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Autore: Nadine_Rose    25/03/2015    1 recensioni
Nadine ballava, rideva ed era viva.
[Continuo di “Un amore diviso da un filo spinato”]
Nadine e Werner sedettero vicino alla riva del lago all’ombra di un’alta conifera e restarono lì, stretti l’uno all’altra, avvolti dall’aria fresca dell’estate berlinese mentre dentro di loro scoppiava la primavera. Una nuova stagione era cominciata per la loro vita ma i due contavano ancora i loro inverni.
[Capitolo 33: Il dono della vita]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopoguerra
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Capitolo 18

 

Un amore ferito

 

“La grande questione nella vita è il dolore che causiamo agli altri, e la metafisica più ingegnosa non giustifica l’uomo che ha lacerato il cuore che l’amava”.
Frédéric Beigbeder

 


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Nicole Kidman e Aaron Eckhart

Nadine si rifugiò tra le braccia di Kurt e, afferrandogli le spalle della giacca, tentò di soffocare le lacrime nel suo petto. E Werner li vide stretti l’uno all’altra, malinconici e felici, nell’abbraccio di un amore mai tramontato. Sentì il cuore fermarsi e il respiro venir meno mentre assisteva impotente al fallimento del suo matrimonio. “Perché? … Perché? … Perché?” sussurrò con disperazione Nadine, ormai intrappolata nella dolorosa morsa dei ricordi. Non poteva esserci alcuna risposta al suo grido sommesso, a quella lacerante domanda che continuava a tormentare l’umanità rimasta umana nel tempo dell’odio e Kurt si limitò ad accarezzarle i capelli nell’ennesimo tentativo di calmarla. “Sss.” le disse e, stringendola di più a sé, abbracciò in lei anche il proprio dolore e quello di tante altre persone vittime della ferocia nazista. In quell’abbraccio strinse sua madre e suo padre, il signor Franz, Anja e Karl – i genitori naturali della sua bambina –, Hans – il suo carissimo amico morto in guerra – e una lacrima gli rigò il viso mentre il perché risuonò potente anche nella sua mente. Nadine era tra le braccia di un altro uomo e Werner, alla vista delle loro effusioni di tenerezza, avrebbe voluto correrle incontro e prendere Kurt di petto, spaccargli la faccia che lui stesso aveva rimesso a posto e spezzargli le ossa, sfogare la sua rabbia. Ma preferì scappare via, lontano dalla scena di quell’abbraccio che segnava lo sgretolamento delle sue certezze, la sua sconfitta come uomo, la fine di un amore e l’inizio dell’oblio.

 

Berlino ovest

 

“Scusami per prima, Kurt. Non sono riuscita proprio a trattenermi.” esordì Nadine, alla fine di un viaggio trascorso nel completo silenzio di entrambi. “Non devi scusarti, Nadine. Anche per me è stato difficile ritornare a Ravensbrück.” rispose Kurt, parcheggiando la macchina. La donna indugiò alcuni istanti con la testa china e lo sguardo perso nel vuoto, già ferita e vinta da ciò che sarebbe accaduto una volta varcato l’uscio di casa. Nessuna spiegazione avrebbe potuto giustificare la falsità di suo marito e lei stessa temeva la propria reazione. “Vedrai che tutto si sistemerà, coraggio!” affermò Kurt, abbozzando un sorriso di ostentata serenità. Ma Nadine si era già fatta coraggio e, con determinazione, scese dalla macchina.

Il rumore delle chiavi nella serratura frenò di colpo l’ossessivo incedere avanti e indietro di Werner e fece sussultare di gioia il piccolo Andrej. “Mamma!” urlò e, saltellando, corse verso la porta d’ingresso seguito dalla giovane Edith. “Amore mio!” esclamò Nadine e prese in braccio suo figlio, stringendolo forte a sé “Quanto mi sei mancato!” Per un attimo, la donna sembrò dimenticare l’imminente dramma. “Com’è andata?” le domandò sua cugina, con tono preoccupato e, subito, il volto di Nadine ritornò cupo e il sorriso scomparve dalle sue labbra. “Poi ti racconto.” rispose e la giovane Edith, abbassando la voce, riprese a parlare: “Werner si sta comportando in maniera molto strana.” E, in quel preciso momento, nel silenzio e nel buio del salotto, l’uomo iniziò un lungo e lento applauso sarcastico che suscitò l’improvvisa meraviglia di entrambe. “Forza, Nadine, racconta!” disse, con una punta di ironia e di amarezza “Racconta a tua cugina come ti sei sollazzata con il tuo amico Kurt!” Edith la guardò profondamente scioccata mentre una lama trafisse il cuore già ferito di Nadine. “Ti ho vista al campo, sai?!” continuò Werner e la donna, lasciato il suo bambino, lo raggiunse nel salotto. “Mi hai seguita?!” fece Nadine, invasa da un fortissimo ed esplosivo senso di rabbia e delusione. “Sì, va bene?! E vi ho visti! Vi ho visti mentre vi abbracciavate, mentre vi baciavate! Che vergogna!” La donna rimase per alcuni istanti senza parole, sconvolta, pietrificata: suo marito la stava accusando di un qualcosa che non aveva mai fatto. “Ah, certo! …” ribatté, fuori di sé “… Ho capito la tua intenzione! … Vorresti farmi passare dalla ragione al torto per non affrontare il vero problema!” Edith capì la situazione e, prendendo il piccolo Andrej per mano, gli disse: “Adesso la zia ti porta a mangiare un bel gelato, contento?” “Sì!!!” urlò il bimbo, felicissimo, nella sua ingenuità. “E quale sarebbe il vero problema?!” domandò Werner, con un atteggiamento che parve a Nadine arrogante e presuntuoso e la donna, stringendo i pugni, emise un incomprensibile verso di nervosismo. Con uno scatto, corse nella camera e iniziò a prendere dall’armadio i vestiti di suo marito e a gettarli sul letto. “Ma che stai facendo?! Sei impazzita?!” Nadine gli rivolse lo sguardo ma senza fermarsi. “Hai il coraggio di chiedermi qual è il problema?! … Tu sei il problema! … La tua falsità è il vero problema! … Mi hai mentito per cinque anni!” “Perché?! Cosa sarebbe cambiato?!” Werner non abbandonò quel suo tono sicuro. “Che saresti stato sincero con me!” “E saresti ritornata da lui!” “Se è questo quello che pensi, puoi anche andare via!” affermò la donna, lanciandogli in faccia un maglione. Il rancore fremeva nei loro occhi velati di tristezza, nelle loro parole studiate a tavolino, nei loro cuori palpitanti di rabbia e non più d’amore e l’atmosfera tra i due diventava sempre più tesa. “E così butteresti all’aria il nostro matrimonio?!” fece Werner e iniziò a rinfacciare “Dopo tutto quello che ho fatto, dopo tutto quello che ho rinunciato per te!” “A cosa hai rinunciato?! Alla tua famiglia nazista?! Va’ pure, ritorna da loro e di’ a tuo padre che non stai più con la sporca ebrea – come mi definì lui!” Nadine e Werner non erano più gli stessi. Le loro labbra non si aprivano più a parole d’amore e sospiri di piacere, a baci appassionati e promesse d’eternità che accarezzavano il cuore ma adesso erano spalancate ad urla di rabbia e predominazione che ferivano il cuore, lo sballottavano, lo picchiavano a sangue, lo laceravano, lo rendevano a brandelli. Le loro mani non si cercavano più per accarezzarsi e intrecciarsi ma adesso gesticolavano di nervosismo e puntavano il dito, accusandosi l’un l’altra. “Ho rinunciato ad essere padre! Io che avevo tutte le carte in regola!” Werner capì subito di aver esagerato e di averla ferita a morte. Per Nadine, infatti, fu una vera e propria pugnalata al cuore. “Allora per te Andrej non significa niente? … Io non significo niente? …” affermò delusa per poi continuare con espressione arrabbiata “… Dov’eri?! Dov’eri tu mentre nel lager mi aprivano in due?! … Ma certo! Eri comodamente seduto sulla poltrona di tuo padre a giocare ad essere Dio e decidere chi lasciar vivere o morire!” “Perdonami, Nadine, non volevo ferirti.” L’uomo era ritornato in sé ma sua moglie lo ignorò e disse: “Sai cosa ti dico?! … Vado via io! …” Nadine afferrò dall’armadio due tailleur e li lanciò nella valigia, schiacciandoli “… Perché la colpa è mia! … Sono stata io una stupida a crederti, a credere che tu fossi diverso, che tu fossi diventato un uomo migliore, che tu amassi me e nostro figlio veramente!” “Ti prego, Nadine.” implorò Werner ma fu ancora una volta ignorato. Poi la donna chiuse con violenza la valigia e, guardandolo con espressione seria e sprezzante, affermò: “Addio, dottor Günther.” Günther era il vero cognome di suo marito. Nadine aveva vinto sferrando il colpo più forte, rinfacciandogli – chiamandolo con il suo vero nome – le colpe del suo passato da medico nazista. Il velo di compassione era scivolato via dagli occhi della donna e si era spenta la luce dell’amore. Werner rimase immobile, schiacciato dal peso dei ricordi e dei sensi di colpa, vinto, ferito dalle parole di sua moglie e non tentò nemmeno di fermarla. Nadine andò via.

 

Città di Fürstenberg/Havel

 

Engel era seduta sul divano con le mani giunte, la testa china e i capelli spettinati che le coprivano il viso. Kurt lanciò le chiavi nello svuotatasche ma neppure quel rumore riuscì a scuotere la donna, troppo immersa nel suo dolore. Le sedette accanto e tentò di abbracciarla ma Engel, con uno scatto, si alzò dal divano. Gli rivolse uno sguardo accusatorio, severo e sprezzante, più eloquente e distruttivo di mille parole, per poi allontanarsi e andare in un’altra stanza. Kurt rimase da solo.

 

Non spalancare le labbra ad un ingorgo di parole, 
le tue labbra così frenate nelle fantasie dell’amore. 
Dopo l’amore così sicure a rifugiarsi nei “sempre”, 
nell’ipocrisia dei “mai”.
Non sono riuscito a cambiarti, 
non mi hai cambiato lo sai. 

 

Fabrizio De André

   
 
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