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Autore: Bijouttina    24/03/2015    10 recensioni
Un biglietto da visita, una scommessa con gli amici e una piscina basterebbero a capire il significato della storia.
La gelosia e la dolcezza in persona, Marco e Serena.
Marco è un rappresentante e affascinante pallanuotista, Serena una dolce e sensuale commessa in un outlet.
Una storia frizzante e divertente, con personaggi molto particolari che vi conquisteranno.
***
« Ora la mia missione è conquistarla e farla innamorare di me.», mi sento bello deciso e carico.
«E se ci riuscissi? Poi che cosa faresti? Tu non resisteresti neanche due minuti in una relazione stabile. Facciamo una nuova scommessa. Tu la porterai in villa dai tuoi, la farai conoscere ai coniugi Rossini, se non scapperà, vorrà dire che è davvero innamorata di te, e se questo succedesse, tu le farai la proposta.».
«Sei per caso impazzito?».
Che cosa ha bevuto?! Che cosa si è fumato?!
«No, affatto. Se tu la porterai da loro, vorrà dire che sarai innamorato di lei, non lo faresti altrimenti. E se sarai innamorato di lei, metterai la testa a posto. Per la gioia della tua mammina. Che ne pensi? Ti va di rischiare?».
Ho voglia di farlo? Non molta, ma non mi tiro mai indietro.
Genere: Commedia, Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La serie del rischio'
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33. Primi cambiamenti
Serena è sempre stanca in questo periodo. Siamo andati dal suo ginecologo l’altro giorno e ha detto che è normale sentirsi spossati alla quinta settimana di gravidanza. Ha fatto la sua prima ecografia e non si vede assolutamente niente, non c’è ancora traccia di nostro figlio. Ammetto di essere rimasto un po’ deluso. Lo so che il medico ci aveva avvisato di questo, però vedere con i proprio occhi è tutta un’altra cosa. Sembrava un grosso buco nero, niente di più. Ci ha spiegato che cosa sarebbe cambiato in Serena, a che cosa saremmo andati incontro. Ho ascoltato tutto come un bravo scolaretto, non volevo perdermi una sola parola, ho intenzione di prendermi cura della mia donna e di mio figlio, non le dovrà mancare niente e non dovrà affaticarsi. Potrà sempre contare su di me in ogni momento della giornata.
Sto preparando il caffè in cucina, quando lei appare dal muretto e appoggia i gomiti sul ripiano. Fa una smorfia disgustata e si tappa la bocca con una mano.
«Che succede?», chiedo in apprensione. La nausea si è accentuata ultimamente e il ginecologo le ha consigliato di prendere delle bustine da sciogliere in acqua, adatte alle donne in stato interessante.
«L’odore del caffè mi dà il voltastomaco», risponde un attimo prima di correre in bagno.
Verso quella bevanda scura in una tazza e la bevo tutta d’un fiato, rischiando di ustionarmi. Lavo la tazza, la moka e spalanco di più la finestra, in modo tale che l’odore esca dalla cucina. E pensare che lei era una caffeinomane che dava di matto se non poteva avere la sua tazza di caffè di prima mattina. Ora non sopporta più nemmeno l’odore e mi fa parecchio strano.
Ritorna dopo qualche minuto, pallida e sbuffante.
«Se avessi saputo che sarei stata tanto male, non so se avrei mai voluto rimanere incinta», bofonchia avvolgendo il mio busto con le braccia e affondando il viso contro il mio petto.
Le accarezzo dolcemente i capelli con una mano, mentre con l’altra le massaggio amorevolmente la schiena.
«Lo so che non è facile per te, amore», le dico baciandole il capo.
«Mi sento uno schifo e non faccio altro che vomitare. Non l’ho mai fatto così tanto in tutta la mia vita», continua a borbottare stretta a me.
«Mangia un cracker, ti aiuterà a mettere a posto lo stomaco scombussolato». Le consiglio sommessamente.
«Non ho voglia di mangiare», brontola. «Anzi, no, ho voglia di patatine fritte. Non quelle schifose del sacchetto, quelle fritte al momento, con una montagna di sale».
Mi ritrovo a sorridere.
«Sono le otto di mattina. Non andrebbe meglio una brioche?», le domando cercando di non ridere.
«Ma che schifo! Non ho voglia di dolci, mi fanno venire la nausea», risponde con una smorfia.
«Disse la donna che non viveva senza una fetta di dolce dopo i pasti». La prendo in giro bonariamente. Non lo avessi mai fatto! Si stacca da me e mi guarda con gli occhi ridotti a due fessure.
«Vorrei vedere te nei miei panni, sai? La maggior parte delle cose che adoravo mi fanno venire il voltastomaco, passo più tempo con la testa nella tazza che sul divano a riposare, piango ogni cinque secondi per delle stronzate e tu hai anche il coraggio di prendermi in giro? Sei un insensibile!».
Parlarono gli ormoni impazziti.
Questa battuta stavolta la tengo per me, non vorrei che la questione degenerasse per una cretinata. Mi sono pure beccato dell’insensibile, ma non ci faccio nemmeno caso, non è la mia Serena a parlare. Allungo le braccia e la attiro nuovamente a me. Borbotta qualcosa senza senso e poi sospira con il viso nascosto.
«Scusami», dice dopo un po’. Alza lo sguardo per potermi guardare negli occhi e il suo broncio è adorabile.
«Non c’è niente da scusare». Le accarezzo lo zigomo con il pollice e le sorrido. «Puoi usarmi come punching bag, valvola di sfogo, picchiami, urlami contro. Usami come meglio credi, sono a tua completa disposizione».
«Come fai a sopportare questi miei sbalzi d’umore?», domanda in un sospiro.
«Secondo Luca ci riesco perché sono un santo», rispondo con un sorriso sghembo. «Io, invece, credo sia per il fatto che ti amo più della mia stessa vita e che porti in grembo mio figlio. Non credo di avere altre risposte sensate».
Serena mi sorride e si accoccola nuovamente contro il mio petto. «Io ne avrei una perfetta».
«Sentiamo, saputella». La prendo in giro accarezzandole dolcemente i capelli.
«Perché ti manca qualche giovedì». Sghignazza sommessamente e io scoppio a ridere.
«Mi manca anche qualche venerdì se è per questo, però non è gentile da parte tua ricordarmi che sono sprovvisto di qualche rotella». Le faccio notare.
«Era un modo gentile per dirti che sei pazzo, Shark».
«Sai che non lo avevo proprio capito? Devo essere più stordito del solito», borbotto baciandole il capo.
Il campanello fa sussultare entrambi.
«È già ora?», grugnisce poco elegantemente.
«Credo di sì e, se entro due minuti non sarai giù, Luca salirà e verrà a prelevarti di peso». Le faccio notare con una punta di divertimento nella voce.
«Lo so, ma non ho voglia di andare a lavorare», brontola nascondendo il viso tra le mani.
«Ti capisco». Le bacio la fronte e sospiro. «Dai, stasera siamo a cena da Stella e Lorenzo, ci rilassiamo un po’».
«Okay», piagnucola.
Si stacca da me con immensa fatica e mi viene da ridere: il broncio non ha abbandonato le sue labbra ed è talmente adorabile che la terrei tutto il giorno stretta fra le mie braccia. La lascio andare dopo un lunghissimo bacio e aver salutato mio figlio, tra gli sbuffi della mia donna. Non mi importa se non mi può sentire, io ci parlo insieme quanto voglio, è un mio sacrosanto diritto.
Stamattina ho appuntamento con mia madre, devo accompagnarla a comprare una borsa nuova. Non ho ancora capito il motivo per cui dovrei essere io ad andare con lei, ma non me la sono sentita di tirarmi indietro: mi ha velatamente minacciato che se non la avessi portata in quel negozio, non mi avrebbe più rivolto la parola per almeno un mese. Devo ammettere che ero quasi tentato di declinare, sarebbe stato bello un momentaneo silenzio stampa. Purtroppo sono troppo buono e non sono riuscito a dirle di no. In questo modo ritarderò pure in azienda e non mi fido più molto a lasciare tutto in mano a mio padre. Ultimamente si arrabbia per un nonnulla ed è quasi impossibile ragionarci insieme. Credo che non si sia ancora rassegnato al fatto che deve lasciare in mano le redini della cantina al sottoscritto. Sia chiaro, è fiero e orgoglioso di me e della mia scelta, ma non riesce a farsene una ragione. Sono più di cinquant’anni che lavora nella nostra azienda e per lui andare in pensione suona come una sconfitta. Non vuole sentirsi vecchio e non lo biasimo. Non può, però, forzare il suo già provato cuore. Mi preoccupo per la sua salute.
Passo a prendere mia madre alle nove, mi sta già aspettando fuori dal cancello.
«Sei in ritardo», mi rimprovera salendo in macchina e baciandomi poi la guancia, lasciandomi il segno del rossetto scarlatto. Pulisce la traccia con le dita.
«Mi avevi detto alle nove». Le faccio notare.
«Infatti! Sono le nove e due minuti!», esclama con enfasi.
Mi volto verso di lei e la fisso con un sopracciglio inarcato. Le faccio vedere il mio orologio e segna le nove precise. Lei si muove nervosamente sul posto e fa finta di niente. Arriccia le labbra, sistemandosi la cintura.
«Andiamo, dai», mi dice ravvivandosi i capelli.
È bello riuscire a zittire i propri genitori una volta ogni tanto. Anche se fossi stato in ritardo di due minuti, non vedo quale fosse questo gran problema. Forse sono io che non ci arrivo. Evitiamo eventuali scontri verbali e faccio inversione di marcia per tornare sulla strada principale.
«Dove ti devo portare?», le chiedo prima di immettermi in tangenziale, almeno per sapere in che direzione andare.
«Giù in città c’è una mia mia amica che ha un negozietto adorabile, accompagnami lì», risponde mettendosi più comoda sul sedile.
Spero solo di non incontrare nuovamente Grazia andando in centro. È da un po’ che non si fa viva, fortunatamente, ma non vorrei mai trovarmela sotto casa. Serena la farebbe fuori questa volta, e io non la fermerei, anzi farei il tifo guardando la scena in disparte in un angolo. Deve essere piacevole vedere la propria donna che lotta per te. Non che le permetterei mai di battersi per me, nel suo stato poi! Non metterei mai a repentaglio la vita sua e di nostro figlio.
Mi ritrovo a pensare a come sia cambiata radicalmente la mia vita in questi ultimi mesi, rifarei tutto dall’inizio, senza pensarci due volte. Serena è la cosa più bella mi sia mai capitata e quello che sta accadendo tra di noi è davvero meraviglioso. Non avevo mai pensato alla possibilità di diventare padre prima di conoscere lei, non era mai stato nei miei piani.
«C’è qualcosa che non va, tesoro? Mi sembri pensieroso». Le parole di mia madre mi fanno tornare bruscamente alla realtà. Ero immerso nel mio mondo e non stavo facendo molto caso a quello che succedeva intorno a me, avevo inserito il pilota automatico.
«Va tutto bene, mamma», le rispondo cercando di offrirle qualcosa di simile a un sorriso.
Lei si volta verso di me e piega la testa di lato.
«Sei nervoso per quanto riguarda la gravidanza?», domanda accigliandosi impercettibilmente. Siamo fermi a un semaforo e osservo la sua espressione con la coda dell’occhio.
«Serena sta bene?», continua cominciando a preoccuparsi. «Se non stava bene, potevamo rimandare. Devi prenderti cura di lei».
Come se potessi fregarmene se la mia donna non sta bene. Mi preoccuperò per lei finché avrò vita.
«Serena sta bene, solo la sua solita nausea. Luca è passato a prenderla per andare al lavoro. Baderà a lei in mia assenza», la aggiorno riprendendo finalmente a muovermi lungo la strada, questo semaforo non diventava più verde.
«Quel ragazzo sembra un amore. Non sei geloso?», chiede a bruciapelo.
Dipende di che gelosia sta parlando. Potrei esserlo del rapporto simbiotico che quei due hanno, ma sicuramente lui non mi porterà mai via l’amore della mia vita, questo è poco ma sicuro.
«Lui è fidanzato, non sono geloso di lui», rispondo serenamente. Non credo di averle mai detto che lui fa coppia fissa con Alex, non so se sia pronta per questo genere di informazione.
«Ma si sa che la carne è debole e loro passano fin troppo tempo insieme». Ha proprio voglia di farmi diventare geloso? Non ci riuscirà mai.
«Se avessero davvero voluto stare insieme, avrebbero potuto farlo anche prima di conoscermi, non credi?». Provo a farla desistere, ma mia madre ha proprio voglia di rompermi le scatole stamattina.
«Sì, ma si può sempre cambiare idea e Serena è una bella donna».
Non c’è niente da fare! A male estremi, estremi rimedi.
«Mamma, Luca non sarà mai interessato a lei. È gay», le dico fermando la macchina davanti al negozio di pelletterie.
Lei si gira completamente verso di me e mi guarda attonita.
«Hai presente Alex, il ragazzo biondo che ti ho fatto conoscere una volta?». Mi sembra di parlare con una bambina ammutolita in questo momento.
Mia madre annuisce impercettibilmente.
«È il fidanzato di Luca, stanno insieme da mesi ormai».
Lei sembra ridestarsi all’improvviso. «Ora si spiegano molte cose. Certo, però, che tutti i bei ragazzi sono fuori dal mercato».
Dopo questa affermazione, direi che la questione è conclusa. Devo ammettere che ha preso davvero bene questa notizia e non mi sembra nemmeno turbata dalla cosa. Mia madre è moderna e nemmeno lo sapevo. Si dirige a passo spedito all’interno del negozio, ma io non la seguo. Non ho la minima intenzione di perdere tempo dietro a delle borse.
Poco più in là noto qualcosa di più interessante: un negozio per bambini. In vetrina ci sono carrozzine, passeggini, giocattoli vari e io mi ritrovo a sorridere. Metto la mano sulla maniglia ed entro senza pensarci due volte.
La commessa alla cassa mi saluta immediatamente, con il sorriso sulle labbra. Ricambio, ma mi perdo immediatamente in quell’infinità di oggetti per bambini.
«Cercava qualcosa di particolare?», chiede la donna, una cinquantenne molto elegante e dall’aspetto curato.
«Non lo so, la mia compagna è di sole cinque settimane», rispondo senza nemmeno pensarci.
«Un futuro padre felice a quanto vedo», commenta lei osservandomi con occhio esperto.
«Al settimo cielo», confermo io senza alcuna vergogna. Abbiamo cercato tanto questo figlio e non potrei essere più felice di così in questo momento.
Mi lascia un po’ di libertà e mi guardo in giro. Vorrei prendergli un pensierino, nonostante dovrò aspettare mesi per poterglielo dare. Non mi va di uscire da questo posto a mani vuote. Fra un po’ porterò qui anche Serena e sceglieremo insieme il necessario per il nostro bambino, tutte le decisioni a riguardo le prenderò con lei. Mi fermo davanti a uno scaffale pieno zeppo di pupazzi per neonati e scorgo immediatamente un bel gatto di peluche: un Diablo tutto per nostro figlio. Lo prendo tra le mani e mi ritrovo a ridacchiare da solo, sembra una palla, proprio come il vero felino. Decido che sarà questo il mio primo regalo per lui o lei, andrà bene qualunque sia il sesso.
La commessa mi sorride radiosa. «Vedo che ha trovato qualcosa di suo gradimento».
«In effetti ci sono troppe cose di mio gradimento. Porterò qui la mia compagna non appena sapremo di più sul nostro bambino e faremo la spesa», le dico con un sorriso ebete sulle labbra. Non vedo l’ora di spendere e spandere per nostro figlio, lo vizieremo all’inverosimile, questo è certo.
Noto mia madre fuori dalla vetrina e mi raggiunge affannata.
«Credevo mi avessi lasciata qua, non ti ho più visto», brontola colpendomi fievolmente sul braccio.
«Mamma, non te lo farei mai». O almeno credo, potrei fare un’eccezione se mi facesse girare le scatole per qualche motivo assurdo.
«E lo credo! Mi vedresti davvero infuriata altrimenti». Si blocca all’improvviso e fissa il mio nuovo acquisto con aria schifata. «Non avrai mica intenzione di comprare quel coso per mio nipote?».
«L’ho appena fatto», le rispondo rimettendo il portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni.
«Ma… ma…», balbetta sconfortata.
«A me piace e piacerà anche a mio figlio. Fine della discussione. Tu potrai prendergli tutto quello che vuoi, ma questo è il mio primo pensiero per lui». La prendo sottobraccio, saluto la commessa alla cassa e trascino la mia genitrice fuori dal negozio.
«Non hai buon gusto, lo sai, vero?», brontola lei una volta salita in macchina.
«Dovrei offendermi?», domando inarcando un sopracciglio. Non riuscirei a farlo per così poco, ma mi diverto a stuzzicarla.
Lei arriccia le labbra e sospira. «No, non farlo».
E brava la mia mammina! «Hai trovato quello che cercavi?».
A questa mia domanda sembra illuminarsi e mi fa vedere il suo nuovo acquisto: una borsa enorme dove ci starei dentro pure io. Ho come l’impressione che non troverà mai niente al suo interno, ma questa considerazione la tengo per me. In fin dei conti è lei che deve andare in giro con un borsone da viaggio sulla spalla. Lascio che si sfoghi, descrivendo tutte le qualità di quell’oggetto a mio avviso alquanto inutile. Ma che cosa posso capirci io? Sono solo un uomo.
 
***
 
Questa mattina mi sento uno schifo totale, non che le altre mattine sia meglio, ma oggi sembra addirittura peggio. Luca sta guidando diligentemente verso l’outlet e mi controlla con la coda dell’occhio. La cosa positiva di farsi scarrozzare da lui è che non farà mai cose azzardate: è ligio alle regole e piuttosto fa venti chilometri orari in meno che superare il limite anche solo di un paio. A volte mi fa venire l’ansia perché un nonno con il bastone andrebbe più veloce a piede di lui in macchina, ma devo starmene zitta, altrimenti si arrabbia e comincia a borbottare frasi poco carine.
«Stai bene, cucciola?», chiede posandomi una mano sul ginocchio.
«Sono stata meglio», rispondo prendendo dei respiri profondi per non vomitare qui nell’abitacolo, non me lo perdonerebbe mai.
«Per fortuna che sono nato uomo. Non avrei mai sopportato una gravidanza», commenta con una smorfia. «Hai un aspetto orribile».
«Siamo in vena di complimenti stamattina vedo», borbotto massaggiandomi delicatamente il ventre. Fa strano pensare che dentro di me sta crescendo una nuova vita, è una sensazione particolare, difficile da descrivere a parole.
«Potresti metterti almeno un po’ di fondotinta. Il look cadaverico non ti dona molto», continua irremovibile per la sua strada. Sta rischiando di brutto, potrei perfino decidere di non trattenermi e dare di stomaco qui sui sedili.
«Tu potresti metterti del nastro adesivo sulla bocca, così la smetteresti di sparare cazzate», bofonchio parecchio infastidita.
«Wow! Che gran risposta acida. Gli ormoni sono parecchio sboccati oggi». Luca non se la prende minimamente per le mie parole poco carine. Sa benissimo che non lo faccio apposta, sono solo parecchio irritabile in questo periodo e mi dà fastidio quando mi parlano con un certo tono. Sono più permalosa di quanto lo sarei normalmente e fortunatamente sembrano avere una gran pazienza con me.
«Credo di sì, ho maltrattato anche Marco prima», gli dico in un sospiro.
«Non lo invidio per niente. Deve essere parecchio fastidioso averti in giro per casa con questo tuo bel caratterino», commenta con il sorriso sulle labbra.
«Se non mi sopporterà più e dovesse cacciarmi di casa, mi trasferirò da te. Alex sarebbe disposto a darmi un tetto sopra la testa, ne sono certa». Osservo il mio migliore amico spalancare la bocca e fare una smorfia poco elegante.
«Quell’uomo non ti caccerà mai di casa e, se dovesse farlo, di sicuro non ti ospiterò, non in queste condizioni», borbotta.
«Sei il migliore, Luca». Gli bacio la guancia e lui si volta impercettibilmente verso di me, un angolo della bocca sollevato all’insù.
«Tu resti sempre la mia cucciola». Mi prende la mano e la tiene stretta nella mia.
Non riuscirei mai ad arrabbiarmi con Luca, per nessun motivo al mondo. Facciamo il resto del breve viaggio in silenzio, non c’è bisogno di dire altro.
La mattinata al lavoro passa piuttosto in fretta, tra corsette al bagno e quattro chiacchiere rubate qua e là con il mio migliore amico. Non mi ha permesso di sollevare alcun scatolone, è stato come la mia ombra, ovunque andavo, me lo ritrovavo accanto. Aveva davvero paura che potessi fare qualche cretinata e si accertava che facessi tutto senza sforzi. Deve aver fatto un patto con Marco, ma nessuno dei due me ne vuole parlare. Di una cosa sono certa: Luca ha il compito di badare a me quando Marco non può farlo. Mi sembra di essere sotto scorta!
All’una mi siedo su uno sgabello e mi mangio un pacchetto di cracker, il mio stomaco reclamava qualcosa di solido.
«Tesorino mio!».
Mi è sembrato di sentire la voce di mia madre, devo avere le traveggole. Quando me la ritrovo davanti, mi rendo conto che non me lo ero affatto immaginato.
«Ciao mamma. Che cosa ci fai qua?», le chiedo gettando la carta del mio snack nel cestino dello sporco accanto a me.
Mi bacia la fronte. «Passavo da queste parti e ho pensato di venire a darti un salutino».
«Tu che passi volontariamente di qua?». Inarco un sopracciglio e la guardo con aria dubbiosa. Mia madre non verrebbe mai qui all’outlet ed è anche piuttosto fuori zona da casa sua per esserci capitata per caso. Non me la racconta giusta.
Mia madre sbuffa rassegnata. «E va bene, sono venuta apposta per portarti qualcosa da mangiare. Non vorrai mica tirare le due con quel misero pacchetto di cracker?».
«Veramente stacco alle tre». La correggo in un sospiro. Sono già stanca ora, non so come farò a lavorare ancora due ore.
«Motivo in più per mangiare qualcosa di sostanzioso». Mi fa notare lei porgendomi un sacchettino di carta della panetteria che si trova vicino a casa dei miei.
Lo afferro curiosa di sapere che cosa mi ha comprato e lo apro, ficcandoci il naso dentro. Un profumo invitante mi riempie le narici.
«La mia preferita, la focaccia alle olive», esclamo con il sorriso sulle labbra. Ne strappo un pezzetto e lo porto alla bocca, assaporandolo lentamente. Finisco quella delizia in brevissimo tempo e non ho nemmeno un filo di nausea, anzi, ne vorrei ancora un pezzo. Era da un po’ che non mangiavo la focaccia della Nella, la prendevo sempre prima di andare a scuola e la mangiavo durante la ricreazione, molto meglio delle merendine confezionate.
Mia madre mi accarezza dolcemente i capelli e mi sorride. «Meglio?».
«Decisamente», le rispondo con enfasi. «Anche se».
Non riesco a terminare la frase, lei mi porge un sacchetto di plastica con all’interno un altro di carta come quello che ho appena appallottolato.
«So quanta fame si ha in certi momenti». Mi strizza l’occhio con aria cospiratoria. «Non mangiarla tutta che poi stai male, tienila per quando finisci. Golosona!».
Ho già il naso dentro il sacchetto e la bocca piena.
«Prometto che non la mangio tutta», la rassicuro chiudendo tutto e facendo perfino un nodo alla borsina di plastica per non cadere in tentazione.
«Brava la mia bambina». Mi bacia amorevolmente la fronte. «Ci vediamo domenica a pranzo. Salutami Marco».
«Grazie mamma». Mi alzo di scatto dallo sgabello e le allaccio le braccia attorno al collo, appoggiando la testa sulla sua spalla.
«Oh, che bella scenetta», cinguetta Luca unendosi al nostro abbraccio e avvolgendoci entrambe.
Mia madre ed io scoppiamo a ridere.
«Scusate, non ho resistito», dice lui senza lasciarci andare. «Le donne di casa Boissone sono troppo tenere».
La mia genitrice gli prende il viso tra le mani e gli lascia il segno del rossetto su una guancia.
«Avresti fatto perdere la testa a un sacco di donne!». Lo prende in giro lei.
«Nessuno resiste al mio fascino». Sta al gioco il mio migliore amico strizzandomi l’0cchio.
«Ragazzi, ora vi lascio al vostro lavoro. L’uomo di casa mi starà aspettando già seduto a tavola e non ho niente di pronto». Ci saluta entrambi con un altro bacio sulla guancia e torna dal mio papino affamato. Lui non si sognerebbe mai di mettersi ai fornelli, proprio come sua figlia, ma almeno lui ha la scusante di essere un uomo.
Mi sento molto meglio dopo aver mangiato la mia focaccia e riesco a sopravvivere le altre due ore di lavoro, non lo credevo possibile prima dell’arrivo di mia madre. Quando arrivano i nostri colleghi a darci il cambio, Luca ed io sgattaioliamo via alla velocità della luce. In effetti siamo stati più veloci a piedi che poi il mio amico in macchina, come al solito. Almeno sono arrivata a casa sana e salva. Ci salutiamo con un lungo abbraccio e aspetta che sia in casa prima di andarsene, lo saluto dalla finestra delle sala, mandandogli un bacio. Lui ammicca nella mia direzione e sparisce dalla mia visuale.
Diablo viene subito ad accogliermi, strusciandosi sulle mie gambe. Lo sollevo da terra e lo prendo in braccio. Marco non vuole che sollevi pesi, vale anche per il nostro gatto? Cinque chili di felino che fa le fusa come un trattore. Mi siedo sul divano e gli liscio il pelo, lui gongola con gli occhi chiusi, sistemandosi poi sulle mie gambe e mettendosi a dormire.
Un attimo dopo sto sognando di essere su un’isola caraibica.
«Svegliati, dormigliona». Una voce in lontananza mi fa grugnire. Delle labbra, poi, si posano sul mio viso, riempiendolo di piccoli e delicati baci
Apro faticosamente gli occhi e Marco è seduto sul tavolino, mi guarda con un sorriso adorabile sulle labbra.
«La mia bellissima addormentata. O forse sei Pisolo, uno dei nani. Devo ancora decidere». Mi prende in giro il mio uomo.
«Shark, stai facendo un miscuglio di fiabe», commento stiracchiandomi. Diablo salta in braccio a Marco e si coccola sul suo viso, mettendogli poi la coda in bocca. Lui sputacchia poco elegantemente.
«Botolo, non sono un grande amante del tuo pelo», lo sgrida affettuosamente.
Il felino se ne frega delle sue parole e fa un altro giro, mettendogli ancora una volta la coda in bocca.
«Certo che anche tu potresti scansarla». Gli faccio notare scoppiando a ridere.
«Non voglio nemmeno immaginare dove fosse prima di venirmi a salutare», bofonchia lui mettendolo giù di peso.
«Io credo di saperlo, ma è meglio se non te lo dico». Anche gli animali hanno bisogno di andare alla toilette. A questo mio pensiero scoppio a ridere come una scema. Marco ha un’espressione buffissima, deve aver immaginato a che cosa mi riferivo e tira fuori la lingua con aria disgustata.
«Bene, vado a lavarmi la bocca con la candeggina», dice alzandosi dal tavolino e dirigendosi in bagno.
Lo seguo prima che faccia davvero una stupidaggine simile e me lo ritrovo appoggiato allo stipite del bagno, un sorriso malizioso sulle labbra.
«Volevo vedere quanto ci avresti messo a raggiungermi. Pensavi davvero che avrei potuto fare una cosa tanto stupida?», chiede afferrando una mia mano e trascinandomi contro di sé.
«Non mi stupirei più di niente con te», rispondo lasciandomi andare contro il suo petto e avvolgendo il busto con le braccia.
«Quanto sei idiota». Mi dà una leggera pacca sul sedere. «Dai, laviamoci e cambiamoci, dobbiamo essere da Lorenzo fra meno di un’ora».
«Ho dormito così tanto?». Non mi ero nemmeno resa conto che fossero passate delle ore da quando mi ero appisolata sul divano.
«Direi di sì». Mi trascina nel bagno e comincia a spogliarmi delicatamente.
Un’ora dopo siamo sotto casa dei nostri amici, con una bottiglia di spumante tra le mani e un dolce comprato in pasticceria nella scatola: Marco si era fermato da Sergio nel tornare a casa. Se non ci fosse lui a pensare a tutto! Lorenzo ci aspetta sulla soglia, con Eleonora che dorme tranquilla tra le sue braccia.
«Ha appena fatto il ruttino ed è collassata». Ci rende partecipe il nostro amico.
Stella appare alle sue spalle e lo colpisce delicatamente sul collo.
«Fai sembrare nostra figlia un maialino così! Non bastava che dicessi che aveva appena mangiato e, avendo gradito, si è poi addormentata come un angioletto?». Le fa notare lei trascinandoci dentro casa e chiudendo la porta con un piede.
«Sì, avrei potuto, ma sembrava uno scaricatore di porto», borbotta lui passandomi Eleonora. Ero già con le braccia protese verso di lei, avevo davvero voglia di coccolare un po’ la mia figlioccia.
«Ha preso tutto dal papà», commenta Marco ridacchiando.
Lorenzo si illumina notevolmente. «Modestamente è bellissima come il suo papà».
«A me sembra che il tuo socio abbia detto un’altra cosa». Gli fa notare Stella con un angolo della bocca sollevato all’insù. «E prendi le cose che ci hanno portato, fai il bravo padrone di casa».
«Mi comanda a bacchetta, come vedi. Non oso immaginare che cosa farà quando saremo sposati!». Lorenzo scuote la testa rassegnato, sorridendo sotto i baffi. Si divertono a punzecchiarsi almeno quanto amiamo farlo Marco ed io.
«Meglio se rimani nell’ignoranza, amore». Lo bacia sulle labbra, per poi dargli una sonora pacca sul sedere.
«Siamo solo i loro oggetti del desiderio, sappilo». Si rivolge sommessamente a Marco, con aria cospiratoria.
Stella alza gli occhi al soffitto e viene da me, mettendomi un braccio intorno alle spalle e baciandomi la guancia.
«Come stai, tesoro mio?», mi chiede sistemando il bavaglino che su figlia ha ancora legato al collo.
«Sto abbastanza bene, dai. Ho avuto solo stamattina la nausea, sto migliorando. Ho anche un certo appetito stasera», rispondo baciando poi la fronte di quell’angioletto che dorme pacifico tra le mie braccia.
«Ho fatto qualcosa di leggero, non volevo appesantirti troppo. So che cosa vuol dire avere sempre lo stomaco sottosopra». Stella è sempre così premurosa con me e sa perfettamente come mi sento in questo momento. Mi coccola come non aveva mai fatto in precedenza e, a dirla tutta, mi piace davvero tanto essere coccolata dalle persone che amo.
«Grazie di aver pensato a me», farfuglio con gli occhi lucidi.
«Tu mi sei stata molto vicina quando ne avevo bisogno, ora tocca a me prendermi cura del mio tesoro». Mi bacia nuovamente la guancia.
Le sorrido con le lacrime agli occhi. Devo ancora gestire questa forte emotività, ma non credo sarà molto facile.
«Non dovevate portare niente!», brontola Lorenzo dopo aver messo la torta in frigo. Marco ha preso una crostata di frutta fresca, perfetta per questa serata afosa. Stranamente il profumo del dolce non mi aveva dato alcun fastidio quando Marco mi aveva fatto spiare all’interno della scatola prima di partire, a quanto pare succede solo al mattino.
«Perché secondo te venivamo a mani vuote? Ma fammi il piacere!». Il mio uomo lo colpisce sul coppino con la mano aperta. Questi due non hanno ancora smesso di comportarsi come dei ragazzini, nonostante siano dei padri di famiglia, o lo stanno per diventare. La loro amicizia è profonda ed è bello vederli così affiatati.
«Solo perché adesso gestisci l’azienda di famiglia e hai le palanche che ti escono anche dal culo, non puoi venire qui a farmi fare la figura del pezzente», esclama Lorenzo scoppiando a ridere un attimo dopo.
«Disse il super principe del foro che si fa pagare un occhio della testa solo per scrivere due righettine su un pezzo di carta. Lui ha il nome importante, lui si crede figo», continua a sfottere Marco gesticolando come un pazzo e un sorriso beffardo che non abbandona le sue labbra.
«È qui che ti sbagli, socio, io sono figo! È un dato di fatto». Lorenzo si passa una mano tra i capelli come un vero divo.
«Dai, figo, aiutami a portare i piatti in tavola». Stella gli dà un’altra pacca sul sedere e scoppia a ridere. «Non fateci caso, lui si crede più figo di quello che in realtà è».
Lorenzo sparisce in cucina borbottando come una pentola di fagioli.
«A quanto pare si può essere peggio di Luca», commento io divertita.
«Se la giocano ad armi pari!», sbotta lei.
Passiamo una serata all’insegna delle chiacchiere e dell’allegria, per non parlare del buon cibo: Stella è una bravissima cuoca, Lorenzo è un uomo fortunato. Marco mi tiene la mano tutto il tempo e sorride senza sosta. Non credo di averlo mai visto così felice e sereno come in questo ultimo periodo, questa consapevolezza mi riempie il cuore di gioia.
Lo osservo mentre tiene Eleonora tra le sue braccia e sono convinta di una cosa: sarà un padre meraviglioso.

 
***Note dell'autrice***

Serena ha qualche crisi, ma penso sia normale nel suo "stato" e le si perdona tutto. Marco è un santo a sopportare tutti i suoi sbalzi d'umore, ma chi non lo farebbe per amore della propria donna? Luca e Lorenzo sono sempre i soliti, non si smentiscono mai :) Come vi sembrano i due piccioncini a questo punto della storia? Siete pronti al "gran finale"? Lo so che probabilmente non lo siete, ma poi arriverà il seguito, non vi abbandono mica! Datemi solo un po' di tempo per organizzare le idee e poi tornerò :) Vi ringrazio infinitamente per seguire questa storia con tanto affetto... vi adoro!
A martedì prossimo!

Un bacione, Ire ♥


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