“Mia
signora...”
“Lasciatemi.”
L'ancella chiuse a malincuore la pesante porta, lasciando la Prima
Sacerdotessa alla solitudine delle sue stanze private.
Il tempo
scarseggiava, ma nonostante ciò Ita prese il suo tempo per
fasciarsi
con gli abiti sacerdotali che, come acqua, le scivolarono addosso
dolcemente e per indossare la tiara adornata con zaffiri splendenti e
pietre di acquamarina. Lasciò i lunghissimi capelli corvini
completamente sciolti e allo stesso modo rinunciò al trucco.
Prese
un attimo per osservare le sue stanze, camminando lentamente per
tutto il perimetro accarezzando le superfici fredde e umide, cercando
di non pensare che quella sarebbe potuta essere l'ultima volta che i
suoi occhi avrebbero accarezzato i pesanti tendaggi o le particolari
decorazioni dei muri. Cercando di non pensare alla
possibilità che
quelle stanze, quel tempio in cui ormai aveva speso la sua vita
sarebbero potuti essere la sua tomba.
Il tempo era agli sgoccioli.
L'alba stava per giungere, e con essa sarebbero arrivati i popoli
della terra, con il glorioso intento di unificare tutte le genti,
tutte le razze, sotto la falsa promessa della libertà e
della
tolleranza. Ita sapeva benissimo che se glielo avrebbero permesso si
sarebbero ritrovate come niente più che schiave, sapeva che
le loro
certezze, i loro culti e le loro credenze si sarebbero persi del
tutto.
Per questo aveva deciso di tentare il tutto per tutto,
avrebbe donato la sua stessa vita in cambio della salvezza del popolo
del Grande Mare.
Le porte della sua stanza si aprirono sotto il
suo lieve tocco; si sentiva mossa da una volontà esterna,
come
capita spesso nei sogni, con un bruciante disagio che si attorciglia
nello stomaco, e allo stesso tempo il senso di impotenza che fa
muovere le membra.
L'ancella la stava aspettando all'esterno, gli
occhi lucidi e disperati. Non c'era alcuna speranza per loro,
nonostante la grandissima fiducia che provavano verso di lei, la
Prima Sacerdotessa, temevano la sottomissione più della
morte
stessa.
“Andrà tutto bene, non lascerò che vi
accada nulla.”
Ita sforzò le proprie labbra a piegarsi in un sorriso,
tuttavia gli
occhi non vi presero parte. L'ancella parve accorgersene, ma
tentò
comunque di mostrarsi meno abbattuta mentre la accompagnava verso il
centro del tempio.
La struttura attorno a loro era interamente
trasparente; i raggi del sole attraversavano l'acqua e illuminavano
gli ambienti di quel tempio situato sul fondo del Grande Mare.
“La
situazione in superficie?” Si informò lei.
“In molti stanno
ancora cercando il modo per raggiungere questo luogo, alcune delle
nostre sorelle sono salite in superficie per guadagnare tempo, temo
purtroppo che non ce ne sarà abbastanza per salvarci tutte
quante.”
“Nimue, devi fidarti delle tue sorelle e del
tuo...”
“Ma siamo in trappola!” Nimue stava crollando, era
ancora giovane, aveva vissuto anni felici nelle profondità
del mare,
mai avrebbe immaginato uno scenario del genere; finire intrappolata
nella sua stessa casa, impossibilitata di lasciare quel luogo e
condannata, molto probabilmente, a morirci. Ita la vide scoppiare a
piangere, coprirsi il volto con le mani tremanti mentre le sue spalle
venivano scosse dai singhiozzi, un moto di compassione le strinse lo
stomaco.
“Nimue.” La prese per le spalle. “Ora
devi
ascoltarmi.” Avrebbe fatto di tutto per salvare le sue
sorelle.
Doveva, voleva, fare il possibile per salvare le loro anime.
“Nimue,
ascoltami, ho bisogno di te, adesso.” L'ancella
sembrò riscuotersi
al richiamo della donna, servire la Prima Sacerdotessa era sempre
stato un onore, la sua mente le disse che lo sarebbe stato anche in
quel momento.
“Cosa...” Le sue lacrime si fermarono quando si
rese conto di essere giunta fino alla cella interna del tempio e che
non si sarebbe mai dovuta trovare lì, solo la Prima
Sacerdotessa
aveva il permesso di addentrarsi in quella minuscola stanza in cui si
trovava l'effige di Jormungand.
“Nimue, andrà tutto bene, abbi
fiducia. Vi salverò, dovessi rinunciare alla mia stessa
vita. Per
questo ora ti chiedo di fidarti di me.” L'ancella
annuì, troppo
sconvolta e stanca per provare a protestare. Tuttavia la fiducia che
riponeva nella Prima Sacerdotessa era assoluta.
Le regalò un
ultimo sorriso, nel tentativo di rassicurarla. “Non
lascerò che il
popolo della terra ci assoggetti, che ci privi del nostro orgoglio e
della nostra identità. Non lascerò che accada. Lo
prometto.”
L'ancella sembrò tranquillizzarsi e nel tentativo di
recuperare il
contegno si lisciò gli abiti, annuendo freneticamente.
“Bene, ora è necessario che tu stia
fuori e che sigilli la porta. Non intervenire, qualsiasi cosa accada.
Qualsiasi cosa tu senta.” Vide il volto dell'ancella
sbiancare, ciò
che stava per accadere era un rituale molto delicato e terribilmente
rischioso. E quello era un addio.
Vide la Prima Sacerdotessa
entrare nella cella e chiudersi dolcemente le porte alle spalle. Per
un istante temette di non rivederla mai più, poi si fece
forza e
iniziò a sigillare la porta.
Ita si avvicinò alla statua del Dio
serpentino, intorno ad essa c'era una pozza d'acqua perfettamente
circolare. La sacerdotessa vi si immerse fino a bagnarsi la vita. Le
acque gelide le lambirono l'abito candido, appesantendolo, e il suo
corpo venne scosso dai brividi. Osservò le pareti
trasparenti
intorno a sé, contemplando gli abissi marini, mentre i pesci
e le
tutte le creature acquatiche si allontanavano, consce del potere
mortale che si stava avvicinando.
Fece un respiro profondo, poi
iniziò a recitare: “Il sangue è come
acqua. Il grande serpente
nuota nell'essenza della vita stessa, ed è con la mia vita,
con il
mio sangue che lo richiamo, adesso, al mio cospetto. Jormungand, Re
del Grande Mare.” Sussurrò la formula per il il
rituale, dopodiché
estrasse un elegante stiletto dal fodero che portava in vita, lo
avvicinò al suo braccio e, dopo aver preso un respiro
profondo, lo
fece scorrere sulla pelle candida. Un profondo taglio si
aprì nella
sua carne, e subito dopo il sangue denso e scuro iniziò a
gocciolare
nell'acqua, macchiandola immediatamente. Un alone di un rosso cupo le
avvolse i fianchi, macchiandole gli abiti, mentre il suo volto
impallidiva leggermente. L'acqua sembrò ghiacciarsi intorno
a lei,
bloccandola, mentre ancora il sangue sgorgava dalla ferita.
Dall'esterno, una potente vibrazione giunse fino a lei, Ita credette
che gli uomini della terra fossero in qualche modo riusciti a
giungere alle porte del tempio, ma quando vide i mulinelli iniziare a
formarsi nell'acqua dell'oceano capì che avrebbe avuto
ancora un po'
di tempo per, almeno, provare a salvare il suo popolo.
Un ruggito la scosse dal profondo,
facendole provare una paura viscerale, mai provata prima; l'idea di
trovarsi di fronte a una creatura che avrebbe potuto decidere il loro
fato la terrorizzava. Tuttavia tentava di imporsi una calma che
sperava di non aver perso.
Dalla piccola vasca in cui era immersa
iniziò a sollevarsi candido vapore salmastro, nell'ambiente
umido si
delineò il corpo serpentino del Dio; gli occhi evanescenti
nella
nebbia si mossero, fino a puntarsi su di lei. La sacerdotessa si
sentì raggelare mentre il suo corpo andava a definirsi
sempre di più
mostrando le sue vere dimensioni.
Respiri gelidi e salmastri le
accarezzarono la pelle. Ita resistette all'impulso di tirarsi
indietro; doveva mostrarsi forte e decisa, quella era la sua unica
possibilità.
“Per quale motivo ci hai chiamato, umana?” La
sua voce risuonò nel tempio, con lo stesso suono delle onde
feroci
sugli scogli. Ammaliante e maestoso.
“Chiedo il vostro aiuto; il
Grande Mare è in pericolo.” Dubitava che ci fosse
effettivamente
bisogno di dirglielo, Jormungand aveva occhi ovunque, lui stesso era
il Grande Mare, ed era quindi a conoscenza di tutto ciò che
vi
accadeva.
“Ti ascolto.” La figura di agitò, nella
massa di
vapore salmastro il corpo serpentino del Dio si agitò
lievemente,
avvicinandosi un poco alla Prima Sacerdotessa.
“Ti chiedo di
scacciare il popolo ostile che minaccia il mare.” La sua voce
continuava ad essere salda, così come il suo animo che,
combattuto
tra timore e coraggio si rivelava essere più forte di quanto
lei
stessa avesse mai immaginato.
“Una tale richiesta ha un prezzo, lo
sai?” Il corpo serpentino si avvolse su se stesso, allungando
la
testa verso di lei, osservandola con occhi che lei non riusciva a
cogliere.
“Cosa vuoi in cambio?”
“Cosa
sei disposta ad offrirci, umana?” Sarebbe stata disposta a
qualsiasi cosa, avrebbe anche donato la sua vita, avrebbe rinunciato
a qualsiasi cosa pur di salvarli.
“Qualsiasi cosa.” La sua
voce non tremò quando pronunciò queste parole; il
Dio sembrò
apprezzare, perché il suo corpo ebbe un fremito e Ita
riuscì quasi
a scorgere le sue fauci socchiudersi un poco come a imitare un
sorriso ferale.
“Allora renderò mio il tuo destino.” Ita
non
aveva idea di cosa ciò significasse, ma in quell'attimo di
stasi si
chiese se avesse fatto la scelta giusta a non imporre alcun paletto
alla sua offerta.
Le gigantesche fauci si spalancarono, mostrando
una chiostra di denti simile a coralli, dirette verso di lei che,
raggelata dal terrore, rimase immobile, a osservare la sua stessa
fine.
Il
movimento dell'acqua l'accompagna dolcemente e, nel momento in cui i
suoi sensi tornarono, si sentì una creatura
marina, non
diversa dal pesce nascosto tra gli scogli né dal placido ma
velenoso
corallo. Pensò che quella fosse la sensazione più
bella che avesse
mai sentito; essere un tutt'uno con il Grande Mare era l'obbiettivo
di tutte le sacerdotesse. E nonostante lei avesse sempre avuto un
forte legame con il mare non aveva mai immaginato una tale comunione.
Ma quegli attimi di beatitudine svanirono velocemente quando si
accorse di essere effettivamente in mezzo al mare, e che si trovava
all'interno di una specie di bolla d'aria, a sua volta all'interno di
un corpo traslucido e del tutto simile all'acqua, se non per il
colore leggermente più scuro.
Non le ci volle molto a capire che
si trattavano delle spire di Jormungand; che la stavano strascinando
lontano dal suo santuario.
“Che cosa...?” La sua voce si perse
nelle correnti, ma non fu sorpresa di vedere il capo del Dio
sollevarsi e girarsi un poco, fino a puntare un occhio cupo e
profondo -finalmente definito- verso di lei.
“Stiamo facendo
quello che ci hai chiesto, Prima Sacerdotessa. Osserva.” La
sacerdotessa si voltò, un po' impacciata a causa della
strana bolla
d'aria in cui si trovava; il suo sguardo si posò sul Tempio,
o
almeno, su quello che ne restava. Potentissime correnti marine
avevano sollevato scogli e massi, scagliandoli contro le pareti in
vetro decorato della struttura subacquea, allagandola completamente.
Per lo stesso motivo, le pareti in pietra chiara stavano crollando,
creando una nuova dimora per le creature marine.
“No! Cosa stai facendo? Non è questo
che ho chiesto!” Il corpo del serpente marino fremette,
invertendo
la rotta e dirigendosi nuovamente verso le rovine del tempio.
“Questo
è esattamente quello che ci hai chiesto. Ci hai chiesto di
scacciare
il popolo ostile che minaccia il mare e per interi secoli vi siete
stanziati nelle profondità, senza curarvi del fatto che la
vostra
presenza rovinasse gli equilibri marini.” Il suo lungo corpo
serpentino scivolò un paio di volte attorno alla struttura
ora
fatiscente, come una serpe che avvolge le sue mortali spire attorno
alla preda, altre rocce crollarono, colonne si sfaldarono, mentre i
vetro colorati riflettevano in modo ipnotico la luce che filtrava
attraverso la superficie. “Allo stesso modo i popoli della
terra,
come faceste voi secoli addietro, stanno cercando un nuovo terreno in
cui stanziarsi. Non c'è distinzione tra chi vive
sopra e chi vive sotto.”
Si spostò un poco,
avvicinandosi a quello che pareva essere un corpo; gli abiti
sacerdotali le fasciavano il corpo come un pesante sudario, alcuni
lembi le volteggiavano attorno come alghe, facendola sembrare una
creatura mitologica marina. La coda traslucida di Jormungand si
avvolse con strana dolcezza attorno alla sua vita, avvicinandola a
dove si trovava la Prima Sacerdotessa. Ita la riconobbe subito; gli
occhi sgranati erano di uno splendido color smeraldo, seppur velati
dall'incoscienza. Nimue ora la fissava, inerte nelle spire del Dio
come una bambola. Ita sentì il cuore accartocciarsi
nell'osservare
il frutto delle sue azioni.
La voce del Dio si sollevò in un
ruggito che parve il suono di un'immensa onda che si infrangeva sugli
scogli. “Qui siete tutti degli intrusi, dei
parassiti!” In un
moto di rabbia e repulsione le spire del Dio si serrarono attorno al
corpo inerte di Nimue. Un raccapricciante scricchiolio giunse alle
orecchie di Ita, che sobbalzò, e poi rabbrividì
nel momento in cui
vide del sangue mescolarsi con l'acqua intorno al corpo della giovane
Sacerdotessa.
Jormungand allargò le sue spire e, come trascinata
da un peso, il corpo della donna iniziò a cadere verso gli
abissi.
Gli occhi spalancati e vitrei che ancora fissavano la superficie.
Il
Dio si allungò verso la lontana superficie, Ita
seguì con gli occhi
il corpo della giovane donna fino a che le tenebre non la
inghiottirono completamente, incapace di distogliere lo sguardo, come
se non credesse che una cosa del genere fosse successa davvero.
Iniziò a singhiozzare e quasi non si
accorse del fatto che stava sussurrando preghiere e imprecazioni
verso l'entità che la teneva prigioniera nel suo corpo
traslucido.
Pregava di fermarsi, nonostante sapesse bene che la destinazione di
Jormungand era ora la superficie, laddove ora si trovava il popolo
della terra, che lì si trovavano coloro contro i quali Ita
aveva
voluto scatenare il Dio. Ormai nulla aveva più importanza,
ormai non
aveva più nulla da proteggere. Imprecava contro la sua
meschinità,
contro il fatto di non essere stata abbastanza furba, come invece era
stato lui.
Tuttavia per tutto il tragitto il Dio non proferì
parola, troppo intento a pregustarsi il momento della tempesta.
Quasi all'improvviso il corpo di
Jormungand scattò verso l'alto, allungandosi verso la
superficie.
Ita alzò il volto, puntando lo sguardo verso la strana
scena; vedeva
chiaramente le sagome di molte barche che si stagliavano attraverso i
raggi del sole farsi sempre più vicine.
Le fauci di Jormungand si
spalancarono.
“Gioisci, Sacerdotessa, questa sarà la prima e
ultima volta che vedrai il mondo oltre la superficie.” Ormai
la
superficie era a pochi palmi e i raggi del sole quasi accecarono
Ita.
Con immensa forza le mandibole del Dio spinsero e si
serrarono sulla barca in semplice legno, spezzandola in due.
Frammenti di legno e altissimi schizzi d'acqua si sollevarono verso
il cielo e, ancora prima che qualunque uomo potesse urlare, la forza
di Jormungand si abbatté sulla barca accanto, che venne
distrutta
con una potente sferzata della sua coda.
In un attimo tutto sembrò
tornare calmo, poiché il Dio si era immerso di nuovo, e si
stava
muovendo sinuoso appena sotto la superficie, smuovendo l'acqua e le
barche con il semplice movimento del suo corpo.
Gli uomini
afferrarono armi e lance, alcuni di loro scagliarono i loro arpioni
verso l'immensa creatura sinuosa sotto di loro, ma nessun colpo
sortì
l'effetto sperato; le armi scivolavano in acqua e si perdevano nelle
profondità.
Il corpo serpentino riemerse,
scagliando in aria barche e uomini, distruggendo e divorando senza
furia ma con grande minuziosità.
Alla fine il mare acquistò un
colore rossastro, intervallato in alcuni punti dallo scuro del legno
e dei corpi morti.
Ita aveva osservato quello scempio come se
fosse stata lei stessa a compierlo; tanto vicina a quel disastro
quanto totalmente isolata da tanta violenza.
Ora le lacrime le colavano lungo il
viso, scivolavano oltre il mento e si perdevano nella bolla di vuoto
in cui era intrappolata, mentre il Dio tornava nelle
profondità, la
sensazione di non aver fatto nulla di buono, di aver condannato il
suo popolo, la pervadeva completamente, togliendole il respiro.
Era
stato sciocco da parte sua non aver visto oltre la coltre
dell'inganno intessuto da Jormungand. Il grande serpente marino
incarnava il mare, e come tale era feroce, violento e talvolta
imprevedibile.
Non c'era mai stata una vera comunione tra le
potenti entità divine e il popolo del mare. Ita lo capiva
solo
adesso.
Mentre il movimento del Dio la cullava come se fosse il
mare stesso con i suoi flutti ad accompagnare il suo corpo verso
profondità mai sfiorate da occhi umani la Prima Sacerdotessa
si
chiese se sarebbe stato quello il suo destino, e se mai avrebbe
potuto trovare un modo per sfuggirgli.
“Potrò mai-” La sua
voce rotta si perse nell'abisso, tuttavia Jormungand sembrò
cogliere
le sue parole e il suo muso si sollevò un poco, puntando i
suoi
occhi liquidi nei suoi.
“Vivrai l'eternità con noi, Prima
Sacerdotessa, osserverai eternamente il frutto delle tue azioni e
delle tue scelte. Vedrai ogni giorno la luce del Sole attraverso le
acque con la consapevolezza di non poterlo mai più
avvicinare, e
vedrai ogni giorno l'oscurità più profonda degli
abissi pregando
perché noi non ti ci avvicineremmo mai. Questo
è il tuo
destino.”
I popoli della
terra non
osarono mai
più avvicinarsi al mare, che ora risplendeva di toni
vermigli.
Ora
conoscevano la potenza del Re del Grande Mare, e non osarono mai
più
sfidarlo.
Info:
Storia
scritta per il contest: 'Un
segno zodiacale per una storia',
indetto da Aurora_Boreale_
sul Forum di EFP.
Ita: Nome irlandese,
significa 'assetata'.
Nimue: Uno dei nomi con cui era
chiamata la famosa Dama del Lago.
Jormungand: Il Miðgarðsormr
è un enorme e mostruoso serpente che compare nella mitologia
norrena. Miðgarðsormr non è tanto un nome
quanto un epiteto,
che significa: "Serpe di Miðgarðr".
È altresì chiamato Jörmungandr
“demone cosmicamente potente". Nella
mitologia,
dopo essere stato gettato nel mare, si dice che sia diventato tanto
grande da essere in grado di cingere l'intero mondo.
Piccola nota: ho fatto parlare
Jormungand con il plurale maiestatis perché, nella mia idea,
il dio
del mare parla di se stesso riferendosi a tutte le creature del mare,
quindi non come singola entità ma come l'unione e l'insieme
di tutta
la fauna marina :)