Se fosse in grado di offrirmi il lusso di qualche prodotto raffinato, se potesse donarmi anche una sola goccia del succo degli incantevoli frutti che crescono nel giardino dell’Arte… allora forse accetterei come un dono gradito quest’ansia che mi attanaglia.
Allora forse potrei sentirmi in qualche modo purificata dalla morsa che mi serra le viscere, dissipando i pochi stralci di sonno che la mia mente aveva trattenuto per coprire la tremenda nudità della notte. Purificata da quella stessa morsa che mi costringe - senza possibilità di svicolare - a guardare dritto in faccia le mostruose fattezze del buio. Il suo orribile ghigno.
Ma le ore si dipanano come un maglione sfilacciato, tirato pigramente per un capo. Sono costretta ad assistere allo svolgersi di ogni singolo minuto. Anche se cerco di ignorarne il passaggio, le ore mi sfilano sotto il naso in una sfacciata processione di scherno. E da quelle ore, da quei minuti, niente germoglia se non un irrimediabile tedio.
Il tempo della mia insonnia è sterile come il suolo di Cartagine.
“Carthago delenda est”.
Cartagine deve essere distrutta.
Così queste mura. Questi macigni inutili, che sbarrano il passo a tutti gli eserciti venuti a portare promesse di un futuro migliore e più prospero.
Non ho più niente da proteggere. Oltre le mura, solo un giardino di ortiche, e una terra coperta di sale.
Ma non sono ancora pronta a lasciarmi conquistare. Non posso permettere che la terra che ho saturato del mio seme fino a farle perdere del tutto la fertilità venga coltivata da altre mani, da altre braccia. Già mi vedo, nell’angolo, intenta a raccogliere i cardi della mia sconfitta. E la loro immagine fa male… perché so che sono molto più belli del mazzo avvizzito che ho fra le mani adesso.
Allora forse potrei sentirmi in qualche modo purificata dalla morsa che mi serra le viscere, dissipando i pochi stralci di sonno che la mia mente aveva trattenuto per coprire la tremenda nudità della notte. Purificata da quella stessa morsa che mi costringe - senza possibilità di svicolare - a guardare dritto in faccia le mostruose fattezze del buio. Il suo orribile ghigno.
Ma le ore si dipanano come un maglione sfilacciato, tirato pigramente per un capo. Sono costretta ad assistere allo svolgersi di ogni singolo minuto. Anche se cerco di ignorarne il passaggio, le ore mi sfilano sotto il naso in una sfacciata processione di scherno. E da quelle ore, da quei minuti, niente germoglia se non un irrimediabile tedio.
Il tempo della mia insonnia è sterile come il suolo di Cartagine.
“Carthago delenda est”.
Cartagine deve essere distrutta.
Così queste mura. Questi macigni inutili, che sbarrano il passo a tutti gli eserciti venuti a portare promesse di un futuro migliore e più prospero.
Non ho più niente da proteggere. Oltre le mura, solo un giardino di ortiche, e una terra coperta di sale.
Ma non sono ancora pronta a lasciarmi conquistare. Non posso permettere che la terra che ho saturato del mio seme fino a farle perdere del tutto la fertilità venga coltivata da altre mani, da altre braccia. Già mi vedo, nell’angolo, intenta a raccogliere i cardi della mia sconfitta. E la loro immagine fa male… perché so che sono molto più belli del mazzo avvizzito che ho fra le mani adesso.