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Autore: Alicecream    20/03/2015    1 recensioni
Un tetto, una bottiglia, due ragazzi e qualche frase per rimorchiare sillabata male.
Ma quante cose possono succedere in una notte rossa.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
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I primi a recensire vincono un abbraccio virtuale da un mio alter ego stranamente tenero e coccoloso.
Questa storia è dedicata (ma dai!) a uno strano esemplare di Lupus della classe quasi sopra la mia.
Buona lettura ►




 

Ti trovai dove ti nascondevi sempre, sul tetto della villa, le gambe a penzoloni e lo sguardo perso sull'enorme giardino profumato. Mi avvicinai strisciando i piedi, con il rumore della festa che si faceva man mano più ovattato. Avevi una giacca di jeans sulle spalle, quella stessa giacca che poi avresti dovuto offrirmi se fossimo stati in un film romantico, ma che tenesti mentre la mie pelle si riempiva pian piano di brividi.

“Com'è Lei?” ti chiesi, veramente interessata alla risposta.

Scuotesti le spalle senza dire una parola. Mi sedetti accanto a te, con solo una bottiglia piena di un qualcosa di alcolico a separarci.

“Ride troppo forte” dicesti, con gli occhi ancora puntati sull'universo verde sotto di noi. “Non conosce la differenza tra rosso Borgogna e bordeaux.”.

“Io la conosco” ti dissi, quasi per sbaglio, per poi arrossire.

“Lo so” fu la tua unica risposta.

“Allora” ti chiesi “Cosa vogliamo fare?”. La festa non sarebbe finita prima dell'alba.

“Potrei baciarti” proponesti, prima di girarti e guardarmi, con quegli occhi da felino e il collo curvato come un cane che aspetta solo il permesso del padrone.

“Non ho bevuto abbastanza” ti dissi. Non era vero. L'avrei fatto, da sobria e da ubriaca e anche da morta, ti avrei baciato se fossi stata un'anima bianca e viscida in cerca della Salvezza eterna. Ma avevo paura delle conseguenze, di cosa sarebbe successo dopo. Il mio istinto non voleva neppure stare lì con te, le mie labbra mi imploravano di bere e lasciar perdere la ragione.

“Hai bisogno di bere per baciarmi?” anche tu eri ubriaco e lo sapevi.

Presi un sorso dalla bottiglia, l'ultimo di tutti i bicchierini che avevo fatto scivolare in gola quella sera, le bollicine di un alcolico scadente che mi andavano alla testa.

“Sono nudofobica, Ale. Inventati qualcos'altro” mi sdraiai a terra. Nudofobica, ma chi credevo di prendere in giro? La mia gonna rosso magenta quella sera mi arrivava a metà gamba, ma di solito osavo molto di più. E comunque in quella posizione, con le ginocchia piegate e leggermente aperte, non dubitavo di essere completamente scoperta. Senza contare la mia canottiera, che mi scopriva l'ombelico e i fianchi ogni volta che alzavo leggermente le mani.

“Ti bacerò più tardi allora. Contiamo le stelle” ti sdraiasti accanto a me, con la tua giacca di jeans sbottonata.

Risi, dicendoti “Ma Ale, ho bevuto troppo per capire quali stelle vedo e quali invento”.

“Così, hai bevuto troppo per contare ma troppo poco per baciare? Eppure non è difficile. Ti facevo più in gamba. Certo, potrei sempre farti un rapido ripasso..” mi dicesti, e sentivo un sorriso provocante formarsi sul tuo viso.

“Anche la mia risata è sgraziata?” cambiai argomento, preoccupata per come avresti concluso la frase.

Sospirasti, come rassegnato. “Tu non hai nulla di sgraziato” mi dicesti “E restando in tema: le tue stelle sono come occhi che illuminano la notte”. L'avevi pronunciato con affetto, senza renderti conto che nella tua frase c'era qualcosa che non andava.

“Se ti bacio adesso penserai che le mie labbra hanno il sapore di” non ebbi bisogno di concludere la frase, lo sperimentasti di persona. Giorni dopo mi dicesti che sapevano di ciliegia. Le tue invece erano al gusto di liquirizia, come caramelle, quella notte e tutte le notti che vennero dopo.

Le tue mani erano calde, per fortuna. Non ti avrei permesso di toccarmi con dita gelate, come le mie. E la tua barba mi pizzicava il collo. La mattina dopo, guardandomi allo specchio, li avrei visti i segni: puntini, puntini rosso Falun, che mi ricoprivano il collo e chiazzavano, qua e là, il resto del mio corpo.

“Cosa siamo?” ti chiesi alla fine, cercando un briciolo di lucidità nella mia mente.

“Siamo mercurio rosso.” mi dicesti, con gli occhi che quasi mi imploravano di capire.

“Un'arma nucleare inesistente?” ti domandai con un leggero velo di ironia, sollevandomi su un gomito.

“Un'arma nucleare esistente” mi correggesti, serio quanto più lo può essere un ragazzo semiubriaco su un tetto alle tre del mattino “che esplode ogni volta che siamo vicini”.

“Tu sei tutto matto” sorrisi.

E riprendemmo a esplodere.  

  
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