Capitolo XLV
Sulle tracce di un amore
Guardò fuori
e si disse che il
momento di andarsene sarebbe arrivato presto. La neve aveva iniziato ad
imbiancare le cime più alte e a breve avrebbe avvolto tutto col suo
manto
candido.
Gustav,
durante la sua ultima
visita per portarle i rifornimenti, le aveva detto che era questione di
settimane, un mese al massimo, e presto tutto sarebbe stato immerso nel
bianco.
La tentazione di restare fino ad allora era tanta, benché si rendesse
conto che
non avrebbe potuto sopravvivere diversi mesi bloccata lassù. E non
avrebbe mai
chiesto a Gustav di rischiare di raggiungerla anche solo una volta ogni
tanto
per portarle i viveri: anche se non avesse avuto moglie e figli, non
avrebbe
mai voluto che qualcuno mettesse a repentaglio la propria vita per un
suo
capriccio. Quindi doveva iniziare a pensare al ritorno.
Eppure
continuava a provare
l'irrazionale desiderio di trascorrere almeno qualche giorno nella
stessa
situazione vissuta da Sarah e Andrè. Forse perché li aveva seguiti fin
lassù,
forse perché ormai era come se li avesse conosciuti di persona, ma quel
desiderio continuava ad impedirle di prendere una decisione.
Era come se
soltanto rivivere
anche quell'esperienza avrebbe potuto metter fine alle sue paure e
farle
ritrovare la propria vita.
Quando era
fuggita da Cluny, aveva
agito d'impulso, programmando ben poco del suo viaggio. Si era limitata
ad un
borsone con abiti e pochi effetti personali; sapeva di poter essere
rintracciata da Edmund, se egli lo avesse voluto, attraverso carte di
credito e
cellulari, proprio per questo aveva chiesto l'aiuto di Monique, la
quale le
aveva dato accesso ad un conto che aveva aperto anni prima in una banca
italiana e che usava per acquistare mobili e oggetti d'antiquariato
durante i
suoi viaggi in Toscana: Edmund non sapeva nemmeno che avesse un'amica a
Cluny.
Al suo ritorno le avrebbe restituito quanto speso.
Non aveva
detto all'amica dove
sarebbe andata e neppure per quanto tempo sarebbe stata via, del resto
nemmeno
lei lo sapeva; si era limitata a dirle che aveva bisogno di restare
sola.
Monique, nonostante non fosse d'accordo, aveva capito: conosceva le sue
paure
e, anche se non condivideva molte delle sue decisioni riguardanti
l'amore, non
la giudicava e sapeva darle i consigli più giusti. Era sempre stato
questo il
segreto della loro amicizia, ovvero la capacità reciproca di
comprendersi senza
pregiudizi, rispettando la privacy dell'altra.
A vederle
dall'esterno era
difficile capire come potessero essere amiche: molto diverse per
carattere ed
educazione, anche il loro stile di vita differiva sostanzialmente. Per
non
parlare delle idee riguardo la vita sentimentale: benché Nicole non si
considerasse una sprovveduta, in confronto a Monique, spregiudicata e
molto
sensuale, poteva passare per la timida illibata d'altri tempi. Eppure,
fin da
quando si erano incontrate la prima volta allo Chateau,
per valutare i mobili da restaurare, in un modo
incomprensibile ad entrambe si erano sentite attratte l'un l'altra e
fin dal
loro secondo incontro erano uscite insieme a cena. Con la sua solita
sfacciataggine, Monique aveva detto, ridendo, che quel loro improvviso
interesse reciproco, in due donne diverse da loro due, sarebbe di certo
sfociato in una relazione sentimentale, tanto era stato forte; ed era
una
fortuna che entrambe non avessero dubbi in merito ai rispettivi gusti
sessuali,
altrimenti quella con eventuali indecisioni, o anche solo aperta ad
altre
esperienze, avrebbe sofferto assai per il rifiuto dell'altra. Nicole le
aveva
dato della matta a quelle parole, ma aveva dovuto convenire con lei:
non le era
mai successo, infatti, di sentirsi tanto legata ad una donna da un
sentimento
di profonda amicizia; per quel motivo si era sentita come tradita
quando aveva
saputo che era stata a letto con Andrew. Poi, però, aveva ragionato che
Monique, ai tempi della sua relazione col bell'americano, non poteva
sapere che
l'uomo affascinante che lei le aveva raccontato al telefono d'aver
fotografato
fosse lo stesso con cui stava trascorrendo notti infuocate.
Alla fine
l'intelligenza di
entrambe aveva prevalso sulla gelosia e, prima che Nicole partisse, si
erano
trovate a sorridere del fatto che era la prima volta che avevano gli
stessi
gusti in merito ad un uomo. In genere il rispettivo partner del momento
non
piaceva mai granché all'altra, soprattutto come personalità. Nicole non
si era
mai preoccupata più di tanto della cosa, perché considerava i suoi
uomini, dopo
Christopher, solo come semplici passatempi, relazioni senza alcuna
importanza.
Monique le aveva detto che l'incredibile caso che Andrew piacesse ad
entrambe e
non soltanto dal punto di vista fisico, ma anche come persona, doveva
stare ad
indicare che forse era davvero l'uomo giusto per una delle due; il
fatto che
lui avesse preferito Nicole avrebbe dovuto convincerla che era davvero
l'uomo
fatto apposta per lei. Per cui, benché comprendesse le sue paure,
Monique
temeva che lasciarlo avrebbe significato correre il rischio di
perderlo. Nicole
ne era consapevole, ma sapeva anche che non sarebbe mai riuscita a
renderlo
felice se prima non
avesse risolto i
suoi casini interiori. Confidava che se davvero era l'uomo giusto per
lei, in
un modo o nell'altro si sarebbero ritrovati. Monique alla fine aveva
capito ed aveva
acconsentito ad aiutarla. E a quanto pareva era riuscita a mantenere il
segreto, poiché nè Edmund, nè Marie-Antoinette l'avevano trovata.
Per quanto
riguardava Andrew non
aveva mai pensato che avrebbe potuto cercarla e raggiungerla. Per
l'esperienza
che aveva lei, gli uomini tendevano a considerare le ansie e i problemi
di una
donna come paturnie legate al ciclo mensile, che andavano e venivano
assieme ad
esso. In parte poteva dar loro anche ragione, ma non sempre era così e
aveva
avuto spesso prova che con difficoltà riuscivano a penetrare l'intima
sofferenza femminile e, anche nei casi in cui la comprendevano,
preferivano
attendere che passasse da sè. Del
resto
neppure suo fratello l'avrebbe cercata per assicurarsi che stesse bene
o per
aiutarla; lo avrebbe fatto, forse, solo se fosse rimasta introvabile
sino alla
fine di ottobre, quando ci sarebbe stato il ricevimento degli Spencer.
Aveva già
perso il ballo dei Pensworth e questo Edmund non glielo avrebbe
perdonato tanto
facilmente; non partecipare ad uno dei ricevimenti più importanti della
stagione avrebbe decretato la sua fine in ambito sociale, almeno per
quanto
fosse stato in potere del fratello. Era una fortuna, quindi, che lei
non avesse
alcuna intenzione di continuare a vivere legata ad antiche tradizioni
nobiliari
inglesi, perché il giorno del ricevimento si avvicinava e lei non aveva
alcuna
voglia di tornare per tempo.
Il suo
desiderio di fuggire dal
suo mondo non era stato ancora placato.
Tutto era
iniziato quando aveva
letto il diario del Conte d'Harmon che credeva perduto per sempre: in
quelle
pagine, così vibranti di passione, di amore e di avventura, aveva
riconosciuto
il suo stesso desiderio di assaporare la vita; invece nelle parole
scritte da
Lady Sarah quando aveva abbandonato Andrè addormentato sulla Medea,
aveva letto
le proprie paure. La combinazione di emozioni tanto forti le aveva dato
la
spinta per rivedere le priorità della propria vita, e la decisione di
andarsene
era stata l'unica logica conseguenza. Scoprire inoltre cosa ci facesse
uno chalet, sperduto da qualche
parte sulle
Alpi, tra le proprietà che aveva ereditato, le aveva fornito la meta
della
fuga. Nessuno sapeva di quel luogo, solo il suo avvocato ne aveva
traccia tra i
documenti legali inerenti la
successione del titolo di contessa, per cui a nessuno sarebbe venuto in
mente
di cercarla lì, in un luogo che, a quanto aveva letto, era stato tanto
importante per i suoi antenati. Del resto, prima di incontrare Andrew
su quella
spiaggia, stava tornando proprio da uno dei luoghi in cui aveva
ricercato il
diario perduto: già allora si era presa del tempo per ricostruire i
pezzi
mancanti di due vite tanto lontane dalla sua ma, chissà perché, tanto
importanti per lei.
Si stava
domandando se per caso
l'assurda teoria di Andrew riguardo il Destino non fosse più azzeccata
di
quanto lei ancora faticasse a convincersene, quando sentì bussare alla
porta.
Fu sorpresa e
anche un pò
intimorita, perché Gustav, l'unica persona che la raggiungeva sin
lassù, era già
salito il giorno precedente. Lo chalet
era isolato, immerso nelle splendide vallate dei monti tirolesi, e
altri rifugi
distavano da lì parecchio: chiunque fosse alla porta era l'unico altro
essere
umano, oltre a Gustav, che avrebbe visto dopo settimane.
Cercò di
guardare da una delle due
finestre della stanza, ma dava sul fianco rispetto alla porta e non
riuscì a
scorgere il visitatore il quale, nel frattempo, aveva ripreso a
bussare.
Inutile sbirciare dall'altra, perché si affacciava sul retro.
"Chi è?"
domandò con
piglio sicuro, sperando che il visitatore, chiunque fosse, non
percepisse la
nota d'ansia che albergava in lei.
La sua
domanda rimase senza
risposta; solo l'insistente bussare fece eco alle sue parole.
Alla fine si
decise ad aprire e,
quando lo fece, rimase interdetta di fronte alla persona sulla soglia.
"Andrew..." riuscì
a proferire solo il suo
nome, incapace di staccare gli occhi dal suo sorriso.
"Finalmente
ti ho
trovato!" se ne uscì lui allegro, come se lo avesse visto solo il
giorno
prima e si fossero dati appuntamento in un luogo che lui aveva faticato
ad
identificare.
Quindi
aggiunse: " Ti sei
nascosta per bene! Sono settimane che ti cerco..."
La sua
naturalezza la imbarazzò,
ricordandole le parole che gli aveva scritto nella lettera con cui lo
aveva
abbandonato. Monique l'aveva rimproverata, dicendole che per lo meno
avrebbe
potuto parlargli con sincerità dei suoi timori, concedendogli
l'opportunità di
dimostrarle la sua comprensione. Si era difesa sostenendo che se gli
avesse
parlato non sarebbe mai riuscita a lasciarlo; in parte era vero, ma
dentro di sè
sapeva anche che il vero motivo era la scarsa fiducia che riponeva
nelle
capacità maschili di comprendere una donna, scordando che molta parte
di questa
incapacità derivava dalla propria ostinazione a chiudersi sempre in se
stessa
quando soffriva.
"Che ci fai
qui?"
"Credevo
fosse ovvio..."
"Non torno
ancora. Secondo
Gustav mi restano almeno un paio di settimane prima di non potermi più
muovere
e non ho intenzione di andarmene prima di allora" anticipò decisa, per fargli capire
che non intendeva
assecondarlo.
"Chi è
Gustav?"
"L'uomo che
mi porta i
rifornimenti..." rispose, spiazzata dalla domanda. Si aspettava che lui
argomentasse la sua decisione di non andarsene, invece le chiedeva chi
fosse
Gustav, come se si fossero visti solo mezz'ora prima.
"Barba e
baffi rossicci,
capelli corti dello stesso colore e figura imponente?"
"Sì..."
"L'ho
conosciuto, mi ha
indicato come salire sin quassù. Una lunga passeggiata!"
"Sei salito
sin qui a
piedi?"
"Ho buone
gambe."
"Ma... Ci
vogliono ore, dal
paese!"
"Nessun
impegno... Ho tutto
il tempo che voglio".
Quella
conversazione stava
iniziando ad avere i toni della farsa. Doveva darci un taglio.
"Andrew, che
ci fai qui? E
come mi hai trovato?"
"Ho collegato
alcuni indizi e
Marie-Antoinette ha svolto per me delle indagini. Quella ragazza non te
la devi
lasciar sfuggire, è un tesoro di valore inestimabile. A Natale
ricordami di
farle un regalo favoloso. Se lo merita, per come mi ha sopportato in
questi
mesi".
"Ma..."
"E sono
venuto per darti
questo..." aggiunse senza lasciarla continuare. Tirò fuori dallo zaino
che
aveva sulle spalle un grosso plico di fogli tenuti insieme da un nastro
blu
e glielo porse.
Lei lo prese
e lo guardò con aria
stupita, poi sollevò lo sguado su di lui, in una muta domanda.
"Lo so... il
nastro fa tanto
manoscritto retrò, ma non sapevo se avessi un laptop
con te e io non avevo voglia di portarmelo nello zaino.
Inoltre così ha un'aria più romantica, che si addice molto al
contenuto. Almeno
credo. Però non illuderti: non è un manoscritto e neppure un
dattiloscritto,
almeno non nel senso di una vecchia macchina da scrivere. È la versione
cartacea di un file word, assolutamente moderno e digitale", concluse
il
suo discorso col suo solito sorriso.
"È il tuo
romanzo?"
domandò lei, ancora stupita per come fosse riuscito a concluderlo in
così breve
tempo.
"La versione
1.0... riletta
una sola volta e con un finale che ancora non mi convince del tutto. Ma
sì, è
il mio romanzo".
"Perché lo
dai a me?"
"Credevo
fosse ovvio: lo devi
leggere e aiutarmi a renderlo pubblicabile".
"Io?"
"Certo, tu.
Cosa credevi?
D'aver finito di lavorare per me? Lady Sinclair, mi meraviglio di voi!
Credevo
foste ansiosa di venir citata tra i ringraziamenti del vostro scrittore
preferito. Non crederete di cavarvela con semplici appunti e qualche
racconto
sui vostri antenati... vi aspetta ancora del duro lavoro!”
"Stai
scherzando?"
"Niente
affatto".
"Ma... ti ho
lasciato... e
con una lettera, neppure a voce..."
"Era una
lettera molto
carina. Un pò confusa, ma carina!"
"Oh, sei
impossibile!"
sbuffò infine lei, incapace di resistere oltre a quell'approccio
spiazzante.
"Bene, hai
tempo sino a
domani sera per leggerlo e farti un'idea. Fra due giorni ci rimettiamo
al lavoro.
Mi piacerebbe che fosse nelle librerie per Natale quindi abbiamo meno
di
quindici giorni per renderlo pubblicabile".
"Hai
intenzione di lavorare
qui?"
"Certo. Visto
che tu non hai
intenzione di tornare... sai com'è il detto, no? Se Maometto non va
alla
montagna... O era la montagna che non andava a Maometto? Non ricordo
mai chi
dei due fosse il più duro da smuovere! Ad ogni modo sono già d'accordo
con
Gustav: mi porterà su per le otto e tornerà a prendermi alle venti.
Dodici ore
di lavoro e in una decina di giorni dovremmo aver terminato".
"Tu sei
pazzo..."
"Ah ah!
Attenta a quello che
dite, Lady Sinclair. Vi rammento che siete ancora a mia disposizione".
"Ricordate
male, mr. Andrews.
Avevate rifiutato la mia consulenza".
"Dettagli..."
disse lui,
muovendo la mano nell'aria come a scacciare un insetto fastidioso.
Rimasero per
un attimo a fissarsi
negli occhi, quindi riprese:
"Bene. Ora
vado. Ci vediamo
dopodomani" e si voltò verso la porta.
"Aspetta..."
lo fermò
lei "le giornate si sono accorciate molto, fra poco sarà buio. Non
avrai
intenzione di scendere al villaggio a piedi, da solo? O ti sei messo
d'accordo
con Gustav?"
"Beh, no...
oggi no."
"Non hai
pensato che potresti
perderti?"
"A dire il
vero no. Forse perché
avevo in mente altro..."
"Ah sì? E
cosa?"
"Sicura di
volerlo
sapere?" domandò con aria divertita e al tempo stesso seducente,
tuttavia
non attese la sua risposta e proseguì:
"Immaginavo
che avremmo letto
insieme il frutto del nostro lavoro, stesi davanti ad un fuoco
scoppiettante,
dopo aver fatto l'amore..."
L'immagine
che le sue parole le
evocarono fu talmente vivida che la turbò oltre ogni dire: erano mesi
che non
lo sfiorava, che non veniva circondata dalle sue braccia e tutto ciò le
mancava
moltissimo. La sua fuga non aveva nulla a che fare con l'attrazione e
l'amore
che provava per lui. Inoltre l'idea di loro due stesi davanti al fuoco
le
rammentava la scena d'amore descritta nel diario perduto. Solo poco
prima che
Andrew arrivasse stava dicendosi che forse, per sconfiggere i suoi
fantasmi,
avrebbe avuto bisogno di trascorrere qualche giorno in quel luogo in
una
situazione simile a quella vissuta dai suoi antenati. Era probabile che
si
trattasse dell'ennesima scusa che si raccontava da mesi per non porre
fine alla
sua fuga, ma quale miglior occasione di quella per calarsi meglio nei
panni di
Lady Sarah? Di certo, in quello chalet,
sarebbe stato più appassionante vivere delle ore d’amore piuttosto che
trascorrerle da sola, circondata unicamente dal bianco.
"Li ho
seguiti sin qui..."
disse a fior di labbra, seguendo il filo del suo ragionamento.
"Che
intendi?" domandò
Andrew, incuriosito da quell'affermazione che, pur non essendo la
risposta che
sperava, apriva una piccola breccia nei pensieri della donna di cui era
innamorato.
"Non sono
andata da qualche
parte senza una meta. Ho ripercorso, anche se non in sequenza, la fuga
di Lady
Sarah e del Conte Andrè, da Vienna sino in Francia. Per la precisione
sono
partita da Marsiglia e sono andata a ritroso sino ai piedi di questi
monti. Poi
mi sono spostata in Austria e ho seguito le loro tracce fin quassù. Ho
persino
alloggiato nella medesima locanda della prima notte della loro fuga...
non ci
crederai, ma esiste ancora ed è proprio come Andrè l'aveva descritta.
Ho
chiesto alla proprietaria e mi ha confermato che esiste dal 1830 e che
è il
loro fiore all'occhiello la tradizione di mantenerla il più possibile
come
allora. Sono persino riuscita a consultare il registro del 1856: li
conservano
tutti, e Frau Magda era incredula
quanto me quando, nelle ultime pagine, in data 25 dicembre, ho scovato
il nome
di Nicholas Thornton".
"Deve aver
usato il suo
secondo nome e il cognome dello zio inglese per evitare che gli
scagnozzi di
Von Webb potessero scovarli..." disse pensieroso Andrew, affascinato da
quanto lei gli stava rivelando.
"È ciò che ho
pensato
anch'io".
"Perché
questo viaggio?"
si decise a chiederle. Erano ancora in piedi, poco oltre la porta, lei
con in
mano la versione cartacea del suo romanzo e lui vestito con giaccone, scarponi da montagna e
zaino sulle spalle.
Andrew avrebbe preferito parlare seduto comodo, tenendola tra le
braccia, ma
aveva timore di rovinare quel momento, che lei sembrava avergli
concesso per
miracolo.
"Dovevo
andarmene. Tutto, con
te, stava diventando troppo complicato e troppo rapido. I tuoi genitori
ci
vedevano già sposati e io non ero ancora sicura di volerlo. Poi ho
letto il
diario perduto e ho collegato questo luogo ad una proprietà che avevo
da poco
scoperto appartenermi, senza che riuscissi a capire il motivo
dell'esistenza di
un piccolo chalet sulle alpi al
confine tra Austria e Italia. A quel punto non ho potuto fare a meno di
mettermi sulle tracce di quell'amore immenso, forse nella speranza che
mi
aiutasse a capire il mio".
"Quindi mi
ami?"
"Questo non è
mai stato in
dubbio".
"Forse per
te. Ma ti ricordo
che non hai mai fatto cenno con me dei tuoi sentimenti, se non in poche
e
confuse righe nella tua lettera, con la quale per altro mi comunicavi
che te ne
andavi".
"Hai ragione"
dovette
convenire lei.
"Ti è
servito?"
"Forse... non
ne sono ancora
sicura".
"Capisco...".
Il tono
rassegnato con cui lui
pronunciò quell'unica parola le fece male al cuore. Se non lo aveva
capito
quando aveva accennato al camino acceso, in quel momento non poteva
ancora
pensare che l'avesse raggiunta solo per farsi aiutare col romanzo.
Visto che non
sembrava propensa ad
aggiungere altro, fu lui a concludere la conversazione, salutandola con
una
lieve carezza e voltandosi ad aprire la porta.
"Ci vediamo
tra due
giorni" disse, prima di chiudersela alle spalle.
Rimasta sola,
si voltò come in
trance ad osservare il fuoco e immaginò la scena che lui aveva evocato.
Fu
assalita da una sensazione di vuoto incolmabile, da un senso di perdita
così
enorme da percepirlo fisicamente.
Si precipitò
alla porta, l'aprì e
uscì, guardandosi attorno. La figura solitaria di Andrew si stava
allontanando rapida.
"Aspetta..."
gridò.
Quando non
sembrò che avesse
sentito, iniziò a correre nella sua direzione, gridando di nuovo il suo
nome.
"Non
andartene, resta con
me" gli disse, dopo che l'ebbe raggiunto, quando finalmente si era
fermato.
"Sei sicura
che è proprio
questo che vuoi?".
"Sì...".
"Lo sai cosa
accadrà se mi
fermo, vero? E quali implicazioni avrà per noi due... Non ti permetterò
più di
lasciarmi".
"Andrew...
Potrei aver sempre
la tentazione di fuggire. E non intendo solo in senso fisico" rispose
lei,
sconsolata.
"Allora vorrà
dire che ti
troverò ogni volta..." ribattè lui irremovibile, intuendo la sua resa.
"E se non
dovessi
riuscirci?"
"Ci riuscirò".
La sua
sicurezza la indispettiva
perché la rendeva cosciente della propria fragilità.
"E se ti
stancassi di dovermi
raggiungere?"
"E se invece
fossi tu a stancarti
di scappare?"disse infine lui, per chiudere il discorso. Lei non riuscì
più
a replicare. Si limitò a mormorare, con gli occhi lucidi di lacrime:
"Sono troppo
fragile per
te..."
"Tu non sei
fragile"
replicò Andrew "non saresti la persona che sei, col passato che hai
avuto,
se fossi fragile. Sei soltanto disabituata ad amare ma, soprattutto, a
lasciarti amare. Sei convinta, nel tuo inconscio, di non meritartelo,
perché è
ciò che ti hanno fatto pensare le persone che più avrebbero avuto il
dovere di
farlo".
"Ho paura...
Soprattutto di
deluderti..."
"Non accadrà.
Ti amo e tu ami
me. Ci vorrà un pò di tempo, ma troveremo la nostra dimensione".
Quindi,
abbracciandola, aggiunse:
"Ora che ne
dici di rientrare
al calduccio e continuare il discorso davanti al fuoco?"