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Autore: Light_of_stars    17/03/2015    1 recensioni
Nell'Inghilterra vittoriana, in una città dove le stelle ormai non brillano più, due piccoli lumi terrorizzano la popolazione. Nicholas ha un' ultima missione prima di poter avere la sua libertà: liberare le strade di Manchester la il demone che le infesta.
[Scritta per il contest: Fantasy Tattoo, indetto da Yuko majo]
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao, sono Light ed ho scritto questa storia per il contest fantasy tattoo di Yuko Majo. mi scuso tantissimo con chi ha letto a storia nella prima versione: ho provato a caricata dal telefono ma non veniva bene, ed avevo deciso di aspettare una connessione, purtroppo ho scoperto dopo qualche tempo di averla pubblicata!

Il finestrino, chiuso, dal vetro sporco, non mostrava nulla oltre all'oscurità della notte, un vecchio vi era poggiato, immerso nel sonno, ogni tanto emettendo qualche fastidioso rumore; molto più quieta era la coppia, dovevano essere sulla quarantina, che riposava al lato opposto di quell'anonimo scompartimento di seconda classe, lei con il viso poggiato alla spalla di lui, con l'ombra di un sorriso sul volto. Nicholas Lewis era l'unico rimasto sveglio, nonostante fosse scesa la notte già da qualche ora, sulle gambe aveva un libro che sfogliava annoiato, cercando di distrarsi dallo spaventoso ritardo che aveva fatto il treno, quando si dice “cominciare bene”, sapeva che non avrebbe dovuto accettare quella missione, sarebbe dovuto imbarcarsi per l'America il prima possibile e addio a quegli stupidi inglesi. Era un uomo sui trent'anni, forse poco meno, nato nelle selvagge terre degli Stati Uniti, il suo corpo era atletico, perfettamente fasciato in quel fastidiosissimo completo inamidato, con camicia bianca, cravatta nera, panciotto giacca e pantaloni grigi, maledizione, ma come poteva la gente pensare di andare in giro in questo modo? In cinque anni non era mai riuscito ad abituarsi alla compostezza che pretendevano in Inghilterra; nella sua terra alcuni, è vero, si conciavano da pagliacci, ma lui era abituato alle steppe, alle foreste, al mondo ancora incontaminato. Non era un uomo particolare, la gente tendeva a dimenticarsi di lui facilmente, ciò era una fortuna per il suo lavoro; amava i capelli lunghi, i suoi, castano scuro, li portava tagliati poco sotto le spalle, ma sempre costretti in una coda, adornata da un pratico fiocco. Gli occhi erano azzurro chiaro quasi grigi e la pelle, negli anni passati sempre abbronzata, molto pallida, a causa dello splendido clima inglese, anche se potevano ancora intravedersi le conseguenze dei caldi raggi del Sole della sua terra.

L'alba sarebbe ormai stata dopo poche ore, quando il treno sbuffò pesantemente, prima di emettere un ultimo lungo, lamentoso fischio e fermarsi definitivamente. La stazione era immersa nella nebbia, che nascondeva il paesaggio e che sembrava anche attutire i suoni, mai aveva sentito tanto silenzio in una città industriale. Scese cauto dal vagone e si incamminò verso l'uscita, allontanandosi dalla mastodontica macchina di ferro.

Appena fuori fu fortunato di trovare un vetturino mezzo addormentato che, dopo un po' di difficoltà dovute all'ora tarda, o al mattino presto, come meglio poteva essere definito, e all'orribile accento che in quella città si ritrovavano ad avere, capì il luogo in cui desiderava essere portato. La carrozza procedeva sicura lungo le strade e le ruote sbattevano rumorosamente contro ciottoli. L'aria era pesante, quasi difficile da respirare, satura dei fumi sputati dalle lunghe ciminiere, invisibili nel bianco candore della notte. Lugubri, uniche fonti di luce le fiammelle degli alti lampioni di ferro battuto illuminavano le vie principali, come tanti, piccoli fuochi fatui in un cimitero: gli era successo di vederli, piccole luci bluastre che illuminavano le lapidi, sarebbero effettivamente stati spaventosi se la sua mente non fosse stata concentrata sul vampiro che viveva in una delle cripte a cui si stava avvicinando di soppiatto.

Era già stato un paio di volte in città, e l'ultima aveva intravisto una locanda che sembrava molto invitante: aveva mandato una lettera ai proprietari per avvisarli del suo arrivo e della sua permanenza prolungata, così, quando bussò alla porta, l'uomo che aprì, con in mano una candela e vestito con una lunga veste bianca non sembrò molto stranito, anzi, lo invitò ad entrare con gentilezza, o con quella che lui pensò fosse gentilezza, non riuscendo a distinguere bene le parole dell'uomo. Non riuscì a scorgere la stanza d'ingresso, essendo questa immersa nel buio, ma il proprietario lo accompagnò lungo una scala di legno, fino ad un corridoio con molte porte, gli indicò la sua, dandogli la chiave, poi gli spiegò, questa volta fortunatamente parlando in inglese che la stanza aveva annessa una tinozza per il bagno, ma che la latrina era comune, in fondo.

Entrò nella camera, non era grande, ma nemmeno un buco, vi era un armadio di legno, un tavolino, una sedia e un letto per due persone, sì, decisamente meglio della prima volta, quando era finito in un posto che era poco più di un bordello; posò il baule e si tolse il mantello bagnato, nonostante non piovesse era estremamente umido, appese il cappello alla sedia, e si spogliò, per poi infilarsi sotto le coperte, troppo stanco per cercare la veste da notte nei suoi bagagli.

Riuscì a dormire poco quella notte, facendo incubi popolati da animali che di muovevano come pazzi, ripetendo sempre lo stesso gesto, emettendo versi continui e assordanti.

Sì svegliò con le voci della gente per strada e fu subito infastidito dall'orribile risuonare in lontananza dei giganteschi marchingegni nelle fabbriche; aprì la finestra, la nebbia si era diradata, ma il cielo rimaneva grigio e pesante, non seppe dire se ciò fosse dovuto allo schifoso clima del regno o alle grosse ciminiere che, come ben si ricordava, fumavano incessantemente. Tutta la città era grigia, grigia l'aria, grigi i passanti, malati nell'aspetto e grigi nel vestire, persino le case, impregnate dai fumi che le fabbriche esalavano erano grigie.

Prese la sua vecchia sacca di pelle, un vecchio ricordo delle terre da cui veniva, quanto gli mancava la sua cara America; tirò fuori una busta e da questa un foglio piegato:

 

A Lupus Roboris

sembra che il demone conosciuto come Sidus Mortifer sia stato avvistato nei pressi della città di Manchester.

Le informazioni disponibili su questo essere sono molto lacunose, pochi dei nostri informatori sono tornati vivi e quei pochi sono morti dopo poche ore, per deperimento, in tutti i casi sembravano aver perduto la ragione. Seppur poco chiare le testimonianze convergono sulla presenza di due lumi simili a stelle, presumibilmente gli occhi , non si conosce altro della sua forma fisica.

Nella città sono stati riscontrati casi di una malattia che porta al deperimento del fisico e spesso al delirio, si pensa possano essere legati al suddetto demone.

Si chiede di indagare.

Imago Ruber

 

Dannazione, troppe poche informazioni. Odiava dover portare a termine quell'incarico, odiava quella città satura di carbone, odiava quel maledetto demone che non poteva limitarsi a uccidere i poveracci, ma che doveva far fuori anche i ricchi, provocando lo sdegno del potere. Maledizione, lui aveva già programmato di tornarsene nelle sue terre, quando l'avevano costretto a quest'ultimo lavoro. Maledizione.

 

Si vestì in fretta, fortunatamente quel giorno avrebbe dovuto usare vestiti modesti, quindi nessun cappio al collo o cose simili. Scese in strada e si incamminò di buon passo con la sua borsa stretta a sé, avrebbe dovuto inoltrarsi nella zona più povera della città: odiava il mondo industriale, dalla prima volta in cui era entrato a Londra aveva iniziato a figurarsi l'inferno come una mushroom town, i luoghi in cui dimoravano i meno abbienti, dove le case erano ammassate l'una a l'altra e le famiglie vivevano stipate in piccole stanze, dove la fogna scorreva libera per le strade e, ad ogni svolta, corpi erano riversi sul selciato, non distinguibili gli ubriachi dai morti nemmeno dal puzzo. Lui non era mai stato schizzinoso, era abituato a scuoiare e sventrare le sue prede fin da bambino, e gli intestini di un procione non sono un bello spettacolo, ma ogni volta che entrava i quei luoghi riusciva a malapena a trattenere il vomito. Se dov'era la locanda si sentivano gli echi delle macchine, in quei luoghi il rumore era costante e imponente e il carbone sembrava penetrato in ogni più piccolo anfratto.

Sarebbe stato difficile comprendere chi era morto a causa del demone, la gente lì sembrava più morta che viva: gli era capitato di incontrare cadaveri ambulanti con un aspetto migliore a Cuba, quando era giovane, me effettivamente quelli mica respiravano costantemente quella merda... certo e nemmeno respiravano! Si ritrovò a ridacchiare tra sé mentre camminava tra la gente, ignorato, sempre tenendo sott'occhio la sua borsa. Quasi inciampò sull'esile corpo di una donna che implorava qualche soldo, stringendo due bambini che probabilmente non avrebbero visto l'anno successivo. Posò tra le sue mani abbastanza per permetterle di mangiare un paio di settimane, e, frenando i suoi ringraziamenti, con le lacrime agli occhi chiese:

-Avete per caso sentito parlare di un demone che si aggira in questa città?-

-Sì- rispose, l'uomo ringraziò per la sua fortuna, aveva sempre prediletto le domande dirette, anche se spesso erano rischiose, ma col popolo spesso funzionavano, poi notò uno sguardo di dolore negli occhi della donna -quella cosa prendette mio marito alcuni mesi fa, io lo vedetti, prima vennette la malattia, e sembrava come le altre però io vedetti i suoi occhi e lui, che fatto di ossa. Mio marito perdò la testa e muore.

Nicholas si alzò, trattenendo un sorriso per l'inaspettata buona sorte. Si addentrò ancora di più nella slum sperando di portare a termine il suo lavoro in poco tempo.

 

  
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