Fanfic su attori > Jamie Dornan
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Autore: _ether    31/03/2015    3 recensioni
[Jamie Dornan/altro personaggio]«Ora ragazzi – ci ammutolì tutti il professore – verrete uno per uno qui vicino a me e metterete una mano dentro questa ampolla. Sul foglietto che pescherete ci sarà scritto il nome di uno degli artisti che avete appena visto proiettato. Queste grandi personalità dello spettacolo inglese hanno deciso di collaborare con la nostra importante università per poter darvi l'occasione di migliorare voi stessi, imparare dal mondo della recitazione e della regia e diventare un giorno degli ottimi registi, produttori o critici in questo ambiente. Il voto sarà dato su un piccolo cortometraggio che dovrà durare massimo un'ora dove riprenderete una giornata tipo di questi personaggi, con tanto di dietro le quinte e interviste allegate. Non so se avete presente i documentari di MTV, bhé, vorrei che somigliassero a quelli. E mi raccomando; massima professionalità. Bene, spero sia tutto chiaro, ora potete scendere.. educatamente», aggiunse, sghignazzando appena le prime ragazze si furono alzate, correndo e accalcandosi l'una sull'altra. (con il proseguire della storia potrei cambiare il rating in rosso, ma ancora è tutto nella mia mente)
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4. Meeting

 

Mi posai gli occhiali da sole sul piccolo naso all'insù e mi avviai per il portico fuori dall'aula dove avevo avuto lezione.
Erano le cinque e avevo passato tutta la giornata in università, ma di lì a una mezz'oretta sarei dovuta andare ad incontrare l'uomo e il suo manager in una via che mi aveva mandato il professore per e-mail.
Sbuffai quando vidi le prime gocce cadere e mi tirai su il cappuccio della felpa, stringendomi al petto il libro di arte contemporanea.
«Non è ormai tardi per gli occhiali da sole?»
«John!» lo salutai con la voce senza fermarmi o voltarmi. Era un ragazzo socievole e carino, ma ultimamente mi scocciava il suo girarmi sempre intorno. Dovevo ammettere che dall'ultima volta che avevo amato e sofferto non avevo avvicinato più nessuno a me.
Avevo avuto amici di sesso maschile o storie, ragazzi che magari riuscivano anche a farmi sentire voluta e mi davano attenzioni su attenzioni, ma mai nessuno mi era entrato nel cuore come lui.. pensarlo ancora induceva dolore, nonostante fosse passato un anno.
Quante volte mi ero sentita urlare che ero solo una fredda insensibile? Sinceramente non volevo che capitasse ancora, ero giunta a Londra per incominciare una nuova vita e doveva esserci anche una nuova Ginevra.
Mi voltai e aspettai che mi raggiungesse. Lui, come al solito, era sorridente, aveva solo gli occhi un po' stanchi e i capelli leggermente più spettinati del solito, ma stava bene. Dovevo ammetterlo, era proprio un bel ragazzo, eppure sentivo il cuore di ghiaccio. Non provavo nulla, nemmeno quell'eccitazione iniziale che si prova nel conoscere qualche persona nuova.
Dannazione Ginevra, guarirai mai da quelle ferite?
Forse era solamente la giornata, ero estremamente metereopatica e quella leggera pioggerellina che mi increspava i capelli mi innervosiva solamente.
«Stai andando ad incontrare Jamie Dornan?» mi chiese nel suo classico tono cortese, da perfetto inglesino.
Tirai fuori dalla tasca del giubbotto un pezzo di carta con scritta sopra la via e glielo mostrai, fingendo un sorriso.
«Yep, non vedo l'ora.»
Lui scoppiò a ridere, divertito dalla mia finta eccitazione.
«Sei sicura di essere italiana? Potrei dire che il tuo umorismo è particolarmente inglese», mi sfottè lui.
Alzai gli occhi al soffitto, «italiana al 100%, certificata – feci dei passi all'indietro – ora devo proprio scappare, secondo te non mi perderò almeno una volta prima di arrivare da lui?»
John, sorridendo a ciò che avevo appena detto, alzò una mano in segno di saluto e si allontanò dalla parte opposta.
Meritava decisamente almeno l'occasione di diventare mio amico.

Ero arrivata, ero arrivata alla villa poco fuori città, senza nemmeno perdermi una volta.
Gin, sveglia, alla fine hai optato per un taxi invece che per la metro e il pullman, è normale.
MaPossibile che il mio grilletto parlante interiore non si stancasse mai di mettermi i punti sulle i?
In ogni caso, mi trovai di fronte al grande portone e mi tremavano le mani; non tanto per chi sarei andata ad incontrare di lì a poco, ma al pensiero di entrare in quella villa troppo grande e mettermi di fronte a persone sconosciute, che non parlavano la mia stessa lingua, mi infondeva ansia.
Suonai il campanello e aspettai che qualcuno mi venisse ad aprire. Nella fretta nemmeno mi accorsi che avevo ancora il libro di arte contemporanea tra le mani e dato che mi ero cambiata in taxi, provocando le risa del conducente dall'occhio lungo, nella borsa non c'era più spazio per esso, era già gonfia con la mia felpa bordeaux.
Perfetto, Gin, sei sempre la solita!
Vuoi zittirti brutto grillo parlante?
«Lei sarebbe?»
Mi trovai di fronte un energumeno enorme, che evidentemente doveva essere il portiere o qualcosa del genere, ma che in me provocava un certo imbarazzo. Era dieci volte la mia stazza e io ero una ragazza particolarmente bassina.
«Ehm, sono Ginevra, Ginevra Ghibelli, sono qui per incontrare Jamie Dornan», e nel dire quella frase mi impappinai più di una volta.
L'energumeno guardò su di un foglio all'interno di una cartellina, poi parlò.
«Sei la nuova regista, la ragazza dell'università?»
Che emozione, ero stata chiamata regista! Io, una regista.
Annuii, ancora in imbarazzo ed entrai nel grande palazzo, dopo che l'uomo mi fece passare.
«Può aspettare un attimo qui? La faremo accomodare subito», e se ne andò, come era apparso.
Rimasi ad aspettare inebetita lungo il corridoio d'ingresso, dalle pareti ocra e la moquette bordeaux, arredato da quadri con cornici che sembravano molto preziose e vasi dalla linea classica, contenenti grandi piante verdi e rigogliose. Era tutto stupendo e di gran classe dovevo ammetterlo.
Non potevo ancora crederci; era vero che quell'uomo non mi era andato a genio all'inizio, ma guarda dove mi avevano portata.
Quando una ragazza, in tenuta da lavoro, mi chiamò, dovetti ritornare con i piedi per terra, fuori dai miei sogni futuri di regista affermata che mi elettrizzavano alla sola idea.
Mi fece accomodare su di una poltrona in stile ottocentesco in una sala ampia, dal soffitto alto, e arredata sempre in stile classico, con colonne doriche e massicce ai lati. Di fronte a me, sopra un lussuoso tappeto, c'era un tavolino di vetro, dove al centro su di un vassoio di argento erano poggiati alcuni alcolici, e al di lì un divano, rivestito nello stesso materiale e stile della poltrona in cui sedevo io.
Ero rimasta di nuovo sola, quindi ne approfittai per mettermi comoda.
Appoggiai la mia grande borsa alla mia destra e accavallai le gambe, prendendo una posizione che pensai potesse sembrare elegante. Non volevo fare brutta figura e soprattutto, anche se ero solamente una studentessa dell'università, volevo mostrarmi il più professionale possibile. Eppure non riuscivo a fermare il tremore delle mie dita che tamburellavano ansiose sul mio ginocchio nudo. Ero sempre stata una ragazza ansiosa.
Improvvisamente una porta in fondo alla stanza si aprì di scatto mostrando un uomo alto, elegante e pacato, seguito subito dopo da un uomo che doveva essere il suo manager.
Mi alzai in piedi il più velocemente possibile, come se avessi ricevuto una scarica elettrica, pronta a riceverlo.
«Buongiorno», mi salutò l'attore avvicinandosi, ma immediatamente lo vidi fermarsi per squadrarmi bene in volto. Avevo il trucco a macchie per caso? I capelli in disordine? Qualcosa che non gli andasse bene? In fondo mi ero preparata in un taxi. Mi morsi il labbro e presi coraggio.

«Buongiorno», ma la mia voce uscì in un sibilo.

Era veramente bello, molto più che in foto o sullo schermo di un cinema, e quei suoi due fari grigi mi stavano analizzando troppo intensamente.

Un sorrisetto compiaciuto gli si dipinse in volto prima di dirigersi verso il divano, dove si sedette. Quella situazione mi disorientò, ma cercai di non farmi distrarre e mi misi nuovamente seduta anche io. Il suo manager mi venne incontro e si allungò per darmi la mano.

«Greg, piacere.»

«Ginevra», feci lo stesso, stringendogliela.

«Bel nome», intervenne subito Jamie Dornan, mentre si sistemò la giacca grigia, quasi dello stesso colore dei suoi occhi.

Arrossii e balbettai un grazie, non riuscivo a comprendere il motivo per cui mi incuteva tutto quel timore.

«Ovviamente sai chi sono io, no?» aggiunse.

Il suo tono così sicuro e strafottente mi innervosì e così non riuscii a bloccarmi dal rispondergli acidamente. «Prima di dovermi informare per venire qui no, sinceramente.»

Lo vidi alzare un sopracciglio, la mia risposta non gli piacque.

«Allora, conclusi i convenevoli, direi di passare alla questione», iniziò Greg. «Siamo stati contattati dal tuo professore, dovresti girare un video documentario su Jamie, giusto?»

Annuii e lui continuò.

«Posso avere il tuo curriculum?»

Presi la borsa e tra le migliaia cianfrusaglie all'interno tirai fuori il curriculum, cercando intanto di incastrare il libro di arte che proprio non ci voleva stare.
«Scusate», bofonchiai, mentre la sfida tra me e il libro aveva inizio.
Una volta trovato lo porsi al manager che lo aprì e diede una scorsa veloce.
«Sei italiana?» chiese, senza alzare lo sguardo dai fogli.
«Esatto, Toscana.»
«Di Firenze, vero?» si intromise l'uomo, che intanto non aveva smesso un attimo di fissarmi, con un sorriso saccente dipinto sul volto.
Mi bloccai. Come faceva a saperlo? Evidentemente aveva buttato a caso, Firenze era una città conosciuta in tutto il mondo per le bellezze culturali di cui disponeva.
Annuii, arrossendo un poco.
«Noto che hai preso tutti trenta ai tuoi esami, l'abbiamo trovata anche secchiona», disse il manager, complimentandosi con me, che arrossii ancora di più, se era possibile.
«E si sa persino divertire, quindi Greg concordo. E' fatta per noi», disse Jamie, guardando con sguardo d'intesa colui che lavorava per lui.
Adesso questo mi doveva spiegare che cavolo voleva dalla mia vita.
Sorrisi forzatamente e ripresi il mio curriculum, non appena Greg me lo porse.
«Inizierai a lavorare dalla prossima settimana, okay?» m'informò il manager, alzandosi in piedi, così feci anch'io.
Annuii e gli strinsi nuovamente la mano.
«E' un piacere lavorare con lei, metteremo una buona parola con la sua università», concluse, prima di salutarmi e andarsene verso la porta da dove erano entrati.
Jamie, invece di andarsene subito anche lui, si avvicinò a me con le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Penso che tu abbia una cosa che mi appartiene», mi disse, mostrando un sorriso disarmante.
Da vicino i lapislazzuli che aveva al posto degli occhi erano ancora più scintillanti.
Aggrottai la fronte, «cosa? Non ti seguo, scusami.»
«Una giacca blu ti dice nulla?»
Spalancai gli occhi; come faceva a saperlo?
«Hai un foglietto di carta e una penna?» mi chiese, non vedendo segni di vita da parte mia.
Abbassai lo sguardo verso la mia borsa, cercai un quaderno e quando lo trovai ne staccai una pagina, porgendoglielo insieme ad una bic che avevo preso dall'astuccio.
Feci tutto con un'espressione interrogativa dipinta sul volto. Le battutine di poco prima, la giacca.. per quale assurdo motivo doveva appartenere proprio a lui? E perchè non ricordavo minimamente di aver visto dal vivo il suo volto prima di allora? Domande che mi balenavano in testa velocemente, senza darmi tregue.
Lui intanto scrisse qualcosa e poi mi ridiede sia la penna che il pezzo di carta.
«Chiamami un giorno di questi.»
«Jamie?!» lo richiamò il suo manager al di là della porta.
«Arrivo», rispose con tutta la tranquillità di questo mondo.
Abbassai il volto sul foglietto di carta, dove si trovava appuntato un numero di telefono. Non capivo tutta la situazione, sembrava seriamente irreale.
«Vorrei indietro la mia giacca prima di lunedì», e con un sorriso smagliante, degno di un attore di Hollywood, se ne andò anche lui, facendomi rimanere sola nella stanza.
No, dire che non ci stavo capendo nulla era riduttivo.

JAMIE

«No, ma l'avete vista?» chiese Greg estasiato, subito dopo aver chiuso la porta della sala dove si trovava quella che sarebbe stata la nostra regista personale per non so quanto tempo. Di solito era un uomo risoluto e attento solo agli affari, ma la ragazza doveva averlo colpito seriamente per fargli scappare un commento simile.
«E' una semplice ragazza», gli risposi, affiancandolo.
«Infatti non ci stavi provando, vero?», mi punzecchiò.
«Per me non è niente di che», dissi gelido, fulminandolo con lo sguardo, «e sono sposato Greg.»

Questa mia affermazione lo fece tornare al suo ruolo.

«Certo, mi scusi.»

Scoppiai a ridere, «ci cadi sempre, idiota!»

Lui si bloccò un attimo, poi rispose. «Sei un lurido figlio di puttana, Jamie. Questa storia che ti prendi gioco di me perchè sei il mio capo finirà presto.»

«Certo, certo.», lo sorpassai con un sorriso beffardo dipinto in volto e me ne andai verso l'uscita sul retro, diretto alla mia macchina.

Greg sapeva tutto di me, sapeva di tutte le volte in cui avevo tradito mia moglie, di tutte le volte in cui mi sentivo distrutto, ma ahimè il tradimento era nella mia indole. Amavo la donna che avevo sposato, tantissimo, ma amavo molto di più flirtare con le ragazzine che mi sbavavano dietro.

Oddio, non che quella Ginevra fosse come le solite fans o donne che incontravo, ma forse per quello mi intrigava. Era un gioco per me, niente di più.

Sì, sarei potuto sembrare un mostro, con il volto da angelo, che nella vita di tutti i giorni, a casa propria con sua figlia e sua moglie, a lavoro con i colleghi, era un ragazzo d'oro, dedito all'amore per i suoi familiari e per i suoi ruoli, ma che nascondeva questo segreto di perversione all'interno di sè.

Alla fine non c'era niente di male nel trarre piacere a giocare con le donne. O almeno fino a quel momento era così che la pensavo.

  
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