Anime & Manga > Peace Maker Kurogane
Ricorda la storia  |      
Autore: Elettra_Black    13/12/2008    3 recensioni
Ispirata da Peace Maker kurogane, alla fine ho deciso di scrivere qualcosa sui personaggi di Okita ed Hijikata. Alla vigilia della sconfitta, durante e dopo. La morte che li strappa via, un amore pacato e disperato. Scritta quattro anni fa, all'uscita del manga in Italia.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il sole era tramontato un’altra volta a Kyoto. Ancora una volta i tetti delle abitazioni si erano colorate di rosso acceso, misto alle tonalità rosate di quel cielo pulito e privo di nuvole. La quiete prima della tempesta? Può darsi…

Nella sede dei lupi di Mibu, gli Shinsengumi sopravvissuti si chiedevano quanto avrebbero resistito. O semplicemente, se sarebbero mai arrivati a vedere altri tramonti. Un’era stava per volgere al termine, e in fondo ai loro cuori sapevano: sapevano che non avrebbero resistito, che le loro katane dovevano arrendersi alle armi da fuoco e gettarsi in fondo ad una memoria ormai diventata antica. La fine di un sogno, un sogno mantenuto in vita da degli uomini che hanno mantenuto la pace per anni, e che adesso…

<< Su, animo!>> la voce perennemente ottimista di Okita Souji, un capitano delle dieci squadre, scuoteva gli animi dei compagni depressi, ancorandoli nella speranza. Sì…il loro spirito era forte, e avrebbero vinto anche quell’ultima decisiva battaglia.

Okita si aggirava sorridente tra i compagni, come se ciò che aspettava loro si trattava di una semplice scampagnata.

Calò la sera anche per i lupi di Mibu, e pochi riuscirono a chiudere occhio. Specie il vice comandante Hijikata, che sulle spalle portava il peso dei mille caduti, e disertori costretti al seppuku. Aveva scelto di giocare il ruolo di un demone di fronte a tutti, uccideva anche chi amava, e piangeva da solo nell’oscurità, era un leader, doveva essere fermo e dare l’esempio per chi lo seguiva, ignorando i sentimenti che provava. Ma quand’è che ci sarebbe stata una tregua per lui? Lo sapevano i membri dello Shinsengumi, lo sapeva lui, lo sapeva…No, Okita non lo sapeva. Fino in fondo lui ha continuato a sorridere ai suoi compagni, e ad uccidere come una bestia nei campi di battaglia. Era grazie a lui se il morale non era sceso troppo in basso. Sì, Okita…

<< Toshi, sapevo che eri sveglio!>> esclamò l’oggetto dei suoi pensieri, entrando nelle sue camere. Come al solito indossava uno yukata bianco piuttosto leggero, andando in contrasto con le rigide temperature della notte. Slanciato, bello, dai lineamenti gentili e quasi infantili. Eppure era cresciuto…era cresciuto molto dai tempi in cui entrambi si apprestavano ad imparare il Tennen Rishin, spalla contro spalla.

<< Ormai mi sono abituato alle tue visite notturne, e mi è impossibile addormentarmi sapendo che saresti venuto comunque>> questa la risposta sarcastica, e volutamente colma di irritazione, del vice comandante degli Shinsengumi. I lunghi capelli scuri vennero scossi da uno spiffero gelido, che lo fece rabbrividire. Un pensiero, una paura, un presentimento di morte, un volto. Il volto di Okita…

<< Tradotto significa che sei contento di vedermi, e che attendevi con ansia una mia visita, non è vero?>> il suo sorriso allontanò i pensieri nefasti dalla mente di Hijikata, che si lasciò sedere sul semplice futon bianco. Okita sorrise con aria divertita, e prese posto al suo fianco. Lo yukata bianco era in perfetto contrasto con quello grigio scuro e nero dell’altro, che lo sovrastava anche da seduto. L’ombra del demone degli Shinsengumi non incuteva alcun timore nello spadaccino, che si limitò a portarsi le ginocchia al petto << Sei preoccupato?>> chiese a voce bassa, come se temesse di disturbare quel silenzio caldo che si era creato tra loro.

Hijikata non rispose subito, ma attese a lungo, come se volesse solo assaporare il contatto con la spalla più sottile del ragazzo << Lo sai…>> sbottò guardando di lato.

Okita rise, facendo stizzire di più l’uomo << Sì, hai ragione. Io so tutto di te…>> rispose in tono dolce, andando a posare il mento all’altezza della scapola << E in questo momento non vuoi che me ne vada>> si sporse verso di lui, baciandogli il viso. Con lentezza, dolcezza e affetto. Un affetto che l’altro avrebbe ricambiato per cento volte, ma il suo orgoglio, il suo carattere, o forse semplicemente la timidezza, non gli permettevano di farlo. Si chinò verso il volto giovane dello spadaccino, e prendendolo tra le mani cominciò a baciarlo: vorace, appassionato, privo di qualsiasi freno. Lui era e sarà sempre un lupo di Mibu, un cacciatore affamato che divora la propria preda una volta catturata tra le fauci.

<< Anche questa sera…>> ansimò Okita quando la bocca dell’uomo scivolò lungo la giugulare, succhiando la pelle bianca << …resterò con te…>> finì la frase lasciandosi sfuggire un gemito: la mano di Hijikata era scivolata tra le pieghe dello yukata, aprendolo fino ad insinuarsi tra le sue cosce da cervo. Sfregò il sesso strappandogli altri sospiri, ansimi e sussurri d’amore. Sussurri che riuscivano sempre a colorare il viso dell’amante esperto, accendendolo di ulteriore passione. Passione e desiderio che si risvegliava in ogni bacio, ogni tocco, ogni morso su quella pelle bianca come l’avorio. A volte fin troppo bianca.

<< Toshi…nh…>> anche Okita fece per baciarlo, ma dovette fermarsi a causa della scarica di piacere che attraversò la colonna vertebrale, facendogli riversare il frutto dell’orgasmo tra le dita di Hijikata, che non tardò a portarsele alle labbra per leccarle avidamente. Semi svestito, il corpo snello del giovane Shinsengumi era sorretto da un braccio dell’altro, che poteva ammirarlo in tutto il suo fascino: le linee appena accennate degli addominali, la pelle marmorea, i due capezzoli rosa che spiccavano dal sottile velo dello yukata, e il suo sesso bagnato ormai eretto tra le gambe nude.

<< Oggi sei venuto in ritardo>> sussurrò il vice comandante sbattendolo con la schiena sul futon, e sovrastandolo con il proprio possente corpo << Ti avevo forse dato il permesso di farmi aspettare?>> la voce esce roca ed eccitata da quelle labbra sensuali, che vibrano in attesa di potersi scagliare su quelle rosee. Okita sorrise ancora, nonostante il desiderio di essere posseduto al più presto dal suo demone: un sorriso malinconico. Dannatamente malinconico << Scusami, ho tentennato perché domani ci aspetta una sconfitta sicura, e probabilmente o io o tu rischieremo più volte di perdere la vita>>

Lacrime? Lacrime sul viso di Okita? Nemmeno Hijikata riuscì a crederci, ma al momento non trovava la forza o le parole necessarie a dargli coraggio. Si gettò sul suo volto, baciando le guance bagnate e le labbra incurvate in quel sorriso. Basta, basta, basta! Torna ad essere quello di un tempo! Lo fai con i tuoi compagni e non con me? E’ questo ciò che pensò liberandosi dai vestiti, preparandosi ad inabissarsi nel corpo fremente di Okita. I corpi dei due si intrecciarono, le gocce di sudore scorrevano sulla pelle di entrambi unendosi per poi cadere a causa dei movimenti frenetici ed esasperanti. Spinse, spinse impiegando tutte le sue energie e ancora di più: adorava sentirlo gemere, sentirlo gridare fino a farsi scoppiare i polmoni. Avrebbe voluto continuare una vita intera, ma dopo averlo marchiato per l’ennesima volta, si accasciò esausto al suo fianco. Sudati, ansanti e sporchi di seme bianco, seme di peccato. Come ogni sera, solo che quella era diversa: il presentimento, la paura, il terrore che sarebbe potuta essere la loro ultima volta li costringeva a stare svegli senza nemmeno toccarsi. Fu Okita a fare la prima mossa, rivestendo i loro corpi con una coperta pesante, e posando il viso sul suo ampio petto. Ma non disse niente, perché la voce di Hijikata sembrò tuonare all’interno della stanza satura del loro odore, nonostante fosse un semplice sussurro << Souji…>> il demone si lasciò andare in un raro gesto di affetto, portando la mano sul suo capo corvino << …sopravvivremo a domani. A prescindere dal futuro degli Shinsengumi, io e te resteremo in vita…>>

Okita stiracchiò un altro sorriso, ma sembrava sollevato << E’ una promessa questa?>> chiese con voce lieve, senza staccare la guancia dal caldo e comodo petto dell’uomo.

<< Sì…>>

Sospirò, felice di quella risposta. Ma le sue parole ancora non ebbero fine << Vorrei che mi promettessi un’altra cosa. Un’altra e poi non dirò più nulla…>>

Hijikata guardò il soffitto per diversi attimi, spostando poi lo sguardo ai lisci capelli dell’amante << Va bene…>>

Lo spadaccino sollevò il volto, in modo da poter mostrare il suo sorriso perennemente giocoso all’altro << Non morire prima di me>>

Sorrideva come uno stupido, eppure Hijikata avvertì lo stesso spiffero gelido solleticargli il volto: come la fredda mano della morte, che si posa sul capo per ricordarti che ciò che di bello esiste al mondo, presto scomparirà.

<< Stai facendo dei discorsi privi di senso>> sbraitò l’uomo, cercando di carpire il motivo di tale domanda in quei grandi occhi neri. Occhi neri che vacillarono, mostrando un velo di tristezza << Promettimelo…>> Okita si chinò sul suo petto, baciandolo lentamente. Lo baciò con dolcezza, e qualcosa di umido e caldo, una goccia di tristezza, cadde sulla sua pelle.

Le forti braccia di Hijikata lo serrarono a sé, impedendogli altri movimenti << E va bene, va bene brutto stupido…>> sussurrò premendo le labbra sul suo capo << Ora dormi, o domani dovrò stare attento che tu non ti addormenti davanti a quei cani rognosi>>

Il più giovane sorrise ancora, socchiudendo gli occhi << …ti amo>> immancabile, come ogni sera, quelle due parole accarezzarono i timpani di Hijikata. Era diventata la sua buonanotte, una dolce buonanotte che però non era in grado di uscire dalle parole del vice comandante.

 

 

 

 30 Maggio 1868

 

Tokyo era lontana da Hokkaido, ma Hijikata ormai la considerava una sorta di casa. Ad Hokkaido aveva affari urgenti da sbrigare, una battaglia a cui non avrebbe rinunciato per niente al mondo, tranne…Tranne la ragione che lo bloccava nella città di Edo. Era una giornata come tante, e l’uomo passava tutto il suo tempo in un ospedale, un ospedale pieno di schifosi malati e storpi malridotti. Entrato in una camera, notò con estremo fastidio l’assenza di colui che ha lasciato intatto il cibo, che ha disfatto il letto e che ha…ha macchiato di rosso il cuscino. L’uomo portò una mano davanti agli occhi severi, trattenendo per qualche secondo il respiro: non ora, si ripeté per dieci volte.

Uscì velocemente dalla stanza, a gran passi, diretto verso il cortile della struttura.

Immerso nel verde, una figura avvolta da un abbondante yukata bianco si stava allenando: mani strette sull’elsa di una katana, capelli lunghi e neri che si muovevano in disordine ai soffi del vento, e sguardo ardente per nulla arreso. Il bordo della manica era macchiato di rosso, un rosso acceso, e il volto era contratto in un’espressione sfinita.

<< Souji…>> la voce autoritaria di Hijikata lo fece sobbalzare, così come la mano che si attanagliò sul polso incredibilmente dimagrito e consumato. Il giovane fece per parlare, ma un attacco di tosse violenta lo costrinse a portarsi le mani davanti la bocca, lasciando così cadere lo strumento di morte.

<< Chi te l’ha data quella?>> sibilò l’uomo tenendolo per le spalle sottili, troppo sottili, cercando di non guardare le scie di sangue che macchiavano le mani bianche.

<< Ho corrotto un’infermiera…>> ridacchiò l’altro, portando lo sguardo su di lui. Cosa ridi a fare, pensò Hijikata cercando di cacciare via il terrore di non poter godere più di quel sorriso. Non ridere, non c’è nulla di divertente in tutto questo!

Dovrebbe fargli una ramanzina, dovrebbe rimproverarlo, dovrebbe fargli entrare in testa che deve starsene a riposo. Ma tutto quello che riuscì a fare fu di prenderlo tra le braccia e stringerlo quasi con prepotenza.

Okita era diventato così magro, e i suoi occhi scavati in quel viso pallido e smunto << Non riesco a sconfiggerlo, Toshi…>> sussurrò senza smettere mai, nemmeno un secondo, di sorridere. L’ex vice comandante strinse gli occhi, e fece per portarlo dentro, ma Okita, facendo leva sulle ultime forze rimaste, restò immobile << Fuori sto meglio, credimi>> mormorò con dolcezza << …voglio stare qua, Toshizo>>

Lo pregò, lo supplicò con quelle sue parole tremanti e scosse dalla malattia.

Hijikata come al solito non rispose, ma si limitò ad obbedire alla sua richiesta. Passarono ore, e i due rimasero seduti sull’erba a riscaldarsi sotto il sole, in quel caldo pomeriggio di maggio. Il corpo leggero, troppo leggero, dello spadaccino forse più potente che abbia impugnato una katana, stava appoggiato al petto dell’altro, esattamente come quella lontana notte. Perché quella notte tornò vivida nei ricordi del demone degli Shinsengumi? Perché quella notte l’avevano vissuta con la paura di non potersi più tenere stretti l’uno contro l’altro. Quelle che seguirono furono normali notti d’amore di due amanti…

<< Quante persone ho ucciso, Toshi?>> chiese debolmente, adagiandosi mollemente sul suo corpo, come qualcuno che sta per abbandonare l’involucro terreno per prepararsi a ricongiungersi con i propri avi.

<< Souji, basta…>> il demone degli Shinsengumi si lasciò sfuggire una lacrima << …smettila, sono mesi che mi poni la stessa domanda>>

Ma Okita sembrava assente, con quel suo sorriso dalle sfumature malinconiche << …tanti, lo so. Eppure questo…non lo sconfiggerò mai. Nemmeno impugnando la mia katana…>>

Perché torturarlo in questo modo? Perché il ragazzo continuava a rinfacciargli sempre la consapevolezza che la loro separazione era ormai imminente?

<< Ti amo, dannazione!>> sussurrò Hijikata al suo orecchio, facendolo affondare di più nel proprio petto, scoperto apposta per fargli sentire meglio il battito del suo cuore. Okita sembrò trovare una qualche serenità, perché il suo sorriso aveva perso ogni traccia di tristezza << Hai mantenuto la tua promessa>>

Detto questo non un’altra parola uscì dalle labbra rosate dello spadaccino combattuto e vinto un’unica volta in tutta la sua vita.

Hijikata non pianse, non davanti a lui: non con quel corpo ancora caldo stretto tra gli arti forti, tremanti a causa dello sforzo di trattenere i singhiozzi. No, non pianse, nemmeno quando, diverse ore dopo, cercarono di strappare il corpo senza vita di colui che da solo ha tenuto alto l’onore dei Lupi di Mibu. Non pianse.

Non lo fece.

 

 

-1869-

 

Sangue, scalpitio di zoccoli, katane sguainate, grida, nitriti di cavalli. Un campo di battaglia è pieno di questi suoni, ma alta e feroce, la voce di colui che fu Hijikata Toshizo si levava alta e potente. Un tuono che squarciava l’aria, il vento che scuoteva gli alberi, un fulmine che si abbatteva su una montagna. Sangue di nemici impregnava i suoi capelli scuri ormai tagliati, ma l’odore metallico serviva solo a far infuocare i suoi occhi di brace: occhi che reclamano morte, urla e disperazione in una guerra che ormai non è più sua. Non importa, continuò a combattere ancora.

I nemici numerosi cadevano sotto la sua lama crudele, ma il suo sguardo e la sua ira non si placavano: il lupo ulula ancora dentro il suo corpo, urla e si dibatte affamato di carne. Uccide senza sosta, i nemici lo circondano, ma lui grazie al suo cavallo e alla fedele katana riuscì a crearsi un varco e tagliare le loro teste. Sì, una ad una cadevano e si perdevano sotto i ferri di cavallo. Avrebbe continuato così fino alla fine dei suoi giorni, quando ecco che una figura avvolta da un kimono blu e bianco, diviso a balze, illuminò il campo di battaglia come l’apparizione di un angelo. Hijikata sussultò perdendosi nei suoi occhi neri, e la mano snella ma forte che stringeva l’asta della bandiera rossa. Una bandiera che ancora si agita nel suo cuore: quella bandiera il cui stemma, Makoto, era impresso come un marchio indelebile. I capelli di quel giovane ragazzo vestito da Shinsengumi erano raccolti in un’alta coda, e i capelli corvini si muovevano al vento.

<< Souji…>> allungò una mano, ma un suono simile al ruggito di una belva lo costrinse a voltarsi, in tempo per vedere quella luce che squarcia l’aria conficcandosi infine al suo fianco. Bruciore, fuoco ardeva nelle sue carni nel momento in cui cadde a terra, disarcionato dal cavallo spaventato. Uno sparo. Ecco cos’era…Uno sparo che metteva in risalto la superiorità delle armi da fuoco su quelle katane modellate dagli dei. E’ dunque quella la fine?

<< No, Toshi…>> la voce dell’apparizione di pochi secondi prima gli fece aprire gli occhi, e sollevando il viso vide una mano bianca che si protendeva verso di lui. Okita gli stava sorridendo, quel sorriso che in quei giorni lontani, in quei giorni di gloria, aveva dato speranza all’intero corpo dello Shinsengumi. Un sorriso di bambino che stava illuminando quel campo madido di morte.

Hijikata prese la sua mano, e stringendo con l’altra una katana, si gettò nella folla insieme ad Okita, combattendo fianco a fianco mietendo vittime, una dietro l’altra. Il dolore al fianco però era troppo forte, e consumate le energie, e l’impeto che lo muoveva, cadde esausto in mezzo a quel fango e sangue. Ma un sorriso illuminava il suo volto: un sorriso di chi ha combattuto con tutte le sue energie fino alla fine, mantenendo vivi i propri ideali e quell’amore che lo ha animato sempre, in ogni momento.
<< Toshizo, hai mantenuto la promessa>> la voce di Okita arrivò alle sue orecchie, e quando aprì gli occhi si trovava da solo con lui, con la veste da vice comandante a coprire il suo corpo.

<< …l’hai mantenuta fino in fondo. Adesso, puoi venire con me>> gli sorrise, sorrise ancora. Prese la sua mano, e lo seguì ancora.

L’ultima marcia degli Shinsengumi cominciò dove i posteri non possono posare lo sguardo. La marcia dei Lupi di Mibu.

 

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Peace Maker Kurogane / Vai alla pagina dell'autore: Elettra_Black