America 2025
La disoccupazione è ridotta al 3%, la
criminalità è quasi inesistente e ogni anno
sempre meno persone vivono sotto la
soglia di povertà.
TUTTO
QUESTO GRAZIE A:
LO
SFOGO
(ANARCHIA)
"Benedetta
l’America, una nazione risorta. Benedetti i nuovi padri
fondatori, che ci hanno
permesso di poter sfogare e purificare le nostre anime."
Capitolo
I
Kevin
21 Marzo, ore 16:38
Tempo rimanente allo sfogo annuale: 2 ore e 22
minuti.
Kevin camminava a testa bassa, mani in tasca, cuffie nelle orecchie e la testa tra le nuvole. Schivava tutte le persone indaffarate e frettolose che incontrava sul marciapiede, mentre dalla strada giungevano schiamazzi, colpi di clacson e imprecazioni, dovuti al disagio e alla fretta che quel giorno causava negli animi di tutti, tutti gli anni. Tutti tranne lui e i pochi altri nelle sue condizioni.
Passando
accanto alla vetrina di
un negozio di elettronica, alzò impercettibilmente la testa,
volgendo lo
sguardo verso la supertecnologica televisione a schermo piatto esposta,
dove un
giornalista nel suo studio, stava dicendo: «Il
traffico cittadino si sta facendo più intenso,in vista dello
Sfogo di questa
notte. Se non siete interessati a parteciparvi, vi consigliamo di
tornarvene
nelle vostre case e al più presto. Se invece deciderete di
liberare la
"Bestia", allora vi auguriamo felice purificazione.»
Kevin scosse impercettibilmente la testa
in segno di disappunto sentendo quei falsi auguri e raccomandazioni,
poi
riprese il suo cammino. Si risistemò l’auricolare,
che si era tolto per poter
sentire quanto il giornalista stava dicendo.
Era un ragazzo di diciassette anni, il
tipico adolescente americano. Capelli corti e castani, tirati
all’insù, ma
nascosti sotto un berretto a visiera. Occhi marroni nocciola
e caldi, un po’ di peluria sul viso e
abiti semplici, felpa e pantaloni da ginnastica, entrambi grigi scuri.
Non era
molto grosso, ma compensava con una statura leggermente al di sopra
della
media. Con la borsa a tracolla e l’aria di uno che non vedeva
l’ora di
potersene tornare finalmente a casa sua, per buttarsi nel letto e
dormire fino
a nuovo ordine, sembrava essere uno studente esausto di ritorno da
scuola, cosa
che tra l’altro era vera. Era stato trattenuto per aver avuto
un
"piccolo" battibecco con un suo compagno di classe, George Nicols.
Piccolo battibecco nel senso che si erano azzuffati pesantemente, come
capitava
spesso. Il piccolo livido che aveva sotto l’occhio ne era
dimostrazione. Non
ricordava nemmeno il motivo del loro litigio, a dire la
verità. Forse qualcosa
sulle loro madri, o sorelle, chi lo sa. Erano dapprima volate parole,
poi
insulti, libri e per concludere cazzotti. La
loro adorabile professoressa li aveva fatti
separare sbraitando all’impazzata, poi li aveva trascinati
nell’aula di
detenzione, dove erano rimasti fino alle quattro del pomeriggio, tre
ore prima
dello Sfogo, perciò quando di tempo da perdere in punizione decisamente non ce n’era. Solo
che la
suddetta era in macchina, quindi tornarsene a casa al calduccio e al
sicuro per
lei non era un problema. Il simpaticone di George invece aveva i suoi
amichetti
leccaculo che lo aspettavano, con i loro SUV lussuosi, regali dei loro
genitori
ultraricchi. Kevin, quale lo sfigato che era, non aveva nulla, se non
le
proprie gambe. I suoi genitori non erano disponibili in quel momento e
abitava
dall’altra parte della città. I pullman avevano
smesso di passare dalle tre,
perciò non aveva molta scelta. Sospirando rassegnato, si era
messo le cuffie,
sparandosi la musica rock dei Rise
Against a tutto volume nelle orecchie, aveva infilato la
borsa a tracolla e
si era incamminato di buona leva. Dopo quaranta minuti, forse era a
metà
strada. Gli costò molto trattenere imprecazioni a tutto
spiano.
Raggiunse una delle numerose vie
principali, piena zeppa di traffico, negozi, locali di vario genere e
uno
schermo piatto gigante, piazzato sopra un alto edificio che, con la
coda di
altre costruzioni di cui era costituito, faceva da spartiacque tra due
strade.
Lo schermo rimase nero e spento per un breve attimo mentre precorreva
quella
strada, poi si accese all’improvviso e un uomo, con i capelli
bianchi, corti e
radi e un volto piuttosto segnato dall’età, si
posizionò davanti all’obiettivo
della telecamera. Sull’angolo in basso a destra era riportato
in rosso il nome
del suddetto: Donald
Talbot.
Era chiaramente in uno studio
televisivo, ad un’intervista trasmessa in diretta .
Kevin lo sentì esordire, rivolto a tutti
i cittadini che in quel momento potevano guardarlo e sentirlo: «Mi
chiamo Donald Talbot. Il nostro regime fu votato undici anni or
sono. In risposta all’epidemia criminale che opprimeva questa
nazione, nacque
"Lo Sfogo Annuale, per gestire al meglio...»
Il ragazzo fece una smorfia e alzò il
volume della musica, per smettere di sentire quella trafila che ormai
conosceva
a memoria e che vedeva tutti gli anni. Lo Sfogo, un evento annuale
realizzato
per permettere a tutti i criminali di potersi, per l’appunto,
sfogare e
liberare da tutto ciò che li opprime. Stuprando, rubando,
uccidendo. Così
facendo, la criminalità si sarebbe ridotta drasticamente, in
quanto i criminali
avrebbero atteso quel momento per sprigionare la loro furia e non
avrebbero
fatto niente altro nel corso dell’anno. Infatti, da come
dicevano i reperti, la
criminalità era praticamente inesistente e la disoccupazione
era ridotta a
cifre insignificanti. Il tutto ovviamente portava enormi benefici alle
casse
dello Stato.
Quello
di uccidere o sfogarsi in generale durante
quella sera era inoltre considerato un buon modo per "purificare la
propria anima". In base a cosa si affermava questo, ancora non lo aveva
capito. Cosa c’è di purificante
nell’uccidere? Al massimo l’anima dovrebbe
macchiarsi ulteriormente, non il contrario.
Ma Kevin sapeva qual’era la
realtà
celata dietro allo Sfogo. Era stato un uomo, Carmelo, a farglielo
capire,
grazie a dei video di protesta che aveva lanciato in rete due anni
prima. Quella
notte, non era fatta per motivi come la riduzione della
criminalità, la
disoccupazione o la purificazione. Tutto ruotava intorno ai soldi.
Durante
quella notte, le maggiori vittime chi erano? I ricchi, che se ne
stavano
tranquillamente nelle loro case, protetti da strettissimi e
costosissimi
sistemi di sicurezza? No, certo che no.
Le maggiori vittime erano i poveri, che
non avevano i soldi per difendersi, magari comprando armi o sistemi di
sicurezza.
Erano i barboni, i mendicanti, i malati, i disoccupati. Tutte persone
che
intralciavano l’economia del paese e che venendo eliminate,
smettevano di
intralciarla di conseguenza. Per forza che non c’erano
più disoccupati,
morivano quasi tutti ogni anno.
A Kevin quella cosa causava enorme
ribrezzo. Senza contare che lui stesso apparteneva alla categoria delle
persone
agiate, che non correvano alcun rischio. I suoi genitori infatti erano
benestanti e sempre indaffarati, ragion per cui non erano andati e
prenderlo a
scuola.
Un’altra cosa che gli faceva salire la
bile, era il fatto che i nobili fossero fissati a loro volta con lo
Sfogo, in
particolare con la storia della purificazione delle anime. Loro stessi
approfittavano di quella sera per macchiarsi le mani con degli omicidi.
Ma non
lo facevano scendendo in strada durante quella notte. Troppo rischioso.
Pagavano delle bande di teppisti per rapire i poveracci da uccidere e
portarglieli, cosicché potessero purificarsi senza troppa
fatica. Oppure andavano
negli ospedali e reclutavano persone malate e morenti, promettendo loro
in
cambio vitalizi per le loro famiglie. Aveva anche sentito parlare di
alcune
aste, nelle quali i lotti erano le vittime che le bande rapivano.
Disgustoso.
L’unica e piccola nota positiva in tutto
ciò era che per lo meno i suoi genitori, anche se
benestanti, non erano fissati
con quella boiata della purificazione e la notte dello Sfogo se ne
stavano
tutti e tre, era figlio unico, al sicuro in casa loro.
Sentì una folata d’aria fredda
e si
strinse nelle spalle, per scaldarsi un po’.
Abbassò il berretto a visiera, così
da nascondere gli occhi marroni da sguardi sgraditi e a testa bassa
affrettò il
passo. Stava seriamente cominciando a stancarsi di quel viaggio di
ritorno. Ma
quanto cavolo abitava lontano? I suoi piedi gli stavano chiedendo
pietà. Che
bello avere i genitori ricchi che non ti possono mai aiutare
perché troppo
impegnati. Davvero, uno spasso. Alzò ulteriormente il volume
della musica e
sprofondò con la testa nel colletto della felpa, per
riparasi meglio dagli
spifferi.
«Spero che questa notte passi in
fretta...» brontolò.
Svicolò in una viuzza secondaria e si
allontanò dal caos delle strade principali. Pessima idea. Si
ritrovò davanti
uno di quei poveracci che approfittavano della vigilia dello Sfogo per
guadagnarsi due soldi vendendo armi varie. Era un uomo di colore,
vestito con
abiti sgualciti.
«Ehi, nella notte dello Sfogo non puoi
difenderti a pugni!» stava dicendo alle persone frettolose
che gli camminavano
accanto.
«Ti serve protezione, amico!»
disse ad
un uomo che gli passò vicino.
«Massì,
dai, difenditi a cazzotti, bravo!» gridò quando
quell’uomo lo ignorò e tirò
dritto.
Kevin gli passò accanto cercando di non
guardarlo, ma fu tutto inutile. L’uomo gli si parò
davanti e cercò di
incrociare il suo sguardo, fallendo. «Ehi, ragazzo!
E’ pericoloso sta sera,
vuoi un arma? Uzi? M9? M1911? Magari
un fucile a pompa?»
Kevin lo ignorò e gli girò
intorno, al
che l’uomo si accigliò per davvero.
«Bene, allora fatti ammazzare anche te!»
Non
credo
pensò Kevin.
Andò avanti per un altro breve tratto
poi vide qualcosa che non lo lasciò del tutto indifferente.
Era un gruppo di ragazzi, radunati
intorno a delle moto da cross e un furgone beige. Tutti quanti avevano
il volto
coperto, o da della pittura di guerra o da delle maschere o da entrambe
le
cose. Ce n’erano di tutti i tipi. Maschere di teschi,
diavoli, demonietti,
marionette, anche la maschera degli Anonymus. Per quanto riguarda
quelli con la
pittura di guerra, si potevano trovare con il volto completamente
bianco, nero
e con ghirigori vari, tipo ghigni cattivi, fiamme, finte cicatrici...
Era chiaramente
una di quelle bande criminali che la notte dello Sfogo andava a rapire
i
poveretti da portare alle aste o ai nobili che volevano purificarsi. Da
come si
conciavano, sembravano prendere davvero sul serio quella sera. Tutti
quanti
parlottavano tra loro e non fecero caso a Kevin. Tutti tranne uno, che
aveva
indosso una maschera bianca, da marionetta, con la scritta "GOD",
Dio, sulla fronte. Il suddetto fissò Kevin per un breve
attimo, poi lo salutò
con un rapido cenno delle dita. Il ragazzo fece di tutto per non
guardarlo e
ignorarlo e tirò dritto. Senti il sangue gelarsi nelle vene
davanti a quei tizi
e fu grato di avere una famiglia benestante che gli permetteva di avere
un
rifugio sicuro. Si sentì in colpa per tutti quei poveretti
che invece si
sarebbero trovati in completa balia di quei pazzoidi.
Camminò per un altro breve tratto, poi
un fuoristrada nero lo affiancò. Kevin non lo
sentì arrivare, visto che aveva
le cuffie. Si accorse della sua presenza solamente quando
spostò lo sguardo a
sinistra. Vide il veicolo nero procedere a velocità
contenuta, per restare al
suo passo. Inarcò un sopracciglio guardandolo e si
fermò. La macchina arrestò
la sua marcia a sua volta, restandogli accanto. Chiunque vi fosse al
suo
interno, a quanto pare, voleva lui.
Il
finestrino oscurato del sedile del lato passeggero si
abbassò lentamente, rivelando
un volto noto, che gli rivolgeva contro un sogghigno sghembo, beffardo
e
provocatorio. Non ci mise molto a riconoscerlo.
«Nicols.» disse scontroso,
storgendo il
naso. «Che cavolo vuoi?»
«Vendetta.» fu la risposta del
ragazzo,
un attimo prima che le portiere posteriori si aprissero e
fuoriuscissero i suoi
amici gorilla, armati di mazze da baseball. Kevin non riuscì
a fare nulla per
difendersi. Fu colpito alle ginocchia e alla testa con le mazze e poi fu il buio.