Venne
investita dall’aria frizzante della sera non appena ebbe spalancato la porta di
servizio. Aveva bramato quella sensazione sin da quando aveva iniziato il turno,
attendendo con impazienza il momento della sua pausa. Inspirò a pieni polmoni
l’odore della pioggia, molto più inebriante dei profumi provenienti dalla
cucina: aveva il sapore della libertà, di quel momento di distacco del quale
aveva bisogno ma che molto raramente si poteva permettere.
Avrebbe
tanto voluto sedersi per qualche minuto, ma non era possibile, poiché avrebbe
rischiato di sporcare la divisa scura, data la mancanza di sedie. Avrebbe tanto
voluto fumare una sigaretta per calmare i nervi, nonostante non fosse sua
abitudine farlo.
Aveva
decisamente bisogno di scaricare la tensione: si sentiva stanca, irritata e
ogni singola parte del corpo le doleva in modo assurdo. Non aveva nemmeno
trovato il tempo di prendere una medicina, qualcosa che le alleviasse il
dolore, anche se non era convinta della loro utilità.
Tutto
ciò di cui necessitava era una lunga dormita: una di quelle dove crolli non
appena tocchi il letto, cadendo in un sonno troppo profondo anche per i sogni.
Una di quelle in cui ti svegli in piena notte, per poi ricadere subito dopo sul
cuscino come se nulla fosse accaduto.
Un
sorriso amaro le si dipinse in viso, ricordando che da anni non poteva
concedersi un lusso simile. Era incredibile come, a soli vent’anni, la sua vita
fosse frenetica come quella di una quarantenne all’apice della sua carriera:
correva da una parte all’altra, da un lavoro all’altro, senza mai avere la
possibilità di fermarsi a riflettere e, se capitava, era per un periodo di
tempo molto limitato, come in quel momento. Tutto sommato era giusto così: era
meglio continuare ad andare avanti, soffocando l’idea di quanto la sua vita
facesse schifo.
Chi
si ferma è perduto, dicevano. E lei non poteva assolutamente perdersi: doveva
procedere per quel sentiero, molto probabilmente fino alla fine dei suoi
giorni.
Ne
valeva la pena? Certo che no. Ma non esisteva alternativa: la vita regalava
tutto ad alcuni e niente ad altri. E lei l’aveva capito già da un po’.
Lasciò
correre lo sguardo lungo la sala, osservando gli ospiti, disgustato. Non vedeva
l’ora di arrivare infondo a quella serata, rintanarsi nella sua stanza e non
vedere più nessuno almeno per i due giorni successivi.
Nonostante
quella fosse una festa in suo onore, non si sentiva per niente a proprio agio:
era tutto così finto, così esasperato, così totalmente fuori dalla sua idea di
divertimento. Sentì ridere suo padre, poco distante da lui; quell’uomo era
veramente viscido. Non aspettava altro che poter dare una festa del genere, per
avvicinarsi a gente ancora più ricca con la scusa di trovare una moglie per il
figlio maggiore.
Il
ragazzo non era certo felice di aiutare il padre ed era deciso a sabotare
questo suo piano. Cosa che, di sicuro, non sarebbe stata difficile. Nessuna
delle ragazze presenti nella sala era adatta a lui. Certo, ce n’erano alcune
molto carine, ma non andavano oltre quella caratteristica. Non appena aprivano
bocca si rivelavano tutte troppo sciocche superficiali e altezzose per i suoi
gusti e uguali in tutto e per tutto a sua madre, incarnando la perfetta donna
nobile di Goa.
Scosse
la testa; sua moglie non sarebbe stata di certo simile a loro. Sarebbe dovuta
essere una donna intelligente, una persona in grado di pensare al bene degli
altri oltre che al proprio. Una donna che avrebbe amato lui e i suoi figli,
pronta a tutto per avere una famiglia serena e unita, sia nel bene che nel
male. Era certo che da qualche parte esistesse una persona simile, ma era
altrettanto certo del fatto che non si trovasse in quella sala.
“Permesso”
si voltò, sentendo una voce femminile che cercava di mantenere contegno,
nonostante si potesse cogliere una nota scocciata in essa.
Incrociò
lo sguardo della sua interlocutrice: una cameriera, che reggeva un vassoio
colmo di tramezzini con una mano sola. Era una bella ragazza, un po’ bassa rispetto
lui, con i fianchi e le spalle più pronunciati del punto vita sottile. Il viso
era incorniciato da alcune ciocche di capelli color caramello, sfuggite alla
crocchia che portava dietro la nuca.
Nonostante
il trucco, poteva notare i segni della stanchezza sotto le grandi iridi scure.
Proprio quegli occhi, lo stavano fissando irritati. Era come se dicessero: Togliti dalle scatole, devo lavorare.
“Scusami”
disse, spostandosi con un sorriso.
“Ne
gradisce uno?” chiese la ragazza.
Lui
scosse la testa: “No, grazie. Mi sembra di vedere del paté di olive e non posso
mangiarle”
“Se
vuole posso portarle qualcos’altro”
“Non
preoccuparti. Non mi va di mangiare nulla questa sera”
“Come
preferisce” disse, oltrepassandolo.
“Però
vorrei bere qualcosa”
“Non
si dovrebbe bere a stomaco vuoto” gli fece notare.
“Lo
so, ma non credo di poter sopravvivere da sobrio a questa serata” spiegò, con
un’alzata di spalle.
“Capisco.
Cosa desidera bere?”
“Un
Verdone” rispose, senza pensarci.
“Non
è un po’ troppo forte?” chiese stupita.
Il
ragazzo si lasciò sfuggire una risatina, avvicinando le labbra all’orecchio di
lei. “È proprio per questo che lo voglio: mi piacciono le cose forti”
La
ragazza scosse la testa: “Va bene. Torno subito”
Continuò
il giro della sala, ignorando il dolore alle mani provocato dal pesante
vassoio, quasi del tutto pieno: solo un paio di ospiti si erano azzardati a
prendere dei tramezzini, mentre gli altri avevano rifiutato o l’avevano
totalmente ignorata.
Osservando
tutto quel cibo sprecato, si lasciò sfuggire un ghigno: fortunatamente,
l’azienda permetteva ai dipendenti di portare a casa gli avanzi, facendo
risparmiare loro i soldi della spesa, almeno per qualche giorno. Sapeva che
nessuno dei presenti avrebbe mangiato quei tramezzini, di conseguenza evitò
accuratamente di fare il secondo giro e riportò il vassoio in cucina.
“Koala,
perché quel vassoio è quasi pieno?”
“Perché
quegli idioti sono troppo sofisticati per farsi vedere mentre mangiano” disse
sbuffando.
“Nemmeno
al secondo giro?”
“Sanji, non è necessario, lo sai. Tanto vale metterlo già da
parte e dividerlo tra noi. Inoltre, devo preparare un cocktail per un cliente”
Il
ragazzo inarcò un sopracciglio. “Intendi il ragazzo biondo con cui stavi parlando?”
Koala
annuì. “Sai chi è?” gli chiese.
“Sì…
si chiama Sabo, la festa è per lui”
“Ah,
capisco. Si sta annoiando a morte e ha deciso di darsi all’alcol” spiegò la
ragazza.
“Beh,
cerchiamo di evitare che lo faccia. Suo padre non si affiderà più a noi se facciamo
ubriacare suo figlio”
“Va
bene, gli porto anche qualcosa da mangiare” disse con una smorfia.
Iniziò
a rovistare nel frigo alla ricerca delle bevande, trovando una bottiglia di
vodka alla menta e delle lattine di energy drink, una
marca abbastanza buona che lei aveva potuto assaggiare solo una volta. Una
volta mescolati i liquidi aggiunse un po’ di acqua, cercando di rendere il
drink più leggero.
Dopodiché
tornò a rovistare nel frigo, in cerca di qualcosa di interessante. “Sanji, ti serve questo salmone affumicato?”
“No,
prendilo pure” le rispose sorridente.
Ringraziandolo,
Koala si affrettò a scaldare quattro fette di pane tostato, spalmando
successivamente del burro sopra di esse.
“Mi
sembrava di averti chiesto solo un Verdone” affermò il ragazzo, inarcando un
sopracciglio.
“Mi
spiace, ma non mi va di vederla ubriaco. E poi questi sandwich sono molto
buoni, sa?”
Il
biondo ne prese uno e lo addentò avido. “Hai ragione. Molto semplice ma
delizioso allo stesso tempo. Non ne ho visto nemmeno uno questa sera”
“Non
è abbastanza sofisticato per la serata” disse Koala, infastidita.
“E
chi l’ha detta questa sciocchezza, mio padre?”
“Esattamente” rispose con un sospiro,
facendolo ridere. “Non avevo dubbi, so come sono fatti lui e mia madre. E,
sinceramente, penso che siano degli idioti, io un sandwich del genere lo
mangerei ogni giorno”
“Sono
contenta che le sia piaciuto. Ora mi scusi, ma devo continuare il mio lavoro”
affermò, congedandosi con un sorriso.
“Aspetta”
la fermò lui, prendendola per un polso.
“Le
serve altro?”
“Mi
chiamo Sabo” disse, stringendole la mano.
“Ah,
sì, mi hanno detto chi è lei” sorrise, ricambiando la stretta in modo
frettoloso.
“Smettila
di darmi del lei, a occhio e croce direi che abbiamo la stessa età! Comunque
vorrei sapere il tuo nome”
Koala
si lasciò sfuggire una risata: “Ha importanza?”
“Certo.
Non mi dispiacerebbe rivederti” rispose in un sussurro.
“Credo
che tu stia sbagliando. La fidanzata te la devi cercare tra gli ospiti, non tra
la servitù” gli fece notare, scuotendo la testa.
“Mi
occuperò anche di quello. Allora, posso sapere come ti chiami o devo corrompere
i tuoi colleghi?”
La
ragazza sospirò, osservando il suo sorriso: sembrava così attraente,
coinvolgente, malandrino… e sbagliato.
Aveva la sensazione che tutta la sua vita sarebbe andata fuori asse, se solo si
fosse concessa il lusso di dargli corda.
“Ecco,
io mi… mi chiamo Koala”
Eppure,
sentiva di non poterne fare a meno.
Salve
a voi! Nonostante abbia altre storie da portare avanti, non ho potuto fare a
meno di scrivere questa cosa, che avevo in mente già da un po’. Che ci volete
fare, questa coppia la adoro e mi ispira davvero tanto!
Mi
piacerebbe molto sapere cosa ne pensate, se vi è piaciuto, se mi sono sfuggiti
errori e se avete dei suggerimenti per migliorare.
Intanto
vi ringrazio per averlo letto!
Baci
e, spero, alla prossima,
Norah.