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Autore: Alex Wolf    17/03/2015    0 recensioni
Nei menadri del buio, nascosto sotto una coltre impenetrabile d'inchiostro scuro dorme latente uno spirito che tutti gli esseri umani hanno: quello animale. Aspetta, sibila silenzisoamente in attesa che qualcuno lo richiami verso la luce e quando arriva il momento non lascia scampo a nessuno.
Il Governo è riuscito a far affiorare questo spirito in quattro perfette macchine da guerra, affidate al ricco e giovane Victor Obrien. Ma cosa comporterà a quest'uomo la vicinanza alle sue guardie del corpo?
Una storia che comincia dalla "fine".
Genere: Azione, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo


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«CAPO!»  E’ solo un secondo, il battito di una palpebra. Sente quella voce nel suo dormiveglia, mentre la testa gli pulsa e gira come una giostra.
Socchiude le palpebre, la luce a neon gli fa male agli occhi ma deve avere una conferma. Si guarda attorno: è nella solita cantina di due giorni fa, ancora legato, la stessa roba nel medesimo posto. Non è cambiato niente.
Deve essere stato un songo. Dalla piccola finestrella che confina con il limitare del giardino entra qualche raggio di luce, che penetra fra le tende scure come coltelli affilati. Probabilmente fuori è nuvolo, perché il colore di quei fiocchi stellari  è troppo smorto rispetto a qualche giorno prima.  Oppure sono le prime luci dell’alba. Non riesce a capirlo, non vede bene.
Sente la testa pesante, più di prima, abbassa gli occhi e li punta sulle caviglie legate. Non sente più dolore da qualche ora, probabilmente il suo corpo non reagisce più. Non sente nemmeno più freddo, e non gli importa del sangue raggrumato che gli copre il petto e il resto del corpo. Adesso, vorrebbe solo andarsene di li vivo. Ciuffi neri gli ricadono appicciati sulla fronte, gli occhi azzurri si rifiutano di restare più aperti di così. Ha sonno. Tanto sonno. Probabilmente è meglio dormire finché si può, pensa, perché quando torneranno a torturarmi dovrò riuscire a restare sveglio.
«CAPO!» Alza la testa, troppo velocemente però: tutto inizia a girare dentro un vortice confuso di colori e immagini. Se continua così vomiterà. Rimane in attesa di un altro urlo, una qualsiasi cosa che affermi che lo stanno venendo a prendere. Aspetta. Nulla. C’è solo il vuoto, che lo trascina nell’abisso della consapevolezza che adesso loro, lei non verranno a salvarlo. Li ha raggirati, presi in giro pur avendogli promesso che non avrebbe fatto nulla senza che loro non fossero stati al suo fianco. E’ il rimorso che gli fa immaginare le voci, che gli stringe il cuore in una morsa così stretta da far male. Se li avesse ascoltati probabilmente ora non si troverebbe incastrato in questo luogo.
Si maledice. Perché non ha seguito i suoi consigli? Perché non si è fidato di quella donna che più volte ha rischiato la vita per lui, o dei suoi colleghi? L’amore gioca brutti scherzi, gli aveva detto lei una volta, non ci caschi come un pollo. Avrebbe dovuto ascoltarla. Lei sa sempre tutto.
Scuote il capo. Che continui pure a girare quella maledetta stanza!, non gli importa nulla. Lui e il suo orgoglio maschile l’hanno condotto solo all’autodistruzione. Se solo non si fosse innamorato di quella donna. Se solo avesse dato ascolto a lei, la sua guardia del corpo. Ma era rimasto accecato da quella bellezza nuova, conosciuta una sera per caso. Si chiede più volte cosa, poi, realmente di quella donna l’ha colpito. Doveva capire che tramava qualcosa. Eppure, ha rischiato la sua vita per lei ed ha ignorato l’altra.
Stringe le dita, sente i tendini tendersi e le corde graffiargli i polsi con tenacia. Maledizione. Non verrà nessuno a salvarlo, è condannato. Loro gliel’avevano detto, l’avevano avvisato. Eppure lui, convinto di far la cosa giusta, non aveva dato retta a quell’ultimatum. E’ spacciato. Inutile rimuginarci sopra.
Getta il capo indietro, sente il dolore al capo martellare come non mai.  Si lascia andare, si sente svenire.
«VICTOR!» è un urlo ben assestato, pieno di rabbia e sollievo. Due mani fredde gli sollevano la testa, lo portano a osservare l’interlocutore. Occhi castani lo guardano carichi d’apprensione, mentre sente i nodi sciogliersi e gli arti venir liberati.
«Lydia», sa che non è il suo vero nome ma lo sussurra come se lo fosse. La guarda, lei gli rivolge un’occhiataccia. Lui sorride sollevato. L’ultimatum, allora, non era un vero e proprio ultimatum.
Lei l’aiuta a sollevarsi, stringendolo a se con una forza strepitosa. Per un attimo rimane stupito, poi ricorda. Lei non è umana, non del tutto almeno. Eppure sembra esserlo più di molte altre persone che ha conosciuto. Che strano. E’ incredibile. Continua a guardarla, sempre più perso nei suoi pensieri mentre lei si fa passare il suo braccio sopra le spalle, mentre con quello libero che le è rimasto gli circonda il bacino. Victor nota che ha la divisa macchiata di sangue. La pelle pallida imbrattata di quel liquido rosso la fa somigliare a una qualche dea della morte. Sembra appena uscita da un campo di battaglia, vincitrice.
La squadra ancora una volta, socchiudendo le labbra successivamente. Ha uno sguardo da predatore sazio. Uno sguardo da assassina. Non ci mette molto a capire cos’è accaduto fuori.  Oltre la porta che lo teneva segregato, le due guardie di turno giacciono a terra morte con la gola tagliata. Espressioni vuote e bianche lo osservano finché non sale le scale ed esce all’aperto. La luce dell’alba lo colpisce con forza, costringendolo a portarsi una mano davanti allo sguardo stanco. L’aria gli soffia sulla pelle rinfrescandolo, facendolo sospirare.
Alla fine ha potuto contare su quelle guardie del corpo speciali che suo padre ha assunto per lui. Chissà perché, però, non gli ha dato ascolto prima. Si maledice nuovamente. Avrebbe dovuto dargli retta. Avrebbe dovuto annuire realmente convinto a Lydia, che lo sta praticamente trascinando verso una delle auto parcheggiate in fondo al vialetto. Sarebbe dovuto stare con Sebastian, che si sta togliendo la maschera dal volto e si sta passando una mano fra i capelli biondi. Avrebbe dovuto seguire quei corsi di auto difesa con Draco, che gli sta sorridendo con gli occhi azzurri. Sarebbe dovuto rimanere dove David, che sta appoggiato ad una portiera con una mano guantata di nero, gli aveva detto. Eppure non l’aveva fatto. Perché?
Guarda per l’ultima volta Lydia, studia i suoi movimenti controllati mentre lo poggia nel sedile posteriore dell’auto, il guizzo della mascella mentre tenta di sorridere dolcemente per non mostrare la sua rabbia. Lui sa che, molto probabilmente, quella esploderà nella sala palestra che ha messo a disposizione di tutti loro. Non può torcergli un capello ma la conosce ed è a conoscenza della voglia che adesso le sta attanagliando le viscere: vorrebbe strozzarlo, e ne ha tutte le ragioni.
«Lydia», mormora stancamente, «qual è il tuo vero nome?»
Lei lo osserva, è accigliata. Probabilmente non si aspettava quella domanda. Forse è stupita. Forse è allibita. Non riesce a capirlo, ma comprende bene la frase che lei gli rivolge: «Non posso dirglielo Signore, per la mia salvaguardia e quella del progetto a cui ho aderito. Forse potrebbe conoscerlo una volta che non avrà più bisogno di me o nel caos morissi, ma ne dubito fortemente.»
Victor annuisce, spostando gli occhi sul sedile di pelle davanti a se. Lo nota solo ora, ci sono solo due auto e le sue quattro guardie del corpo. Immagina che non ci sia nulla da fare con quei tizi, la loro forza vale quanto quella di un esercito perciò non servono rinforzi nelle loro missioni. Ha potuto vedere quello che quelle macchine da guerra sanno fare, più volte. E’ spaventoso, fa accapponare la pelle, però gli è grato. Nonostante tutti i guai che gli ha procurato sono venuti a salvarlo.
«Che succede, Lydia? Questa non è la macchina che avevamo deciso per il trasporto del Capo» borbotta Sebastian, avvicinandosi alla ragazza. Si posiziona davanti alla portiera ora chiusa, Victor riesce a vedere gli occhi verdi del giovane che rapiscono quelli di lei. In un certo senso si sente tremare, ma non riesce a capire a causa di quale sentimento è dovuto tutto questo.
«C’è stato un cambio di programma. Voi scortate il Capo con questa macchina, io prendo l’altra.» Lydia incrocia le braccia al petto e schiocca le nocche.
Sebastian tentenna, ma non può replicare. Nel loro gruppo è lei che comanda, non si può non obbedirle. «Spero solo che la tua idea non ci costi la pelle» le sussurra, strusciandosi stancamente una mano sul volto. Sembra stanco, sfinito. Chissà da quanto lo cercano; quante vite hanno dovuto tagliare a metà per salvarlo.
«Stai tranquillo e fidati di me. Sarò sull’auto proprio dietro di voi. David, Draco datevi una mossa. Il Capo non è in buona salute: portatelo a casa e chiamate il nostro medico.» Vede che non si muovono, persino lui sa che non desiderano lasciarla sola. Nemmeno Victor lo vuole. Si opporrebbe se potesse, ma adesso la sua opinione non vale nulla perché tutto questo è successo a causa sua.
Lydia impreca malamente, drizza la schiena e il mento e li osserva tutti. «Muovetevi! ADESSO!» ringhia con autorità e tutti scattano. Le portiere si aprono, le serrature si chiudono con sordi “click” e il motore ruggisce.
Draco alla guida schiaccia l’acceleratore, i suoi occhi smeraldi scattano subito allo specchietto retrovisore. Lui sa che è preoccupato, come gli altri due suoi compagni, ma lei ormai sta diventando un puntino lontano. La villa le fa da sfondo, nota Victor quando si volta dolorosamente a guardarla, sembra messa li per incorniciare la sua figura che ricorda le dee greche. Lei alza una mano in segno di saluto. Gli pare che sorridere.
Il castano seduto vicino a Draco mormora qualcosa, lanciando uno sguardo azzurro allo specchietto.  «Ma cosa?» David non fa in tempo a parlare che un’esplosione catapulta la loro vettura in avanti oltre il cancello d’entrata, Victor viene protetto dal corpo di Sebastian che lo spinge verso il basso.
Quando torna la calma tutti rimangono muti, con il cuore che corre veloce. Li vede diventare pietrificati come statue, le espressioni simili a quelle dei cadaveri delle due guardie che ha visto morte a terra. Non elabora subito, forse non vuole, ma quando ci arriva sente il battito cardiaco prima fermo dallo spavento prendere a sbattere come le ali di un colibrì. Vorrebbe gridare qualcosa, come loro di sicuro, ma non riesce. Si limita a voltarsi, l’uomo, e a deglutire a vuoto.
 Poi, come il silenzio arrivato senza accorgersene, scoppia come un piccolo finimondo. Sebastian si catapulta fuori dalla vettura con foga, ignorando i richiami dei due colleghi che, dopo poco, lo seguono. Vorrebbe correre fuori anche lui, andare a controllare se lei è ancora viva, ma non può perché è troppo debole. Perciò, si limita a osservarli dal finestrino posteriore e a sentirmi morire dentro. «EVELINE!» sta urlando il biondo con tutte le sue forze, i compagni che lo riportano indietro a fatica. «EVELINE! »
Perché quella sera non è rimasto a casa come gli aveva detto lei? Se solo non avesse agito di testa sua adesso tutto questo non sarebbe successo.
Si sente in colpa, Victor. Ferito, non solo fisicamente ma anche interiormente. E’ come se gli avessero appena portato via una parte di lui ma non riesce a capacitarsene. Chiude gli occhi, strizza le palpebre mentre la macchina riparte e nessuno fiata. Il volto di lei gli compare davanti alle palpebre chiuse.
Eveline, pensa, è il nome che più ti si addice.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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