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Autore: Shainareth    13/12/2008    5 recensioni
[Mai HiME - anime] Senza che potesse farci nulla, scoppiò di nuovo a singhiozzare contro la sua spalla ed il suo petto, implorando il suo perdono più e più volte. Il ragazzino, il cui cuore questa volta batteva un ritmo anomalo non certo per via della malattia, affondò la bocca fra i suoi capelli, assicurandole che non c’era nulla per cui piangere, ormai, né per cui chiedere perdono.
Sequel di Lacrime richiestomi da Hinata_chan, accompagnato da un piccolo poscritto (se così può definirsi) che potete considerare una sorta di omake.
Genere: Romantico, Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akira Okuzaki, Nuovo Personaggio, Sorpresa, Takumi Tokiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Disonore

 

 

Infine, i suoi occhi a mandorla si spostarono su di un’altra sagoma illuminata, accasciata in terra. Una sagoma a lei ben più familiare. Una sagoma amata.

   Senza più chiedersi se la sua fosse follia o meno, le venne istintivo richiamare il proprio Element, e nel palmo della sua mano si materializzò un sottile pugnale a doppia lama che un attimo dopo recise la corda che la teneva legata. E se i poteri di HiME le erano tornati, allora era tornato anche lui.

   Scattò nella sua direzione, chiamandolo con voce forte, eppure roca; ma il piede addormentato la tradì, e lei ricadde subito carponi.

   «Akira-kun!» udì echeggiare per la stanza. Non stava sognando, non era impazzita.

   Lo vide muoversi celermente in suo aiuto, e quando lui la sollevò per le braccia, lei gli si aggrappò al collo, così forte che, senza neanche avvedersene, si fece male alla nuca. Lui ricambiò l’abbraccio con tutto se stesso, ed Akira riuscì a sentirne il calore. Un calore che un morto o un’illusione non avrebbero saputo darle.

   Senza che potesse farci nulla, scoppiò di nuovo a singhiozzare contro la sua spalla ed il suo petto, implorando il suo perdono più e più volte. Il ragazzino, il cui cuore questa volta batteva un ritmo anomalo non certo per via della malattia, affondò la bocca fra i suoi capelli, assicurandole che non c’era nulla per cui piangere, ormai, né per cui chiedere perdono. Akira si strinse maggiormente a lui, quasi salendogli in grembo, trascinandosi dietro quel piede che non voleva saperne di collaborare.

   Attraverso la stoffa sottile che li separava, Takumi poteva ora avvertire nitidamente quanto il cuore di lei sembrasse un tamburo impazzito, come volesse esplodere dalla gioia di riaverlo con sé. Non che il giovane necessitasse di ulteriori conferme circa l’affetto che li legava, ma quell’emozione così sincera, quel bisogno fisico, e non solo, che divorava entrambi, erano ormai così forti che né l’imbarazzo del dover mettere del tutto a nudo il proprio animo, né il pudore di non avere quasi nulla indosso, poterono farli desistere, almeno per una volta, dall’abbandonarsi totalmente alla mancanza di lucidità.

   Quando il pianto di Akira parve scemare, lui allentò la stretta per poterla guardare, ma lei si ostinò a nascondere il volto ai suoi occhi. Takumi sorrise, posando le labbra contro la sua corta frangetta scura. Fu allora che la fanciulla alzò timidamente lo sguardo, e fu allora che lui si sporse per asciugarle una lacrima con un bacio. Quel contatto le bruciò la pelle, una sensazione calda e miracolosa. I loro occhi si incrociarono senza più fuggire, le loro mani si cercarono, le loro fronti premettero dolcemente l’una contro l’altra. Il loro respiro si confuse, le loro bocche si schiusero, si sfiorarono.

   La porta si spalancò di colpo, facendoli trasalire, ed una luce artificiale investì i loro corpi, allacciati in quello che fino ad un attimo prima era stato il più tenero degli abbracci, ma che ora, invece, sembrava la caricatura del celebre Bacio di Gustav Klimt.

   «Pa… Padre!» esclamò Akira, rossa in volto come mai lo era stata in vita sua, forse neanche quando Takumi ne aveva scoperto la vera identità sorprendendola in bagno qualche tempo prima. Una parte di lei avrebbe voluto sfuggire all’abbraccio della persona a lei più cara, un’altra parte si vergognava di mostrarsi alla luce più nuda che vestita e sperava che il corpo del giovane potesse farle in qualche modo da scudo contro il severo sguardo paterno.

   Sguardo che però al momento pareva vacuo.

   «Padre…» iniziò a balbettare la ragazzina, temendo la collera dell’uomo forse più di Lord Kokuyou. Lo aveva già deluso molto con la storia del Carnival, e adesso le circostanze parevano prendersi gioco di lei, trasformando il sentimento puro ed incorruttibile che univa lei ed il suo innamorato, in un qualcosa di pericolosamente fraintendibile. «Padre… ti giuro che…» ma la voce le morì in gola quando, udendo voci maschili alle sue spalle, il Maestro mosse una mano per sbattere con forza la porta sui cardini, recludendo loro tre solamente nell’oscurità della stanza.

   «Padre…?» riprovò Akira, iniziando ad allontanarsi da Takumi con un certo pudore.

   Non ottenne risposta.

   «O… Okuzaki-san?» osò farsi avanti il ragazzo, preoccupato.

   L’uomo parve infine scuotersi. Il suo respiro pesante poteva ora udirsi all’interno di quelle quattro mura, facendo tremare la piccola kunoichi, rea di essersi macchiata di una nuova vergogna: quella di essersi lasciata andare a fra le braccia di un giovane, e in abbigliamento poco decoroso, per di più.

   «Hai osato disonorare tuo padre ancora una volta» fu la prima cosa che il Maestro pronunciò con voce cavernosa.

   Akira deglutì, spaventata. «Disonorare?» non poté invece far a meno di ripetere Tokiha, stranito.

   La fronte di Okuzaki-san si corrucciò ulteriormente, ed il suo sguardo si posò solo su di lui, questa volta, come volesse incenerirlo.

   «Takumi!» provò a richiamarlo la fanciulla in un bisbiglio disperato. «Non…!»

   «Qualcosa da ridire, ragazzo?» la interruppe il Maestro.

   L’altro si alzò in piedi e si volse del tutto nella sua direzione. «Perdoni la mia insolenza, Okuzaki-san. Sono Tokiha Takumi» si presentò dunque con la massima educazione, porgendogli rispetto con un inchino.

   «Lo so chi sei» tagliò corto l’uomo, pur non riuscendo a non apprezzare il portamento e la posatezza di lui. Anche se sua figlia non gli aveva raccontato nulla circa la persona che aveva prepotentemente preso il suo posto nel cuore di lei, Okuzaki-san aveva i propri informatori al riguardo. E sebbene riconoscesse che non vi era nulla di sbagliato nel sentimento che i due ragazzi nutrivano l’uno per l’altra, e ne provasse addirittura sollievo perché da sempre timoroso che la sua bambina, costretta a fingersi un maschio, avesse potuto avere, crescendo, seri disturbi sulla propria sessualità, in qualche contorto modo, o forse per puro egoismo paterno, la cosa gli insidiava nell’animo una certa gelosia. «Ma questo non ti autorizza ad approfittarti di mia figlia» continuò con quella che appariva come calma solenne, ma che in altre circostanze Akira avrebbe giurato appartenere al Monte Pelée prima dell’eruzione del 1902.

   Tuttavia, dopo quelle parole fu la ragazzina ad esplodere, trovando un coraggio che mai avrebbe creduto di poter usare contro il proprio padre. «No, aspetta!» esclamò, balzando anche lei in piedi. La gamba intorpidita minacciò di nuovo di farla crollare in terra, e Akira dovette aggrapparsi al braccio di Takumi per qualche attimo. Quindi, non curandosi più del suo aspetto indecente, zoppicò davanti al giovane, ponendosi in sua difesa. «Lascia Takumi fuori dai nostri dissidi personali!»

   «Akira, sei in condizioni indecorose» le ricordò invece il Maestro, senza badare alle sue proteste.

   «Sei stato tu a chiudermi qui in queste condizioni!» gli rinfacciò lei.

   Okuzaki-san si tolse lo haori che aveva indosso ed avanzò per metterlo sulle spalle della figlia, che, nonostante l’indignazione, non si ritrasse. I loro sguardi si incrociarono per la prima volta dopo molto tempo, forse da quando la ragazzina aveva lasciato la casa paterna per entrare al Fuuka Gakuen.

   Takumi si sentì quasi di troppo, benché si rendesse perfettamente conto di essere la causa scatenante di quella discussione familiare. «Ehm… Okuzaki-san?» provò ancora, sperando di riuscire in qualche modo a mettere pace.

   L’uomo non si disturbò di spostare lo sguardo da quello di sua figlia. Se c’era una cosa certa, a questo mondo, era che Akira avesse preso la caparbietà di suo padre.

   Pur non essendo del tutto sicuro di essere udito dai due, Takumi tornò ad inchinarsi. «Se ha pensato male di me o se crede ch’io abbia mancato di rispetto a qualcuno, le chiedo scusa. Ma la prego di non offendere sua figlia attribuendole colpe di cui mai si è macchiata.»

   La kunoichi si scosse, voltandosi di scatto a guardarlo come se non l’avesse mai visto prima di allora. Non sapeva se provare ammirazione o orrore per quelle parole: Takumi sfidava suo padre?! Era diventato matto?!

   Il Maestro dovette essere dello stesso avviso, perché il suo sguardo si incupì più di prima.

   «Mi rendo conto che quella in cui ci ha sorpreso è una situazione equivocabile» continuò imperterrito il giovane, non lasciandosi intimorire. Se per Akira aveva già affrontato la morte una volta, niente gli impediva di affrontare un ninja. «Però, mi perdoni, ma temo che lei sia stato ingiusto nei confronti di Akira-kun.»

   Okuzaki-san, ancora chino sulle spalle della ragazzina, raddrizzò la schiena per torreggiare su di lui, come volesse mettere alla prova quel coraggio inaspettato. «La nostra è una famiglia molto antica, dalle tradizioni indiscutibili. Per noi Okuzaki, il clan è tutto» prese quindi a rispondere con voce ferma. «Ed il senso dell’onore anche.»

   «Il che è ammirevole, Okuzaki-san» si trovò d’accordo Takumi, accennando un nuovo inchino. «Essendo rimasto solo al mondo, Onee-chan a parte, non posso che condividere il vostro modo di vivere e di intendere la famiglia» assicurò. «Ma mi permetta di farle nuovamente presente che lei sta facendo torto a sua figlia. E a se stesso, per di più.»

   Ora Akira sapeva che quello che le stringeva lo stomaco era senso dell’orrore e nient’altro che quello.

   Il Maestro ancora una volta non diede a vedere di essere rimasto colpito dal ragazzino. «A me stesso?»

   L’altro annuì. «Immagino sia stato lei a trasmettere ad Akira-kun i valori familiari ed il senso dell’onore del clan.»

   «Va’ avanti.»

   «Quindi, dubitando dell’integrità morale di sua figlia, lei accusa se stesso di avere fallito il proprio compito di guida, oltre che di padre.»

   Akira dovette fare ricorso a tutta la propria forza interiore per non prendere il ragazzo di peso e non fuggire con lui dalla finestra aperta, unico modo, forse, per salvarlo dalla collera dell’uomo.

   Quest’ultimo, però, non diede segno di essere stato offeso. Anzi. Rivolse la propria attenzione alla figlioletta, tremante come una foglia sotto un haori troppo grande per lei, e non certo per la paura, quanto per tutto quel violento susseguirsi di emozioni che l’aveva investita in pochi istanti. «I tuoi poteri sono tornati?» fu la domanda inaspettata che pronunciò il Maestro. La ragazzina annuì. «Ne conosci la ragione?»

   Scosse il capo. «Però… so cosa devo fare» rispose con tono incerto.

   «Quand’è così,» riprese l’uomo, voltando loro le spalle e tornando a muovere i primi passi verso l’uscita della stanza, «proteggi ciò che hai di più caro come soltanto un ninja del clan Okuzaki è in grado di fare.»

 

 

 

Quando la porta si fu richiusa, Akira, ancora attonita per tanta insperata magnanimità, quasi crollò di nuovo in terra. «Ehm… pensi che io abbia esagerato?» le domandò Takumi, iniziando a sentirsi un po’ in colpa per aver osato controbattere durante una discussione con un adulto, con il padre della sua amata, per di più.

   Lei si volse a fissarlo sempre più inebetita. «Tu… oddio…» alitò, non riuscendo a trovare le parole. Alla fine la gioia l’ebbe di nuovo vinta e Akira saltò al collo del ragazzo per la seconda volta, così di colpo che quasi gli fece perdere l’equilibrio, e se non fosse stato per la prontezza di riflessi di lui, lo haori del Maestro sarebbe scivolato sul pavimento. La kunoichi non sperava che suo padre potesse davvero reagire in quel modo, assolutamente. «Grazie, Takumi» mormorò poi.

   «Non ho fatto niente…» rispose lui, impacciato.

   L’abbraccio si sciolse lentamente ed i loro occhi si cercarono ancora con tenerezza. Takumi trovò il coraggio per fare la prima mossa, avvicinando il volto a quello di lei che, questa volta senza timore, gli facilitò la cosa.

   «Akira-san?» fu la timida voce che ruppe l’incanto prima ancora che le loro labbra potessero sfiorarsi anche solo per sbaglio.

   Una doccia fredda investì i due ragazzini, e Akira lanciò un urletto, staccandosi repentinamente da Takumi e coprendosi la bocca con le mani: si era completamente dimenticata della presenza dell’ologramma di Mashiro. Come suo padre non l’avesse notata, non riuscì a spiegarselo; o, forse, la collera dell’uomo era stata tale che la sua attenzione si era focalizzata soltanto sulla figura di sua figlia, seminuda, fra le braccia di quello che per lui era un perfetto sconosciuto – e non si poteva dargli torto.

   «Direttrice?» biascicò Takumi, sempre il primo dei due compagni di stanza ad abituarsi in fretta alle stranezze e a recuperare padronanza di sé.

   «Akira-san, sono spiacente di rovinare questo momento tanto importante,» iniziò a spiegare la bambina, scrutandoli con fare curioso mentre con una mano pescava da un sacchetto di pop-corn che non si sapeva esattamente da dove fosse spuntato fuori, «ma Lord Kokuyou non aspetta certo noi…»

   «Giusto!» esclamò la piccola ninja, ritrovando finalmente una certa lucidità mentale – ma non tale da porsi domande sui pop-corn di Mashiro. Si tolse lo haori di dosso e lo posò sulle spalle del ragazzo. «Takumi, tu aspettami qui. Tornerò presto.» Lui annuì, sorridendole fiducioso. «E questa volta non verrò sconfitta, te lo prometto» aggiunse con decisione Akira, prima di sporgersi in avanti per posargli un bacio sul viso, seppur con un certo imbarazzo.

   E quando corse in cerca dei suoi abiti per partire con il ritrovato Gennai alla volta della Terra di Fuuka, Takumi si sentì chiamare alle spalle. Si volse appena in tempo per vedersi porgere un sacchetto colmo di pop-corn.

   «Ne vuoi un po’?»













La prima stesura di questa shot era venuta fuori troppo seria (rispetto a quello che avevo inizialmente in testa, eh!) perché il personaggio del padre di Akira mi ispira un certo timore, lo confesso. ^^; E così, siccome questa shot mi è stata commissionata da Hinata_chan, quest'ultima mi ha chiesto anche un omake finale che potesse ritrarre Mashiro con i pop-corn, la stessa figura (senza pop-corn, però! XD) che anch'io avrei voluto inserire nella prima parte ma che poi, per un verso o per l'altro, è stata dimenticata per dare più spazio al Maestro.
Spero di non aver fatto storcere il naso ai fan di Mashiro, visto che è la prima volta che tratto della piccola Kazahana. XD Prometto di trattarla col dovuto rispetto non appena l'ispirazione me lo consentirà. è_é
Ah, quando ho fatto leggere questa shot a Hinata_chan e a NicoDevil, entrambe mi hanno commissionato un omake dell'omake di quest'omake (nata a sua volta come omake di Lacrime). Non c'è da spaventarsi, se non capite, tranquilli. Ho soltanto voluto avvisarvi nel qual caso doveste trovarvi a leggere un'altra idiozia, tutto qui. XD
Ringrazio per le recensione alla precedente shot Hinata_chan, NicoDevil, Chiarucciapuccia, Atlantislux (che si merita un bacio anche per altri motivi) e Hanako_chan, oltre che tutti coloro che si sono disturbati a leggere ancora una volta una delle mie tante elucubrazioni circa Takumi e Akira.
Shainareth





  
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