Fanfic su attori > Jake Gyllenhaal
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Autore: Frytty    16/03/2015    1 recensioni
Pezzi di vita di Jake e Cora, della loro storia d'amore, delle loro giornate no, del loro vivere insieme, della loro famiglia, da ricomporre e scomporre per dar vita al loro essere unici ed insieme.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'All Too Well'
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Buonsalve a tutti! <3

Come state? Sì, lo so che avevo detto che avrei aggiornato prestissimo perché la Shot era pronta, ma forse ero su di giri per via dell'aggiornamento che non avveniva più da secoli, fatto stava che la Shot non era così pronta come volevo io, perciò ho dovuto tardare un pò, ma finalmente eccola, per la vostra giuoia :D

Adesso, credo di tornare a scrivere e aggiornare dopo la Laurea, che avverrà il giorno 26 Marzo (oddio, detto così sembra un annuncio funebre :D). Ho un mucchio di cose da recuperare a partire da quella data, perciò spero di riuscire a mettermi in pari e a non essere troppo latitante, diciamo così.

Ok, l'annuncio l'ho fatto :D

Ormai le Shot non ve le presento neanche più, il che è assurdo, ma siccome non so mai cosa dire, credo che invece di sparare stupidaggini (cosa che sta avvenendo in questo preciso istante), sia più saggio così e comunque, sono andata alla ricerca nella mia fantasia aka mente malata, di cosa poteva essere effettivamente successo dopo il primo incontro disastroso tra Cora e Jake (ve lo ricordate tutti, no? Quello in cui si danno quasi da fare in macchina e poi Cora decide di andar via neanche fosse posseduta da una creatura del male... ecco, proprio quello).

E... niente, Cora è proprio mia figlia, perché ogni tanto se ne esce con delle frasi filosofiche che farebbero rivoltare nella tomba Socrate, Kant e chi più ne ha, più ne metta, ma è ok... almeno Jake non pensa che sia fusa :D

E so che trovare una donna bellissima anche senza trucco sia uno degli stereotipi più utilizzati in letteratura (e non), specialmente se a trovarla bella è, guarda caso, proprio il tipo che le piace, ma io amo le ragazze nature, che non si nascondo dietro chili di trucco e che sanno apprezzarsi anche senza fondotinta, correttore, rossetto e ombretto, perciò, pace, deve andare così.

Non so se questa Shot risulterà di una noia mortale, anche perché credo di averla tirata un pò troppo per le lunghe, e, in tal caso, me ne scuso, ma la sento giusta, almeno io, perciò, forse, va bene comunque.

Bene, la smetto e ringrazio chiunque si sia fermato a leggere la quinta Shot, Cris che ha commentato (milioni di baciotti virtuali per te :*) e faccio i miei migliori Auguri a chiunque si laurei in questo mese come me *sparge confetti rossi dappertutto* *lancio del tocco in anticipo*

 

Buon inizio di settimana e Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

6. Dinner?

 

 

< Sai che pensavo di iscrivere Ramona a danza? Insomma, le è sempre piaciuto, non fa che ballare in casa e anche Peter pensa che sia una buona idea... > Maggie continuò a camminare, affiancata dal fratello, lungo il marciapiede gremito di persone, in direzione di Times Square, il bicchiere ancora caldo del cappuccino di Starbucks in mano.

< Mmm. > Borbottò Jake, pensieroso.

< E poi pensavo che dovremmo comprare una casa più grande, sai, con l'arrivo di cinque gemelli... > Lo osservò di sottecchi, conscia che non la stava minimamente ascoltando.

< Mmm. > Rispose ancora lui. Parve rendersi conto della frase appena pronunciata da sua sorella con qualche secondo di ritardo, voltandosi verso di lei frastornato.

< Cinque gemelli?!? Oh, Dio, non stavo ascoltando, vero? > Lo sguardo furbo di Maggie gli aveva subito fatto capire che si trattava di un modo per attirare la sua attenzione.

< No, infatti. A cosa stai pensando? > Gli domandò.

Jake sbuffò, infilando le mani nelle tasche dei jeans scuri che indossava.

< Problemi con quella ragazza, Cora? > Continuò comprensiva.

< Non risponde alle mie telefonate e non voglio sembrarle uno stalker presentandomi a casa sua. > Rispose, sospirando.

< Beh, magari è impegnata, magari ha un sacco di cose da fare... > Jake non le diede il tempo di finire la frase.

< Magari mi sta evitando. > Abbassò lo sguardo, ripensando a quando l'aveva riaccompagnata a casa dopo la scenata al pub.

L'atmosfera non era distesa come quando lui le era saltato addosso poco prima; non avevano detto molto durante il tragitto, anche se Jake si era voltato spesso ad osservarla, magari approfittando degli stop o di qualche semaforo rosso.

Aveva poggiato la fronte contro il finestrino e sembrava osservare assorta le luci della città, i capelli rossi che si coloravano di una tinta più accesa quando i fari di qualche macchina la abbagliavano.

Aveva borbottato le indicazioni per raggiungere il suo appartamento e quando Jake si era offerto di aiutarla a salire le scale, considerata la caviglia gonfia e dolorante, lei dapprima aveva rifiutato, sostenendo di riuscire a farcela benissimo da sola, poi, quando le erano scivolate di mano le chiavi del portone e lei non era riuscita a chinarsi per raccoglierle, Jake era accorso in suo aiuto, accompagnandola fino alla porta di casa.

< Grazie del passaggio e dell'aiuto. > Gli aveva detto, sorridendo appena.

< Era il minimo che potessi fare. > Rispose, ricambiando il sorriso.

< D'accordo, allora... buonanotte. > Aveva pensato di chiudere così la serata, ma non si era mossa, non aveva infilato le chiavi nella porta e non era scomparsa all'interno del suo appartamento, lasciandolo con un pugno di mosche in mano; aveva continuato a guardarlo, quasi si aspettasse qualcos'altro.

Jake si era schiarito la voce, in imbarazzo, le mani infilate nei jeans anche se non sentiva freddo.

< Posso chiederti il numero di cellulare? Sai, vorrei accertarmi che la caviglia guarisca. > Era una scusa patetica, ma era stata la prima che gli era venuta in mente.

Cora gli aveva lanciato uno sguardo da sì, come no, è proprio la mia caviglia che ti preoccupa, ma poi aveva tirato fuori dalla sua borsetta un foglietto di carta e una penna e ci aveva scribacchiato il suo numero, porgendoglielo.

< Beh, allora... ti chiamo. > Si era allontanato dalla porta, già diretto verso le scale, sollevando il biglietto a mo' di conferma.

< 'Notte. > Gli aveva fatto eco lei, scomparendo in casa senza ulteriori cerimonie.

< Sì, beh, è anche probabile che ti stia evitando. > Confermò Maggie, facendolo ritornare con la mente al presente.

< Perfetto. Mi sono comportato come un coglione. > Borbottò stizzito.

< Siete maschi, siete tutti dei coglioni in fondo. > Fece spallucce lei.

< Grazie tante, questo sì che mi consola, sorellona. > Odiava quando la chiamava così.

Maggie alzò gli occhi al cielo.

< Perché non le lasci un messaggio in segreteria? Magari decide di richiamarti. > Tentò.

< Gliene avrò lasciati dieci di messaggi, Maggie! > Sbuffò.

< D'accordo, allora perché non ti presenti a casa sua con un enorme mazzo di fiori e un biglietto di scuse? > Enfatizzò enorme con le braccia, descrivendo un cerchio grande quanto il campanile di una chiesa.

< Quale parte della frase non voglio sembrarle uno stalker non ti è chiara? E poi come minimo mi sbatterebbe la porta in faccia. > Non si era mai preoccupato così tanto dell'impressione che aveva fatto su una donna.

Cos'aveva di tanto speciale questa Cora per farlo sentire così male?

< Smettila di vittimizzarti, Jake! Non le hai ucciso il gatto e non hai tentato di stuprarla, hai solo colto la palla al balzo baciandola. > Maggie si fermò nel bel mezzo del marciapiede, guardandolo come si guarderebbe un ritardato particolarmente esasperante.

< In realtà, ho cercato di portarmela a letto, non è esattamente la stessa cosa. > Precisò lui.

< Sì, ma lei era consenziente, no? E' colpa sua se si è sentita una sgualdrina ed è corsa via. > Quasi urlò dall'esasperazione.

< E' una mia fan, Maggie, come credi ti sentiresti tu se il tuo idolo si comportasse così con te? > Le domandò, anche lui sull'orlo di una crisi di nervi.

< Certamente non una poco di buono. > Mugugnò, riprendendo a camminare e Jake con lei.

< Insomma, Jake, se ci tieni così tanto fa' come ti ho detto, presentati da lei con un mazzo di fiori e un biglietto di scuse e vedrai che ti cadrà ai piedi in un istante. Fa solo l'offesa. > Lo precedette in un ristorante in cui avrebbero incontrato anche Peter e le bambine e Jake non ebbe modo di risollevare l'argomento.

Forse sua sorella aveva ragione, forse la colpa non era sua, ma di lei, di Cora, che era scappata senza motivo, credendosi quello che non gli era sembrata affatto, solo perché aveva corrisposto il suo bacio e le sue attenzioni, ma cosa poteva farci se si sentiva in dovere di fare qualcosa?

Voleva risentire la sua voce, chiederle come stava, portarla a cena, magari.

Si era illuso di poterla dimenticare, di poterci fare sopra persino una risata il giorno dopo, invece si ritrovava, a distanza di una settimana, a pensarla incessantemente.

Era diventata un chiodo fisso: controllava il cellulare ogni trenta secondi nella speranza che gli avesse inviato almeno un messaggio; componeva il numero della segreteria ogni sera solo per ascoltare che non aveva ricevuto nessun messaggio; se qualcuno lo telefonava, sperava che fosse lei.

Ritornato a casa quella sera e abbandonate le chiavi nell'ingresso, si chiese se lei fosse già rientrata dal lavoro.

Aveva comprato l'enorme mazzo di fiori che gli aveva consigliato sua sorella e aveva cercato di scrivere un bigliettino di scuse credibili, ma non era riuscito a raggiungere casa sua, non sapeva se per vergogna, nervoso o paura.

Si era seduto al tavolo in cucina, il mazzo di fiori davanti a lui, e aveva provato a telefonarle ancora, pregando che rispondesse.

Niente.

La segreteria si era attaccata dopo un minuto e a lui sembrava inutile lasciarle l'ennesimo messaggio.

Era un uomo adulto, che affrontava le situazioni, che prendeva le cose di petto, perciò fece un respiro profondo, ripescò le chiavi della macchina e mazzo di fiori compreso, decise di presentarsi a casa sua.

Il viaggio fu più breve di quello che gli era sembrato accompagnandola a casa, anche se abitavano in zone molto diverse della città.

Il portone era aperto, perciò non ebbe neanche bisogno di citofonare.

Salì le scale in fretta e si fermò davanti alla porta del suo appartamento con il fiatone.

Suonato il campanello, attese un minuto prima di captare qualche rumore all'interno, ma nessuno venne ad aprirgli.

Ritentò, riascoltando lo stesso leggero tramestio di poco prima.

Questa volta la porta si aprì, rivelando una Cora in tenuta da casa, struccata e con i capelli raccolti in una coda alta che metteva in risalto il suo viso rotondo.

Sembrava stesse cenando, perché masticava qualcosa e in mano reggeva un cucchiaio.

< Ciao. > La salutò, sorridendo alla sua espressione sorpresa.

< C-ciao. > Ricambiò lei, arrossendo come una bambina.

< Non hai risposto alle mie telefonate di questi giorni, così... ho pensato di passare a trovarti. > Spiegò, il mazzo di fiori ancora nascosto dietro la schiena.

Cora lanciò un'occhiata alla sua mise, vergognandosi come una ladra. Era appena rientrata dal lavoro e aveva subito optato per una doccia. I capelli non le si erano ancora asciutti bene, perciò, quando avevano suonato alla porta, aveva fatto appena in tempo a legarli; inoltre, si era infilata una delle maglie del suo ex ragazzo, quelle che non aveva mai voluto indietro, che le stavano enormi, facendole da vestito e il pantalone sformato di una tuta vecchia di almeno dieci anni.

Come se non bastasse, era senza trucco.

Jake seguì il suo sguardo, trovandola bellissima anche in una mise semplice come quella, sebbene, a giudicare dai suoi occhi quando li rialzò su di lui, lei doveva pensarla diversamente.

< Vuoi... ehm... entrare? > Gli domandò, facendosi da parte per lasciarlo passare.

< Grazie. > Rispose.

Aspettò che lei chiudesse la porta prima di mostrarle il mazzo di fiori. Il biglietto l'aveva accartocciato e buttato dal finestrino prima di arrivare da lei: troppo imbarazzante. Inoltre, se gli avesse aperto (cosa che aveva effettivamente fatto) avrebbe potuto scusarsi a voce, quindi un bigliettino sarebbe stato inutile.

< Questi sono per te. > Le disse.

< Oh, Dio, ma non dovevi! Sono bellissimi, grazie! > Li accettò con un entusiasmo che Jake non avrebbe mai pensato di attribuirle, adoperandosi subito nella ricerca di un vaso in cui sistemarli.

< Come va la caviglia? > Le domandò, entrando in cucina, alzando appena la voce affinché potesse sentirlo, visto che sembrava essere scomparsa in una stanza fuori dalla sua portata visiva.

< Bene, il gonfiore è andato via e anche il dolore. > Rispose, riapparendo.

A quanto pareva, stava mangiando del gelato, perché il barattolo campeggiava in bella vista sul tavolo.

Jake sorrise: chissà perché, aveva creduto fosse tipo da gelato alla vaniglia e fragola, quando invece era chiaro che preferiva la stracciatella.

Cora ritirò il barattolo da sotto il suo naso, nascondendolo accanto al frigo.

< Ho sentito i tuoi messaggi in segreteria; mi spiace non averti richiamato, ma... insomma, non credevo fosse così importante per te sentirmi. Non volevo che ti sentissi obbligato a fare niente, ecco. > Cominciò lei, sedendosi, imitata da lui.

L'appartamento era grazioso, molto femminile e in ordine; si sentiva il ciarlare di una tv e un buon profumo di biancheria appena lavata.

< Non mi sono sentito obbligato a fare niente. Volevo davvero risentire la tua voce, rivederti magari. > Le sorrise, mandandole in tilt il battito cardiaco.

< Beh, sono ancora viva. > Scherzò.

< Già, lo vedo. > Rispose divertito.

< Avevi qualche programma in particolare? Magari ti ho disturbato. > Continuò, guardandosi in giro, come se quello che aveva intenzione di fare potesse spuntare fuori da un momento all'altro.

Cora fece spallucce.

< Pensavo di guardare un film e ingozzarmi di gelato. > Rispose senza pensarci.

Jake rise della sua spontaneità genuina, facendola arrossire per quella che era la terza volta da quando l'aveva vista quella sera.

< Allora sarà meglio che vada, non voglio rovinarti la serata. > Si alzò, dirigendosi verso la porta.

< Magari potresti farmi, non so, compagnia... ho il freezer pieno di gelato e potresti aiutarmi a scegliere il film... > Propose in maniera quasi casuale, inseguendolo fino all'ingresso.

Jake nemmeno si domandò come mai quel cambio di rotta nel suo comportamento: non aveva risposto alle sue telefonate per giorni e poi si presentava a casa sua e lo invitava a rimanere?

Non se lo chiese perché aveva voglia di farle compagnia e in realtà aveva sperato gli proponesse di restare.

Si liberò del cappotto e della sciarpa, che posò sulla poltrona, mentre Cora ritornava con un'enorme scatola piena di dvd tra le mani.

La posò sul divano, aprendola.

Non erano in ordine, anzi, ma erano tantissimi, perciò Jake non si meravigliò che non fosse riuscita a sistemarli bene.

< La maggior parte sono miei film! > Osservò sorpreso, pescando il dvd di Donnie Darko.

Cora arrossì. Fortuna non doveva portarlo in camera sua. Aveva un calendario con le sue foto accanto alla finestra e un poster enorme sulla parete opposta con un collage del suo servizio fotografico preferito. Se l'avesse visto, sarebbe scappato a gambe levate, dandole dell'invasata.

< Sì, scusa. > Rispose, praticamente strappandoglielo dalle mani per metterlo in disparte.

< Non devi scusarti, mi fa piacere che i miei film ti piacciano così tanto, perché sono i film che ti piacciono, non solo io, no? > La prese in giro, divertendosi a metterla in difficoltà solo per vederla arrossire.

< Sì, certo! Non guardo i tuoi film solo perché tu sei l'attore principale... cioè, anche, insomma, non guasta se c'è un attore che ti interessa... voglio dire... i tuoi film sono bellissimi e anche tu, perciò non... > Incespicò con le parole, arrossendo ancora di più, facendole tenerezza.

Jake le sistemò una ciocca di capelli sfuggita dalla coda dietro l'orecchio, accarezzandole poi una guancia bollente.

< Scusami, ti ho messa in imbarazzo. > Mormorò.

Cora scosse la testa, lo sguardo puntato sulla massa di dvd in mezzo a loro, seduti sul divano.

La costrinse a rialzare lo sguardo, osservandola un istante negli occhi prima di avvicinarsi e baciarla.

Non aveva resistito, quelle labbra lo chiamavano come il canto di una sirena: erano morbide, carnose quanto bastava per essere assaporate.

Cora rispose con entusiasmo a quell'incontro di sapori, portando una mano a carezzargli i capelli più corti della nuca, avvicinandolo a sé.

Dio, se baciava bene!

Quando si separarono avevano entrambi il fiatone.

< Non pensavo che sarebbe successo di nuovo così in fretta. > Sospirò lei, sorridendo, impedendogli di allontanarsi.

< Cosa? > Chiese lui di rimando.

< Baciarmi. Non pensavo avresti voluto rifarlo. > Spiegò.

< Perché no? > Le accarezzò i capelli.

Cora fece spallucce.

< Pensavo che una settimana fa fosse successo perché eri ubriaco. > Rispose.

< E adesso pensi che non lo sia? > Scherzò.

< Sai di dentifricio, chi è che si ubriaca e poi si lava i denti? > Osservò con fare pratico, facendolo sorridere.

< D'accordo, mi hai beccato, non sono ubriaco. > La baciò ancora e ancora più profondamente.

Cora spostò la scatola di dvd alla cieca pur di avvicinarsi a lui, che la strinse, trascinandosela addosso mentre ricadeva sui cuscini dietro di lui.

Le sciolse i capelli dalla coda e le strinse la vita, sentendola sospirare nella sua bocca.

Sentì di nuovo l'irrefrenabile voglia di fare l'amore con lei, di spogliarla e di farla sua, di sentirla stringere le gambe dietro la sua schiena e di sentirla implorare di non smettere.

Le sollevò la maglia, accarezzando la pelle nuda e calda.

Cora si separò dalla sua bocca, avvertendo il rigonfiamento nei jeans di lui contro la stoffa del pantalone della tuta che indossava.

Non voleva che finisse così, non voleva fare sesso con lui e poi vederlo andar via; non voleva sentirsi dire che era stata solo un ripiego, qualcuno con cui sfogarsi di quell'istinto naturale.

Gli si accoccolò accanto, baciandogli un angolo della bocca, abbracciandolo e poggiando la testa nell'incavo tra il suo collo e la spalla.

Jake la strinse, solleticandole la schiena di linee immaginarie. Cora avrebbe giurato di aver riconosciuto il suo nome tra quelle linee.

< Dovremmo scegliere il film. > Pronunciò lui dopo qualche istante, occhieggiando alla scatola abbandonata sul pavimento.

Cora si sollevò, mettendosi seduta, recuperando la prima custodia che le capitò sotto mano, allontanandosi per inserire il dvd nel lettore apposito.

Prima che partissero i titoli di testa si diresse in cucina per recuperare il barattolo di gelato alla stracciatella e due cucchiai puliti.

< Non so se è il tuo gusto preferito. Ne ho altri. > Si scusò, porgendogli una posata.

< Stracciatella va benissimo. > La rassicurò, facendole posto accanto a sé.

Cora si rannicchiò contro di lui, mentre le prime immagini di Casablanca scorrevano sullo schermo.

Adorava quel film.

< Posso confessarti una cosa? > Le chiese ad un certo punto, sussurrando.

Cora alzò gli occhi su di lui, in attesa.

< Mi piaci. Ti sembrerà assurdo, ma è così. Non ho fatto altro che pensarti e sono felice di essere qui stasera. > Continuò. Voleva essere diretto, voleva che capisse che non stava scherzando nel parcheggio del pub una settimana prima, voleva che si fidasse di lui.

< Sicuro di non essere ubriaco? > Piegò appena la testa, incredula.

< L'hai detto tu stessa che non lo sono. > Fece spallucce, rubando un'altra cucchiaiata di gelato.

< Ok. > Rispose cauta, quasi misurando le parole, quelle che non aveva ancora pronunciato. < Mi piaci anche tu. Detto da una tua fan sembrerà ancora più sciocco, ma è la verità. Ho sempre pensato di conoscerti, ho sempre sentito di conoscerti, anche se so che un'intervista o un video che ti riguardano non sono indicatori di conoscenza e quando ti ho incontrato ho capito che, invece, non ti conosco affatto ed è questo che mi piace di te, l'idea di poterlo fare, di poterti conoscere, di poterti scoprire. Per ora è solo un'idea, una sorta di aspettativa, o desiderio che dir si voglia, però é quello che sento. > Continuò, la voce appena rotta dall'emozione.

Jake la studiò per quelli che a lei parvero minuti interminabili, rotti solo dalle voci degli attori in tv.

< Sono stata troppo filosofica? > Arrossì, cercando di mettere fine a quel silenzio prima che diventasse imbarazzante.

Jake rise.

< Sì, tremendamente filosofica. Però mi piace. > La baciò, portando via con la lingua anche la virgola di gelato che le sporcava appena il labbro superiore.

< Sto già diventando dipendente dai tuoi baci, credi sia grave? > Gli domandò, specchiandosi nei suoi occhi azzurri.

< Sono un gran baciatore, non poteva essere altrimenti. > Rispose orgoglioso di sé, prima che Cora gli tirasse un pugno sulla spalla senza riuscire a fargli battere ciglio.

< Non so se ho voglia di scoprire da dove arrivi tutta quest'arroganza. > Lo prese in giro.

< Mia sorella è peggio di me, credimi. Te ne renderai conto. > Le arruffò i capelli con annesse proteste da parte di Cora.

In quell'istante, un'ombra non meglio identificata gli saltò in braccio, spaventandolo, prima che si rendesse conto fosse soltanto un gatto.

< Oh, non farci caso, fa sempre così con gli estranei: li spaventa e poi cerca di guadagnarsi il loro affetto. > Cora lo sollevò dal suo grembo per poggiarlo a terra, facendolo miagolare appena e Jake quando lo vide illuminato dallo schermo della tv lo identificò come un Blu di Russia.

< Come si chiama? > Le chiese, chinandosi per accarezzarlo.

< Sherlock. > Rispose lei.

< In famiglia siete fissati con i nomi di personaggi letterari? > Sorrise.

< Le letture dei classici portano a questo: ossessione. > Annuì convinta.

< Il tuo nome mi piace. > Pensò ad alta voce.

< A me il tuo fa pensare al Jake di Twilight, che ho sempre odiato. > Rilanciò.

Quel personaggio non l'aveva mai digerito.

< Grazie, eh! > Borbottò lui fintamente offeso.

< Ma tu non gli assomigli, quindi è ok. > Recuperò, baciandolo.

< Approfittatrice. > La accusò bonariamente, trascinandola a sedere sulle sue gambe, baciandole il collo.

Cora alzò gli occhi al cielo, evitando di controbattere.

Ne avrebbero potuto avere per ore, se avessero cominciato ad accusarsi vicendevolmente.

Era strano essere in sua compagnia; strano in senso positivo, ovvio.

Non aveva previsto l'eventualità che piombasse a casa sua con un mazzo di fiori e certo non aveva previsto che l'avrebbe invitato a rimanere per guardare un film insieme e ingozzarsi di gelato.

Si sentiva a suo agio con lui, anche se per i primi tre quarti della serata non aveva fatto altro che arrossire come una bambinetta inesperta.

Le dava sicurezza, protezione e la faceva sentire importante e bella (anche se non si era mai considerata tale, specialmente non in tuta e senza trucco).

Era semplicemente incredibile.

Come incredibile era il pensiero che lei potesse piacergli sul serio. Gliel'aveva confessato e il suo cervello sembrava aver registrato il messaggio, tanto che la frase le ruotava in testa in loop, eppure emotivamente era difficile da maneggiare. Forse era perché a lei le emozioni arrivavano sempre in ritardo, forse era perché prima di provare qualcosa, qualsiasi cosa, aveva bisogno di pensarci, di meditare, di ponderarne i pro e i contro; fatto stava, che non avrebbe mai pensato di poter baciare Jake Gyllenhaal nel salotto di casa sua o di potergli accarezzare i capelli o di sentirlo dire che era bellissima.

< A cosa stai pensando? Il tuo cervello si sta fondendo per lo sforzo. > Le baciò la fronte, rimanendovi appoggiato con una guancia.

< Al fatto che tu sia qui, in casa mia. > Rispose, riprendendo a carezzargli i capelli.

< Davvero incredibile. Avrei dovuto invitarti a cena. > Sembrava stesse parlando più a se stesso che a lei.

< Volevi invitarmi a cena? > Chiese sorpresa.

< Perché credi ti abbia riempita di telefonate? Volevo sapere come stavi e invitarti a cena, come un appuntamento di tutto rispetto. > Chiarì ovvio.

< Beh, sei già avanzato in base B: sei a casa mia, mi hai già baciata... > Elencò lei, aiutandosi anche con le dita.

< Vero, sono stato fortunato, allora. > Le sorrise.

< Fin troppo. > Ricambiò, baciandolo.

< Allora ti ringrazio per non aver risposto alle mie telefonate. > Le disse quando si furono separati.

< Prego. > Stette al gioco, sistemandosi meglio tra le sue braccia.

< Però un invito a cena lo accetti, vero? > Le chiese, osservandola speranzoso.

< Con te? > Lo indicò fintamente scandalizzata.

< Lo so che sono ripugnante ed è l'ultima cosa che vorresti, ma ci terrei davvero. Prometto di fare il bravo; sono già avanzato in base B e giuro solennemente di non tentare di raggiungere la C. > Scherzò, alzando le mani in segno di resa e lealtà.

< Beh, ripugnante lo sei di sicuro e hai ragione, uscire a cena con te è proprio l'ultima delle cose che pensavo potessero mai capitarmi, ma se sei così disperato, chi sono io per negarti anche questa gioia? > Sospirò afflitta.

< Bisogna aiutare i più bisognosi. > Annuì lui in conferma.

< Infatti! E' proprio quello che penso. > Lo imitò, annuendo e accarezzandogli i capelli corti, solleticandolo piacevolmente.

Jake le sorrise, stringendole la vita, avvicinando il viso al suo per baciarla dolcemente.

< Dove sei stata per tutto questo tempo? > Le domandò in un sussurro.

< A New York, come sempre. > Rispose, trattenendosi dal ridere.

< E perché non ti ho mai incontrata prima di una settimana fa? > Continuò lui, sorridendo divertito.

Cora ci pensò un po' su, evitando il suo sguardo.

< Perché qui abitano un mucchio di persone ed io sono solo una delle tante. > Fece spallucce.

< L'unica delle tante. Non sono riuscito a dimenticarti. > Osservò, studiandola con attenzione.

Cora arrossì e sperò che, con il buio e la luce fioca del televisore ancora acceso, Jake non se ne fosse accorto.

< Sono letteralmente scappata sul più bello e per poco non mi sono rotta l'osso del collo pur di andare via. La mia porca figura l'ho fatta. > Se solo ripensava a quella sera, dopo aver avuto una settimana di tempo per rifletterci in maniera lucida, le veniva quasi da ridere, ma sul momento, avrebbe voluto solo che le si aprisse una voragine sotto i piedi che la inghiottisse.

< Ma non ti avrei accompagnata a casa e non avrei avuto il tuo numero di telefono e probabilmente adesso tu saresti qui, da sola, a mangiare gelato e a guardare un vecchio film. > Un resoconto che non faceva una piega.

< Che quadro desolante. > Cora mise fintamente il muso.

Jake la strinse a sé, permettendole di posare il capo sul suo petto, all'altezza della spalla sinistra.

Le accarezzò dolcemente i capelli e poi una guancia in punta di dita, quasi avesse paura di farle male.

Cora alzò gli occhi sul suo viso in penombra e sorrise, nascondendo il viso nella sua maglietta solo per aspirare il suo buon profumo.

< Non stiamo seguendo affatto il film. > Constatò lui dopo qualche istante.

< Non è così importante... > Osservò lei ovvia, facendo spallucce.

< Avresti potuto sceglierne uno dei miei. Hai tutta la collezione. Vuoi che te la autografi? > La guardò, sorridendo furbo.

Come da lui previsto, Cora arrossì.

< Non impiegherei molto tempo a scegliere quello giusto. > Rispose con qualche istante di ritardo, il tempo necessario per riprendersi dalla sua velata insinuazione.

< E quale sarebbe quello giusto? Sono curioso. > La rimbeccò prontamente.

< Zodiac.

Jake aggrottò le sopracciglia, sorpreso dalla risposta.

< Perché? > Domandò interessato.

< Perché mi piacciono i thriller e perché con Zodiac è iniziata la mia ossessione per te. > Ammise con un sospiro.

Jake sorrise meravigliato ed entusiasta.

< Questa è in assoluto la cosa più carina che qualcuno mi abbia mai detto. > Confessò di rimando.

< Carina? E' una vera dichiarazione, questa! > Borbottò lei risentita, incrociando le braccia al petto come una bambina capricciosa.

< Oh, ma davvero? Una dichiarazione di guerra? Perché saprei come batterti. > La baciò, cogliendola alla sprovvista e trascinandosela addosso mentre sprofondava nuovamente tra i cuscini morbidi disseminati sul divano.

< Sei sleale. > Lo apostrofò lei quando si separarono, spostando alcuni cuscini per sistemarsi al suo fianco.

Era un divano troppo piccolo per potercisi stendere in due, ma Jake non si lamentò e neanche Cora che aveva intrecciato le gambe alle sue per stare più comoda.

< E comunque, un tuo autografo ce l'ho già. > Ammise.

Jake la osservò stupito.

< Davvero? > Le domandò, quasi come se non ci credesse.

Cora annuì.

< Sono stata ad una tua Première. > Continuò.

< In quelle occasioni sono troppo distratto dalle urla, non riesco a concentrarmi. Raramente qualcosa riesce a colpirmi ad eventi come quelli. > Sembrava si stesse rimproverando da solo e a Cora fece tenerezza, un'inspiegabile tenerezza.

< Ma mi hai sorriso e hai detto che ti piacevano i miei capelli. > Sentiva ancora il cuore in gola, anche solo al ricordo dell'esperienza.

L'aveva atteso per ore, al freddo, sotto la pioggia e senza ombrello. Era bagnata come un pulcino e quando l'aveva visto avvicinarsi alle transenne per i soliti autografi di rito, aveva appena avuto modo, tra spintoni, flash di macchine fotografiche e cellulari, ragazze dietro di lei che tentavano di scavalcarla, di allungare una mano tremante che reggeva una sua vecchia agenda, aperta alla pagina del suo compleanno, e a farla firmare.

Poi, mentre lui rialzava lo sguardo, i loro occhi si erano incrociati, lui aveva sorriso e le aveva detto che gli piacevano i suoi capelli, il che era assurdo, perché erano fradici di pioggia e le si appiccicavano dappertutto sul viso come tentacoli.

Era arrossita, ma forse lui non se n'era neanche accorto, visto che era stato costretto a posare per una foto con la fan dopo di lei.

< Ecco, la dimostrazione che eravamo destinati ad incontrarci. > Scherzò, sorridendole.

< Smettila di rigirare la frittata sempre a tuo favore! > Cora gli colpì la spalla con un pugno che ebbe come unico risultato una scrollata di spalle da parte sua.

Jake la baciò di nuovo, intrappolandole il viso con una mano.

< Sarai stanca, forse dovrei andare... > Le annunciò dopo qualche minuto.

Il film era terminato e l'unica cosa che rimaneva da guardare erano i titoli di coda.

< Puoi restare, se vuoi. > Quello che avrebbe voluto dire era che non voleva che se ne andasse, voleva restare con lui, distesa su quel divano, per sempre, per tutta la vita.

< Non voglio approfittare della situazione; in fondo, non siamo neanche andati a cena, ancora. > Le sorrise, rialzandosi dai cuscini.

Cora lo imitò.

< Non ho intenzione di dare di matto, se è questo che ti preoccupa. > Scherzò.

< Infatti, non mi preoccupo di te, ma per te. > Le baciò una guancia, soffermandosi ad accarezzarle il profilo del collo, solleticandola.

< Che vuoi dire? > Riuscì ad articolare lei alla fine, trattenendo il respiro, come se così non potessero farle effetto tutte quelle attenzioni.

< Che non risponderei più di me se ti rimanessi accanto e non voglio rovinare tutto. > Chiarì.

< Mi accompagni alla porta? > Continuò, alzandosi e recuperando il cappotto e la sciarpa.

Cora lo seguì controvoglia nell'ingresso, fermandosi accanto a lui.

< Cosa succede? > Le domandò, sollevandole il mento e imitando la sua espressione immusonita.

< Volevo davvero che restassi. > Brontolò.

< Magari la prossima volta... se farai la brava. > Si chinò appena per baciarla, augurandole la buona notte.

Cora gli rispose con una linguaccia, aprendogli la porta, guardandolo scendere i primi gradini della scala che l'avrebbero condotto fuori dal palazzo.

Lo salutò un'ultima volta prima di richiudersi la porta alle spalle, appoggiarsi contro di essa e tirare un sospiro di felicità.

Si accorse di non aver affatto bisogno di rilassarsi: non era stato un incontro impegnativo, non si era dovuta sforzare per mantenere la conversazione e non si era sentita in imbarazzo in sua compagnia.

I suoi ex, almeno durante i primi appuntamenti, l'avevano sempre fatta sentire nervosa, sotto esame, inadeguata; Jake era... diverso.

Quindici minuti dopo, quando si infilò sotto le coperte in cerca di un po' di calore, si ricordò di non avergli nemmeno dato una risposta concreta circa il suo invito a cena, si era limitata a scherzarci sopra.

Avrebbe voluto telefonarlo, ma poi ci ripensò: non voleva sembrare la classica ragazza appiccicosa, che non riesce a stare lontana dal ragazzo che le piace neanche per una notte.

Gli avrebbe mandato un sms l'indomani, magari prima di andare in ufficio.

Eppure... possibile che non fosse tutto un sogno?

Quel pensiero, però, scivolò via non appena chiuse gli occhi e si rilassò.

   
 
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