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Autore: MartynaQuodScripsiScripsi    28/03/2015    1 recensioni
[I Dalton]
Al penitenziario arriva una giovane detenuta che i Dalton prendono sotto la loro protezione, magari anche perché cercano nuove idee per evadere.
Tra un tentativo di evasione e un altro nascerà una solida amicizia che si trasformerà in qualcosa in più...in mezzo a pazzie di ogni genere per evadere da quel benedetto penitenziario!
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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MALEDETTO TELEFONO


 


Seduta alla sua scrivania, la signorina Betty consultava alcuni cataloghi e dépliant che avrebbero potuto farle comodo per i suoi seminari.
Cercava qualcosa che fosse nuovo e frizzante, in grado di spezzare la monotonia dell’ambiente del penitenziario. Infatti, si era accorta che da qualche tempo i detenuti mettevano musi più lunghi del solito, cosa che aveva attribuito alla ripetitività delle giornate.
Scartò il dépliant di un tipo che vendeva attrezzi da giardinaggio e quello di un grossista di corde, finché le capitò in mano un foglio di colore blu elettrico.
L’innovazione del futuro, recitava una scritta rossa a caratteri cubitali. Sul lato destro, c’era la fotografia di un giovane uomo dal sorriso smagliante che teneva in mano un oggetto rettangolare con uno schermo illuminato. Lo schermo recava una data e un’ora su uno sfondo che rappresentava una valle.
Telefoni cellulari del prof. Marty Koper. Telefonate, messaggi, giochi e applicazioni in pochi centimetri, continuava la scritta.
Betty sobbalzò sulla sedia. A parte il fatto che il prof. Marty Koper era davvero bello, ma aveva addirittura inventato un telefono piccolo e portatile, al posto di quei pietroni che non si potevano spostare!
Poteva essere un buon stimolo per i detenuti? Forse telefonando e mandando messaggi avrebbero aumentato la propria confidenza con la tecnologia e i giochi e le applicazioni di cui parlava il dépliant erano educativi.
Betty era ormai convinta. Alzò la cornetta del telefono (“addio, monolite” pensò), compose il numero e aspettò che il centralino la mettesse in linea con il professore.

L’indomani, una diligenza entrò nel penitenziario. Due uomini robusti scaricarono una cassa piena di scritte “FRAGILE” sotto lo sguardo incuriosito di tutti.
“Quindi lì ci sono i cellulari?” domandò Peabody preoccupato a Betty. “Le dirò, signorina, ho accettato di comprarli perché lei sembrava tanto convinta, ma non mi fido molto di queste diavolerie moderne…”
“Ehi! Quella era la mia battuta!” esclamò Joe irritato, al quale faceva ancora male il cranio per le capocciate sulla tastiera del computer di Martyna.
 “Su, non sia così diffidente! Pensi che stimolo può essere per i nostri detenuti!” ribatté Betty, che aveva gli occhi lucidi per quella magnificenza.
Dopo che i due tizi ebbero aperto la cassa, la signorina dai capelli arancioni ne tirò fuori una scatoletta che conteneva il famigerato cellulare.
La aprì e mostrò il dispositivo ai detenuti, tra i quali serpeggiò un mormorio interessato.
“Questo è il telefono cellulare!” iniziò, tutta emozionata. “Ne riceverete uno a testa. Una volta acceso, potrete telefonare e inviare messaggi a tutti quelli che lo possiedono! Inoltre, è possibile scaricare applicazioni e giochi!”
Risuonarono applausi e fischi. Quella diavoleria moderna sembrava molto più interessante del previsto.
I detenuti si misero in fila per ricevere il loro cellulare e la scheda SIM. Dopo averla inserita, tutto il piazzale risuonò delle musichette di accensione.
“Wow! Guarda, Joe! Si è acceso!” disse Averell eccitato.
“Sì, anche il mio si è acceso” brontolò il fratello, pensando se avrebbe potuto servirsene per scappare.
Jack e William cercavano di indovinare quali sistemi elettronici lo facessero funzionare, mentre Nicole guardava il suo un po’ intimorita, finché non apparvero tre colonne di numeri.
Le fissò senza capire.
“Ehm…Cosa devo fare ora?” domandò ad alta voce.
“Ora deve digitare i quattro numeri che troverà nel foglietto dentro la scatola della SIM” le spiegò Betty, che girava tra i detenuti per aiutarli. “Mi raccomando, li impari a memoria! Deve digitarli ogni volta che accende il telefono.”
“Ah, grazie!” Nicole frugò nella scatolina e trovò un foglietto con una patina argentata. La grattò e, come per magia, apparvero quattro numeri.
“Uno…Due…Tre…Quattro…” mormorò mentre li toccava.
“Accidenti, che codice difficile!” commentò Averell. “Anch’io non credo che riuscirò a imparare il mio…” borbottò pensieroso.
“Se vuoi, puoi dirmelo e me lo chiedi quando ne hai bisogno” si offrì lei.
“Sarebbe fantastico!” esclamò Averell illuminandosi.
“Va bene!” gli fece eco Nicole sorridendo. “Dimmi il tuo codice!”
Averell sbirciò sul foglietto.
“Zero zero zero zero!” enumerò.
Nicole, sbigottita, si chiese quanto potesse essere difficile ricordarsi un codice simile, ma si guardò bene dal dire qualcosa.

In capo a una settimana, tutti i detenuti diventarono maghi del cellulare.
Non c’era detenuto che non si fosse scaricato almeno una decina di app, tra cui ovviamente WhatsApp. Anzi, avevano addirittura creato il gruppo del penitenziario.

Albert
Raga k facciamo oggi al seminario????? XD lol

Jonas
Boh é.è

Signorina Betty
Studieremo le coccinelle! :D

avverrel
le cocinele porrtano fortuna

Signorina Betty
Signor Averell, credo intenda dire “le coccinelle portano fortuna” ;)

avverel
grazzie

Nicole
*audio*

William
Nicole k hai dtt?????????? Nn si kapisce nnt :O

Nicole
Scs sn in lavanderia e ming sta ascoltando musica ù.ù

Ovunque nel penitenziario si poteva vedere gente attaccata al telefonino che mandava messaggi, si faceva selfie, registrava audio, giocava o condivideva foto e video.
Nelle celle, in mensa, persino mentre spaccavano le pietre, gli occhi di tutti erano incollati al cellulare. Anche le guardie, anche Peabody, anche Ming.
La magia del telefono aveva ammaliato tutti.

Dopo qualche tempo, mentre Joe si trovava davanti al portone, la batteria del suo cellulare si scaricò.
Il Dalton fece una smorfia seccata. L’unica cosa brutta di quel gioiellino era che si scaricava veramente troppo in fretta e ora sarebbe dovuto andare in cella a ricaricarlo.
Alzò lo sguardo e vide il portone, sorvegliato come al solito da Pitt ed Emett…i quali si stavano facendo un selfie dopo l’altro.
Allora in Joe si risvegliarono gli antichi istinti pre-telefono, quando era ancora un duro criminale rinchiuso in carcere che tentava di evadere ad ogni piè sospinto.
Ebbe un fremito di rabbia: da ormai più di due settimane quel maledetto coso lo aveva ipnotizzato facendogli dimenticare l’evasione! Come aveva potuto essere così stupido!?
Joe sentì una gran voglia di tirarsi dei pugni in testa, ma a vedere le due guardie in quello stato gli venne un’idea.
Corse alla sua cella, dove sapeva di poter trovare i suoi fratelli e Nicole, e in effetti li trovò, appiccicati al telefono.
Jack si faceva selfie, William stava cambiando il suo stato di WhatsApp e Nicole e Averell messaggiavano tra loro, con un cuoricino rosso alla fine di ogni frase.
“Ehi!” sbraitò Joe.
“Mh?” fece Jack ragionando sulla posizione da prendere per farsi l’autoscatto.
“Ma vi siete accorti che a causa di questo affare diabolico non abbiamo più provato ad evadere?” sbottò Joe mentre attaccava l’affare diabolico alla presa per ricaricarlo.
Gli altri sobbalzarono.
“Hai ragione!” esclamò William guardando preoccupato il suo telefono.
“Come abbiamo potuto non accorgercene?” domandò Nicole.
“Evidentemente questo coso era stato appositamente progettato per distrarci in modo che non potessimo più evadere” azzardò Joe. “Ma l’importante è che ora ce ne siamo accorti…grazie a me.”
“Hai un piano per caso?” volle sapere Jack.
“Certo” gongolò Joe. “Ho notato che anche le guardie sono prese dal cellulare. Probabilmente non se ne accorgeranno se gli prendiamo le chiavi e scappiamo!”
Gli altri si guardarono tra loro, speranzosi.
“Potrebbe funzionare…”
“Posso mandare un messaggio sul gruppo per salutarli?” chiese Averell tutto allegro.
“NO!” strillò Joe. “Ci faresti scoprire!”
Averell alzò le spalle, facendo finta che non gliene importasse niente.
“Allora, andiamo?” sollecitò William.
Joe esitò.
“Ehm…Forse è meglio lasciare che i cellulari si carichino, prima di iniziare…” disse timidamente.
“Beh, in fondo non è una cattiva idea. Del resto, potrebbero servirci” approvò Nicole mettendo in carica il suo.
Joe sospirò di sollievo.

Mezz’ora dopo, i cellulari erano carichi, così i Dalton e Nicole li staccarono dalla presa e uscirono sul piazzale.
Pitt ed Emett erano ancora dietro a farsi autoscatti con le facce più stupide di questo mondo, talmente presi da non accorgersi da quello che accadeva all’esterno del telefonino.
I cinque si avvicinarono prudentemente. Non dovevano essere troppo precipitosi, altrimenti le guardie si sarebbero accorte di loro.
Emett aveva la chiave del portone attaccata alla cintura, esattamente alla portata di Joe. Il Dalton si accostò a lui e, con cautela per non farsi scoprire, riuscì a sfilarla, aprì lentamente il portone e s’infilò fuori, subito seguito dai fratelli e Nicole. 
Il deserto giallo del Nevada si stagliava davanti a loro, una promessa di libertà che finora non aveva  mai mantenuto. Avvertirono di nuovo il solito brivido destinato a tramutarsi in delusione, sperando che quella volta non dovesse farlo.
Senza parlare per non far capire che erano usciti, camminarono per qualche centinaio di metri davanti a loro, poi Joe ruppe il silenzio.
“Siamo liberi!”
Cominciarono a correre e urlare di felicità, ormai quasi sicuri di avercela finalmente fatta.
Ad un certo punto, videro cinque sagome stagliarsi all’orizzonte. Anche loro stavano correndo e gridando e, a guardarli bene, avevano un’aria molto familiare.
“Ehi, ma sono i nostri sosia!” esclamò Nicole, riconoscendo i loro gemelli indiani con i quali avevano vissuto un’avventura non tanto tempo prima.
“Hai ragione! Ehilà, ragazzi!” urlò William agitando un braccio.
I cinque indiani li videro.
“I sosia bianchi!” esclamò Falce di Luna.
Cominciarono a corrersi reciprocamente intorno, come avevano fatto la prima volta che si erano incontrati, e quando si raggiunsero ci furono grandi feste.
“Quanto tempo!” disse Aquila Scaltra, tutto allegro.
“Come state?” chiese Nicole, felicissima di rivedere Falce di Luna.
Esauriti i convenevoli, si sedettero per terra a chiacchierare.
“Stavate evadendo?” domandò Incubo Orribile.
Joe sogghignò.
“Sì, e penso anche che questa sia la volta buona!”
Tirò fuori il telefonino dalla tasca e gli indiani si avvicinarono per osservarlo meglio.
“Che cos’è? A che serve?” disse Sciacallo Famelico, incuriosito.
“Questo è un cellulare” spiegò Joe compiaciuto. “Serve a telefonare, mandare messaggi e giocare. Ha ipnotizzato tutti al penitenziario lasciandoci via libera! E il bello è che non l’abbiamo ordinato noi!”
“Wow” commentò Mente di Fuoco. “Chissà come funziona…”
“Quando abbiamo attraversato la frontiera, magari ci possiamo studiare su insieme” propose William.
A Joe e a Incubo Orribile venne un lampo.
“Giusto, la frontiera! Sarà meglio muoverci, prima che ci becchino!” esclamò il piccoletto indiano.
Tutti convennero che avevano ragione. Si alzarono e cominciarono a camminare di buon passo, parlando del più e del meno, forse verso la libertà.

Dopo un’oretta di marcia, la sabbia e le rocce del deserto lasciarono spazio all’erba: erano arrivati vicino a un corso d'acqua.
“Oh, che bello!” disse Nicole. “Possiamo rinfrescarci un po’!”
Gli altri annuirono: la calura del deserto era debilitante, anche se ci erano abituati.
Dopo qualche minuto passato a bere, a schizzarsi e a bagnarsi la testa, una voce si levò.
“Ma bene, cosa abbiamo qui?”
I ragazzi alzarono lo sguardo e videro sull’altra sponda del torrente Vero Falco a cavallo, con un’espressione soddisfatta dipinta sul faccione e una corda sottobraccio.
“Scappiamo!” urlò Incubo Orribile lanciandosi in una corsa sfrenata. Gli altri non se lo fecero ripetere due volte.
Vero Falco sogghignò. Alzò lo sguardo al cielo e prese a cantilenare una strana melodia.
I Dalton, Nicole e i sosia sentirono che correre stava diventando sempre più faticoso. Era come correre nei sogni: ci si sforza di andare veloce ma le gambe sembrano intorpidite. Ben presto si ritrovarono tutti immobilizzati.
Soddisfatto, Vero Falco spronò il cavallo e attraversò il fiume, raggiungendoli. Smontò, li mise in fila e cominciò a legargli le mani.
“È inutile che mi guardiate così” sghignazzò. “Dovreste essere abituati al fatto che non riuscite mai a scappare. E, per l’amor del cielo, almeno smettetela di portare con voi Falce di Luna e Nicole!”
Joe ed Incubo Orribile digrignarono i denti mentre lo sciamano rimontava a cavallo con la corda in mano. Gli altri si limitarono a guardarsi tra loro, desolati, e cominciarono a tornare indietro.

Un’ora dopo, al villaggio indiano, i Dalton e Nicole erano chiusi nella tenda dei loro sosia insieme a loro, aspettando che le guardie del penitenziario li venissero a prendere.
“Questo è uno dei più grandi fiaschi che abbia mai fatto in vita mia!” si lamentò Joe.
“Già, proprio ora che avevamo il piano perfetto…” rincarò Jack. “Il telefono ha distratto le guardie in modo tale che non si accorgessero di noi! Ma non abbiamo tenuto conto degli indiani…”
“Posso vedere il telefono?” chiese Falce di Luna.
Nicole le diede il suo e la ragazza indiana iniziò a studiarlo, rigirandoselo tra le mani e aprendo le varie app.
“Non leggere i messaggi però!” raccomandò Nicole preoccupata.
“Tranquilla, tanto ho capito tutto” la rassicurò Falce di Luna, restituendoglielo, e si rivolse ai Dalton.
 “Se convincete la signorina Betty a fornirne uno anche a noi indiani, tutti si distrarranno come è successo al penitenziario e avremmo via libera!” disse.
“Ehi! Non male come idea!” saltò su Nicole, fiera della sosia.
“Sì, sì, molto bella, ma qui i piani li faccio io!” sbottò Incubo Orribile, irritato.
“Sei solo invidioso perché lei ha più sale in zucca di te!” la difese Sciacallo Famelico.
“Grazie, insomma…” si schermì Falce di Luna, arrossendo.
“Si può fare! Se riusciamo a convincere Betty, ve lo facciamo sapere. Vi lascio il mio telefono, così vi mandiamo un messaggio” disse William, e passò il suo telefono a Mente di Fuoco.
“A volte vorrei avere io il tuo spirito di sacrificio…” sospirò Jack.
La porta della tenda venne scostata e le facce annoiate di Emett e Pitt fecero capolino.
“Forza, fratelli Dalton, uscite! Mi si sta scaricando il cellulare…” li esortò Emett.
I Dalton e Nicole uscirono dalla tenda, strizzando di nascosto l’occhio ai loro sosia, e seguirono le due guardie verso il penitenziario.

Quella sera, i cinque si radunarono nella cella dei Dalton attorno a Joe. Il piccoletto aveva in mano il telefono e picchiettava lo schermo con il pollice per l’ansia.
“Dite che ci cascherà? Fra tutti, è quella che è rimasta più indipendente dal telefono” disse.
“Almeno dobbiamo provare” sentenziò William, che aveva fretta di riavere il suo cellulare. “Se non altro finirà come le altre volte.”
Joe si convinse. Aprì WhatsApp, cercò la conversazione con la signorina Betty e scrisse:

Signorina betty, ho pensato xkè nn dare anke agli indiani un cell?

La risposta non si fece attendere.

Potrebbe essere un ottimo mezzo per fargli prendere confidenza con la tecnologia! È una splendida idea!

I Dalton e Nicole tirarono un sospiro di sollievo. Potevano farcela.
Joe inviò un messaggio ai sosia indiani (cioè a William) per avvertirli che la loro idea aveva avuto successo e la serata proseguì.

Due giorni dopo, mentre erano in cella dopo mangiato, a Jack arrivò un messaggio.

00000123
Abbiamo i cell!!!!!!!!!!!! Gli altri sn tt ipnotizzati!!!!!! By aquila skaltra XDXDXD lol :D:D:D spakkano trp!!!!!!!!!!!!!

Jack si affrettò a rispondere:

Ok bro, adesso arriviamo ;D

Si mise il cellulare in tasca e chiamò gli altri.
“Ragazzi, i sosia hanno i telefoni! Possiamo andare!”
I fratelli saltarono giù dalle brande, chiamarono Nicole e uscirono dalla cella.
Si mossero con cautela come la volta precedente, in modo da non distrarre nessuno che fosse attaccato al cellulare, e arrivarono sul piazzale.
Pitt ed Emett si stavano facendo autoscatti come sempre, così non fu tanto difficile rubare la chiave e uscire.
Corsero come pazzi fino a che non videro i cinque indiani, anche loro in corsa, che brandivano dei cellulari.
“Al villaggio nessuno può staccarsi da questi gioiellini! Ma chi è il genio che li ha inventati?!” esordì Incubo Orribile, contentissimo.
Si scambiarono velocemente i numeri e senza aspettare un altro minuto si diressero in fretta verso la frontiera.
Per lungo tempo camminarono senza sosta, superarono il fiume della volta precedente approfittandone per bagnarsi la testa e farsi selfie nelle posizioni più stupide.
Camminarono, camminarono e ancora camminarono. Camminarono finché non videro un grande cartello di legno con una scritta di vernice rossa.
 

 MEXICO
 

“Ce l’abbiamo fatta!” urlò Joe al settimo cielo. “Siamo evasi, non torneremo più al penitenziario!”
“Urrà!!” I dieci piantarono una cagnara assurda, iniziarono a saltare, abbracciarsi, ridere e fotografare il cartello, in preda ad una felicità incontenibile.
Come ultimo atto nel Nevada, si fecero una foto di gruppo con il cartello alle spalle, e la inviarono ai gruppi del penitenziario e del villaggio indiano con la didascalia “SIAMO FUGGITI, ALLA FACCIA VOSTRA! XP”
Ma non appena la foto fu inviata, il cellulare di Nicole si spense.
“Oh, no!” esclamò. “Si è scaricato…”
“Hai il caricabatteria? Magari da qualche parte c’è una presa…” azzardò Averell.
Nicole impallidì.
“L’hai lasciato in cella?” chiese Jack, per poi sobbalzare. “No! Anch’io ho dimenticato il mio!”
“Penso che il mio abbia avuto la stessa sorte!” intervenne Sciacallo Famelico, che aveva solo pensato di portarsi dei panini.
Anche gli altri si accorsero di non avere portato il loro caricabatteria, e la felicità che avevano provato un attimo prima svanì completamente, lasciando il posto a un panico incontrollato.
“Come faremo a sopravvivere, con i cellulari scarichi?!” strillò Falce di Luna.
“Dobbiamo tornare indietro e prendere i caricabatteria!” ruggì Joe, e si misero a correre a perdifiato verso dove erano venuti.

“Per l’ennesima volta, spegnete quei telefoni e fate attenzione!” stava urlando la signorina Betty, rossa in viso.
Era l’ora del seminario, e nessuno dei detenuti pareva essere minimamente interessato a seguire. Continuavano a messaggiare e fare foto in giro, facendo sorgere alla signorina qualche dubbio.
Da quando aveva fatto recapitare i cellulari al penitenziario, i detenuti non se ne erano più staccati. Spaccavano le pietre a rilento, non parlavano quasi più tra loro e facevano sempre meno attenzione ai suoi seminari. Tutte cose che le fecero pensare se aveva fatto bene a introdurre quella  nuova tecnologia.
Certo, avrebbe potuto essere utile per comunicare a distanza, ma così stava degenerando! Betty si disse che probabilmente aveva fatto male i suoi conti e quel cellulare per il momento era solo un gingillo poco educativo.
“Su, basta adesso con quel telefono! Datemeli tutti, forza!” esclamò risoluta.
“Cosa?!” Finalmente i detenuti si staccarono un attimo dall’attrezzo.
“Vi sta facendo male” decretò Betty. “Se non me li date di vostra spontanea volontà me li verrò a prendere io!”
E, non ricevendo risposta positiva, iniziò a girare tra le panche strappando di mano i telefoni ai detenuti, molti dei quali si misero a piangere.
Betty ripeté l’operazione anche con Pitt ed Emett, Peabody e Ming, e non si risparmiò nemmeno il suo.
Si diresse ai cassonetti della spazzatura e si liberò di tutti i telefoni.
“Oh, evviva!” esclamò, sfregandosi le mani.
In quel momento, i Dalton e Nicole entrarono come furie nel penitenziario sfondando il portone, con i telefoni in mano, urlando come pazzi dalla disperazione.
Appena li vide, Betty ebbe un lampo.
“Mi sembrava che mancassero…Comunque non saranno risparmiati!” disse tra sé, aggrottando le sopracciglia.
Li raggiunse e si parò loro davanti, facendoli frenare bruscamente.
“Favorite i cellulari, fratelli Dalton! Da oggi, non se ne parlerà più!” disse, con voce perentoria.
Alla loro reazione muta e stupita, aggiunse:
“E sarà il caso che vada anche a trovare i Braccia Rotte, prima che degenerino anche loro!”
I Dalton e Nicole erano troppo esterrefatti per reagire. Si lasciarono togliere i cellulari senza nessuna resistenza, e rimasero a contemplare Betty che li buttava nel cassonetto.
“…Che è successo?” borbottò Nicole.
“È successo che non siamo evasi neanche questa volta!” sbraitò Joe.
“Che smacco sarà per i sosia…” mormorò Jack pensieroso.
“Ci ha pure tolto i telefoni!” aggiunse William.
“Beh, forse ci stavamo attaccando troppo” disse Averell sorridendo. “E poi, non era divertente mandare i messaggi alle persone che stavano a un metro da te! A proposito, Nicole…”
“Sì?” incalzò lei.
Averell tentennò un po’.
“Ti…va se ci sediamo vicini al seminario?”
“Oh, certo!” replicò lei, che era arrossita.
Gli altri tre Dalton li fissarono con un’espressione indecifrabile, mentre se ne andavano felici e contenti.

 

La casa era buia. L’orologio ticchettava ed era l’unico rumore che si poteva sentire, rendendo l’atmosfera insopportabilmente spaventosa.
Martyna sapeva che di lì a poco avrebbe visto il Male incarnato. Deglutì e si terse il sudore freddo dalla fronte, cercando una via di scampo.
Passare normalmente dalla porta era semplicemente un suicidio, dato che LUI avrebbe fatto lo stesso percorso per entrare.
Non poteva uscire dalla finestra perché era al quarto piano e non c’era tempo di strappare le strisce del lenzuolo e legarle per formare una corda. Chiamare la polizia? Sarebbe arrivata certamente troppo tardi.
Martyna doveva rassegnarsi. Non poteva fuggire al suo orribile destino.
Eppure, ci doveva essere un modo! C’è sempre, un modo per cavarsela!
Il portone dell’appartamento, con uno scricchiolio da gelare il sangue, cominciò ad aprirsi con una lentezza quasi irreale.
Martyna trattenne a stento un urlo. Era spacciata.
Febbrilmente, si guardò intorno e decise di nascondersi nella dispensa. Forse LUI avrebbe pensato che non fosse in casa…
Con il cuore in gola, la ragazza si infilò nello stanzino e si chiuse la porta dietro, mentre il portone si apriva gettando un fascio di luce nella casa buia, una fascio di luce interrotto dalla sagoma di un uomo con un basco storto in testa.
Olivier Jean-Marie.
Il regista.
L’uomo sogghignò diabolicamente ed entrò.
“Martyna? Dove sei?” chiamò, con tono pericolosamente mellifluo.
Dalla dispensa, Martyna sudava freddo e pregava che non la trovasse.
“Oh…oh…Forse non è in casa…” disse Olivier, con un tono così bambinesco che la ragazza si rese conto di essere stata scoperta. Infatti Olivier aprì di scatto la porta della dispensa, con una risata malvagia da far tremare le ossa.
Martyna cadde in ginocchio.
“Ti supplico, risparmiami” mormorò, in lacrime.
Olivier ghignò.
“Avevamo un contratto, mia cara Autrice” iniziò, girandole intorno. “Contratto che prevedeva che aggiornassi una volta al mese circa, contratto che chiudeva un occhio sul primo ritardo. E l’ultima volta che hai aggiornato, l’hai fatto in ritardo. Quest’oggi, è il secondo ritardo.”
Martyna era raggelata. Sapeva a cosa stava andando incontro.
Olivier, invece, era malignamente soddisfatto.
“Ti ricordi cosa prevedeva il contratto, in caso di ritardo ripetuto?” le domandò, prendendole il mento tra indice e pollice.
“Ma…era scritto in piccolo, io…” tentò di difendersi Martyna, ma Olivier la interruppe.
“Avresti dovuto accompagnarmi da McDonald’s e pagare” le ricordò, tronfio come non mai.
A quelle parole, Martyna si rialzò. I denti erano digrignati, gli occhi mandavano lampi.
“Non riuscirai a farmi entrare in un McDonald’s! Sognatelo!” gridò.
Olivier sogghignò nuovamente.
“Pensaci, Martyna…Perché ho un piccolo asso nella manica che potrebbe farti cambiare idea.”
Schioccò le dita. Due omoni della sicurezza entrarono dal pianerottolo, tenendo ferma per le braccia…
“Nicole!” esclamò Martyna, sbarrando gli occhi.
Nicole la guardò impotente, mentre Olivier spiegava:
“Io posso rinunciare alla tua compagnia da McDonald’s…se sarà lei ad accompagnarmi.”
“Non farlo, Martyna, mi sacrifico volentieri…” provò a convincerla Nicole, ma Martyna abbassò la testa.
“No…Nicole, tu non puoi farlo. Non sopravvivresti…” mormorò l’autrice, passandosi una mano sugli occhi. Si rivolse a Olivier, che trasudava soddisfazione da tutti i pori.
“Andiamo pure” disse, con la voce che tradiva una profonda disperazione. “Ma lascia andare Nicole.
Con un risolino malefico, Oliver accennò ai due bodyguards di fare come aveva detto l’autrice.
“È un piacere fare affari con te, Martyna” dichiarò, mentre si avviavano.

 

  
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