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Autore: Shainareth    27/03/2015    4 recensioni
Sollevando gli occhi al cielo, stavolta fui io a lasciar andare un verso insofferente dal profondo della gola. «Un po’ più di fiducia non guasterebbe», gli rinfacciai, riprendendo a camminare con passo nervoso.
Kentin mi fu subito dietro. «Allora smettila di raccontarmi bugie o mezze verità», mi accusò ingiustamente.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dolcetta, Kentin, Lysandro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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EQUILIBRIO




Stavamo attraversando il cortile della scuola quando, d’un tratto, Kentin si fermò e aguzzò la vista verso una delle panchine poco distanti. Quindi, ridacchiando fra sé, partì a passo di carica e, prima ancora che potessi chiedergli dove stesse andando, esclamò: «Ferma Lysandre, è ancora davanti all’ingresso!»
   Bastò questo per capire la situazione e, senza porre interrogativi al mio amico, mi affrettai a raggiungere il cancello della scuola, che in effetti Lysandre aveva appena varcato. Lo chiamai e lui si volse indietro, sorpreso. «Hai dimenticato il tuo taccuino», gli spiegai quando fummo abbastanza vicini.
   Lo vidi irrigidirsi, come sempre accadeva quando si rendeva conto che i suoi appunti e i suoi pensieri potessero essere stati letti da qualcun altro per colpa della sua negligenza. «Dov’è?» mi domandò, dal momento che non me lo vedeva fra le mani.
   «Kentin è andato a recuperarlo poco fa», lo rassicurai, mentre con lo sguardo seguivamo entrambi la figura del nostro compagno di classe che, taccuino ben in vista, avanzava nella nostra direzione.
   «A te», disse, non appena fu di fronte a Lysandre.
   Questi sorrise con riconoscenza, riprendendo il blocchetto con una vaga espressione di imbarazzo sul viso. «Certo che vi do spesso parecchio da fare», commentò, dal momento che quella non era la prima volta che ritrovavamo ciò che lui dimenticava in giro per la scuola. Ma ormai ci avevamo fatto il callo e, oltretutto, Kentin era persino più allenato di me: sua madre smarriva di continuo gli occhiali da vista e a lui toccava cercarli dappertutto per conto suo. «Posso offrirvi qualcosa da bere, per ringraziarvi?»
   Quella sì che era una novità. Fui subito tentata di accettare, non mi capitava spesso di passare del tempo con Lysandre. Inoltre, quel giorno Castiel non era con lui. Dunque, perché non approfittarne?
   Lanciai un’occhiata a Kentin che, come me, aveva socchiuso le labbra in un sorriso entusiasta. «Perché no?» rispose per entrambi.
   Ci incamminammo perciò insieme verso un caffè non troppo distante dalla scuola, dove molti altri studenti si fermavano prima di tornare a casa. Benché Kentin non fosse molto alto, risultavo comunque piuttosto piccola rispetto a lui; quando però mi affiancai a Lysandre, che sovrastava il mio amico di una buona spanna, ebbi come l’impressione di essere diventata di colpo minuscola. Non so dire se mi sentissi anche in soggezione, ma stava di fatto che provavo sempre una strana sensazione quando ero vicina a lui. Forse a contribuire sul mio stato d’animo erano anche il suo portamento fiero ed elegante, il suo abbigliamento ricercato e démodé, il tono pacato della sua voce, i suoi modi gentili e composti, il suo sguardo spesso profondamente assorto in pensieri che non potevo indovinare.
   Nonostante tutto, Lysandre mi piaceva molto. Sembrava essere uscito da un quadro antico o da un classico della letteratura inglese dell’Ottocento; eppure, a dispetto di tutte queste impressioni, non mi sentivo mai davvero a disagio in sua presenza. A quel tempo, conoscendolo solo marginalmente, credevo che il suo unico, vero difetto fosse l’essere tanto amico di un troglodita come Castiel. Sul serio, come potevano essere tanto amici due persone così diverse fra loro?! Più ci pensavo, meno me ne capacitavo.
   Il caffè, come previsto, era affollato di altri liceali. Trovammo a stento un posto in cui sedere, attorno ad un tavolino forse troppo piccolo, ma posto in un angolo riparato dalla vista della maggior parte dei presenti, proprio come piaceva a me. Dopo aver ordinato qualcosa, iniziammo a chiacchierare riguardo alle prossime verifiche in classe e, dopo un attimo di scoramento, ci rendemmo miseramente conto che mancavano ancora troppe settimane alle tanto agognate vacanze.
   «Sarebbe divertente ritrovarsi come l’anno scorso», affermò improvvisamente Lysandre, guardando nella mia direzione. L’estate passata, in effetti, ci eravamo incontrati per caso in spiaggia. Era stata una bella giornata, tutto sommato, se non fosse stato per la presenza inopportuna di Dake e per la pioggia che, verso la fine della giornata, ci aveva inzuppati fino al midollo.
   «Siete andati al mare insieme?» domandò Kentin che, avendo passato le vacanze presso la scuola militare, si era perso parecchie cose, durante quei mesi.
   Osservandolo, mi resi conto che la piega delle sue labbra e l’angolazione delle sue sopracciglia lasciavano trasparire tutto il suo disappunto al riguardo. «È stato un caso», presi a spiegargli, cercando di attenuare sul nascere ogni suo malumore.
   «Ero lì con mio fratello e Rosalya», confermò Lysandre, che forse neanche immaginava cosa si stesse scatenando nella fantasia fin troppo fervida del mio migliore amico.
   «Io, invece, ci ero andata con i miei genitori», dissi ancora, tanto per mettere le mani avanti.
   Chissà perché, Lysandre ritenne che fosse opportuno aggiungere un ulteriore particolare. «Ora che ci penso, c’era anche il nipote di Boris.» Kentin si voltò di scatto nella mia direzione, la fronte pericolosamente accigliata, ma non fiatò. Mi mossi a disagio sulla sedia. «È un tipo piuttosto insistente, devo dire», stava continuando frattanto il nostro compagno di classe, sorseggiando la sua bibita con noncuranza.
   «Lo so, purtroppo lo conosco», borbottò Kentin, al quale Dake piaceva decisamente poco.
   «E sapevi anche che Lysandre è cresciuto in campagna?» buttai lì, cercando una via d’uscita da quella situazione non troppo piacevole. Non che avessi qualcosa da nascondere, ma l’espressione di Kentin mi dava da pensare che prima o poi il vulcano sarebbe esploso, e quello non era il momento più opportuno.
   Parve funzionare, perché lui inarcò le sopracciglia castane in segno di stupore. «Davvero?» chiese in direzione di Lysandre, che si limitò a sorridere appena.
   «Almeno fino a che non sono venuto in città con mio fratello, si intende», rispose educatamente. Vista la sua indole riservata, solo in quel momento mi domandai quanto avesse gradito che divulgassi quell’informazione personale a terzi, sebbene, in effetti, non si trattasse di nulla di davvero intimo. Inoltre, era stato lo stesso Lysandre a parlarmene, quel giorno al mare, e non mi aveva dato l’impressione di essere davvero una confidenza, visto che non c’era alcun legame di amicizia, fra noi. Il nostro avrebbe potuto definirsi, più che altro, un rapporto basato su una vaga simpatia e sul reciproco rispetto.
   La conversazione, grazie al cielo, continuò in toni pacati e, tutto sommato, si dimostrò piacevole proprio come lo era stata quella volta al mare. Quando venne il momento di andar via, Lysandre mise mano alla tasca interna della giacca scura e, dopo qualche istante, corrucciò la fronte. Stringendo le labbra, si alzò in piedi e prese a tastarsi le altre tasche dell’elegante completo indossato quel giorno, senza tuttavia ottenere alcun risultato. Rimase in silenzio a fissare il vuoto per qualche tempo e, infine, ci rivolse uno sguardo che era tutto un programma.
   «Temo di aver dimenticato il portafogli a casa», spiegò con evidente imbarazzo.
   Non riuscii ad impedirmi di ridacchiare. «Non importa, faccio io», mi proposi senza esitazione, iniziando a rovistare nella borsa.
   «Mi dispiace… Avevo detto che avrei offerto io…» balbettò il poveretto, spostando il peso del corpo da un piede all’altro.
   «Vorrà dire che lo farai la prossima volta», lo incoraggiai, cominciando ad estrarre parte del contenuto della mia tracolla sul tavolino, dal momento che non riuscivo a trovare quello che stavo cercando. Poi, ebbi un flash improvviso, che mi riportò alla mente un dettaglio di rilevante importanza e che mi costrinse a soffocare un’imprecazione. I miei compagni di classe mi fissarono con un certo stupore ed io, vergognandomi come una ladra, presi a mordicchiarmi il labbro inferiore e mi rivolsi a Kentin, fissandolo da sotto in su, mortificata. «Stamattina ho cambiato borsa e devo aver dimenticato il portamonete in quell’altra…»
   Lysandre nascose una risatina divertita dietro al palmo di una mano, mentre il mio migliore amico mi guardò dritta negli occhi per una manciata di secondi prima di sospirare sonoramente e agguantare il proprio portafogli. «La prossima volta cercate di trovare scuse migliori, se volete farvi offrire qualcosa», ci prese in giro, fingendosi imbronciato.
   «Giuro che te li ridarò», gli assicurai, buttando a casaccio nella borsa tutto quello che avevo sparpagliato sul tavolino.
   «Lascia perdere», ribatté lui, rivolgendo un sorriso rassicurante ad entrambi.
   Una volta fuori dal locale, salutammo Lysandre, dandoci appuntamento l’indomani mattina a scuola. Quindi, prima di tornare a casa, io e Kentin iniziammo a percorrere la strada che conduceva verso il parco. Dopo qualche istante di silenzio, però, lui produsse un verso stridulo e prolungato con la bocca. Mi volsi a guardarlo con aria interrogativa e, con un sorriso non troppo allegro, spiegò: «È il rumore delle tue unghie sugli specchi.»
   Rallentai l’andatura e balbettai un confuso: «Eh?»
   Kentin si fermò ed io feci altrettanto. «La chiacchierata di oggi è stata illuminante», affermò, con chiaro disappunto nel tono della voce.
   Non riuscii a seguire il filo del discorso, per cui gli intimai di essere più chiaro. «Non posso leggerti nella mente: vuota il sacco.»
   Lui non si lasciò pregare, decidendo di affrontarmi di petto. «Mi avevi detto che avevi sbirciato nello spogliatoio dei ragazzi col proposito di vedere il tatuaggio di Lysandre.»
   Oh. Quindi era questo, il punto? Ci stava ancora rimuginando su? Ma che c’entrava con quello che ci eravamo detti quel pomeriggio?
   «Non potevi non averlo già visto», continuò Kentin, rispondendo senza saperlo alle mie domande non espresse a voce alta. «Al mare, si presume che ci si vada più svestiti che altro.»
   Sollevando gli occhi al cielo, stavolta fui io a lasciar andare un verso insofferente dal profondo della gola. «Un po’ più di fiducia non guasterebbe», gli rinfacciai, riprendendo a camminare con passo nervoso.
   Kentin mi fu subito dietro. «Allora smettila di raccontarmi bugie o mezze verità», mi accusò ingiustamente.
   Arrestai le gambe così di colpo che quasi mi venne addosso e mi voltai a guardarlo fortemente irritata. «Al mare indossava una camicia», gli rivelai con tono per nulla calmo. Evitai però di fargli sapere che, sotto quella stessa camicia, avevamo trovato riparo dalla pioggia in due. Dopotutto, non era successo nulla di sconveniente e, per quanto potesse piacermi Lysandre, di certo non ero interessata a lui sotto quel punto di vista. Soprattutto, trovavo irritante il fatto che Kentin continuasse a farmi scenate di gelosia gratuite come quella: avrebbe avuto senso se fossimo stati una coppia, ma noi due eravamo soltanto amici. Purtroppo.
   Mi fissò in tralice, forse non del tutto convinto che dicessi il vero. «Però tu eri in costume.»
   Un risolino isterico mi sfuggì dalle labbra ed io sentii la necessità di sedermi da qualche parte. Optai per lo scalino di un edificio non distante da lì e mi portai entrambe le mani al volto. Kentin mi seguì, ma si fermò a pochi passi da me, fissandomi dall’alto con aria imbronciata, le mani nelle tasche dei pantaloni.
   Scostai le dita dal viso e ricambiai il suo sguardo. «Non puoi pretendere che vada in spiaggia indossando un tendone da circo», mi arresi a fargli notare con una certa stanchezza nella voce, mentre gli facevo cenno di sedersi accanto a me.
   «Non è questo il punto», bofonchiò lui, raggiungendomi sul gradino. Sembrava già pentito di aver insinuato, neanche troppo velatamente, che gli avessi mentito.
   «E allora qual è?» gli domandai con fare retorico, scrutando quel suo profilo che tanto amavo. Anche adesso, che avrebbe meritato un sonoro ceffone.
   Schiuse le labbra per rispondere, esitò, ma poi si decise a parlar chiaro. «È che con me non ci sei mai venuta, al mare.»
   Tornai a sorridere, reprimendo a stento una vera e propria risata. La soffocai sulla stoffa della sua camicia, quando poggiai la fronte contro la sua spalla. «Sei uno scemo», fu la prima cosa che riuscii a dirgli.
   «Grazie, eh», brontolò lui, imbarazzato. Poi, cercando di farsi coraggio, chiese: «Ci andiamo?»
   «Al mare?»
   «Io e te.»
   «Da soli?» Tentennò ed io risi di nuovo. «Mio padre mi ammazzerebbe, credo», gli confessai, passando il braccio sotto al suo per stringermi maggiormente a lui. Comprendevo il suo stato d’animo, il suo bisogno di incoraggiamenti, di parole che potessero rasserenarlo riguardo ai miei sentimenti. Anch’io, nonostante tutto, avvertivo spesso la necessità di sentirmi rassicurata riguardo ai suoi. Il che era da stupidi, me ne rendevo conto, ma finché il nostro rapporto fosse rimasto in quello strano, snervante equilibrio, avremmo continuato così all’infinito.
   «Perché?»
   «Se tu avessi una figlia femmina, adolescente, le daresti mai il permesso di andare al mare con un ragazzo? Da soli?»
   Kentin parve rifletterci su per qualche istante, ma poi sbuffò in modo bizzarro, dandomi tacitamente ragione. «Non è giusto, però. Potrebbe fidarsi, almeno di me.»
   Avrei dovuto dirgli che era proprio di lui, che mio padre non si sarebbe mai fidato? Non per partito preso, quanto perché persino lui si era rassegnato al fatto che, proprio a Kentin, non avrei potuto opporre resistenze di alcun tipo. L’unico a non essersene accorto, probabilmente, era lui. Il mio adorabile idiota.
   Forse era il caso di farglielo sapere.
   Mi mossi per sollevare il capo nella sua direzione e guardarlo in volto, quando avvertii la pressione della sua bocca fra i miei capelli. Un bacio, tenero e dolce quasi quanto l’emozione che mi sbocciò in petto in quel momento. Alzai gli occhi e, incrociando i suoi, mi resi conto che io stessa non mi sarei fidata a rimanere da sola con lui, seminuda, in un luogo romantico come una spiaggia al tramonto.
   Schiusi inconsciamente le labbra e lui, che non era affatto idiota come voleva far credere, ne approfittò per ghermirle con le proprie. Fu un contatto breve, credo, ma non avrei potuto quantificarne la reale durata, poiché ormai avevo completamente perso l’ultimo barlume di lucidità mentale che fino a quel momento mi aveva impedito di abbandonarmi ai sensi. Lo feci in quel frangente, tant’è che, quando Kentin fece per ritrarsi, lo agguantai per il colletto della camicia, strattonandolo verso di me e costringendolo a baciarmi di nuovo, questa volta con maggior tenerezza e, al contempo, maggior passione. Non si oppose e, anzi, dopo una prima, iniziale sorpresa, affondò le dita della mano libera fra i miei capelli, all’altezza della nuca, e approfondì quel contatto a lungo desiderato da entrambi.
   L’equilibrio era finalmente stato spezzato, e forse nulla sarebbe più tornato come prima.












Confesso che non doveva andare a finire così. Hanno fatto tutto da soli, ribellandosi al mio volere. Meglio così.
Come promesso in separata sede, dedico la presente shot a gozgol, incosapevole mittente di messaggi minatori. No, poveretta, in realtà è tutta colpa mia e della mia stupidità. XD
E... niente. Mi sto vergognando come una ladra per ciò che ho scritto. Mi sento scema.
Ah, faccio una premessa per il futuro: non so quali altre diavolerie (= idiozie) potrebbe partorire Lanfranco (il mio neurone), per cui non date per scontato che nelle prossime shot Kentin e la Dolcetta staranno insieme. Potrei semplicemente tornare indietro nella linea temporale della storia e riportarli allo stato di semplici amici. Non mi assumo responsabilità, visto che, a quanto pare, sfuggono al mio controllo.
Torno a vergognarmi in un angolino e, già che ci sono, a rispondere ai messaggi e alle recensioni lasciate in sospeso.
Grazie a chiunque abbia letto! Buona serata, anzi, buonanotte a tutti! :*
Shainareth





  
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