Il sole era tramontato un’altra volta a Kyoto. Ancora una volta i tetti delle abitazioni si erano colorate di rosso acceso, misto alle tonalità rosate di quel cielo pulito e privo di nuvole. La quiete prima della tempesta? Può darsi…
Nella sede dei lupi di Mibu, gli Shinsengumi sopravvissuti si chiedevano quanto avrebbero resistito. O semplicemente, se sarebbero mai arrivati a vedere altri tramonti. Un’era stava per volgere al termine, e in fondo ai loro cuori sapevano: sapevano che non avrebbero resistito, che le loro katane dovevano arrendersi alle armi da fuoco e gettarsi in fondo ad una memoria ormai diventata antica. La fine di un sogno, un sogno mantenuto in vita da degli uomini che hanno mantenuto la pace per anni, e che adesso…
<< Su, animo!>> la voce perennemente ottimista di Okita Souji, un capitano delle dieci squadre, scuoteva gli animi dei compagni depressi, ancorandoli nella speranza. Sì…il loro spirito era forte, e avrebbero vinto anche quell’ultima decisiva battaglia.
Okita si aggirava sorridente tra i compagni, come se ciò che aspettava loro si trattava di una semplice scampagnata.
Calò la sera anche per i lupi di Mibu, e pochi riuscirono a chiudere occhio. Specie il vice comandante Hijikata, che sulle spalle portava il peso dei mille caduti, e disertori costretti al seppuku. Aveva scelto di giocare il ruolo di un demone di fronte a tutti, uccideva anche chi amava, e piangeva da solo nell’oscurità, era un leader, doveva essere fermo e dare l’esempio per chi lo seguiva, ignorando i sentimenti che provava. Ma quand’è che ci sarebbe stata una tregua per lui? Lo sapevano i membri dello Shinsengumi, lo sapeva lui, lo sapeva…No, Okita non lo sapeva. Fino in fondo lui ha continuato a sorridere ai suoi compagni, e ad uccidere come una bestia nei campi di battaglia. Era grazie a lui se il morale non era sceso troppo in basso. Sì, Okita…
<< Toshi, sapevo che
eri sveglio!>> esclamò
l’oggetto dei suoi pensieri, entrando nelle sue camere. Come
al solito
indossava uno yukata bianco piuttosto leggero, andando in contrasto con
le
rigide temperature della notte. Slanciato, bello, dai lineamenti
gentili e
quasi infantili. Eppure era cresciuto…era cresciuto molto
dai tempi in cui
entrambi si apprestavano ad imparare il Tennen
Rishin,
spalla contro spalla.
<<
Ormai mi sono abituato
alle tue visite notturne, e mi è impossibile addormentarmi
sapendo che saresti
venuto comunque>> questa la risposta sarcastica, e
volutamente colma di
irritazione, del vice comandante degli Shinsengumi. I lunghi capelli
scuri
vennero scossi da uno spiffero gelido, che lo fece rabbrividire. Un
pensiero,
una paura, un presentimento di morte, un volto. Il volto di
Okita…
<<
Tradotto significa che
sei contento di vedermi, e che attendevi con ansia una mia visita, non
è
vero?>> il suo sorriso allontanò i pensieri
nefasti dalla mente di
Hijikata, che si lasciò sedere sul semplice futon bianco.
Okita sorrise con
aria divertita, e prese posto al suo fianco. Lo yukata bianco era in
perfetto
contrasto con quello grigio scuro e nero dell’altro, che lo
sovrastava anche da
seduto. L’ombra del demone degli Shinsengumi non incuteva
alcun timore nello
spadaccino, che si limitò a portarsi le ginocchia al petto
<< Sei
preoccupato?>> chiese a voce bassa, come se temesse di
disturbare quel
silenzio caldo che si era creato tra loro.
Hijikata
non rispose subito, ma
attese a lungo, come se volesse solo assaporare il contatto con la
spalla più
sottile del ragazzo << Lo sai…>>
sbottò guardando di lato.
Okita
rise, facendo stizzire di
più l’uomo << Sì, hai
ragione. Io so tutto di te…>> rispose in tono
dolce, andando a posare il mento all’altezza della scapola
<< E in questo
momento non vuoi che me ne vada>> si sporse verso di lui,
baciandogli il
viso. Con lentezza, dolcezza e affetto. Un affetto che
l’altro avrebbe
ricambiato per cento volte, ma il suo orgoglio, il suo carattere, o
forse
semplicemente la timidezza, non gli permettevano di farlo. Si
chinò verso il
volto giovane dello spadaccino, e prendendolo tra le mani
cominciò a baciarlo:
vorace, appassionato, privo di qualsiasi freno. Lui era e
sarà sempre un lupo
di Mibu, un cacciatore affamato che divora la propria preda una volta
catturata
tra le fauci.
<<
Anche questa
sera…>> ansimò Okita quando la
bocca dell’uomo scivolò lungo la
giugulare, succhiando la pelle bianca <<
…resterò con te…>>
finì la
frase lasciandosi sfuggire un gemito: la mano di Hijikata era scivolata
tra le
pieghe dello yukata, aprendolo fino ad insinuarsi tra le sue cosce da
cervo.
Sfregò il sesso strappandogli altri sospiri, ansimi e
sussurri d’amore.
Sussurri che riuscivano sempre a colorare il viso dell’amante
esperto,
accendendolo di ulteriore passione. Passione e desiderio che si
risvegliava in
ogni bacio, ogni tocco, ogni morso su quella pelle bianca come
l’avorio. A
volte fin troppo bianca.
<<
Toshi…nh…>> anche
Okita fece per baciarlo, ma dovette fermarsi a causa della scarica di
piacere
che attraversò la colonna vertebrale, facendogli riversare
il frutto
dell’orgasmo tra le dita di Hijikata, che non
tardò a portarsele alle labbra
per leccarle avidamente. Semi svestito, il corpo snello del giovane
Shinsengumi
era sorretto da un braccio dell’altro, che poteva ammirarlo
in tutto il suo
fascino: le linee appena accennate degli addominali, la pelle marmorea,
i due
capezzoli rosa che spiccavano dal sottile velo dello yukata, e il suo
sesso
bagnato ormai eretto tra le gambe nude.
<<
Oggi sei venuto in
ritardo>> sussurrò il vice comandante
sbattendolo con la schiena sul
futon, e sovrastandolo con il proprio possente corpo <<
Ti avevo forse
dato il permesso di farmi aspettare?>> la voce esce roca
ed eccitata da
quelle labbra sensuali, che vibrano in attesa di potersi scagliare su
quelle
rosee. Okita sorrise ancora, nonostante il desiderio di essere
posseduto al più
presto dal suo demone: un sorriso malinconico. Dannatamente malinconico
<< Scusami, ho tentennato perché domani ci
aspetta una sconfitta sicura,
e probabilmente o io o tu rischieremo più volte di perdere
la vita>>
Lacrime? Lacrime sul viso di Okita? Nemmeno Hijikata riuscì a
crederci, ma al momento non
trovava la forza o le parole necessarie a dargli coraggio. Si
gettò sul suo
volto, baciando le guance bagnate e le labbra incurvate in quel
sorriso. Basta, basta, basta! Torna ad essere
quello
di un tempo! Lo fai con i tuoi compagni e non con me?
E’ questo ciò che
pensò liberandosi dai vestiti, preparandosi ad inabissarsi
nel corpo fremente
di Okita. I corpi dei due si intrecciarono, le gocce di sudore
scorrevano sulla
pelle di entrambi unendosi per poi cadere a causa dei movimenti
frenetici ed
esasperanti. Spinse, spinse impiegando tutte le sue energie e ancora di
più:
adorava sentirlo gemere, sentirlo gridare fino a farsi scoppiare i
polmoni.
Avrebbe voluto continuare una vita intera, ma dopo averlo marchiato per
l’ennesima volta, si accasciò esausto al suo
fianco. Sudati, ansanti e sporchi
di seme bianco, seme di peccato. Come ogni sera, solo che quella era
diversa:
il presentimento, la paura, il terrore che sarebbe potuta essere la
loro ultima
volta li costringeva a stare svegli senza nemmeno toccarsi. Fu Okita a
fare la
prima mossa, rivestendo i loro corpi con una coperta pesante, e posando
il viso
sul suo ampio petto. Ma non disse niente, perché la voce di
Hijikata sembrò
tuonare all’interno della stanza satura del loro odore,
nonostante fosse un
semplice sussurro << Souji…>> il
demone si lasciò andare in un raro
gesto di affetto, portando la mano sul suo capo corvino
<< …sopravvivremo
a domani. A prescindere dal futuro degli Shinsengumi, io e te resteremo
in
vita…>>
Okita
stiracchiò un altro sorriso,
ma sembrava sollevato << E’ una promessa
questa?>> chiese con voce
lieve, senza staccare la guancia dal caldo e comodo petto
dell’uomo.
<<
Sì…>>
Sospirò,
felice di quella
risposta. Ma le sue parole ancora non ebbero fine <<
Vorrei che mi promettessi
un’altra cosa. Un’altra e poi non dirò
più nulla…>>
Hijikata
guardò il soffitto per
diversi attimi, spostando poi lo sguardo ai lisci capelli
dell’amante << Va
bene…>>
Lo
spadaccino sollevò il volto, in
modo da poter mostrare il suo sorriso perennemente giocoso
all’altro << Non
morire prima di me>>
Sorrideva
come uno stupido, eppure
Hijikata avvertì lo stesso spiffero gelido solleticargli il
volto: come la
fredda mano della morte, che si posa sul capo per ricordarti che
ciò che di
bello esiste al mondo, presto scomparirà.
<<
Stai facendo dei discorsi
privi di senso>> sbraitò l’uomo,
cercando di carpire il motivo di tale
domanda in quei grandi occhi neri. Occhi neri che vacillarono,
mostrando un
velo di tristezza <<
Promettimelo…>> Okita si chinò sul
suo petto,
baciandolo lentamente. Lo baciò con dolcezza, e qualcosa di
umido e caldo, una
goccia di tristezza, cadde sulla sua pelle.
Le
forti braccia di Hijikata lo
serrarono a sé, impedendogli altri movimenti
<< E va bene, va bene brutto
stupido…>> sussurrò premendo le
labbra sul suo capo << Ora dormi, o
domani dovrò stare attento che tu non ti addormenti davanti
a quei cani
rognosi>>
Il
più giovane sorrise ancora,
socchiudendo gli occhi << …ti
amo>> immancabile, come ogni sera,
quelle due parole accarezzarono i timpani di Hijikata. Era diventata la
sua
buonanotte, una dolce buonanotte che però non era in grado
di uscire dalle
parole del vice comandante.
30 Maggio
1868
Tokyo
era lontana da Hokkaido, ma Hijikata ormai la considerava una sorta di
casa. Ad
Hokkaido aveva affari urgenti da sbrigare, una battaglia a cui non
avrebbe
rinunciato per niente al mondo, tranne…Tranne la ragione che
lo bloccava nella
città di Edo. Era una giornata come tante, e
l’uomo passava tutto il suo tempo
in un ospedale, un ospedale pieno di schifosi malati e storpi
malridotti.
Entrato in una camera, notò con estremo fastidio
l’assenza di colui che ha
lasciato intatto il cibo, che ha disfatto il letto e che
ha…ha macchiato di
rosso il cuscino. L’uomo portò una mano davanti
agli occhi severi, trattenendo
per qualche secondo il respiro: non ora,
si ripeté per dieci volte.
Uscì
velocemente dalla stanza, a gran passi, diretto verso il cortile della
struttura.
Immerso
nel verde, una figura avvolta da un abbondante yukata bianco si stava
allenando:
mani strette sull’elsa di una katana, capelli lunghi e neri
che si muovevano in
disordine ai soffi del vento, e sguardo ardente per nulla arreso. Il
bordo
della manica era macchiato di rosso, un rosso acceso, e il volto era
contratto
in un’espressione sfinita.
<<
Souji…>> la voce autoritaria di Hijikata lo
fece sobbalzare, così come la
mano che si attanagliò sul polso incredibilmente dimagrito e
consumato. Il
giovane fece per parlare, ma un attacco di tosse violenta lo costrinse
a
portarsi le mani davanti la bocca, lasciando così cadere lo
strumento di morte.
<<
Chi te l’ha data quella?>> sibilò
l’uomo tenendolo per le spalle sottili,
troppo sottili, cercando di non guardare le scie di sangue che
macchiavano le
mani bianche.
<<
Ho corrotto un’infermiera…>>
ridacchiò l’altro, portando lo sguardo su di
lui. Cosa ridi a fare,
pensò Hijikata
cercando di cacciare via il terrore di non poter godere più
di quel sorriso. Non ridere, non
c’è nulla di divertente in
tutto questo!
Dovrebbe
fargli una ramanzina, dovrebbe rimproverarlo, dovrebbe fargli entrare
in testa
che deve starsene a riposo. Ma tutto quello che riuscì a
fare fu di prenderlo
tra le braccia e stringerlo quasi con prepotenza.
Okita
era diventato così magro, e i suoi occhi scavati in quel
viso pallido e smunto
<< Non riesco a sconfiggerlo,
Toshi…>> sussurrò senza smettere
mai,
nemmeno un secondo, di sorridere. L’ex vice comandante
strinse gli occhi, e
fece per portarlo dentro, ma Okita, facendo leva sulle ultime forze
rimaste,
restò immobile << Fuori sto meglio,
credimi>> mormorò con dolcezza
<< …voglio stare qua, Toshizo>>
Lo
pregò, lo supplicò con quelle sue parole tremanti
e scosse dalla malattia.
Hijikata
come al solito non rispose, ma si limitò ad obbedire alla
sua richiesta.
Passarono ore, e i due rimasero seduti sull’erba a
riscaldarsi sotto il sole,
in quel caldo pomeriggio di maggio. Il corpo leggero, troppo leggero,
dello
spadaccino forse più potente che abbia impugnato una katana,
stava appoggiato
al petto dell’altro, esattamente come quella lontana notte.
Perché quella notte
tornò vivida nei ricordi del demone degli Shinsengumi?
Perché quella notte
l’avevano vissuta con la paura di non potersi più
tenere stretti l’uno contro
l’altro. Quelle che seguirono furono normali notti
d’amore di due amanti…
<<
Quante persone ho ucciso, Toshi?>> chiese debolmente,
adagiandosi
mollemente sul suo corpo, come qualcuno che sta per abbandonare
l’involucro
terreno per prepararsi a ricongiungersi con i propri avi.
<<
Souji, basta…>> il demone degli Shinsengumi si
lasciò sfuggire una
lacrima << …smettila, sono mesi che mi poni la
stessa domanda>>
Ma
Okita
sembrava assente, con quel suo sorriso dalle sfumature malinconiche
<< …tanti,
lo so. Eppure questo…non lo sconfiggerò mai.
Nemmeno impugnando la mia
katana…>>
Perché
torturarlo in questo modo? Perché il ragazzo continuava a
rinfacciargli sempre
la consapevolezza che la loro separazione era ormai imminente?
<<
Ti amo, dannazione!>> sussurrò Hijikata al suo
orecchio, facendolo
affondare di più nel proprio petto, scoperto apposta per
fargli sentire meglio
il battito del suo cuore. Okita sembrò trovare una qualche
serenità, perché il
suo sorriso aveva perso ogni traccia di tristezza << Hai
mantenuto la tua
promessa>>
Detto
questo non un’altra parola uscì dalle labbra
rosate dello spadaccino combattuto
e vinto un’unica volta in tutta la sua vita.
Hijikata
non pianse, non davanti a lui: non con quel corpo ancora caldo stretto
tra gli
arti forti, tremanti a causa dello sforzo di trattenere i singhiozzi.
No, non
pianse, nemmeno quando, diverse ore dopo, cercarono di strappare il
corpo senza
vita di colui che da solo ha tenuto alto l’onore dei Lupi di
Mibu. Non pianse.
Non
lo
fece.
-1869-
Sangue, scalpitio di zoccoli, katane sguainate, grida, nitriti di cavalli. Un campo di battaglia è pieno di questi suoni, ma alta e feroce, la voce di colui che fu Hijikata Toshizo si levava alta e potente. Un tuono che squarciava l’aria, il vento che scuoteva gli alberi, un fulmine che si abbatteva su una montagna. Sangue di nemici impregnava i suoi capelli scuri ormai tagliati, ma l’odore metallico serviva solo a far infuocare i suoi occhi di brace: occhi che reclamano morte, urla e disperazione in una guerra che ormai non è più sua. Non importa, continuò a combattere ancora.
I nemici numerosi cadevano sotto la sua lama crudele, ma il suo sguardo e la sua ira non si placavano: il lupo ulula ancora dentro il suo corpo, urla e si dibatte affamato di carne. Uccide senza sosta, i nemici lo circondano, ma lui grazie al suo cavallo e alla fedele katana riuscì a crearsi un varco e tagliare le loro teste. Sì, una ad una cadevano e si perdevano sotto i ferri di cavallo. Avrebbe continuato così fino alla fine dei suoi giorni, quando ecco che una figura avvolta da un kimono blu e bianco, diviso a balze, illuminò il campo di battaglia come l’apparizione di un angelo. Hijikata sussultò perdendosi nei suoi occhi neri, e la mano snella ma forte che stringeva l’asta della bandiera rossa. Una bandiera che ancora si agita nel suo cuore: quella bandiera il cui stemma, Makoto, era impresso come un marchio indelebile. I capelli di quel giovane ragazzo vestito da Shinsengumi erano raccolti in un’alta coda, e i capelli corvini si muovevano al vento.
<< Souji…>> allungò una mano, ma un suono simile al ruggito di una belva lo costrinse a voltarsi, in tempo per vedere quella luce che squarcia l’aria conficcandosi infine al suo fianco. Bruciore, fuoco ardeva nelle sue carni nel momento in cui cadde a terra, disarcionato dal cavallo spaventato. Uno sparo. Ecco cos’era…Uno sparo che metteva in risalto la superiorità delle armi da fuoco su quelle katane modellate dagli dei. E’ dunque quella la fine?
<< No, Toshi…>> la voce dell’apparizione di pochi secondi prima gli fece aprire gli occhi, e sollevando il viso vide una mano bianca che si protendeva verso di lui. Okita gli stava sorridendo, quel sorriso che in quei giorni lontani, in quei giorni di gloria, aveva dato speranza all’intero corpo dello Shinsengumi. Un sorriso di bambino che stava illuminando quel campo madido di morte.
Hijikata prese la sua mano, e
stringendo con l’altra una
katana, si gettò nella folla insieme ad Okita, combattendo
fianco a fianco
mietendo vittime, una dietro l’altra. Il dolore al fianco
però era troppo
forte, e consumate le energie, e l’impeto che lo muoveva,
cadde esausto in
mezzo a quel fango e sangue. Ma un sorriso illuminava il suo volto: un
sorriso
di chi ha combattuto con tutte le sue energie fino alla fine,
mantenendo vivi i
propri ideali e quell’amore che lo ha animato sempre, in ogni
momento.
<< Toshizo, hai mantenuto la promessa>> la
voce di Okita arrivò
alle sue orecchie, e quando aprì gli occhi si trovava da
solo con lui, con la
veste da vice comandante a coprire il suo corpo.
<< …l’hai mantenuta fino in fondo. Adesso, puoi venire con me>> gli sorrise, sorrise ancora. Prese la sua mano, e lo seguì ancora.
L’ultima marcia degli
Shinsengumi cominciò dove i posteri
non possono posare lo sguardo. La marcia dei Lupi di Mibu.