Era tutto buio. I suoi respiri affannati riecheggiavano e rimbalzavano contro quelle pareti tanto vicine che sembrava la stessero schiacciando. La sua pelle era inumidita dal sudore, dal sangue, macchiata dalla terra e dal fango e dai lividi. Si trovava in una sottospecie di sgabuzzino: le pareti vicine le une alle altre, il soffitto basso, la porta in legno con la maniglia posta dall'altra parte di dove si trovava lei.
Il legno della porta era ruvido e duro, con solchi, lasciati dalle unghie, dipinti di un liquido rosso, un po' secco e un po' ancora fresco; striature e macchie irregolari di fluidi corporei si irradiavano fra i graffi e le schegge di quella porta, sembrando una via di mezzo fra un'opera di Fontana e la Foresta incantata di Pollock,
Il fiato le mancava sempre più: l'aria si era fatta pesante e povera.
I suoi polmoni si contraevano in modo irregolare, velocemente, cercando un po' di ossigeno in quella gabbia fatta di mattoni, cemento e legna.
Il pavimento era freddo e il suo corpo si irrigidì sempre più. Aveva la pelle d'oca e i brividi le percorrevano la schiena e le braccia e le gambe.
Era spaventata, spaesata, rannicchiata, con le sue stesse braccia che la abbracciavano in cerca di conforto e calore, senza più forze in quel suo gracile e giovane corpo fatto di graziose curve e lunghi capelli, accarezzato dalle sue lacrime e dai suoi singhiozzi.
Si era svegliata lì, in quell'umido buco, senza ricordare come ci fosse arrivata. Il motivo lo sapeva: suo marito, il comandante Bravecliff.
La notizia della sua scomparsa, assieme a quella del sottufficiale Meister, volava di orecchio in orecchio, planando fra le folle, penetrando in testa a chiunque ne fosse arrivata.
Sapeva che suo marito non aveva disertato assieme a Tom perché codardo e vigliacco. Se lo aveva fatto, ci doveva esser un motivo. Ma quale?
La mattina dopo la scomparsa di suo marito, lei era a casa, persa nelle faccende domestiche, quando suonò il campanello. Appena vide che erano quelli dell'esercito, pensando fossero arrivati lì per dirle qualcosa riguardo la fuga di suo marito, aprì la porta.
Una montagna di due metri le piombò addosso, scaraventandola contro il tavolino appoggiato alla parete. Le grazioso foto, che erano sul mobile, si romperono dopo l'urto. Migliaia di schegge di vetro si posarono sul pavimento. Luccicavano come diamanti che rifrangono e riflettono la luce. L'urto fu distruttivo per un corpo graziato come il suo. L'aria le mancò e i polmoni sembravano non funzionare più. Cercò di rialzarsi a stento, ma più che mettersi a gattoni non riusciva. Le braccia le tremavano, gli occhi vedevano offuscato, colpa delle lacrime e della botta. Il militare le si avvicinò, la prese per il collo e la sollevò.
« Dicci ora dove è andato suo marito e non ti sarà fatto ulteriore graffio.» non aveva ancora realizzato cosa le stesse accadendo o il perché di tutto ciò. Stette ferma, immobile, non emise un suono. «Bene»,
Dopo queste parole, la mano dell'uomo si strinse a pugno. Caricò il braccio.
Ogni fibra del suo muscolo si contrasse. Il suo bicipite era quasi marmoreo, statuario, perfettamente definito in ogni sua fascia.
Le fibre scattarono, le fasce si allungarono, il pugnò schiantò contro il viso della donna.
Le ossa dello zigomo si frantumarono al contatto con le nocche di quella mano. La donna non emise nemmeno uno sbuffo. Quel colpo era stato troppo violento per un corpo misero ed esile come il suo.

Svenne all'istante.