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Autore: Alexandra e Mac    22/03/2015    6 recensioni
Il Passato e il Futuro si mescolano in questo racconto che conclude la trilogia iniziata con Giochi del Destino. Per tutti coloro che hanno amato i personaggi storici da noi inventati.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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Capitolo XLV

Sulle tracce di un amore



Guardò fuori e si disse che il momento di andarsene sarebbe arrivato presto. La neve aveva iniziato ad imbiancare le cime più alte e a breve avrebbe avvolto tutto col suo manto candido.

Gustav, durante la sua ultima visita per portarle i rifornimenti, le aveva detto che era questione di settimane, un mese al massimo, e presto tutto sarebbe stato immerso nel bianco. La tentazione di restare fino ad allora era tanta, benché si rendesse conto che non avrebbe potuto sopravvivere diversi mesi bloccata lassù. E non avrebbe mai chiesto a Gustav di rischiare di raggiungerla anche solo una volta ogni tanto per portarle i viveri: anche se non avesse avuto moglie e figli, non avrebbe mai voluto che qualcuno mettesse a repentaglio la propria vita per un suo capriccio. Quindi doveva iniziare a pensare al ritorno.

Eppure continuava a provare l'irrazionale desiderio di trascorrere almeno qualche giorno nella stessa situazione vissuta da Sarah e Andrè. Forse perché li aveva seguiti fin lassù, forse perché ormai era come se li avesse conosciuti di persona, ma quel desiderio continuava ad impedirle di prendere una decisione.

Era come se soltanto rivivere anche quell'esperienza avrebbe potuto metter fine alle sue paure e farle ritrovare la propria vita.

Quando era fuggita da Cluny, aveva agito d'impulso, programmando ben poco del suo viaggio. Si era limitata ad un borsone con abiti e pochi effetti personali; sapeva di poter essere rintracciata da Edmund, se egli lo avesse voluto, attraverso carte di credito e cellulari, proprio per questo aveva chiesto l'aiuto di Monique, la quale le aveva dato accesso ad un conto che aveva aperto anni prima in una banca italiana e che usava per acquistare mobili e oggetti d'antiquariato durante i suoi viaggi in Toscana: Edmund non sapeva nemmeno che avesse un'amica a Cluny. Al suo ritorno le avrebbe restituito quanto speso.

Non aveva detto all'amica dove sarebbe andata e neppure per quanto tempo sarebbe stata via, del resto nemmeno lei lo sapeva; si era limitata a dirle che aveva bisogno di restare sola. Monique, nonostante non fosse d'accordo, aveva capito: conosceva le sue paure e, anche se non condivideva molte delle sue decisioni riguardanti l'amore, non la giudicava e sapeva darle i consigli più giusti. Era sempre stato questo il segreto della loro amicizia, ovvero la capacità reciproca di comprendersi senza pregiudizi, rispettando la privacy dell'altra.

A vederle dall'esterno era difficile capire come potessero essere amiche: molto diverse per carattere ed educazione, anche il loro stile di vita differiva sostanzialmente. Per non parlare delle idee riguardo la vita sentimentale: benché Nicole non si considerasse una sprovveduta, in confronto a Monique, spregiudicata e molto sensuale, poteva passare per la timida illibata d'altri tempi. Eppure, fin da quando si erano incontrate la prima volta allo Chateau, per valutare i mobili da restaurare, in un modo incomprensibile ad entrambe si erano sentite attratte l'un l'altra e fin dal loro secondo incontro erano uscite insieme a cena. Con la sua solita sfacciataggine, Monique aveva detto, ridendo, che quel loro improvviso interesse reciproco, in due donne diverse da loro due, sarebbe di certo sfociato in una relazione sentimentale, tanto era stato forte; ed era una fortuna che entrambe non avessero dubbi in merito ai rispettivi gusti sessuali, altrimenti quella con eventuali indecisioni, o anche solo aperta ad altre esperienze, avrebbe sofferto assai per il rifiuto dell'altra. Nicole le aveva dato della matta a quelle parole, ma aveva dovuto convenire con lei: non le era mai successo, infatti, di sentirsi tanto legata ad una donna da un sentimento di profonda amicizia; per quel motivo si era sentita come tradita quando aveva saputo che era stata a letto con Andrew. Poi, però, aveva ragionato che Monique, ai tempi della sua relazione col bell'americano, non poteva sapere che l'uomo affascinante che lei le aveva raccontato al telefono d'aver fotografato fosse lo stesso con cui stava trascorrendo notti infuocate.

Alla fine l'intelligenza di entrambe aveva prevalso sulla gelosia e, prima che Nicole partisse, si erano trovate a sorridere del fatto che era la prima volta che avevano gli stessi gusti in merito ad un uomo. In genere il rispettivo partner del momento non piaceva mai granché all'altra, soprattutto come personalità. Nicole non si era mai preoccupata più di tanto della cosa, perché considerava i suoi uomini, dopo Christopher, solo come semplici passatempi, relazioni senza alcuna importanza. Monique le aveva detto che l'incredibile caso che Andrew piacesse ad entrambe e non soltanto dal punto di vista fisico, ma anche come persona, doveva stare ad indicare che forse era davvero l'uomo giusto per una delle due; il fatto che lui avesse preferito Nicole avrebbe dovuto convincerla che era davvero l'uomo fatto apposta per lei. Per cui, benché comprendesse le sue paure, Monique temeva che lasciarlo avrebbe significato correre il rischio di perderlo. Nicole ne era consapevole, ma sapeva anche che non sarebbe mai riuscita a renderlo felice se prima  non avesse risolto i suoi casini interiori. Confidava che se davvero era l'uomo giusto per lei, in un modo o nell'altro si sarebbero ritrovati. Monique alla fine aveva capito ed aveva acconsentito ad aiutarla. E a quanto pareva era riuscita a mantenere il segreto, poiché nè Edmund, nè Marie-Antoinette l'avevano trovata.

Per quanto riguardava Andrew non aveva mai pensato che avrebbe potuto cercarla e raggiungerla. Per l'esperienza che aveva lei, gli uomini tendevano a considerare le ansie e i problemi di una donna come paturnie legate al ciclo mensile, che andavano e venivano assieme ad esso. In parte poteva dar loro anche ragione, ma non sempre era così e aveva avuto spesso prova che con difficoltà riuscivano a penetrare l'intima sofferenza femminile e, anche nei casi in cui la comprendevano, preferivano attendere che passasse da sè.  Del resto neppure suo fratello l'avrebbe cercata per assicurarsi che stesse bene o per aiutarla; lo avrebbe fatto, forse, solo se fosse rimasta introvabile sino alla fine di ottobre, quando ci sarebbe stato il ricevimento degli Spencer. Aveva già perso il ballo dei Pensworth e questo Edmund non glielo avrebbe perdonato tanto facilmente; non partecipare ad uno dei ricevimenti più importanti della stagione avrebbe decretato la sua fine in ambito sociale, almeno per quanto fosse stato in potere del fratello. Era una fortuna, quindi, che lei non avesse alcuna intenzione di continuare a vivere legata ad antiche tradizioni nobiliari inglesi, perché il giorno del ricevimento si avvicinava e lei non aveva alcuna voglia di tornare per tempo.

Il suo desiderio di fuggire dal suo mondo non era stato ancora placato.

Tutto era iniziato quando aveva letto il diario del Conte d'Harmon che credeva perduto per sempre: in quelle pagine, così vibranti di passione, di amore e di avventura, aveva riconosciuto il suo stesso desiderio di assaporare la vita; invece nelle parole scritte da Lady Sarah quando aveva abbandonato Andrè addormentato sulla Medea, aveva letto le proprie paure. La combinazione di emozioni tanto forti le aveva dato la spinta per rivedere le priorità della propria vita, e la decisione di andarsene era stata l'unica logica conseguenza. Scoprire inoltre cosa ci facesse uno chalet, sperduto da qualche parte sulle Alpi, tra le proprietà che aveva ereditato, le aveva fornito la meta della fuga. Nessuno sapeva di quel luogo, solo il suo avvocato ne aveva traccia  tra i documenti legali inerenti la successione del titolo di contessa, per cui a nessuno sarebbe venuto in mente di cercarla lì, in un luogo che, a quanto aveva letto, era stato tanto importante per i suoi antenati. Del resto, prima di incontrare Andrew su quella spiaggia, stava tornando proprio da uno dei luoghi in cui aveva ricercato il diario perduto: già allora si era presa del tempo per ricostruire i pezzi mancanti di due vite tanto lontane dalla sua ma, chissà perché, tanto importanti per lei.

Si stava domandando se per caso l'assurda teoria di Andrew riguardo il Destino non fosse più azzeccata di quanto lei ancora faticasse a convincersene, quando sentì bussare alla porta.

Fu sorpresa e anche un pò intimorita, perché Gustav, l'unica persona che la raggiungeva sin lassù, era già salito il giorno precedente. Lo chalet era isolato, immerso nelle splendide vallate dei monti tirolesi, e altri rifugi distavano da lì parecchio: chiunque fosse alla porta era l'unico altro essere umano, oltre a Gustav, che avrebbe visto dopo settimane.

Cercò di guardare da una delle due finestre della stanza, ma dava sul fianco rispetto alla porta e non riuscì a scorgere il visitatore il quale, nel frattempo, aveva ripreso a bussare. Inutile sbirciare dall'altra, perché si affacciava sul retro.

"Chi è?" domandò con piglio sicuro, sperando che il visitatore, chiunque fosse, non percepisse la nota d'ansia che albergava in lei.

La sua domanda rimase senza risposta; solo l'insistente bussare fece eco alle sue parole.

Alla fine si decise ad aprire e, quando lo fece, rimase interdetta di fronte alla persona sulla soglia.

"Andrew..." riuscì a proferire solo il suo nome, incapace di staccare gli occhi dal suo sorriso.

"Finalmente ti ho trovato!" se ne uscì lui allegro, come se lo avesse visto solo il giorno prima e si fossero dati appuntamento in un luogo che lui aveva faticato ad identificare.

Quindi aggiunse: " Ti sei nascosta per bene! Sono settimane che ti cerco..."

La sua naturalezza la imbarazzò, ricordandole le parole che gli aveva scritto nella lettera con cui lo aveva abbandonato. Monique l'aveva rimproverata, dicendole che per lo meno avrebbe potuto parlargli con sincerità dei suoi timori, concedendogli l'opportunità di dimostrarle la sua comprensione. Si era difesa sostenendo che se gli avesse parlato non sarebbe mai riuscita a lasciarlo; in parte era vero, ma dentro di sè sapeva anche che il vero motivo era la scarsa fiducia che riponeva nelle capacità maschili di comprendere una donna, scordando che molta parte di questa incapacità derivava dalla propria ostinazione a chiudersi sempre in se stessa quando soffriva.

"Che ci fai qui?"

"Credevo fosse ovvio..."

"Non torno ancora. Secondo Gustav mi restano almeno un paio di settimane prima di non potermi più muovere e non ho intenzione di andarmene prima di allora" anticipò  decisa, per fargli capire che non intendeva assecondarlo.

"Chi è Gustav?"

"L'uomo che mi porta i rifornimenti..." rispose, spiazzata dalla domanda. Si aspettava che lui argomentasse la sua decisione di non andarsene, invece le chiedeva chi fosse Gustav, come se si fossero visti solo mezz'ora prima.

"Barba e baffi rossicci, capelli corti dello stesso colore e figura imponente?"

"Sì..."

"L'ho conosciuto, mi ha indicato come salire sin quassù. Una lunga passeggiata!"

"Sei salito sin qui a piedi?"

"Ho buone gambe."

"Ma... Ci vogliono ore, dal paese!"

"Nessun impegno... Ho tutto il tempo che voglio".

Quella conversazione stava iniziando ad avere i toni della farsa. Doveva darci un taglio.

"Andrew, che ci fai qui? E come mi hai trovato?"

"Ho collegato alcuni indizi e Marie-Antoinette ha svolto per me delle indagini. Quella ragazza non te la devi lasciar sfuggire, è un tesoro di valore inestimabile. A Natale ricordami di farle un regalo favoloso. Se lo merita, per come mi ha sopportato in questi mesi".

"Ma..."

"E sono venuto per darti questo..." aggiunse senza lasciarla continuare. Tirò fuori dallo zaino che aveva sulle spalle un grosso plico di fogli tenuti insieme da un nastro blu e  glielo porse.

Lei lo prese e lo guardò con aria stupita, poi sollevò lo sguado su di lui, in una muta domanda.

"Lo so... il nastro fa tanto manoscritto retrò, ma non sapevo se avessi un laptop con te e io non avevo voglia di portarmelo nello zaino. Inoltre così ha un'aria più romantica, che si addice molto al contenuto. Almeno credo. Però non illuderti: non è un manoscritto e neppure un dattiloscritto, almeno non nel senso di una vecchia macchina da scrivere. È la versione cartacea di un file word, assolutamente moderno e digitale", concluse il suo discorso col suo solito sorriso.

"È il tuo romanzo?" domandò lei, ancora stupita per come fosse riuscito a concluderlo in così breve tempo.

"La versione 1.0... riletta una sola volta e con un finale che ancora non mi convince del tutto. Ma sì, è il mio romanzo".

"Perché lo dai a me?"

"Credevo fosse ovvio: lo devi leggere e aiutarmi a renderlo pubblicabile".

"Io?"

"Certo, tu. Cosa credevi? D'aver finito di lavorare per me? Lady Sinclair, mi meraviglio di voi! Credevo foste ansiosa di venir citata tra i ringraziamenti del vostro scrittore preferito. Non crederete di cavarvela con semplici appunti e qualche racconto sui vostri antenati... vi aspetta ancora del duro lavoro!”

"Stai scherzando?"

"Niente affatto".

"Ma... ti ho lasciato... e con una lettera, neppure a voce..."

"Era una lettera molto carina. Un pò confusa, ma carina!"

"Oh, sei impossibile!" sbuffò infine lei, incapace di resistere oltre a quell'approccio spiazzante.

"Bene, hai tempo sino a domani sera per leggerlo e farti un'idea. Fra due giorni ci rimettiamo al lavoro. Mi piacerebbe che fosse nelle librerie per Natale quindi abbiamo meno di quindici giorni per renderlo pubblicabile".

"Hai intenzione di lavorare qui?"

"Certo. Visto che tu non hai intenzione di tornare... sai com'è il detto, no? Se Maometto non va alla montagna... O era la montagna che non andava a Maometto? Non ricordo mai chi dei due fosse il più duro da smuovere! Ad ogni modo sono già d'accordo con Gustav: mi porterà su per le otto e tornerà a prendermi alle venti. Dodici ore di lavoro e in una decina di giorni dovremmo aver terminato".

"Tu sei pazzo..."

"Ah ah! Attenta a quello che dite, Lady Sinclair. Vi rammento che siete ancora a mia disposizione".

"Ricordate male, mr. Andrews. Avevate rifiutato la mia consulenza".

"Dettagli..." disse lui, muovendo la mano nell'aria come a scacciare un insetto fastidioso.

Rimasero per un attimo a fissarsi negli occhi, quindi  riprese:

"Bene. Ora vado. Ci vediamo dopodomani" e si voltò verso la porta.

"Aspetta..." lo fermò lei "le giornate si sono accorciate molto, fra poco sarà buio. Non avrai intenzione di scendere al villaggio a piedi, da solo? O ti sei messo d'accordo con Gustav?"

"Beh, no... oggi no."

"Non hai pensato che potresti perderti?"

"A dire il vero no. Forse perché avevo in mente altro..."

"Ah sì? E cosa?"

"Sicura di volerlo sapere?" domandò con aria divertita e al tempo stesso seducente, tuttavia non attese la sua risposta e proseguì:

"Immaginavo che avremmo letto insieme il frutto del nostro lavoro, stesi davanti ad un fuoco scoppiettante, dopo aver fatto l'amore..."

L'immagine che le sue parole le evocarono fu talmente vivida che la turbò oltre ogni dire: erano mesi che non lo sfiorava, che non veniva circondata dalle sue braccia e tutto ciò le mancava moltissimo. La sua fuga non aveva nulla a che fare con l'attrazione e l'amore che provava per lui. Inoltre l'idea di loro due stesi davanti al fuoco le rammentava la scena d'amore descritta nel diario perduto. Solo poco prima che Andrew arrivasse stava dicendosi che forse, per sconfiggere i suoi fantasmi, avrebbe avuto bisogno di trascorrere qualche giorno in quel luogo in una situazione simile a quella vissuta dai suoi antenati. Era probabile che si trattasse dell'ennesima scusa che si raccontava da mesi per non porre fine alla sua fuga, ma quale miglior occasione di quella per calarsi meglio nei panni di Lady Sarah? Di certo, in quello chalet, sarebbe stato più appassionante vivere delle ore d’amore piuttosto che trascorrerle da sola, circondata unicamente dal bianco.

"Li ho seguiti sin qui..." disse a fior di labbra, seguendo il filo del suo ragionamento.

"Che intendi?" domandò Andrew, incuriosito da quell'affermazione che, pur non essendo la risposta che sperava, apriva una piccola breccia nei pensieri della donna di cui era innamorato.

"Non sono andata da qualche parte senza una meta. Ho ripercorso, anche se non in sequenza, la fuga di Lady Sarah e del Conte Andrè, da Vienna sino in Francia. Per la precisione sono partita da Marsiglia e sono andata a ritroso sino ai piedi di questi monti. Poi mi sono spostata in Austria e ho seguito le loro tracce fin quassù. Ho persino alloggiato nella medesima locanda della prima notte della loro fuga... non ci crederai, ma esiste ancora ed è proprio come Andrè l'aveva descritta. Ho chiesto alla proprietaria e mi ha confermato che esiste dal 1830 e che è il loro fiore all'occhiello la tradizione di mantenerla il più possibile come allora. Sono persino riuscita a consultare il registro del 1856: li conservano tutti, e Frau Magda era incredula quanto me quando, nelle ultime pagine, in data 25 dicembre, ho scovato il nome di Nicholas Thornton".

"Deve aver usato il suo secondo nome e il cognome dello zio inglese per evitare che gli scagnozzi di Von Webb potessero scovarli..." disse pensieroso Andrew, affascinato da quanto lei gli stava rivelando.

"È ciò che ho pensato anch'io".

"Perché questo viaggio?" si decise a chiederle. Erano ancora in piedi, poco oltre la porta, lei con in mano la versione cartacea del suo romanzo e lui vestito con giaccone,  scarponi da montagna e zaino sulle spalle. Andrew avrebbe preferito parlare seduto comodo, tenendola tra le braccia, ma aveva timore di rovinare quel momento, che lei sembrava avergli concesso per miracolo.

"Dovevo andarmene. Tutto, con te, stava diventando troppo complicato e troppo rapido. I tuoi genitori ci vedevano già sposati e io non ero ancora sicura di volerlo. Poi ho letto il diario perduto e ho collegato questo luogo ad una proprietà che avevo da poco scoperto appartenermi, senza che riuscissi a capire il motivo dell'esistenza di un piccolo chalet sulle alpi al confine tra Austria e Italia. A quel punto non ho potuto fare a meno di mettermi sulle tracce di quell'amore immenso, forse nella speranza che mi aiutasse a capire il mio".

"Quindi mi ami?"

"Questo non è mai stato in dubbio".

"Forse per te. Ma ti ricordo che non hai mai fatto cenno con me dei tuoi sentimenti, se non in poche e confuse righe nella tua lettera, con la quale per altro mi comunicavi che te ne andavi".

"Hai ragione" dovette convenire lei.

"Ti è servito?"

"Forse... non ne sono ancora sicura".

"Capisco...".

Il tono rassegnato con cui lui pronunciò quell'unica parola le fece male al cuore. Se non lo aveva capito quando aveva accennato al camino acceso, in quel momento non poteva ancora pensare che l'avesse raggiunta solo per farsi aiutare col romanzo.

Visto che non sembrava propensa ad aggiungere altro, fu lui a concludere la conversazione, salutandola con una lieve carezza e voltandosi ad aprire la porta.

"Ci vediamo tra due giorni" disse, prima di chiudersela alle spalle.

Rimasta sola, si voltò come in trance ad osservare il fuoco e immaginò la scena che lui aveva evocato. Fu assalita da una sensazione di vuoto incolmabile, da un senso di perdita così enorme da percepirlo fisicamente.

Si precipitò alla porta, l'aprì e uscì, guardandosi attorno. La figura solitaria di Andrew si stava allontanando rapida.

"Aspetta..." gridò.

Quando non sembrò che avesse sentito, iniziò a correre nella sua direzione, gridando di nuovo il suo nome.

"Non andartene, resta con me" gli disse, dopo che l'ebbe raggiunto, quando finalmente si era fermato.

"Sei sicura che è proprio questo che vuoi?".

"Sì...".

"Lo sai cosa accadrà se mi fermo, vero? E quali implicazioni avrà per noi due... Non ti permetterò più di lasciarmi".

"Andrew... Potrei aver sempre la tentazione di fuggire. E non intendo solo in senso fisico" rispose lei, sconsolata.

"Allora vorrà dire che ti troverò ogni volta..." ribattè lui irremovibile, intuendo la sua resa.

"E se non dovessi riuscirci?"

"Ci riuscirò".

La sua sicurezza la indispettiva perché la rendeva cosciente della propria fragilità.

"E se ti stancassi di dovermi raggiungere?"

"E se invece fossi tu a stancarti di scappare?"disse infine lui, per chiudere il discorso. Lei non riuscì più a replicare. Si limitò a mormorare, con gli occhi lucidi di lacrime:

"Sono troppo fragile per te..."

"Tu non sei fragile" replicò Andrew "non saresti la persona che sei, col passato che hai avuto, se fossi fragile. Sei soltanto disabituata ad amare ma, soprattutto, a lasciarti amare. Sei convinta, nel tuo inconscio, di non meritartelo, perché è ciò che ti hanno fatto pensare le persone che più avrebbero avuto il dovere di farlo".

"Ho paura... Soprattutto di deluderti..."

"Non accadrà. Ti amo e tu ami me. Ci vorrà un pò di tempo, ma troveremo la nostra dimensione". Quindi, abbracciandola, aggiunse:

"Ora che ne dici di rientrare al calduccio e continuare il discorso davanti al fuoco?"

 

  
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