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Autore: death_titan_    18/03/2015    2 recensioni
Continuo a ripetermi di essermi sbagliato, che quello che ho visto non era reale. Ma nel profondo della mente so che non è così.
Vedo la gente malata.
Ma non malata di qualche sindrome conosciuta e riconoscibile. La gente è malata di mente.
Ha qualche problema al viso, al sorriso. Sì. Il sorriso. Quello strano ripiegamento sul viso che sembra solo la distorsione di una bocca controllata da qualcosa di superiore...
// One-Shot scritta di getto //
Genere: Dark, Horror, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lascio stare i miei propositi di stare calmo per ripensare a tutti i miei passi.
E' da oggi che non riesco a restare rilassato per neanche un minuto. Continuo a ripetermi di essermi sbagliato, che quello che ho visto non era reale. Ma nel profondo della mente so che non è così. Vedo la gente malata. Ma non malata di qualche sindrome conosciuta e riconoscibile. La gente è malata di mente. Ha qualche problema al viso, al sorriso. Sì. Il sorriso. Quello strano ripiegamento sul viso che sembra solo la distorsione di una bocca controllata da qualcosa di superiore.
 
E' iniziato tutto oggi pomeriggio in palestra. Dopo aver fatto pesi, corsa e piegamenti mi reco negli spogliatoi. Lì trovo Ryan, da sempre uno dei miei migliori amici, conosciuto da anni. E' girato di spalle e riconosco la solita maglietta da palestra e la corporatura imponente. Sorrido e lo saluto come sempre e prima di vederlo in viso risponde. La voce era sempre la stessasicurante e profonda voce da trentenne. Ma appena si volta, non ne riconosco il viso. Lui dimostra di conoscermi, ma io non posso dire lo stesso. Non so cosa avesse di diverso. So solamente che la persona davanti a me non era Ryan, ma uno sconosciuto. Per non sembrare strano ricambio il piacere che ha lui nel vedermi e mi cambio velocemente. Infilo in fretta e furia tutto nella capiente borsa da palestra in modo molto disordinato, cercando di non dare a vedere il mio momentaneo disturbo per l'accaduto. Saluto superficialmente 'Ryan' con la scusa di avere fretta di tornare a casa e mi dileguo, a testa bassa, pensando a cosa possa essere successo. 

Nel tragitto verso casa mi fermo, come d'abitudine, nel bar a pochi metri dalla palestra. Conosco la cameriera in quel posto. Far due chiacchere non mi avrebbe fatto male di certo. Camminando sempre a testa bassa mi siedo al solito tavolo, solo, aspettando la cameriera, Mishelle, una deliziosa ventenne trasferitasi qui da qualche mese. La vedo, di spalle, servire il tavolo davanti a me, quindi aspetto pazientemente. Mi sembrava come sempre: grembiule bianco, lunghi capelli biondo miele che ricadono disordinatamente sulle spalle e lunghe gambe toniche rivestite delle solite panta nere. Si avvicina al mio tavolo metre io ho la testa immersa nel cellulare. Alzo il volto sentendola parlare. La voce era acuta come sempre e con un italiano un po' stentato, ma il tono mi sembrava leggermente minaccioso. Contemporaneamene al tono di voce, notai che anche lei non aveva lo stesso viso di sempre. Mi sembrava quasi che avesse gli stessi tratti ma che non fosse riconoscibile per espressione e tono. Mi spaventai un po' e cominciai a preoccuparmi ma nascosi tutta la mia preoccupazione e ordinai il solito panino con una coca cola media. Uscito dal bar, mi sono incamminato verso casa. Erano ormai le sei e mezza di sera. Vivo in un paesino in campagna, quindi riesco a riconoscere tutti anche se non li vedo in volto. Camminando incontrai molti anziani che mi salutarono. Non ho riconosciuto neanche loro. Cominciai a preoccuparmi ancora di più. Come potevo non conoscere nessuno? Io che fino a qualche ora prima salutavo ogni persona che incontravo in paese. Mi era salito il panico. Non riuscivo a stare calmo. Vedevo stampato sui quei visi sconosciuti un sorriso da pazzo che MAI avevo visto nella vita.  


Mi siedo su una panchina per una piccola pausa di riflessione. E per una sigaretta. Ogni persona che mi sorpassa è sconosciuta ai miei occhi e mi spavento. Comincio a sentirmi osservato. Come se quelle persone mi guardassero in attesa di qualche passo falso. Per approfittarne. Per attaccarmi e farmi diventare come loro. Esseri vuoti, con gli occhi spenti, controllati, e il sorriso da psicopatico. Finita la sigaretta mi alzo in piedi e comincio a camminare velocemente. Quasi corro. Mi sento seguito, aumento il passo. 

124 pulsazioni al minuto. Devo fermarmi un attimo o rischio di non farcela, ma loro potrebbero essere ancora dietro di me.
Devo tornare a casa subito, lì sarò al sicuro. La stanchezza mi sta sfinendo, ma non posso fermarmi. Da lontano vedo la figura di casa mia e ho nuove forze. Mentre corro sento la voce del signor Stain, il mio vicino di casa, ma non è lui. È uno di loro. Mi saluta con la mano e un deficiente sorriso stampato in volto.
Non mi fermo. Continuo a correre. Lui mi grida di fermarmi e di ascoltarlo. Ma non obbedisco. Noto che ha un paio di grandi e affilate cesoie in mano. Il suo sguardo è torvo e minaccioso. Vuole farmi del male. Non sto impazzendo. Continuo a correre. 

Finalmente vedo la porta di casa mia. La apro ed entro come una furia, sono salvo fortunatamente. Sento colare qualcosa dall’orecchio destro e passando la manica della felpa vedo il sangue scarlatto, forse in palestra ho sbattuto più forte di quanto pensassi all’inizio.
«Mamma?»
«Tesoro, Noah, sei tu? Cosa ci fai a casa a quest’ora?»
Corro in cucina e senza degnarla di uno sguardo affondo la faccia nel suo grembiule piangendo. Finita la scena patetica di un ventenne che piange, le spiego cosa succede.
«Mamma, mi sembra di impazzire. Oggi tutti sono stati come sostituiti da delle cose senza volto… non riesco a capire.»
«Amore cosa stai dicendo? Ma questo è sangue? Cosa ti è successo?»
Mi scosto dal suo abbraccio e la vedo. Una di quelle cose si è già sostituita a mia madre: ha la stessa dolce voce, ma non è lei. In mano ha un coltello e so di avere pochissimo tempo e poche chance per agire. Glielo strappo di mano e accoltello l’essere che si è impossessato di mia madre al collo, senza paura, poi corro in camera.
 
Sono entrati anche in casa mia. Sanno dove abito

Devo essere in grado di difendermi.
Scendo in cucina per recuperare il coltello dal corpo defunto di quell'essere. Metto il piede sulla testa dell’impostora e lo estraggo con forza.
Ora aspetto che rientri mio padre e spero che non sia già stato sostituito da quelle assurde cose. Spero di non dover usare il coltello un altra volta.









-Prosopagnosia: 'prosopon' (faccia) e 'agnosia' (non conoscenza).
Deficit percettivo acquisito o congenito del sistema nervoso centrale: impedisce ai soggetti che ne sono colpiti di riconoscere i volti delle persone, anche dei familiari stessi. Può presentarsi in forma pura o associata ad agnosia visiva, ed è causata principalmente da lesione bilaterale.
 



 
   
 
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