Serie TV > Numb3rs
Segui la storia  |       
Autore: y3llowsoul    28/03/2015    2 recensioni
Le quattro mura grigie, il vuoto della stanza, l'umidità, il freddo – tutto gli faceva, in modo inquietante, pensare a un carcere. Il fatto che non sapesse che cosa intendevano di fare di lui non migliorava il suo stato e non sapeva neanche che cosa dovesse pensare del fatto che per quanto sembrasse non lo sapevano neanche loro. Sembrava che l'avessero semplicemente spostato lì finché il problema non si fosse risolto da solo. Per esempio tramite Charlie se si fosse deciso a lavorare di nuovo per loro. Oppure se avessero concluso i loro affari. Oppure se Charlie si fosse suicidato.
Charlie collabora a una missione segreta. Don cerca di venire a sapere qualcosa della faccenda, ma quando finalmente ci riesce, non è una ragione per rallegrarsene, e per la famiglia Eppes cominciano periodi brutti.
Genere: Malinconico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Charlie Eppes, Don Eppes, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ciao! Mi dispiace tanto per il ritardo, ma ecco finalmente il nuovo capitolo!
Spero che vi piaccia :)
 
 

38. Costrizione e libertà

What's worth the prize is always worth the fight.
Every second counts 'cause there's no second try,
So live it like you'll never live it twice.
Don't take the free ride in your own life.
(Nickelback, If Today Was Your Last Day)

Per un attimo, Amita esitò, il dito appena sospeso sul tasto di chiamata. Avrebbe davvero dovuto avvisare Larry in quel momento? Era stato dimesso dall'ospedale solo quella mattina e su sua richiesta. Aveva aiutato a portarlo a casa di Charlie – Alan aveva insistito. E per Amita andava bene che Alan lo tenesse d'occhio. Larry aveva ancora un aspetto provato.

No, non l'avrebbe chiamato. C'era tempo. Per il momento ne sarebbe venuta a capo da sola – nonostante si sentisse sempre molto insicura.

Dopo il terzo trillo qualcuno rispose. «Sì? Eppes»

La comunicazione era disturbata; c'era un fruscio, poi migliorò, ma ad un tratto vi furono nuove interferenze. «Ehì, Don» disse Amita con tono di voce un po’ più alto del normale perché la sentisse.

«Amita? Sei tu? Hai trovato qualcosa?»

«Penso di sì. Abbiamo –»

«Aspetta», la interruppe Don. C'era ancora un fruscio, ma quando parlò di nuovo, la comunicazione sembrava un po' più chiara. «Così dovrebbe funzionare. Scusami, ma stiamo cercando il nascondiglio dei sequestratori e la linea è terribile. Cosa avete trovato?»

«Penso che adesso abbiamo abbastanza punti per riconoscere il viso e possiamo tentare un confronto con la vostra banca-dati. A proposito, l'uomo dalla videoregistrazione della CalSci e quello dalla concessionaria di automobili sono identici».

«Bene... Aspetta, dici "noi"? Come sta Larry?»

«È a casa vostra, sta riposando. E' stato dimesso dall'ospedale oggi».

Ci fu una breve pausa all'altro capo della linea e Amita poté quasi sentire Don lasciarsi scappare un sospiro di sollievo. «Bene. Salutalo da parte mia. E prova il confronto di cui mi dicevi. Quanto più sappiamo dei sequestratori, tanto meglio sarà».

«Bene, lo farò. E... Don?»

«Sì?»

Il suo cuore batteva ferocemente e non sapeva come dirlo. «Voi... voi troverete Charlie?»

Di nuovo, Don non rispose subito, ma quando parlò la sua voce suonava speranzosa ed era rilassata. «Sono fiducioso». Di nuovo esitò. Poi parve deciso ad esporsi. «Il problema è che è stato rapito quasi due settimane fa e... Dobbiamo trovarlo il più presto possibile».

Amita tacque. Ma il suo cuore continuava a battere ardentemente. Era come se volesse spingerla ad essere utile, a fare qualcosa. «Posso aiutare?»

Di nuovo la risposta venne con un secondo di ritardo. «Sì... intendo, non lo so. E' possibile delimitare l'area in qualche modo? Individuando magari dei luoghi con maggiore probabilità di trovarlo rispetto ad altri?»

«Beh, dovrebbe essere possibile con un po' di teoria dei giochi» rispose quella, riflettendo. «Ma non so quanto questo vi sarà d’aiuto».

«Ci andrà bene qualunque informazione. Ti manderemo i dati necessari, va bene?»

«Va bene».

Don mandò un sospiro di sollievo. «Va bene. Grazie, Amita».

Amita si morse il labbro prima di decidersi ad aggiungere: «Don? Ti prego, trovatelo».

E di nuovo l'aveva fatto esitare. «Lo faremo» disse infine. «Ciao».

«Ciao».

Amita riattaccò e deglutì. Più parlava con Don, tanto più le diventava ovvio che tutta la faccenda era più seria e disperata di quanto pensasse.

- - -

Le ricerche non erano servite a niente. Avevano camminato per chilometri, ma non avevano fatto un solo passo avanti. E se non volevano perdersi anche loro nel buio, dovevano interrompere le ricerche per quel giorno.

Gradualmente, mentre ritornava con Ian alla centrale nella capanna di legno, Don si accorse che cosa il suo collega intendesse quando aveva parlato di una "zona troppo grande". Certo, sapeva anche prima che il parco nazionale era grandissimo, gigantesco. Ma non avrebbe pensato che la loro impresa sarebbe stata a tal punto senza speranze.

Don stimò che quel giorno non avevano nemmeno spulciato l’un percento dell'area delimitata. Charlie probabilmente l'avrebbe chiamata "zona calda". E se avessero scoperto poi che per una qualche ragione i sequestratori si trovavano in una zona del parco diversa da quella supposta, avrebbero fatto prima a tornare a casa subito.

Però Don non sarebbe mai tornato senza suo fratello.

Di nuovo le sue viscere sembravano sciogliersi. Cosa sarebbe successo se non avesse trovato Charlie? Avevano fatto così tanti passi avanti fino a quel punto, erano talmente vicini alla soluzione – eppure si trovavano lì, in un parco gigantesco, senza la più piccola pista.

La più grande speranza di Don si attaccava in quel momento al pensiero che Amita – forse con l'aiuto di Larry – ce l'avrebbe davvero fatta a trovare un modo per ottimizzare la loro ricerca. Ma anche se qualche volta sembrava così, i due scienziati non potevano produrre un simile risultato semplicemente per magia. E anche se Don sapeva che ci avrebbero lavorato senza sosta, sarebbe resistito ancora per poco prima di ricevere quei risultati. E poi magari avrebbero avuto comunque una zona enorme da setacciare mentre Charlie faceva affidamento su di loro.

Don non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che non stessero più facendo passi avanti. Certo, stavano facendo tutto quello che potevano – ma era sufficiente? Don aveva già richiesto dei rinforzi, ma avevano troppo poche indicazioni che si trovavano sulla buona pista per giustificare l’impiego di più di due squadre.

E se stavano sbagliando?

Don deglutì. Si accorse che aveva preso a tremare. Cosa sarebbe successo se tutta questa ricerca si fosse rivelata completamente inutile, se Charlie non fosse stato lì? Che cosa avrebbero fatto? Se fosse stato davvero così, stavano sperperando del tempo, tempo che avrebbero potuto usare per trovare Charlie. Ma questa pista era talmente promettente...

«Ehì Don, tutto bene?»

Don voltò la testa. Ian si era avvicinato da dietro e l'aveva sorpreso con una pacca amichevole sulla spalla. Don non sapeva se dover essere grato a Ian dei suoi modi leggeri oppure infuriato. Certo, rimproverarsi non li aiutava. Ma come poteva Ian fingere che tutto andasse bene?

«Beh', un tempo eri più loquace» disse Ian nella sua maniera sobria.

Don tentò di mantenere la calma, ma per riuscirci doveva sopprimere la sua furia. «Forse non te ne sei accorto, ma l'uomo che stiamo cercando è mio fratello».

Ian si finse sorpreso. «Clifford Wellman è tuo fratello? Non lo sapevo».

Don tacque, amareggiato. Perché Ian non poteva semplicemente lasciarlo in pace? Ma le probabilità che Ian parlasse con qualcun altro erano pari a zero: si erano divisi in tre squadre da due mentre i tre che rimanevano mantenevano la posizione nella loro centrale provvisoria. Come se potessero raggiungere più punti così.

Ian fece una pausa ben misurata prima di continuare: «Sai che innanzitutto stiamo cercando i sequestratori di Charlie e non lui stesso, vero?»

Don si fermò repentinamente fissando Ian. «Non stai dicendo sul serio».

«Niente di personale, ma devi fare attenzione a non fissarti troppo. Lo sai, un agente deve rimanere neutro e tutto quanto».

C'era un fulmine negli occhi di Don. «Che cosa stai tentando di dirmi?»

E ad un tratto, Ian fu completamente serio. «Ascolta un buon consiglio: non lasciarti coinvolgere in questo caso, Don».

Don scosse la testa. Ian doveva esser impazzito. «Ian – si tratta di Charlie, questo è chiaro per te? Beh', probabilmente non ti interessa, ma è mio fratello. Non lo capisci?»

«Meglio di te, a quanto pare. Don, so che sei un buon agente. Ma Charlie è semplicemente il tuo punto debole. E per questo dovresti fare attenzione. Devi prendere in considerazione l'ipotesi che forse non lo troveremo».

Per qualche momento Don si sentì soffocare. La franchezza di Ian chiedeva troppo a volte. «E che cosa proponi tu?» chiese infine quando si era accorto di come Ian lo smascherasse.

«Smettila di rimproverarti» disse Ian in modo lapidario, come se fosse la cosa più semplice del mondo.

Di nuovo Don scosse la testa. «Veramente non lo capisci. Non vedi che tutto questo è colpa mia?»

Ian sgranò gli occhi. «E' ciò che sto dicendo, non–»

«No, adesso tu mi lasci finire di parlare» lo interruppe Don. Non era sicuro da dove venisse la sua irritazione, sapeva solo che non poteva fermarla. «Sembra che Charlie sia stato sequestrato dagli stessi tizi di sei mesi fa. Già allora tutta la faccenda mi puzzava, ma cosa ho fatto? Niente. Niente, Ian, ti è chiaro? Se all'epoca avessi investigato riguardo la presunta morte di Charlie più attentamente, forse avrei trovato cosa c'era dietro tutta la faccenda. Ma non l'ho fatto. Ho piantato Charlie in asso, capisci cosa significa? Se all'epoca non l'avessi abbandonato subito–»

A Don mancò la voce. Dovette fare alcuni respiri profondi prima di poter continuare. «Se all'epoca non l'avessi abbandonato subito, tutto questo probabilmente non sarebbe mai successo».

Don respirava fortemente. Non era stato facile esprimere questa accusa verso sé stesso ad alta voce, ma la rabbia verso Ian e sé stesso era stata un forte catalizzatore. E non dubitava per un momento della verità terribile delle sue parole. Aveva abbandonato Charlie all'epoca. Aveva accettato troppo velocemente la notizia della sua morte benché le contraddizioni e i contrasti fossero stati tanto ovvi. Aveva piantato suo fratello in asso.

Ian non sembrava ancora convinto. Anche lui sembrava preferire ignorare l'ovvio. «Beh'» disse, «dopotutto lo credevi morto».

Come se quella fosse una scusa. «Però non era morto» disse Don con una voce ancora tremante, e una voce molto più calma dentro di lui aggiunse: “Cosa che non significa che non potrebbe essere morto adesso”.

Don dovette deglutire, ma non sapeva ancora per quanto avrebbe potuto continuare a stare lì, tranquillo. Insomma, aveva finito da tempo di star tranquillo. Tremava in tutto il corpo di sentimenti repressi.

«Okay» disse Ian e suonò conclusivo. «Okay. Allora forse hai fatto uno sbaglio all'epoca. Che ne pensi se lasciamo perdere tutto questo e ne non appena avremo trovato Charlie insieme ai sequestratori?»

- - -

Charlie sobbalzò quando, come attraverso una nebbia, sentì rumori alla sua porta. Un attimo prima si sarebbe quasi potuto addormentare e ci mise un momento per rendersi conto che non si trovava nella sua cella, ma nel suo ufficio, ed avevano già aperto la porta. Il quarantenne con i capelli scuri era entrato, Dexter Johnson, se Charlie non sbagliava, e non aveva un aspetto entusiasta.

«Seguimi!» ordinò brevemente a Charlie.

Charlie sentì la nausea salirgli, e insieme alle sue ginocchia molli e al caldo che gli saliva alla testa si sentiva un po' come se avesse della febbre. Forse era la febbre della ribalta di ciò che l'attendeva. Perché se i suoi timori erano fondati, era il momento di illudere i suoi avversari.

Appena Charlie arrivò alla porta, venne afferrato nella parte superiore delle braccia dall'uomo con i capelli scuri; continuavano a stringerlo talmente forte e talmente spesso che era certo gli sarebbero rimasti i lividi per sempre.

Veniva di nuovo condotto nella sala dell'interrogatorio e poi lasciato da solo con Rosenthal. Non prima di vedere le solite gentilezze sul tavolo – una bottiglia di acqua, un bicchiere, un po’ di pane, del salume, formaggio, un coltello – si accorse subito di quanta fame avesse. Una bottiglia di acqua gliel'avevano data anche nel suo ufficio, però non aveva mangiato niente da più di un giorno. Il suo stomaco brontolava. Ma questo, pensò, poteva anche essere a causa della sua paura.

«Si sieda!» ordinò Rosenthal con la stessa concisione del sua collega pochi secondi prima. Non sembrava tanto contento.

Charlie ubbidì. Senza poterlo impedire, la sua mano sussultò già verso la cena, ma la voce di Rosenthal interruppe il movimento subito: «Fermo! Non mangerà finchè non ci avrà dato dei risultati».

Charlie deglutì. «Ci sto lavorando» mentì. La sua voce tremava un po' e non sembrò neanche tanto convincente quanto doveva essere.

«Non menta!» gridò Rosentha, battendo le sue mani sul tavolo. Charlie sobbalzò. In quel momento, per un attimo, un ricordo di Don sorse dentro lui, il modo in cui stava di fronte ad un sospettato qualunque, come batteva le mani sul tavolo, gridando con una voce autoritaria...

«Non può più prenderci in giro, Eppes». Rosenthal interruppe bruscamente il ricordo. «Oppure crede che non abbiamo capito che cosa intende fare? Vuole guadagnare tempo! Ma non funzionerà, Eppes. O ci consegnerà la prima località entro stasera o può dire addio alla sua ragazza. L'abbiamo avvertito, non stiamo scherzando».

Charlie tremava. Più acceso diventava il clamore di Rosenthal, più freddo aveva.

«Ho... ho bisogno di più di tempo» balbettò.

Lo sfogo era atteso eppure Charlie trasalì violentemente. «Però non abbiamo tempo! Cominci a lavorare, Eppes! Ha già cominciato quest'algoritmo lo scorso autunno, lo termini!»

«Non... non posso, non... non so di che cosa sta parlando». Un po' tardi Charlie si era ricordato che, badandosi sulle informazioni che avevano su di lui, non poteva ancora ricordare quasi niente. «Non posso darvi l'algoritmo così presto».

«Ah sì?! E perché, se posso chiedere?»

«Non...» E ad un tratto, Charlie non dovette più mentire. «Non posso più sopportarlo!» gridò. «Sono... sono esausto, devo dormire, ho fame...» Stava per ricordare a quel bastardo di Rosenthal ancora una volta che era il suo prigioniero già da giorni, ma non trovava le parole. Forse era anche il suo buon senso ad impedirglielo.

Rosenthal fissò Charlie con un sguardo fisso negli occhi e se Charlie non fosse stato altrettanto pervaso di una furia disperata, avrebbe sicuramente distolto lo sguardo. Gli occhi di Rosenthal erano diretti arguti e ostili su di lui, e Charlie fu sollevato del fatto che non si potesse ammazzare con uno sguardo.

Finalmente, Rosenthal si allontanò da Charlie camminando avanti ed indietro davanti al suo tavolo. «Okay» disse infine il terrorista quando sembrava essersi calmato un po'. «Okay. Puoi dormire». Charlie sentì il "ma" ancora prima che Rosenthal lo pronunciasse: «Ma devi darci risultati».

Charlie rifletté febbrilmente su come sfuggire da quel guaio quando fu salvato in modo inatteso: fuori, all'altro lato della porta di acciaio, poté sentire dei passi, passi veloci che si avvicinarono.

La porta si aprì di scatto e apparve l'uomo, il più giovane della squadra – o almeno il più giovane di quelli che Charlie aveva già visto. Sembrava eccitato. Charlie, i cui nervi erano comunque ipersensibili nella sua attuale situazione, tese le orecchie ancora di più. Qualcosa doveva essere successo. La domanda era solo: era bene o male per lui?

«Che c'è, Mike?» gridò Rosenthal al suo complice con irritazione.

Charlie prese nota nella sua mente. Dunque quello era Mike. L'hacker. Durante i giorni passati, soprattutto durante le investigazioni, aveva saputo abbastanza cose da farsi un'immagine approssimativa dai suoi sequestratori. Però non sembrava servirgli a tanto. Al contrario. Se si comportavano in modo talmente libera riguardo il lasciar trapelare quelle informazioni, era probabilmente solo perché non credevano che il loro prigioniero avrebbe mai potuto trasmetterle...

«Sono qui» sbottò Mike, e il treno dei pensieri non molto ottimistici di Charlie si fermò subito. «Ci stanno cercando, qui nel parco».

Per la prima volta, Charlie credette di poter distinguere qualcosa come paura negli occhi di Rosenthal. «Cosa?» chiamò. «Chi? Chi ci sta cercando?»

«Suo fratello». Mike fece un breve cenno col capo verso Charlie senza guardarlo. Altrimenti non gli sarebbe mai sfuggito il barlume impetuoso di speranza nei suoi occhi. «Dexter l’ha saputo da uno dei suoi contatti. Eppes e la sua squadra sono qui. Si sono uniti all'altra squadra e siccome Wayne e Dexter erano stati in California, il fratello e la sua squadra probabilmente sanno più degli altri cosa sta succedendo, hanno adesso prospettive migliori–»

«Zitto!» lo interroppe Rosenthal impaziente. «Devo riflettere».

Non solo Mike, ma anche Charlie aspettavano tesi che cosa sarebbe uscito da questa breve meditazione. «Dì agli altri di andare a prendere delle provviste per noi, ma ad alcuni chilometri di distanza dal parco così da non farsi notare. Dobbiamo essere ancora un po' più invisibili del solito. E devono dividersi» ordinò Rosenthal alla fine a Mike e quello sparì.

Charlie tentò di comportarsi in modo il più calmo possibile per non attirare l'attenzione di Rosenthal su di lui, mentre il suo cuore saltellava per nervosismo e gioia cauta. Erano arrivati! Don era lì! Poteva solo essere una questione di tempo finché non l'avrebbero finalmente trovato!

Eppure... Cosa sarebbe successo se non l'avrebbero trovato? Se Charlie aveva capito bene, c'era anche una squadra che cercava i sequestratori da più tempo. E finora non erano stati fortunati. Il nascondiglio dei suoi avversari doveva esser abbastanza buono. Cosa sarebbe successo se fosse troppo buono anche per Don...?

Il cuore di Charlie batteva ancora con una velocità dolorosa quando capì che doveva fare qualcosa. Non poteva semplicemente aspettare sperando che Don lo trovasse, non doveva correre il rischio di un insuccesso, non adesso che la salvezza era talmente vicina. Doveva in qualche modo attivarsi anche lui, contribuire alla propria liberazione...

Fu un lampo di genio. Charlie vide il coltello pericolosamente grande davanti a lui sul tavolo e gli sembrò come se il suo piano fosse sempre stato lì, finito, come se avesse semplicemente aspettato quell'occasione. Il nascondiglio era abbandonato. Solo Rosenthal e quel Mike si trovavano ancora lì. Due avversari con cui, se necessario, poteva competere non senza prospettive. Doveva osare.

Charlie cominciò a sentire caldo mentre controllava il piano nella sua testa. Si sentiva tremulo. Adrenalina, disse fra di sé, è solo l'adrenalina...

Mike ritornò da loro.

«Se ne sono andati» informò Rosenthal, e nello sguardo confuso di Charlie aveva un po' l'aspetto di un agitato punto interrogativo, di un fascio nervoso e confuso, che aspettava nuovi ordini.

«Bene» disse Rosenthal che sembrava tanto calmo quanto il suo complice agitato. «Portalo nella sua cella» lo incaricò poi con un cenno della testa in direzione di Charlie. «Ci occuperemo di lui più tardi».

Charlie non era sicuro che cosa significasse, ma non se ne importò tanto. Tutto ciò che aveva importanza il quel momento era il giusto tempismo. Charlie non era mai stato tanto teso in vita sua, eppure cercava di non darlo a vedere mentre osservava come Mike si avvicinava a lui. Adesso era accanto a lui, l'afferrava sotto la spalla sinistra e stava per tirarlo in alto. Era il momento. Prima che i terroristi sapessero che cosa stesse succedendo, Charlie aveva già preso il coltello, stretto il suo braccio sinistro attorno alla gola di Mike e puntato l’arma alla gola.

La respirazione di Charlie era rapida. Anche quella di Mike. Rosenthal non sembrava respirare affatto. Era ovvio che non s’aspettasse un tale cambiamento della distribuzione del potere. Ed era abituato che tutto succedesse secondo le sue regole.

Charlie era un po' spaventato da sé stesso. Non aveva creduto veramente di farcela. Adesso, però, vedendo e sentendo la reazione dei suoi avversari, si sentì più sicuro. Aveva il colpo di scena definitivamente dalla sua parte.

La sua respirazione era ancora accelerata e avrebbe voluto che il suo cuore smettesse di battere tanto dolorosamente mentre si accorgeva che non doveva perdere il vantaggio tratto dal colpo di scena.

«Al muro» comandò a Rosenthal perché era la prima cosa che gli venne in mente. Doveva far attenzione. Non aveva una buona posizione: stava un po' in bilico fra il tavolo, la sedia e il suo ostaggio, e se l’hacker avesse fatto un movimento repentino, sarebbero probabilmente tutti e due andati per terra. E questo non doveva succedere.

Un po' calmato, Charlie osservò come Rosenthal eseguiva il suo ordine ritirandosi verso il muro di fronte alla porta. Adesso era assai lontano e Mike era ancora spaventato cosicché Charlie poté osare dare un calcio alla sedia e toglierla da davanti – naturalmente senza levar gli occhi da nessuno dei due.

Adesso non c'erano più ostacoli e Charlie tirò Mike con sé verso la porta d'acciaio che andava nella sala degli interrogatori. Il suo ricordo fu confermato: aveva una serratura di sicurezza. E la chiave non c'era.

«Dov'è la chiave?»

Nessuno rispose. Negli occhi di Rosenthal Charlie vedeva passare un odio che lo faceva inorridire. Ma doveva agire adesso. Ogni altra cosa sarebbe stata un suicidio.

«Dov'è la chiave?! Rispondi, oppure gli taglio la gola!»

Trascorsero momenti tesi. Charlie sperava ardentemente che Rosenthal rispondesse, perché non aveva idea che cosa avrebbe fatto altrimenti. Uccidere l'uomo in suo potere non era definitivamente un'opzione.

Finalmente, Rosenthal passò la mano nelle tasche del suo pantalone.

«Nessun movimento falso!» l'avvertì Charlie.

Ma Rosenthal gli diede solo uno sguardo pieno d'odio prima di tirare lentamente dalla sua tasca un mazzo di chiavi sottile, togliere una delle chiavi dall'anello con mani ammirabilmente tranquille e tenerla in alto dimostrativamente.

«Mettila sul tavolo!» ordinò Charlie. Rosenthal ubbidì.

Charlie aspettò finché l’uomo non tornasse nuovamente all'angolo prima di spingersi con Mike lentamente verso tavolo. «Prendila». Mike fece come ordinato. Lentamente si ritirarono verso la porta. Charlie rifletteva febbrilmente. Niente poteva andare male, doveva riuscire...

Erano accanto alla porta ma ancora nella stanza. «Controlla che funzioni e se la porta si chiude» ordinò Charlie al suo ostaggio. Quella era una parte problematica. Mentre Mike faceva girare la chiave nella serratura della porta aperta, Charlie doveva tenere d'occhio sia lui sia Rosenthal. Ma funzionava. E la chiave era giusta.

Charlie stava già per mandare un sospiro di sollievo, ma sapeva che era troppo presto. «Girala indietro e lasciala nella serratura» ordinò a Mike e quello ce la fece davvero – malgrado le sue mani tremolanti – a girare indietro il perno della serratura cosicché adesso si poteva di nuovo chiudere la porta.

Charlie si avvicinò di più con Mike finché finalmente si trovarono sulla soglia. Rosenthal era ad alcuni metri di distanza da loro, ma doveva bastare. Charlie fece un altro respiro profondo, costringendosi di non far attenzione sul suo tremolio, e poi tolse il più velocemente possibile il coltello dalla gola di Mike mentre, quasi nello stesso momento, lo spinse il più forte possibile via da sé. Mike barcollò avanti, ma Charlie non ci fece quasi più attenzione. Tirò la porta ferma e girò la chiave. I suoi sequestratori erano imprigionati.

Per un attimo si fermò respirando profondamente, ma sapeva che non doveva concedersi tempo. Certo, sapeva che gli altri terroristi della CIA erano andati via, ma non aveva idea quando sarebbero tornati.

Corse in fretta per i corridoi sotterranei aprendo ogni porta che passava. Il bagno, un ufficio, un altro ufficio, un specie di camera di tortura, un ufficio con schermi con un sistema GPS...

Charlie si fermò repentinamente. Credette che il suo cuore avrebbe smesso di battere. Segnali GPS. Da lì sorvegliavano segnali GPS. E anche lui trasmetteva uno di quei segnali, l'aveva quasi dimenticato! Quel dannato segnale gli era già stato fatale al suo primo tentativo di evasione, in autunno, e non ci doveva essere una seconda volta. Doveva impedire in qualche modo che lo seguissero di nuovo, doveva...

Ad un tratto Charlie si accorse che aveva ancora il coltello nelle mani. Il coltello tremava. Ma Charlie non doveva andare panico in quel momento. Doveva mantenere la calma. Vide solo una singola possibilità e non esitò più, ma fece un taglio lungo il braccio sinistro. Poteva ricordare come gli avevano messo dentro il chip, doveva trovarsi vicino al suo polso. Non lo trovò subito, ma dopo alcuni secondi, le sue dita palparono un qualcosa di duro e sintetico che sicuramente non apparteneva al suo corpo. E malgrado le dita tremassero ci mise solo alcuni attimi per toglierlo. Lo lasciò cadere a terra e lo schiacciò con i piedi.

Rifletté brevemente se c'erano altre possibilità per i suoi sequestratori di localizzarlo, ma siccome non portava niente con sé, pensò di essere al sicuro. Solo quando lasciò cadere il suo sguardo verso il basso, lungo il suo corpo e il braccio sanguinante entrò nel suo campo visivo, temette che forse potessero seguire le tracce sangue. Doveva trovare qualcosa per fasciarlo, qualsiasi cosa...

Un momento dopo era nel piccolo bagno sotterraneo ed avvolgeva alcuni strappi di carta igienica attorno al suo polso. Doveva bastare. Ora non aveva più alcuna ragione per esitare.

In pochi minuti aveva trovato l'uscita: una porta d'acciaio, come le altre, però quella non dava in un ufficio o una sala interrogatorio, ma nella notte fresca che gli ridava la vita.

Era libero.

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Numb3rs / Vai alla pagina dell'autore: y3llowsoul