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Autore: Steelberry    24/03/2015    1 recensioni
Mentre mi abbandono a quel poco di sollievo appena trovato, mi rendo conto di qualcosa. Un suono, in lontananza, penetra nella massa ovattata che mi circonda. Una raffica di spari. Di arma semiautomatica.
Ricognitori.

Tante cose possono spingere gli uomini a combattere. L'onore, la gloria, la più brutale sete di sangue. O la ricerca della libertà.
È ormai chiaro che l'anno 526 E. N. passerà alla storia come il tempo in cui la Rivoluzione dilaniò Gehemnia. Ma il suo esito deve ancora essere scritto.
***Storia temporaneamente interrotta***
Genere: Guerra, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un tonfo sordo si diffonde tra le pareti del vicolo. Il mio impatto con il terreno non è stato dei più aggraziati. Ma la cosa è abbastanza normale, quando i responsabili dell’impatto sono due energumeni tutt’altro che raccomandabili. Con relativi montanti ben assestati. Non ho capito esattamente perché abbiano scelto me come ultimo malcapitato da pestare della serata, ma non sono sicuro di volere dei chiarimenti.
Alzo una gamba, faccio per rimettermi in ginocchio, ma un calcio in pieno petto mi svuota di tutta l’aria che ho in corpo.
Crollo di nuovo a terra. Il misto di sabbia, terra battuta e residui di lastricato che ricopre il marciapiede non aiuta certo ad attenuare il colpo.
La polvere si impasta con il sudore, creando una cortina densa che brucia occhi e gola.
Ho qualche secondo di tregua, quanto basta per accorgermi che anche solo respirare mi provoca un dolore fottuto all’altezza dello sterno. E che i miei due nuovi amici emanano un terrificante odore di alcol e altra roba non meglio identificata.
Provo a rialzarmi, puntellandomi sui gomiti malfermi, ma gli assalitori non sembrano gradire la mia iniziativa. Faccio giusto in tempo a vedere il pugno chiuso di uno di loro prima che si abbatta sul mio zigomo.
Lo schianto mi sbatte di nuovo per terra. Vedo volare in giro qualche macchia rossastra e spero intensamente che non sia il mio sangue, ma so benissimo chi fra le tre persone nel vicolo sia l’unica in condizione di sanguinare.
Un altro colpo mi raggiunge prima ancora che possa rendermene conto.
Con un gemito rimbalzo sul terreno, come una bambola di pezza. Non capisco se è per via della polvere, ma la vista mi si offusca leggermente, e i suoni prendono a giungere come ovattati alle mie orecchie. Ansimo.
Il calcio che segue lo sento rimbombare direttamente nel cervello. Non ho idea di dove mi abbiano colpito, ormai ho perso la sensibilità di tutti quei muscoli che non siano ancora contratti all’inverosimile per resistere al dolore.
Nel groviglio di rumori smorzati mi sembra di sentire delle risate. Si stanno divertendo. Spero con tutta la forza che mi resta in corpo che trovino al più presto un altro passatempo, che magari non preveda di fracassarmi il cranio o altre amenità del genere.
Le risate cessano di colpo.
Tiro un respiro profondo, con il solo risultato di gemere dal dolore al primo movimento. Mentre chiudo gli occhi e stringendo i denti mi preparo alla prossima razione di botte, percepisco in modo abbastanza distinto dei passi. Ci siamo, penso fra me, si ricomincia…
Attanagliato in posizione fetale, mi accorgo di tremare leggermente.
Serro i denti con ancora più forza.
E aspetto.
Ma non succede niente.
Riapro lentamente gli occhi, titubante. Intorno a me non c’è più nessuno.
O almeno così mi pare, ma di certo sarebbe più facile stabilirlo se le pareti del vicolo avessero dei contorni precisi e smettessero di girare vorticosamente. L’unica cosa che riesco a vedere più o meno nitidamente è un piccolo frammento di lastricato, parzialmente sepolto a circa dieci centimetri dai miei occhi. E imbrattato di quello che pare essere il mio sangue.
Tossicchio nel modo più lieve possibile, ma subito mi pento di averlo fatto. Sento l’inferno bruciare in ogni singolo nervo.
Risolvo per restare disteso supino. Il che mi riesce abbastanza bene, dato che ormai ho perso il controllo di quasi ogni parte del corpo.
Ansimando, respiro l’aria fresca della sera.
Tutto sommato poteva andarmi peggio.
Mentre mi abbandono a quel poco di sollievo appena trovato, mi rendo conto di qualcosa. Un suono, in lontananza, penetra nella massa ovattata che mi circonda. Una raffica di spari. Di arma semiautomatica.
Ricognitori.
Cerco di non farmi prendere dal panico, ma naturalmente fallisco e mi ritrovo ancora a urlare per il dolore.
Ecco perché quei due se ne sono andati! L’orario di coprifuoco deve essere passato da un pezzo, e per quanto fossero ubriachi non penso avessero in programma di concludere la serata con un proiettile in mezzo agli occhi. E così hanno pensato bene di rinunciare a divertirsi con me prima che la ronda si divertisse con loro.
Encomiabili, ma ora tocca a me levare le tende il più in fretta possibile. Sarebbe difficile spiegare perché mi trovi in giro a quest’ora, e specialmente spiegarlo a un cervello elettronico infilato sotto uno spesso strato di metallo, armato fino ai denti e con l’ordine di sparare a vista.
Rinuncio a qualsiasi intento diplomatico e concentro le ultime forze nel tentativo di trascinarmi in un angolo meno visibile. Sento di impazzire per il dolore, ma riesco a guadagnare un paio di spanne verso un cassone dei rifiuti in fondo al vicolo. Devo raggiungerlo a tutti i costi.
Faccio per alzarmi in piedi, ma come tento di muovere un passo stramazzo a terra.
Niente da fare, è troppo lontano.
Mentre giaccio per terra a fissare la polvere, riesco a concentrarmi abbastanza da distinguere altri spari. Qualcuno sta rispondendo al fuoco dei Ricognitori. Saranno ancora i Ribelli, penso, oppure un attacco della Milizia. A me basta solo che tengano occupate tutte le pattuglie della zona quel poco di tempo necessario perché possa mettermi in salvo.
Respiro lentamente.
Senza il minimo preavviso, un esplosione in lontananza scuote il terreno.
Non appena il rombo si dissolve nell’aria, sento che la sparatoria comincia a infuriare.
Mi giro su un fianco, a osservare il cielo notturno sopra di me. Nonostante il fragore generato dalle scariche di piombo, i capogiri si stanno placando e riesco a scorgere i Cancelli, le imponenti barriere che delimitano la parte più interna della città.
E, appena più in basso, il bagliore di un incendio.
Benvenuti a Gehemnia.

  
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