupida.

“Beh, io non so se…”

La mano di Irina lo blocca.

“Non le sto chiedendo di decidere ora, naturalmente. Mi rendo conto che quello che le stiamo dicendo ha bisogno di essere metabolizzato, per questo le lasceremo qualche giorno. Ci rifletta bene. Nel suo cloud troverà alcuni documenti che dovrebbero aiutarla a superare la sua incredulità.”

Nate si morde la lingua. Sembra tutto assurdo, ma se fosse vero…

“E vi fidereste così? Se io vi dicessi ok, bam, parto a lavorare per voi?”

“Ovviamente no. Il signor Bechor si occuperebbe del suo addestramento. Non ci aspettiamo che sia in prima linea a sparare ai cattivi, Nathan, tuttavia non sono solita mandare dilettanti allo sbaraglio.”

Silenzio. Nate vorrebbe restare da solo un attimo a riflettere, ma quel paio di occhi azzurro ghiaccio sembrano non volergli lasciare tregua.

“Perché me?”, si decide a chiedere alla fine.

“Gliel’ho detto, è risultato essere il candidato migliore. È un nativo di La Push, e il vantaggio qui è ovvio. È anche uno studente di Stanford, quindi non sarà insolito se di ora in quando qualche suo ex compagno di studi venisse a farle visita. La sua personalità si adatta egregiamente al profilo che ricerchiamo. E, non ultimo, dalle nostre indagini risulta che lei abbia dimostrato un certo talento nel mantenere un segreto. Perché ovviamente nessuno dovrà sapere nulla del suo incarico, e mi lasci sottolineare questo punto. La CHRONOS è piuttosto seria, quando si parla di segretezza. Mortalmente seria.”

Nate annuisce, incassando la minaccia nemmeno troppo velata. Ha un senso. Tuttavia…

“Io ho un fidanzato. Credo che sarebbe preferibile se fosse messo a conoscenza di tutto questo. Sarò anche bravo a tenere i segreti, come dite voi, ma lui ha un certo fiuto per quando nascondo qualcosa. E non intendo rinunciare a lui nemmeno se mi offriste il posto di Imperatore del Mondo, figuriamoci per quello di archivista spaziale. D’altronde, siete voi ad aver bisogno di me.”

Adam sembra preoccupato mentre traduce. Irina non batte ciglio, ma resta in silenzio a lungo. Nate è abbastanza sicuro di aver appena fatto una cazzata. Quando Irina si decide ad aprir bocca, alla fine, quel che ne esce farebbe sfigurare una tormenta di neve.

“Il mio consiglio spassionato, Nathan, è di evitare certe sparate. Lei non si trova nella posizione di poter negoziare i termini del nostro accordo. E se pensa che io sia disposta a mettere a repentaglio la sicurezza della mia organizzazione per i suoi problemi personali, si sbaglia di grosso.”

Nate non si è mai sentito così stupido in tutta la sua vita.

“Messo in chiaro questo punto”, prosegue Irina, prendendo un sorso di caffè con una smorfia di disgusto, “Sono certa che riusciremo a trovare una soluzione di compromesso. È importante per il suo ruolo che lei continui a godere della fiducia della sua comunità. Ciò nonostante… si ricordi che è in debito con noi della sua vita, Nathan. Lo tenga sempre presente.”

“A proposito”, interviene Nate, ansioso di cambiare discorso il prima possibile. “Adam, come hai fatto a…?”

“Il signor Bechor ha ricevuto delle… migliorie, come le abbiamo già detto”, spiega Irina, l’irritazione evidente sul suo volto. “Prima che faccia altre domande no, non può sapere di più. I dettagli sono secretati. Piuttosto, sono molto interessata a sapere cosa l’ha fatta giungere alla conclusione che questo… Herbert avesse un udito particolarmente sensibile.”

Ancora gli occhi fissi nei suoi. Nate ha l’impressione che se provasse a mentire sarebbe capacissima di leggerglielo nell’anima.

“Ahem. In discoteca è sempre rimasto fuori dalla sala, e…”

“Nathan, sono troppo vecchia per perdere il tempo in stronzate. Cosa sa dei Vanir?”

Merda. Vorrebbe poter pensare alle millemila implicazioni del fatto che degli umani dal futuro siano a conoscenza dei vampiri, eh, ma ora riesce solo sudare senza trovare un modo per evitare di rivelare del branco a quella specie di demone dagli occhi azzurri.

“Beh, le nostre leggende…”

“Balle.”

Goccioline gli rigano lente il fianco, lasciando dietro di sé lunghe scie bagnate dall’ascella fino all’elastico dei boxer. Nate vorrebbe anche chiedere se potrebbero abbassare il finestrino, perché davvero, possibile che sia l’unico a cui sembra di morire di caldo?

Irina si curva verso di lui, un rapace pronto a planare sulla preda.

“Siamo in guerra, Nathan. È in gioco la sopravvivenza della razza umana. E Gea mi fulmini se lascerò che un civile neoassunto mi nasconda informazioni che potrebbero rivelarsi determinanti.”

“In guerra con chi?”

Il tono di Irina è sottile come uno stiletto.

“Risponda alla mia domanda.”

“I…”

Jared mi ucciderà.

“…i Quileute… le leggende… insomma, prendiamo sul serio le leggende che parlano di creature potentissime e assetate di sangue umano. Un… uhm… un gruppo di Quileute viene… er… addestrato per combatterli, nel caso dovessero rispuntare. E… sembra che ogni tanto qualcuno di loro decida di farsi un giro dalle parti della riserva. Poi…”

Poi si blocca, perché sia Adam che Irina sono sbiancati. Cominciano a parlottare fitto fitto, Adam con lunghe frasi e Irina con risposte secche e concise. Dopo quella che pare un’eternità sembrano accorgersi nuovamente di Nate.
“Quanto ci ha appena detto”, dice la bocca di Adam per Irina, “è estremamente disturbante. Un’informazione preziosa. Questa chiacchierata, Nathan, potrebbe cambiare considerevolmente le nostre strategie.”

“Strategie? Che… oh, certo. È riservato.”

Irina sorride, per la prima volta da quando si sono incontrati. Un sorriso caldo quanto l’inverno.

“Vedo che impara in fretta. Comincia già col piede giusto.”
 
* * *
 
Uno squillo. Due. Nate inspira a fondo. Tre.

Prendono la chiamata.

“Cia-”

“Dove cazzo eri finito?”, ringhia la voce di David. “Ti pare il caso di sparire dopo un messaggio del genere?”

Nate giocherella con la sua nuova spilla, cercando di farla star in equilibrio sopra la cartelletta. L’aquila-fenice lo fissa male quasi quanto lo farebbe David. La lascia cadere con un tintinnio.

“Lo so, non è stata un’idea particolarmente intelligente, scusa. È che ieri sono successe alcune cose e io…”

“Come stai?”

Il tono è molto più morbido. Nate osserva il plico di fogli sparsi sul suo tavolo. L’aquila-fenice lo fissa implacabile anche da lì, appollaiata là sull’intestazione di ognuno.

“Io sto bene, davvero, non ti devi preoccupare. Sano come un pesce. Però… dobbiamo parlare, David. Non per telefono. E… avrei bisogno anche di Jared.”

Sente David sbuffare dal naso, abitudine che ha preso da quando ha cominciato a passare quasi più tempo su quattro zampe che non su due.

“Quanto è grosso, questo casino?”

“Uhm… dimensioni cosmiche?”, azzarda.

Osserva il pianeta davanti all’aquila-fenice e le stelle che lo circondano. Decisamente cosmiche.







*****
Dunque, se siete arrivati fin qui chiedendovi chi diamine sono tutti 'sti personaggi nuovi è evidente che non mi avete mai incrociato prima, perciò ehilà! Benvenuti a bordo! Potrete trovare altro su Nate e David qui. Se l'idea di un'organizzazione paramilitare per il controllo del continuum spaziotemporale nell'universo della Meyer vi risultasse indigesta non vi preoccupate, appare solo in questa storia che avete appena letto. Per ora.

Per tutti gli altri, invece, bentornati nell'Abraverso! Dove vampiri sbrilluccicanti e fantascienza convivono senza farsi troppi problemi, perché in fondo c'è posto per tutti. Se siete stati attenti, vi ricorderete che Irina Novikova ha già fatto capolino nell'ultimo capitolo di AV. Se tutto va bene, tra un paio d'anni vi racconterà cosa ci faceva in quel di La Push. Si scusa, ma non ha molto tempo per raccontare storie in giro. Ci tiene però a salutare la Sandra, che è rimasta una fan fedele nonostante alcune... travagliate vicende fanficcionistiche, diciamo.

Questa storia è ambientata qualche anno dopo la fine di AV, quando Nate ha vinto una borsa di studio per Stanford (ogni tanto essere un secchione studioso ha i suoi vantaggi) e si è trasferito a Palo Alto per seguire l'università. Nel mentre Sam si sta impegnando per smettere di trasformarsi, ragion per cui il posto di alfa è passato a Jared. Chiedo scusa a tutte le team Jacob, ma da quel che fa nei libri non gli lascerei guidare manco l'armata Brancaleone, figuriamoci i licantropi.

Devo ringraziare spottievirus7 per l'idea da cui è nata questa storia. In effetti l'idea che Nate riuscisse a diventare qualcosa che lo facesse sentire un po' meno una palla al piede per il branco mi aveva stuzzicato già da un pezzo, ma personalmente ritengo che uno dei tratti fondamentali di Nate sia proprio l'essere un umano in un mondo sovrannaturale. Adam assicura che, quando avrà finito il suo lavoro, Nate sarà pronto a menare le mani come se non ci fosse un domani.

Bene, credo che questo sia tutto. Grazie ancora per essere arrivati fin qui!

Ab
   
 
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