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Autore: slanif    22/03/2015    2 recensioni
HeungSoon
Da sempre erano stati due amici che parlavano per gesti e con poche parole, imprimendo molto più valore e significato ad un’azione piuttosto che a una frase.
E se quelle carezze, quelle mani tremanti che sbottonavano un bottone dopo l’altro delle altrui camice, quelle labbra piene di passione e desiderio e amore che si scontravano con le proprie dando vita a baci appassionati e bollenti… beh, quei gesti valevano come milioni di parole ripetute per milioni di anni.
Sembravano gridare: Rimani con me, ad ogni più piccolo movimento.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questa fan fiction è basata su un pezzo del 15esimo episodio del Drama, perciò contiene spoiler.
Le frasi in grassetto sono riprese dalla traduzione di “Aja Aja Italian Fansub”, perché trattano proprio dei pezzi specifici dell’episodio, e i credits vanno ovviamente a loro.
 
 
 
*
 
 
 
Rimani Con Me
di slanif
 
 
 
Heung Soo procedeva lentamente per la strada buia e in salita, illuminata appena dai lampioni dalle luci giallastre.
Aveva appena subito un lungo interrogatorio alla stazione di Polizia, subendo un forte stress, e si sentiva piuttosto affaticato e bisognoso di riposo, di chiudere gli occhi e spegnere il cervello per ore. Benché non fosse il colpevole e non sapesse nemmeno che quello stupido cellulare fosse in classe quando lui era lì da solo, considerando il suo passato, non si stupiva che il primo nome ad essere uscito fuori come presunto colpevole fosse il suo. I sospetti poi erano stati aiutati dal fatto che lui alla lezione di ginnastica non c’era andato, perché avrebbero giocato a calcio e la sua gamba e il suo cuore facevano troppo male per potervi partecipare.
Sospirò sconsolato e scosse appena la testa, procedendo un passo dopo l’altro.
All’inizio nemmeno lo notò, ma quando con la coda dell’occhio vide una sagoma scura poggiata alla ringhiera, non ebbe nemmeno bisogno di osservare bene per sapere che era Go Nam Soon.
Eppure, si fermò lo stesso e lo osservò: le spalle larghe erano ricurve in avanti in una chiara dimostrazione di tristezza; apparivano tese e nervose e le mani erano infilate inevitabilmente nelle tasche. Lo sentì anche sospirare appena.
Riprese a camminare con la stessa andatura ciondolante e salì le scale, notando che l’altro aveva gli occhi chiusi, come immerso in un profondo sonno. In realtà, Heung Soo sapeva benissimo che l’amico era solo immerso nei pensieri; chiudeva sempre gli occhi quando aveva bisogno di pensare e di concentrarsi. Spesso fingeva anche di dormire, pur di riuscire a pensare.
Lo conosceva troppo bene, sarebbe stato impossibile ingannarlo.
Gli arrivò di fronte e si fermò. Anche le sue mani erano nelle tasche.
Gli occhi di Nam Soon si aprirono e si tirò su immediatamente, staccando il sedere dalla staccionata bianca, e prendendo a fissare l’altro negli occhi. Vi lesse stanchezza e sconforto.
« Perché torni così tardi? », domandò. Lo fece quasi con un tono accusatorio, perché lo aveva aspettato così a lungo da sembrargli che fosse passata un’eternità. Un’eternità in cui era stato terribilmente preoccupato per l’amico.
« Chi ti ha detto di aspettare? », fu la pronta e secca risposta di Heung Soon. Era stanco, adesso non aveva voglia di ascoltare altre scuse che non voleva.
Nam Soon sospirò, quindi disse: « Andiamo. »
« Dove? », domandò Heung Soo, con lo stesso tono secco e scostante di poco prima.
Ci fu un momento di silenzio; Nam Soon abbassò gli occhi e le lunghe ciglia gli velarono le pupille. Poi le rialzò e fissò l’altro con sguardo deciso: « Parliamo un attimo. »
Heung Soo sospirò, chiuse gli occhi, arricciò la bocca in un’espressione scocciata e alla fine disse: « Un’altra volta. »
Ma Nam Soon non aveva nessuna intenzione di cedere, stavolta: « Seguimi, bastardo. » E lo superò, facendo strada.
Nam Soon non avrebbe voluto di nuovo essere così diretto e secco, ma l’altro non gli lasciava altra scelta. Heung Soo aveva sempre avuto la testa terribilmente dura, e per l’ennesima volta lo dimostrava. Visto che non voleva starlo a sentire, allora lui gli avrebbe fatto capire in altri modi cosa sentiva davvero. Gli avrebbe fatto ricordare perché, per tanto tempo, erano stati così inseparabili.
Quando sentì i passi di Heung Soo seguirlo, sorrise soddisfatto tra se e se.
« Dove stiamo andando? » La voce profonda di Heung Soon ruppe il silenzio dei loro passi.
Nam Soon sospirò, quindi si voltò: « A mangiare Ramen. » Avrebbe cominciato da lì. Mangiare Ramen insieme era una cosa che avevano sempre fatto volentieri e pochi giorni prima aveva avuto la conferma che in fondo, condividevano ancora gli stessi gusti. Con quello stupido gioco della poesia, entrambi avevano scritto inconsapevolmente la stessa cosa. Con quella scusa, era riuscito anche a fare una foto con l’altro dopo tutto quel tempo. Avevano pure sorriso un po’, e a Nam Soon era parso quasi che i tre anni di distacco non ci fossero mai stati.
Heung Soo lo fissò.
Ramen.
Sarebbero andati a mangiare dello stupido Ramen.
« Vuole sempre il Ramen. », borbottò tra sé, cominciando a seguirlo.
Nam Soon era sempre stato bravissimo a metterlo in difficoltà. Con quella sua schiettezza e spontaneità, sin da quando erano bambini, Nam Soon aveva rappresentato la sua peggiore spina nel fianco e al contempo l’unica persona in grado di capirlo davvero senza che lui dovesse nemmeno aprir bocca. Nam Soon era senza ombra di dubbio la persona a cui aveva voluto più bene al Mondo in tutta la sua vita.
E la cosa ridicola era che, nonostante tutto, quel sentimento non se n’era mai andato.
Magari era stato offuscato dalla rabbia prima e dal dolore poi, ma c’era sempre stato. Sepolto sotto strati e strati di orgoglio, ma c’era.
Era talmente immerso nei suoi pensieri che non si accorse di essersi spostato troppo sul bordo della strada. Si rese conto che il suo piede era finito dritto nella neve quando cominciò a sentire il piede bagnato. Lamentandosi, tirò fuori di corsa la sua scarpa da ginnastica dal cumulo di ghiaccio, ma ormai il danno era fatto.
« Come chiudere in bellezza una giornata di merda… », borbottò, scrollando la neve via dal piede e proseguendo a camminare.
Nam Soon lo sentì imprecare e senza voltarsi continuò a camminare, rallentando appena il passo per permettere all’altro di raggiungerlo.
Sorrise.
Sarebbe stata una bella serata, se lo sentiva.
 
Quando raggiunsero quel palazzo, Heung Soo lo riconobbe subito.
Nonostante fossero passati diversi anni dall’ultima volta che ci aveva messo piede, quello era senza ombra di dubbio il palazzo dove abitava Nam Soon da solo, da quando suo padre lo aveva mollato in quella città di periferia e se ne era andato, mantenendolo a distanza. Da quando la madre del suo amico era morta.
Arrivarono davanti alla porta e Nam Soon la spalancò, entrando e accendendo la luce.
Non si era voltato nemmeno una volta.
Heung Soo rimase sul pianerottolo, le mani sudate in tasca, si torse le dita nascoste, nervoso.
Nam Soon si girò e lo guardò: « Entra. », disse semplicemente. Il cuore gli batteva forte, ma non volle darlo a vedere.
Era inconsapevole che quello di Heung Soo batteva altrettanto velocemente: «Pensavo che dovessi mangiare del Ramen. »
Lo disse più per prendere tempo che per altro. Sapeva cosa aveva in mente Nam Soon, perché questo ricordava tanti momenti passati. E infatti le parole dell’amico glielo confermarono: « Facciamolo da soli. Ne è passato di tempo… », e poi se ne andò in cucina.
Heung Soo rimase immobile a fissare di fronte a se: la porta verde acqua e le pareti giallo oro, i mobili di legno scuro, qualche quadro appeso; era rimasto tutto esattamente uguale.
Afferrando il pomello argentato della porta entrò e se la chiuse alle spalle, procurando inconsapevolmente un sospiro di sollievo a Nam Soon, quindi si sbrigò a togliersi le tennis blu, soprattutto quella piena d’acqua, poggiando poi i piedi sul parquet chiaro e muovendo le dita del piede destro per cercare di scacciare via l’umidità.
Dopo un secondo di esitazione, mise un piede davanti all’altro e avanzò nella casa, arrivando in cucina dove Nam Soon stava già tirando fuori la pentola e la stava riempiendo d’acqua.
Si appoggiò al mobile, incrociando le braccia al petto e osservando l’altro in silenzio.
Nam Soon si sentì subito osservato, ma fece finta di niente: continuò a cucinare come se fosse da solo, con la mente che vagava ovunque nei ricordi. In quelli felici, ma anche e soprattutto in quelli dolorosi. In quella notte di tre anni prima dove con un solo calcio aveva infranto tutti i sogni della persona che adesso gli stava alle spalle e che da sempre era importante per lui sopra ogni cosa.
Quando aveva rinunciato alla cosa più importante della sua vita, a Heung Soo, era stato sincero. Sperava con tutto il cuore che almeno a quello l’amico avesse creduto.
Anche Heung Soo stava pensando a quel momento, a quando aveva creduto che Nam Soon aveva rinunciato alla scuola e invece gli aveva detto che quello a cui stava rinunciando era lui.
Lui, per Nam Soon, era importante come per lui era stato il calcio.
Il suo amatissimo calcio, i sogni infranti… se avesse amato davvero lui come amava il calcio, avrebbero potuto mai ricominciare?
Gli venne in mente un episodio di quasi quattro anni prima: era notte fonda, Nam Soon era venuto a casa sua e dopo avergli detto le solite frasi su sua madre, si era sdraiato a letto con lui e lì era rimasto immobile. Di solito gli dava la schiena, ma quella sera lo fissava dritto negli occhi.
Heung Soo gli aveva chiesto più volte cosa ci fosse, perché non crollava addormentato come al solito sul fianco destro (perché loro dormivano sempre Nam Soon a sinistra e lui a destra); ma Nam Soon non parlava.
Alla fine Heung Soo aveva smesso di fare domande e con un sorriso divertito era rimasto a fissarlo, aggiustandogli le coperte sulle spalle.
Erano rimasti occhi negli occhi per almeno dieci minuti, fino a quando Nam Soon non aveva allungato una mano lentamente. Nella penombra della stanza, quella mano lattea era sembrata quasi spettrale, ultraterrena, e Heung Soo si era incantato a guardarla.
Per questo lì per lì non aveva capito le intenzioni dell’altro.
Le aveva capite solo quando due polpastrelli della mano del suo amico, più precisamente l’indice e il medio, si erano posati soffici sulle sue labbra.
« Ma cosa…? », aveva sussurrato pianissimo, sbarrando un poco gli occhi e fissandoli ancor più intensamente in quelli del suo migliore amico.
Ma Nam Soon non lo stava più fissando; gli fissava le labbra e muoveva piano le dita in una carezza leggera.
« Nam Soon-ah… », aveva chiamato incerto.
A quel punto, Nam Soon aveva alzato gli occhi su di lui e aveva storto un solo angolo della bocca in un sorriso: « Ho sempre pensato che tu avessi delle labbra bellissime, Heung Soo… ho sempre voluto toccarle… »
Heung Soo ricordò di essersi sentito terribilmente confuso, imbarazzato e al contempo consapevole.
Inghiottendo il magone che aveva in gola, con un filo di voce era riuscito a dire: « Anche io mi sono sempre chiesto quanto debbano essere morbide le tue labbra, Nam Soon-ah… »
Nam Soon aveva alzato gli occhi su di lui e dopo un primo momento di sorpresa, gli aveva sorriso con dolcezza.
Il secondo che divise quel sorriso dalle loro labbra incollate, era ancora così vivo nei suoi ricordi che il cuore cominciò a palpitargli come impazzito.
Anche Nam Soon stava pensando alla stessa cosa, e il suo cuore batteva altrettanto veloce.
Quel bacio era stato dolce e puro, casto, innocente. Non aveva mai più baciato così. Non era mai più stato baciato così. Eppure… eppure quel bacio era stato il più bello, dolce e al contempo pieno di passione che avesse mai sperimentato in tutta la sua vita.
Sarebbero mai potuti tornare a quel momento? Ne avrebbero mai potuti costruire altri così e ancor più belli?
 
Nam Soon portò la pentola in tavola e la scoperchiò: come sempre, il Ramen era perfetto. Essendo tanti anni che l’amico viveva da solo, aveva imparato a fare qualsiasi cosa in casa e Heung Soo dovette constatare che casa era in ordine e pulita.
Nam Soon posò il coperchio sul tavolinetto di legno basso con le gambe d’acciaio, ai cui due opposti c’erano loro due, con una ciotola floreale davanti in cui avrebbero messo il Ramen da mangiare.
Heung Soo fissò il minore, ma questi non lo stava guardando negli occhi; continuava a mescolare il Ramen con le bacchette fino a quando ne prese su una bella manciata e se li infilò nella ciotola dopo averli scolati per qualche istante, prendendo rumorosamente a mangiarli a testa china.
Heung Soo continuò a non muoversi.
Vedendo l’assoluta immobilità dell’altro, alla fine Nam Soon decise di alzare gli occhi sull’altro. Aveva le guance gonfie di cibo, ma la bocca era stretta in una linea imbarazzata.
Heung Soo parlò lentamente: « Pensavo che volessi parlare di qualcosa. »
Nam Soon abbassò di nuovo gli occhi e cercò di inghiottire un po’ di cibo: « Dopo aver mangiato. » Quindi riprese a mangiare.
Però Heung Soo continuò a non muoversi e Nam Soon non ne poteva più di sentire solo il rumore delle bacchette di metallo che cozzavano contro la ciotola. Alla fine decise che non poteva aspettare di finire di mangiare. Inghiottì il cibo che aveva in bocca, mandandolo giù come se fossero sassi, e rialzando lo sguardo sull’amico assumendo un’espressione seria, disse: « Come hai vissuto? »
Heung Soo lo fissò in silenzio e immobile. Come spiegare con poche parole quello che era successo alla sua vita quando aveva perso in un colpo solo le due cose che più amava al Mondo?
Ma Nam Soon non era intenzionato ad arrendersi: « Perché hai vissuto senza uno scopo? », insistette.
Heung Soo rispose ancor prima di aver formulato nella sua testa quel pensiero: « Ero curioso di sapere se c’erano altri come te là fuori. » Ed era vero. Totalmente vero. Voleva vedere se, a furia di picchiare persone su persone, alla fine si sarebbero incontrati di nuovo. Se, alla fine, le loro strade si sarebbero incrociate ancora. E alla fine si erano davvero incontrati durante una rissa, ma quando ormai il suo cuore quasi non batteva più e aveva pensato fosse inutile. Eppure… eppure erano lì.
Sentì gli occhi bruciare e seppe che erano diventati rossi. Probabilmente già lucidi.
Quelli di Nam Soon non erano diversi dai suoi. Una lacrima già si stava formando in un occhio e le narici vibrarono, pronte a rilassarsi solo qualora le lacrime avessero iniziato a sgorgare liberamente: « Perché? Se ne avessi incontrato uno l’avresti picchiato? » Perché non sei venuto a cercarmi per picchiarmi? Perché non mi hai spaccato la faccia? Perché non hai sfogato su di me, l’unico vero colpevole, tutto il tuo dolore? Perché ti sei messo nei casini con la legge quando l’unica cosa che dovevi fare era venire a bussare alla mia porta per massacrarmi di botte? Io non ti avrei mai fermato…
« Volevo mettermi il cuore in pace, bastardo. » La voce di Heung Soo tremò.
Aveva pensato tante e tante volte di andare a suonare all’amico e picchiarlo, ma cosa avrebbe ottenuto? Pentimento e senso di colpa eterni.
Non si sarebbe mai perdonato di aver spaccato la faccia a Nam Soon.
Non poteva, perché aveva giurato che l’avrebbe sempre protetto.
E intendeva mantenere la sua promessa per sempre.
Le palpebre di Nam Soon vibrarono e una lacrima colò giù sulla guancia e poi dritta sul tavolino: « Idiota. », sussurrò con voce rotta « Dopo aver passato certe cose… » Nonostante tutto il dolore che ti ho causato, hai comunque voluto proteggermi…
Alla fine, anche una lacrima corse giù per la guancia di Heung Soo: « Che mi dici di te? », domandò, continuando a fissare il minore, che continuava a riversare silenziose e composte lacrime. « Hai mai detto che faceva male, brutto bastardo? » Perché non sei venuto da me? Avremmo potuto curarci le ferite a vicenda… non ce l’avevo con te. Non l’hai fatto apposta. Tu… tu… è stato solo uno stupido errore. Ci siamo fatti male entrambi. Perché te ne sei andato? Perché hai voluto proteggermi a tutti i costi? « Siamo uguali. », ammise amaramente. « Quindi Nam Soon… smettila di dispiacerti per favore. »
A quelle parole, Nam Soon sentì improvvisamente che tutto il peso del passato se ne andava dalle sue spalle. Il peso della colpa, del dolore, del rammarico, della vergogna. Tutto. Ogni cosa.
E Heung Soo si sentì altrettanto libero.
Cercando di ritrovare un contegno, si asciugò le lacrime e tirò su col naso: « La pasta è tutta molliccia adesso. », disse semplicemente, afferrando le bacchette e cominciando a mangiare, ristabilendo con quel semplice gesto, una routine che non avrebbero mai dovuto abbandonare.
 
Erano sdraiati sulla coperta, con ancora le divise scolastiche indosso, in assoluto silenzio. Nam Soon era sdraiato a pancia all’aria, fissando il soffitto e di sottecchi l’amico, mentre Heung Soo era sdraiato su un fianco, la giacca della divisa in mezzo alle ginocchia, un braccio sotto la testa a mo di cuscino. Nam Soon notò che si era tolto un solo calzino.
Nonostante le parole di prima, che sancivano definitivamente la loro riconciliazione, Nam Soon sapeva che dovevano ancora parlare di tante cose.
Tre anni sono tanti, e recuperare il tempo perso è impossibile. Però ci sono cose che si devono sapere e aver ripensato a quel bacio, di certo non lo aveva aiutato.
Sospirò per farsi coraggio e si voltò sul fianco destro, dando le spalle all’amico. Inghiottendo a fatica, parlò pianissimo: « Prima… »
La voce di Heung Soo si levò subito, bassa e stanca: « Cosa? »
Nam Soon chiuse gli occhi: « Prima stavo pensando… a quando ci siamo baciati… » Sentì le guance in fiamme e fu davvero felice di star dando le spalle all’amico.
Heung Soo si sorprese, ma sorrise per l’assurdità della cosa: « Anche io ci stavo pensando. », ammise.
Nam Soon si girò di scatto: « Davvero? », domandò sorpreso. La voce gli tremò appena.
Heung Soo annuì, fissandolo.
Nam Soon si girò definitivamente sul fianco sinistro, a guardare l’amico negli occhi. Quella posizione ricordò ad entrambi proprio quella notte, ma scacciarono entrambi il pensiero.
Nam Soon, dall’imbarazzo, disse la prima cosa che gli venne in mente: « Eravamo imbranati. »
Heung Soo sorrise appena: « Era il nostro primo bacio. » Ed è stato bellissimo.
« E’ stato bello. » Nam Soon diede voce ai suoi pensieri, sussurrandolo con un sorriso imbarazzato.
Il maggiore annuì, ripensando con tenerezza a quel momento: « Il più bello. », concordò.
« Hai baciato tante altre persone, dopo? » La domanda sfuggì dalle labbra di Nam Soon prima che potesse trattenerla. Anche se temeva che l’amico si arrabbiasse, era davvero curioso di sapere con chi era stato in quei tre anni.
« E tu? »
La domanda di Heung Soo lo prese in contropiede, ma rispose con tranquillità: « No. Solo un paio, ma non è stato granché… », ridacchiò.
Heung Soo fece una smorfia: « Io mi sono dato molto di più da fare! », si vantò appena.
Ammettere quelle cose era semplice, con Nam Soon. Gli sembrava che non fosse passato neanche un giorno.
Quanto mi sei mancato…
Nam Soon sbarrò gli occhi e la voce gli tremò un poco: « Dici davvero? » Perché ci rimaneva così male? In fondo, cosa si aspettava? Che l’amico non facesse niente? Esattamente come lui aveva avuto le sue esigenze, altrettanto le doveva aver avuto Heung Soo. Erano adolescenti, dopotutto.
Heung Soo annuì, strusciando i piedi: « Ho anche perso la verginità. », ammise con un filo di voce. Questo era davvero imbarazzante da dire a voce alta.
Il cuore di Nam Soon perse un battito: « Davvero…? », pigolò.
Heung Soo si limitò ad annuire.
Il minore inghiottì a vuoto e pigolò ancora: « Con chi? »
Heung Soo fece spallucce, quasi noncurante e indifferente a quei ricordi: « Una ragazza con cui sono uscito per un po’… bevevo un sacco e facevo casini. A lei stava bene, basta che uscivamo e andavamo a divertirci. Alla fine è successo nel bagno di una discoteca. » Il racconto era stato breve e privo di fronzoli. A un ascoltatore curioso non sarebbe mai piaciuto, ma in fondo non c’era altro da raccontare: era proprio così che erano andate le cose.
« Nei bagni di una discoteca? », domandò basito Nam Soon. Non avrebbe voluto, ma nel suo tono c’era del giudizio, ed era tutto fuorché positivo.
Ma Heung Soo non se la prese. Sapeva che lo sgomento dell’amico era comprensibile: « Purtroppo sì. E’ andata così e basta. Non è stato un granché. Ero talmente ubriaco che ringrazio Dio di essermi ricordato il preservativo. »
Nam Soon strinse le labbra e annuì: « Io non ho mai fatto sesso. Ho fatto qualcosa, ma non sesso. »
« Se lo fai come l’ho fatto io, non è bello. E’ meglio che tu non l’abbia fatto, Nam Soon-ah. Devi aspettare la persona con cui vuoi farlo davvero. Solo in quel caso è bello. », annuì Heung Soo.
Non sapeva perché, ma stavano entrambi sussurrando, come se in quella casa ci fosse qualcuno che poteva essere disturbato.
Nam Soon si agitò un po’, cercando una posizione più comoda: « E come si fa a capire che è la persona giusta? »
Heung Soo schioccò la lingua: « Sei del tutto idiota, brutto bastardo? Lo sai e basta! », inveì.
Nam Soon gli tirò un pugno sul braccio. Scherzoso, ma neanche troppo: « Non lo so, invece! », protestò.
« Perché non ti sei mai innamorato di nessuno. », alzò le spalle il maggiore.
Nam Soon arrossì: « Non è vero… », pigolò.
Heung Soo alzò un sopracciglio: « Ah, no? »
« No… » La voce del minore diventava sempre più un sussurro.
« Non ti sarai mica innamorato di quella sapientona di Ha Gyeong, vero? », domandò Heung Soo, indignato. La loro compagna di classe era tutto sommato tranquilla, ma era frigida come un ghiacciolo! Fare sesso con lei, considerò, dovrebbe essere come fare sesso con una statua di marmo
Nam Soon arrossì fino alla punta delle orecchie: « No! Cosa vai a pensare! », protestò.
« E allora chi? », domandò il maggiore, con un sorriso.
A Nam Soon, vederlo finalmente sorridergli di nuovo, lo stava mandando completamente fuori di testa.
E forse fu per questo che disse: « Tu. »
Heung Soo sbatté più volte le palpebre, poi esclamò, indicandosi il petto con un dito: « Io? »
Nam Soon ripiombò sulla Terra con uno schianto. Era talmente preso dalla felicità di vedere le labbra dell’altro piegate verso l’altro che aveva perso per un momento il lume della ragione.
Avrebbe voluto negare con tutte le sue forse, dire che stava scherzando, ma… a cosa sarebbe servito?
Lui amava Heung Soo da… sempre, da quando riusciva a ricordare.
Heung Soo era la sua roccia, la persona che lo proteggeva da tutto, colui che più di tutti lo metteva al primo e unico posto, anche quando c’era il calcio nella sua vita.
Quando quella notte di tanti anni prima aveva racimolato tutto il suo coraggio per baciare l’altro sulle labbra, mai si sarebbe immaginato che Heung Soo lo avrebbe ricambiato.
Eppure era successo, e lui si era sentito felice come mai era successo prima né dopo.
Ma dopo quella notte, non era più successo nulla e poche settimane dopo, lui aveva rotto la gamba di Heung Soo.
Aveva aspettato, all’inizio, sperando che fosse l’altro a fare la prima mossa e rimanendo deluso che Heung Soo non si era mosso. Aveva quindi pensato che forse non era il caso di mettergli pressione, ma il risultato non era cambiato.
Tra le lacrime silenziose versate nella solitudine della sua stanza, aveva ammesso dolorosamente a se stesso che era stato solo un divertimento, per il suo amico, un semplice esperimento adolescenziale su quello che riguardava l’approccio sessuale di qualunque tipo.
Alla fine, mandando giù il rospo, aveva finto che non fosse mai accaduto, che fosse stato solo un bel sogno.
Un bellissimo, indimenticabile, meraviglioso sogno.
« Sì, tu. »
Heung Soo sbarrò gli occhi, sentendo la frangia toccargli le ciglia.
Si sarebbe aspettato di tutto, ma non quello.
« Tu mi amavi? » Si sentiva davvero idiota a domandarlo, ma non poté proprio esimersi dal farlo.
Nam Soon sospirò: « Io ti amo. Non c’è nessun passato, in questa frase… »
« C… », provò a dire Heung Soo, ma Nam Soon lo interruppe scuotendo la testa: « Tu eri il mio migliore amico e io ho distrutto i tuoi sogni. Avrei fatto qualunque cosa per farmi perdonare da te, per tornare a vederti sorridere col volto rivolto verso di me. Mi vergognavo così tanto, mi sentivo un mostro, un idiota, un egoista maledetto… e mi mancavi. Tanto. Mi mancava tutto di te. E col tempo ho capito che quello che sentivo per te da tempo non era solo la conseguenza del fatto che stessimo sempre insieme, ma semplicemente… ero innamorato di te. Sono innamorato di te. Anche quando pensavo che mai e poi mai mi avresti perdonato, anche quando baciavo qualcun altro… io avevo sempre e solo te nella mia testa e nel mio cuore… » Dire quelle parole gli era costato tanto, ma non poteva più tenersele chiuse nel cuore.
Quella sera si erano detti ciò che sentivano, e Nam Soon voleva andare fino in fondo.
E se lo perdi di nuovo? La voce fastidiosa nella sua testa continuava a tormentarlo, ma lui la mise a zittire.
Non fece nemmeno in tempo a battere le ciglia che si ritrovò catapultato a pancia all’aria sul duro pavimento, con Heung Soo premuto sopra, sdraiato come una seconda pelle, in un intreccio scoordinato di braccia e gambe, con le labbra premute sulle sue.
Nam Soon sbarrò gli occhi e li fissò in quelli scuri dell’altro, appannati di passione.
Quel bacio non aveva niente dell’unico altro che si erano scambiati: il primo era stato dolce e insicuro; quello era passionale e affamato, bisognoso di assaggiare e di prendere, di pretendere.
In quel bacio c’erano tutti i sogni di Nam Soon, ma…
Ma non andava bene.
Cercando di scastrare le braccia, alla fine riuscì a staccare quel tanto che bastava l’amico per parlare: « He… Heung… Soo… cosa… cosa stai… facendo? » Aveva il fiatone.
« Ti bacio. »
Nam Soon lo fulminò con lo sguardo: « Questo lo vedo anche io. », gli fece notare; poi aggiunse: « La mia domanda era… perché? »
Heung Soo sbatté le palpebre, confuso: « Come perché? »
« Perché mi baci se… » Un dolore sordo gli rimbombò nel petto e gli chiuse la gola, ma si impose comunque di concludere la frase: « … se non mi ami…? »
Heung Soo gli scostò delicatamente i capelli dalla fronte e sorrise dolcemente: « Chi diavolo ti ha messo in testa una stronzata simile, brutto idiota? Ti amo più dell’aria, cazzo. Ti amavo pure più del calcio! Se mi avessi chiesto di non partire, non sarei mai andato da nessuna parte… »
Go Nam Soon ci mise qualche momento a capire quelle parole e ad assimilarle, e quando lo fece, non poté far altro che scoppiare a piangere. Come un bambino, singhiozzando, così forte che l’ultima volta che era stato sconquassato così dalle lacrime, era quando aveva capito che aveva perso per sempre Heung Soo.
E adesso piangeva così perché aveva ritrovato Heung Soo.
Se quelle di tre anni prima erano state lacrime di puro e cocente dolore, quelle di adesso erano di totale felicità.
Com’è strana la vita…
« Smettila di piangere… da quando sei diventato così frignone? », lo derise bonariamente Heung Soo, sdraiandosi esattamente sopra di lui e asciugandogli le guance con i pollici.
Nam Soon rise tra le lacrime, troppo felice persino per arrabbiarsi di quell’accusa.
Strofinandosi gli occhi con il dorso e le nocche della mano, si asciugò le lacrime e poi riaprì gli occhi lucidi e brillanti, fissandoli in quelli dell’altro.
Nella penombra della stanza, finalmente poté vedere la luce brillante della felicità risplendere negli occhi di entrambi.
Unire di nuovo le labbra fu inevitabile e desiderato e il nuovo bacio ebbe tutto un altro sapore: ancora passione e desiderio, ma anche voglia di amarsi e condividere insieme quel momento.
Erano due ragazzi testardi, fieri, orgogliosi, con un carattere duro e difficile da scalfire, per niente incline alle tenerezze; e si vedeva dai movimenti febbrili e decisi con cui si sfilarono le giacche e i gilet, facendoli volare chissà dove nella stanza. Ma erano anche ragazzi innamorati, che dopo tanto tempo finalmente potevano stare insieme e condividere quel momento così a lungo desiderato solo nel proprio cuore; e si vedeva dai baci e dalle carezze piene di amorevole rispetto che riversavano l’uno sull’altro.
« Se anche all’epoca mi amavi… perché non hai più provato a baciarmi? », domandò Nam Soon, baciandogli il collo e sentendo il cuore dell’altro pulsare sotto le sue labbra, con la vena pulsante che vi premeva contro.
« E tu? », domandò di nuovo Heung Soo, catturando di nuovo quelle labbra sulle sue.
Quando Nam Soon lo aveva baciato, quella notte di quattro anni prima, si era sorpreso e sconvolto un po’, all’inizio, perché ancora inconsapevole dei propri sentimenti. Aveva risposto al bacio perché aveva pensato che sarebbe stato un bel modo di dare il primo bacio, essendo l’altro il suo migliore amico. E si era giustificato a lungo con questa frase, evitando in tutti i modi di guardarsi davvero dentro e ammettere a se stesso che anche all’epoca era innamorato di Nam Soon.
Lo aveva capito solo quando Nam Soon se n’era andato.
E’ proprio vero che capisci l’importanza di una persona solo quando la perdi…
Ma adesso non voleva più perderlo, Nam Soon. Né quest’ultimo voleva perdere lui.
Anche se non lo avevano detto, dai gesti potevano comprenderlo.
Da sempre erano stati due amici che parlavano per gesti e con poche parole, imprimendo molto più valore e significato ad un’azione piuttosto che a una frase.
E se quelle carezze, quelle mani tremanti che sbottonavano un bottone dopo l’altro delle altrui camice, quelle labbra piene di passione e desiderio e amore che si scontravano con le proprie dando vita a baci appassionati e bollenti… beh, quei gesti valevano come milioni di parole ripetute per milioni di anni.
Sembravano gridare: RIMANI CON ME, ad ogni più piccolo movimento.
Gridavano rispetto e comprensione, soprattutto quando si ritrovarono entrambi nudi, stesi l’uno sopra l’altro.
Rimasero per qualche lungo secondo a fissarsi, illuminati solo dalla luce della Luna che entrava dalla finestra dalle tende scostate.
Sentivano la pelle bollente dell’altro a contatto con la propria; i respiri affannosi e rapidi, col cuore che batteva così forte da smuovere la cassa toracica.
Gli occhi lucidi e un po’ sbarrati, una mano aperta sulla coscia dell’altro, Heung Soo attendeva silenziosamente che Nam Soon gli desse il permesso.
E quando Nam Soon, mordendosi le labbra in un gesto che fece partire la testa a Heung Soon per la sua innocenza e sensualità insieme, diede lui il permesso, Heung Soon lo baciò profondamente, penetrandolo poco a poco, cercando con tutte le sue forze di non fargli male.
Gli alzò le gambe e si strinse le cosce intorno ai fianchi, sentendo Nam Soon allacciargli le caviglie dietro la schiena. Il corpo rigido, era chiaro che il minore stesse soffrendo.
« Vuoi che smetta…? », domandò pianissimo Heung Soon. Gli costava molto dirlo, perché era eccitato da morire, ma non voleva per nessuna ragione fare del male all’altro.
Nam Soon gli strinse forte le braccia intorno alle spalle, portandoselo ancor più vicino; quindi scosse forte la testa: « No… solo… aspetta un po’, tra poco passa… »
« Sei sicuro? Se vuoi… », provò di nuovo il maggiore, ma Nam Soon lo interruppe bruscamente: « Ho detto di no. », disse deciso.
Perciò passarono lunghi momenti in cui nessuno si mosse. Avvinghiati in quell’abbraccio così intimo e silenzioso, nessuno dei due riusciva a capire dove iniziassero le proprie braccia e gambe e dove finissero quelle dell’altro.
Con un bacio caldo e umido al collo, Nam Soon fece capire all’altro di essere pronto.
Quindi Heung Soon si tirò su, guardò l’altro negli occhi, attese il sorriso che ricevette come ulteriore conferma e cominciò a muovere i fianchi, dando inizio a una danza conosciuta con altri, antica come il Mondo, ma mai prima d’ora così travolgente e intensa; così… piena d’amore.
 
Quando Nam Soon si svegliò, molte ore dopo, era notte fonda. Era girato sul fianco destro; Heung Soo sdraiato a pancia all’aria. Le loro posizioni preferite per dormire erano sempre uguali, anche dopo tre anni.
Ma c’era un piccolo particolare diverso: adesso lui era sdraiato sul lato destro del letto e non su quello sinistro, cosicché nella sua posizione più comoda, potesse dormire stando abbracciato a Heung Soo, che gli circondava le spalle con un braccio, protettivo anche nel sonno.
Un calore immenso gli invase il petto, sentendosi di nuovo amato dopo tanto tempo.
Sorrise, sereno, e poi richiuse gli occhi per dormire…
« Buonanotte, Nam Soon… »
Nam Soon aprì di scatto gli occhi, sorpreso di sentire quella voce. Poi sorrise, gli diede un leggero bacio sul petto e disse: « Buonanotte, Heung Soo… »
 
Quando la mattina dopo si svegliarono tardi e persero ancor più tempo a baciarsi prima di rendersi conto dell’ora effettiva che era, erano talmente agitati e in preda alla fretta che confusero prima i boxer e poi le giacche. Corsero di qua e di la per tutta casa di Nam Soon alla ricerca dei pezzi mancanti di divisa e quando alla fine Heung Soo rubò i calzini dallo stendino di Nam Soon, dopo un borbottio di questi « E’ mio! », a cui lui rispose un secco: « No. », ricevette un sorriso, le vecchie scarpe da tennis che Nam Soon aveva gelosamente custodito per tutti quegli anni, facendo innamorare Heung Soo un po’ di più ad ogni parola dell’altro e un bacio; prima di catapultarsi entrambi fuori di casa.
E poi di corsa fino a scuola, dove entrarono insieme e trafelati, ricevendo occhiate e risolini da parte di tutta la classe e dagli insegnanti.
Consapevoli di quanto accaduto la notte prima, sentirono imbarazzo a guardare gli altri, come se potessero comprendere cosa era accaduto solo guardandoli, ma alla fine si sedettero ai loro posti e di sottecchi si sorrisero.
« In ritardo e anche distratti? Park, Go, cercate di seguire, almeno! », li rimproverò subito il Professor Kang; perciò Heung Soon, seduto più avanti rispetto a Nam Soon, si girò di scatto e si scusò, in coro con l’altro, con un leggero inchino.
Passarono pochi minuti e il cellulare nella sua tasca vibrò: “Rimani con me”.
Sorrise.
E tu con me”.
 
 
 
FINE

   
 
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