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Autore: Jackie_    30/03/2015    0 recensioni
You'll be the death of me è una storia che parla d'amore, di orgoglio e di solitudine. E' una storia che vuole raccontare la normalità di persone speciali così come vuole valorizzare quelle persone che pensano che di speciale non hanno proprio nulla. E si sbagliano.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jack Barakat, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un ultimo sguardo allo specchio e capì di essere pronta. Purtroppo. Sì, perché non aveva più scuse per rimandare l’appuntamento. Era già in ritardo di dieci minuti almeno e per quanto “farsi desiderare” poteva risultare elegante, a tutto c’era un limite. Si infilò gli scarponcini, afferrò la borsa che mise a tracolla e uscì di casa provando una certa irritazione. 
Il viaggio in metro mai le sembrò più corto e in men che non si dica si trovò fuori dalla Victoria Station. Poteva vedere lo Shakespeare perfettamente dall’entrata della stazione. Era il suo pub preferito di Londra, l’aveva scelto lei per quell’appuntamento al buio. Si ricordò di aver letto da qualche una frase che faceva proprio al caso suo: “Degli appuntamenti al buio mi piace il buio.” Sorrise al pensiero e si decise ad attraversare la strada.
Vi chiederete perché mai Aurora Miller, che odia tanto gli appuntamenti, stia proprio andando ad uno. Ebbene, cominciò tutto il venerdì precedente quando la sua migliore ed unica amica Daisy si dichiarò stufa della totale mancanza di iniziativa di Aurora. Quest’ultima si era appena trasferita in un piccolo appartamento a Camden, proprio accanto allo Zoo di Londra, liberando la sua necessità di indipendenza. A detta di Daisy, però, la pigrizia aveva preso il sopravvento sulla ragazza che si stava riducendo a mangiare solo ed esclusivamente take away guardando per la milionesima volta “Alla ricerda di Nemo”.
Ecco allora che Daisy aveva deciso di intervinire, come una fata madrina, e le aveva organizzato un appuntamento al buio con suo cugino detto “l’Americano”. L’Americano era a Londra in visita e non sarebbe rimasto a lungo, però Daisy era convinta che fossero fatti l’una per l’altro e doveva quantomeno farli incontrare.
Aurora raggiunse l’ingresso dello Shakespeare, salutò con un cenno il buttafuori e spinse la porta del locale sentendosi immediatamente meglio immersa nell’atmosfera del pub.
Incontrò subito Mary che portava due enormi piatti ormai vuoti verso la cucina. La cameriera la intercettò e tornò sui suoi passi per andare a salutare la nuova arrivata. Mary aveva le guance rossissime, doveva sicuramente avere un gran caldo.
“Hey, Aurora! Non avrei mai detto che fosse tuo il tavolo per due prenotato a nome Miller!” commentò ammiccando vistosamente.
Aurora alzò gli occhi al cielo cominciando a rimpiangere di non aver prenotato da un’altra parte. Non aveva riflettuto sul fatto che in quel locale fosse conosciuta da chiunque e che i pettegolezzi l’avrebbero tormentata da lì all’eternità. Rischiava di rovinare il suo pub preferito!
“Non cominciare, Mary. E per favore, portami una rossa. Grande.”
La cameriera sorrise scuotendo piano la testa, come se stesse pensando che ormai Aurora fosse irrecuperabile e prima di andare le indicò il tavolo nell’angolo a destra, accanto alla vetrata. Le fece un’occhiolino e si allontanò veloce verso la cucina.
Aurora non lo avrebbe mai ammesso, ma era agitata mentre camminava verso il tavolo. Seduto c’era un ragazzo che guardava fuori, incuriosito da qualcosa in strada. Si accorse di lei solo quando spostò la sedia appoggiandovi sopra la giacca.
“Ciao!” esultò lui alzandosi in piedi per porgerle la mano “Iniziavo a pensare che mi avessi dato buca!”
Il ragazzo sorrise e Aurora non potè evitare di pensare che Daisy aveva ragione: era proprio carino. Forse non aveva fatto poi così male ad accettare l’invito…
Aurora gli strinse la mano e si soffermò un secondo di troppo ad osservarlo: aveva i capelli castani pettinati con un ciuffo che gli ricadeva ordinato sulla fronte, gli occhi leggermente più scuri dei capelli e per via della luce nel locale sembravano oltremodo luccicanti, come un cartone animato. Aveva delle folte sopracciglia e un sorriso davvero adorabile.
“Scusami, ho perso un sacco di tempo in metro, era così affollata!” mentì lei sedendosi al tavolo “Sono felice di conoscerti finalmente, Danny.”
“Sì, anche io.”
In quel momento si materializzò Mary con i mano di due menù e la birra rossa per Aurora. La ragazza non avrebbe mai immaginato che una volta andata via la cameriera la sua serata sarebbe diventata un vero strazio.
Danny infatti iniziò a parlare come nemmeno le tizie dei call center che cercano di venderti il sale rosa dell’Himalaya e la cosa peggiore era che le raccontò tutta, ma davvero tutta, la sua vita. Cominciò dall’infanzia, passando da infiniti aneddoti sull’adolescenza per arrivare al suo ultimo compleanno quando ormai Mary stava portando loro il dolce.
Non era stato zitto un secondo. Sembrava che nemmeno stesse mangiando né bevendo, era una cosa assurda, Aurora non riusciva a ricordare un appuntamento peggiore di quello. Danny non le aveva mai fatto una domanda per conoscerla, aveva semplicemente parlato ininterrottamente di sé e Aurora nel tentativo di reprimere l’istinto omicida che si stava impadronendo di lei decise di alzarsi con la scusa di andare in bagno.
Attraversò a passo svelto i tavoli e salì i pochi gradini che conducevano all’altra sala del locale, quella adibita a pub. C’era davvero tantissima gente e Aurora sorpassò la porta del bagno cercando di raggiungere l’estremità più lontana del bancone già pregustando un Bramble. Cercò di farsi strada tra la folla nonostante la sua educazione le imponesse di mettersi ordinatamente in fila, ma era davvero al limite e sentiva il bisogno di scaricare la tensione con qualche gomitata e borbottando maledizioni arcaiche.
Raggiunse finalmente il bancone dove due baristi si davano da fare per accontentare tutti.
“Jim!” -iniziò a strillare per attirare l’attenzione del ragazzo- “Jim, miseriaccia, JIM!”
Ma Jim era troppo impegnato a preparare un Gin Fizz per poter sentire la povera Aurora che era ormai sull’orlo di una crisi nervosa.
“Porca di quella miseria...chi me l’ha fatto fare...potesse venirgli una paralisi alla mandibola a quell’insulso essere che-” le imprecazioni di Aurora vennero interrotte da una risata cristallina accanto a lei. Inutile dire che la ragazza si voltò con sguardo assassino verso il ragazzo al suo fianco che cambiò immediatamente espressione quando incontrò gli occhi di lei.
“Scusami! Giuro che non volevo ridere, ma non sono riuscito ad evitarlo!”
Aurora sbattè una mano sul bancone, esasperata per l'accento del ragazzo.
“Oh, no. Un altro americano. Ma che fate, mi perseguitate? Me ne basta uno per stasera!”
Il ragazzo la guardò confuso ma poi si distrasse perché intercettò lo sguardo del barista e alzò un braccio per chiamarlo. Jim si avvicinò e il ragazzo indicò Aurora per permetterle di ordinare per prima.
Il barista si accorse solo in quel momento di Aurora e le riservò un enorme sorriso.
“Un Bramble?” le chiese allungando già la mano verso il liquore alle more.
“Con poco ghiaccio e tante more!”
“Brutta serata?” intuì il barista che conosceva le abitudini di Aurora meglio di chiunque altro in quel posto.
Lei si limitò a scuotere la testa sospirando e il ragazzo accanto a lei ordinò un Bloody Mary.
Aurora si lasciò sfuggire un grugnito e quando il ragazzo la guardò si sentì in dovere di giustificare quel verso.
“Che schifo il Bloody Mary.”
“Sarà buono quel coso alle more, allora.” rispose lui tagliente.
Aurora inclinò la testa di lato e allungò il bicchiere verso di lui, per farglielo assaggiare. L’americano prima pagò per entrambi i cocktail, poi afferrò il bicchiere di Aurora, lo fissò per un istante e poi se ne andò.
La ragazza rimase un attimo interdetta e poi si decise a seguire il ladro attraversando nuovamente la folla per poter tornare a respirare poco più in là.
Si era portato il bicchiere di Aurora alle labbra, ignorando la cannuccia, e la guardava intensamente appoggiato al muro. Quello sguardo la pietrificò. Sentì improvvisamente caldo e pensò di avere sicuramente le guance come quelle di Mary: in fiamme. Gli si avvicinò cercando di mantenere un’apparenza decisa e allungò la mano per riappropiarsi del suo cocktail.
“Lo devo ammettere, non è male.” -sorrise lui lasciando andare il bicchiere- “Ma continuo a preferire il mio.”
Ovviamente. Aurora alzò un sopracciglio, come se avesse intuito che quella sua frase era stata detta per orgoglio.
“Grazie, comunque. Non c’era bisogno di pagare anche per me.”
Il ragazzo sorrise ancora. In realtà non aveva mai smesso di farlo.
“Figurati. Quindi… stai passando una brutta serata, eh? Vuoi unirti a noi?” e con l’indice della mano che teneva stretto il Bloody Mary indicò un gruppetto di ragazzi nel lato opposto della stanza.
Aurora avrebbe voluto dire di sì con tutta se stessa, qualunque cosa pur di fuggire da Danny. Allo stesso tempo, però, non poteva lasciarlo lì come un cretino. Anzi, era già stata via parecchio, probabilmente Danny pensava che aveva qualche problemino in bagno. La faccenda poteva diventare imbarazzante.
“Mi dispiace, ma sono con un ragazzo. Devo tornare al più brutto appuntamento della mia vita.”
“Bè, salutalo e torna qui, no? Prometto di trasformare questa in una splendida serata.” e abbasso le labbra a stringere la cannuccia per bere il suo drink.
Aurora storse la bocca, un po’ perché tentata di dare ascolto a quello sconosciuto un po’ perché incantata da ogni suo movimento. Si sentiva strana, come se l’alcol del Bramble avesse già fatto effetto. L’alcol di dieci Bramble, però.
Indugiò ancora un attimo, indecisa su cosa fare, ma alla fine annuì convinta e guardando fisso negli occhi scuri di quello strano ragazzo disse: “Va bene. Hai promesso, eh!” e senza aspettare che lui dicesse qualcos’altro gli diede in consegna il bicchiere con il liquore alle more e si diresse decisa verso il tavolo dove Danny la stava aspettando.
“Hey, stai bene? Ci hai messo una vita, mi stavo preoccupando! Non sapevo se venirti a cercare perché sarebbe stato strano entrare nel bagno delle ragazze, anzi credo proprio non mi avrebbero nemmeno fatto entrare. Avrei dovuto sicuramente chiedere a qualcun’altra di entrare al posto mio e-”
“Sì.” -lo interruppe lei un po’ acida- “Scusa, ma non mi sento molto bene, è meglio che vada a casa.”
Afferrò quindi la giacca e la borsa costringendo Danny ad alzarsi. Lui aveva un’espressione sinceramente dispiaciuta mentre lasciava i soldi per la cena sul tavolo.
“Andiamo, ti riaccompagno a casa.” le disse aiutandola a mettersi la giacca.
“Non ce n’è bisogno, davvero.”
Fuori dal locale Aurora riuscì a convincere Danny a salire su un taxi e appena questo voltò l’angolo si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Quel ragazzo era stato davvero insopportabile. Come aveva pensato Daisy che Danny fosse anche solo lontanamente il ragazzo giusto per lei? In sole due ore aveva rischiato di ucciderlo!
Aurora restò ancora un momento in strada, pensando a quel ragazzo che -al contrario- in soli due minuti le aveva fatto provare una strana sensazione, estremamente piacevole e rinfrescante, proprio come ciò che le trasmetteva il suo cocktail preferito alle more. Quel pensiero la fece sorridere e tornò nel pub incapace di smettere.
Si affacciò nella sala affollata e scorse il ragazzo in compagnia dei suoi amici. Uno di loro stava facendo uno strano balletto e tutti gli altri sembravano divertirsi come dei matti. Aurora rimase a guardarli a distanza, un po’ intimorita. Quell’immagine le provocò una certa nostalgia. Lei conosceva tante persone, ma di amiche aveva solo Daisy. Le mancavano le uscite in compagnia, tanti amici con cui passare le notti a fare stupidate e ridere. Sì, sicuramente le mancava ridere.
Il ragazzo alzò lo sguardo e si accorse di lei. Le fece cenno di raggiungerli, ma lei, istintivamente, dichiarò il suo dissenso scuotendo energicamente la testa. Lui allargò le braccia come a chidere il perché del suo rifiuto, ma decise di non indigare e si alzò dalla poltrona sulla quale si era seduto, afferrò il bicchiere di Aurora dal tavolino e la raggiunse. Per tutto il tempo non aveva staccato gli occhi dai suoi e Aurora iniziava a sentirsi a disagio. Non le piaceva essere al centro dell’attenzione e gli occhi scuri di quel ragazzo sembravano analizzarla profondamente.
Quando lui la raggiunse prima le porse il bicchiere e poi tenne la mano sospesa a mezz’aria così che lei potesse stringerla.
“Io sono Jack. Come posso chiamarti, little missy?” la canzonò lui riferendosi probabilmente al suo attacco di timidezza.
“Non ‘little missy’ di sicuro.” -scherzò lei afferrando la sua mano- “Mi chiamo Aurora Miller.”

I due ragazzi finirono i rispettivi drink, ne ordinarono degli altri e furono sorpresi quando Jim, dal bancone, avvisò che era arrivata l’ora di chiusura.
“Voi inglesi siete terribili! Come potete far finire una serata così presto?”
“Come possono passare due ore così presto, piuttosto?” pensò Aurora, e alzò le spalle prima di rispondere a Jack.
“Nessuno ha detto che la serata è finita.” ammiccò e Jack fece schioccare la lingua mostrandosi d’accordo con la sua affermazione.
“Hai ragione!” -esclamò alzandosi in piedi- “E poi ti avevo promesso una splendida serata. Vieni con me.”
Le porse la mano con quel suo sguardo affascinante. Come avrebbe potuto non prenderla?
“Dove andiamo?” chiese lei mentre si faceva trascinare fuori dal locale da Jack.
Il ragazzo si voltò sulla porta per poter salutare con un cenno del capo i suoi amici che erano rimasti indietro e poi si dedicò ad Aurora.
“Vedrai!” sorrise ancora una volta, le lasciò andare la mano per potersi infilare la giacca, ma la riafferrò subito dopo dirigendosi verso la metro. 

“Ammetto di aver pensato parecchio su dove portarti questa sera.” -le disse una volta sul treno- “Parto svantaggiato! Mi sono chiesto come un americano possa sorprendere una londinese a Londra e… bè, mi dirai se ci sono riuscito!”
Aurora sorrise trovando quelle parole adorabili. Era passato molto tempo da quando qualcuno le aveva dedicato tutto quel tempo. Era passato molto tempo dall’ultima volta che qualcuno le aveva stretto la mano e amava il fatto che Jack non l’avesse lasciata nemmeno per un momento. Si sentì stupida perché provava piacere da una piccolezza del genere, soprattutto perché aveva conosciuto quel ragazzo solo qualche ora prima, ma non riusciva ad evitarlo. Non si era mai sentita così in vita sua, era come perennemente attraversata da una scarica elettrica che le conferiva un’energia nuova.
Cosa diavolo le stava facendo quel Jack?

Dovettero cambiare due treni e Aurora continuava a leggere le fermate della metro per cercare di indovinare dove la stesse portando. Stavano viaggiando in direzione di Stanmore e laggiù proprio non c’era niente che le venisse in mente.
Aurora venne risvegliata dai suoi pensieri quando Jack le lasciò la mano per afferrare un cappellino che lei non aveva notato prima. Lo teneva agganciato al passante della cintura e ricadeva sul suo fianco. Jack lo sganciò per incastrarlo bene in testa. Come se il cappello non fosse abbastanza tirò su anche il cappuccio della felpa. Adesso sembrava uno di quei rapper che se la tirano manco fossero Dio sceso in terra. Restava comunque bellissimo.
Si voltò a guardarla mordendosi il labbro inferiore.
“Scendiamo alla prossima.”
Wembley Park. Perché diavolo la stava portando a Wembley?
“Non sarà mica uno di quei fanatici del calcio? Oddio che palle, vuole farmi vedere lo stadio?” si domandò Aurora mentre la sua mente cercava disperatamente una via di fuga.
Non poteva essere stata così sfortunata da capitare con due sfigati la stessa sera. Prima parlo-solo-io-Danny e adesso evviva-il-football-Jack. Altro che legge di Murphy…

Una volta scesi Jack si diresse proprio verso lo stadio, teneva la testa bassa e ogni tanto lanciava occhiate in giro come se temesse di essere seguito. Iniziava a sembrare un paranoico impazzito.
“Sta a vedere che è pure bipolare. Oh Dio, perché ce l’hai con me?”
Nessuno dei due disse niente. Lo stadio si faceva più vicino e proporzionalmente aumentavano la paranoia di Jack e l’inquietudine di Aurora.
“Jack, credo lo stadio sia chiuso a quest’ora…” osservò la ragazza dopo minuti di silenzio.
Lui si voltò di scatto verso di lei, dando le spalle ad un gruppo di adolescenti che schiamazzavano e camminavano nel senso opposto al loro.
“Non andiamo allo stadio.” bisbigliò lui così piano che lei fece fatica a sentirlo.
Buona notizia: niente stadio. Cattiva notizia: Jack è uno psicopatico.”
Il ragazzo continuava infatti a cambiare direzione mentre camminavano, voltandosi di scatto da una parte all’altra come se stesse facendo uno strano balletto del quale solo lui conosceva la coreografia.
Svoltarono a sinistra, verso l’Hotel Hilton e continuarono tenendo la Wembley Arena alla destra. Aurora notò diverse ragazze che cercavano di dormire nei loro sacchi a pelo, in coda davanti ai diversi ingressi dell’Arena. Sicuramente ci sarebbe stato un gran concerto il giorno dopo.
Jack sembrava più agitato che mai. Non stringeva più la mano di Aurora, gliela stritolava così forte che lei dovette dirgli più volte che le stava facendo male. Non riusciva a capire cosa diavolo lo tormentasse, e soprattuto non capiva dove la stesse portando.
Superarono l’entrata sud-est e Jack voltò improvvisamente verso l’entrata Vip.
Aurora rallentò il passo quando capì che Jack voleva a tutti gli effetti entrare nell’Arena.
“Jack, anche l’Arena è chiusa! Non hai visto le ragazze in coda? Sarà domani il concerto, se è quello che vuoi vedere…”
Jack non disse niente, si limitò a sorridere e a bussare alla porta. Poco dopo un signore vestito di tutto punto si materializzò davanti a loro e chiese cosa volessero.
Il ragazzo si frugò nelle tasche dei pantaloni, prese il portafoglio e ne estrasse una tessera plastificata.
“Mi dispiace venire qui a quest’ora, ma devo assolutamente controllare una cosa.”
L’uomo esaminò il pass, portò la sua attenzione su Aurora e la squadrò da testa a piedi, poi si fece di lato per lasciargli passare raccomandandosi di fare presto.
Una volta dentro Jack si tolse il cappuccio ma non il cappello e sembrò trasformarsi nuovamente nel ragazzo rilassato che Aurora aveva incontrato al bar.
“Vieni, sarà bellissimo!”
Jack iniziò a correre, entusiasta, e Aurora non potè che fare lo stesso. Era già stata a Wembley, ma ogni volta era stata piena di persone, ora che i loro passi rieccheggiavano nei corridoi sembrava tutto un altro mondo.
Aurora cominciò a ridere mentre rincorreva Jack fino a raggiungere il backstage. Lì il ragazzo si fermò e mosse qualche passo verso il palco solo quando ebbe Aurora al suo fianco.
“Hai mai visto Wembley da qui?” le domandò quando furono al centro del palco.
Aurora scosse la testa, senza parlare.
“Aspetta qui.”
Jack corse verso l’altra estremità del palco dove azionò l’interruttore che illuminò a giorno l’intera Arena. Si voltò per godersi l’espressione di Aurora. Era lì, in mezzo al palco, con i capelli spettinati per la corsa, gli occhi illuminati da quelle mille luci e la mano ancora sospesa, che aspettava quella di Jack.
Lui sorrise come aveva fatto poche volte in vita sua osservandola e si concesse qualche secondo in più per imprimere quell’immagine perfetta nella sua mente.
“Wow! Jack, wow!” riuscì a dire infine Aurora.
Lui tornò accanto a lei e annuì lasciandosi cadere per terra. Si sedette a gambe incrociate e poco dopo Aurora fece lo stesso.
“Ma come..? Non credo che possiamo… Cioè, lavori qui?”
“Più o meno!” disse lui ridendo.
Lei distaccò finalmente lo sguardo dall’Arena e lo riportò su di lui e gli dedicò uno sguardo confuso.
“Diciamo che ci lavorerò solo per un giorno, domani.” rispose ancora più enigmatico di prima. Era ovvio che si stesse godendo la confusione della ragazza.
“E che diavolo vuol dire?”
Jack si alzò in piedi e saltò giù dal palco. Si voltò verso Aurora e la aiutò a fare lo stesso. La condusse fino all’estremità opposta della sala, vicino al bar. Lì raccolse un volantino e glielo mostrò. Quattro ragazzi la guardavano sorridenti, di sfondo la bandiera inglese e la scritta “One night in London with All Time Low”.
Aurora li osservò qualche secondo senza capire poi riconobbe il sorriso, gli occhi, i capelli. Istintivamente spiaccicò l’indice sul Jack di carta e fissò quello reale a bocca aperta.
“Ma sei tu!”
Jack riprese a ridere -e cavolo quanto era bella la sua risata- e le spiegò che sì, quello era lui con la sua band, gli stessi amici del pub.
“Domani suoniamo qui.” -le disse- “E registriamo un nuovo DVD. Vuoi venire?”
Improvvisamente si spiegò il motivo per cui Jack era stato così strano fuori dall’Arena e continuava a voltarsi per dare le spalle alle ragazzine che sicuramente lo avrebbero riconosciuto. 

“E com’è sapere che ci sono delle ragazze che dormono per strada, con questo freddo, solo per vedervi un po’ più da vicino?”
Erano tornati a sedersi sul palco e Aurora aveva cominciato a fare mille domande al ragazzo che continuava a sorridere divertito.
A quella domanda gli si illuminarono gli occhi. Era chiaro come il Sole che per lui la devozione dei loro fan era una cosa meravigliosa.
“E’... è… è difficile da spiegare.” -rise, ma poi si fece incredibilmente serio- “E’ un po’ come quando…”
Jack lasciò la frase in sospeso, alzò piano la mano per portarla sulla guancia di Aurora.
“E’ un po’ come un bacio.” e a quelle parole si avvicinò fino ad appoggiare la sua fronte su quella di lei.
Aurora non capiva più niente. Lì, sul palco di Wembley, con il cuore a mille e i brividi su tutto il corpo, quel ragazzo meraviglioso stava baciando lei. Proprio lei!
Quando si allontanò la guardò con un mezzo sorriso.
“Mi sbagliavo. Un tuo bacio è persino meglio.”
E a quelle parole Aurora capì che non poteva più tornare indietro.



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Ciaaao! Sono tornata a tormentarvi con un'altra storia! Colpa dei concerti degli ATL! Dopo quello di Milano mi era salita una tale voglia di scrivere che non vi immaginate, e dopo il concerto di Londra non potevo più resistere!!
Fatemi sapere se come primo capitolo vi piace!^^
A presto e grazie anche solo se siete arrivate fin qui! :)

  
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