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Autore: Nami_Loves_Ruki    20/12/2008    1 recensioni
Basta. Gli chiudo la porta in faccia. Adesso devo riposare la mente, più che il corpo. Mi sa che sarà il contrario.
Mi accorgo di quanto questa stanza mi assomigli, di quanto il mio pigiama e questo letto in cui mi sto coricando, siano come me. È tutto privo di calore, trasmette distacco. Queste pareti bianche e spoglie… anch’io sono così con lui.
Ho lasciato la luce accesa. Mi devo alzare a spegnerla… che palle… Perché non c’è un interruttore vicino al letto come in camera sua?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una delle cose che odio, è dovermi svegliare alle sei di mattina e cercare di trovare una buona ragione per alzarmi dal letto. Perché puntualmente non la trovo. E fu così anche quella mattina.
Un sabato mattina di dicembre come tanti altri. Con la prospettiva di una monotona giornata di scuola, iniziai a prepararmi, cercando di evitare gli specchi almeno per qualche attimo, per non spaventarmi già appena sveglia. Aprii l’armadio e optai per un paio di jeans che mi stavano enormi, cosi come la felpa e le scarpe. Quando venne il momento, andai allo specchio e cominciai a truccarmi per nascondere al meglio le occhiaie che mi perseguitano sotto a due occhi un po’ troppo a palla. Così, mi incipriai e mi riempii di matita nera. Infine, presi la tracolla, ma, dopo aver chiuso la porta della camera, mi accorsi di non averla preparata. Velocemente, infilai i libri necessari: francese, matematica, scienze sociali e storia dell’arte. Poi, scesi di corsa le scale e sfrecciai per il corridoio salutando frettolosamente mia mamma e afferrando la sciarpa e il giubbotto che mi porgeva.
Appena uscii, diedi una rapida occhiata al campanile, giusto per accertarmi di non essere in un ritardo troppo ritardoso e fui quasi sollevata quando compresi che l’autobus sarebbe arrivato entro venti secondi al massimo. Infatti, quando mi trovai fuori dal cortile, me lo vidi passare davanti. Fortunatamente, casa mia distava circa cinquanta metri dalla fermata, perciò feci in tempo a salire. Mi sedetti al solito posto con un po’ di fiatone.

Osservavo dal finestrino la strada che ero solita percorrere su quel mezzo buio e caldo. Fuori sembrava notte. I piccoli paesi per cui passavo erano illuminati dalle più svariate decorazioni natalizie.
Iniziò a nevicare lentamente e questo mi distrasse dal pensare al fatto che tra poco sarei andata in  vacanza.
Estrassi il libro di scienze sociali dalla borsa, con l’intento di riuscire a memorizzare qualcosa, qualsiasi cosa per prendere una sufficienza stringata come al solito, perché ero sicura che la prof avrebbe interrogato me (sfigata com’ero)… se fossi andata a scuola. Me la sentivo che quella mattina non dovevo alzarmi.
A metà strada tra casa e scuola, per me ci sono due cose: i comodi e caldi sedili dell’autobus che offrono sempre un po’ di sano riposo e uno stupido passaggio a livello che quel giorno decise di fare gli straordinari, sbarrando la strada per più di mezz’ora. Sul bus, i lavoratori si stavano innervosendo, mentre noi studenti calcolavamo quanto tempo ancora ci avremmo messo ad arrivare e quanti minuti di lezione avremmo perso e io gioivo, perché non sarei stata interrogata. Come se non bastasse, incontrammo un traffico allucinante.
Aggiungendo che non avevo voglia di entrare a scuola, quello fu un buon motivo per non andarci, accordato da mia mamma (anche se mentii sui minuti di ritardo).

Lei sembrò che fosse lì ad aspettare me, come se avesse saputo che quel giorno non sarei andata a scuola.
Stava seduta sulla panchina del marciapiede dove il mio autobus si fermava quando giungeva a destinazione (ogni volta con un ritardo tra i dieci e i quindici minuti) e mi sorrise.
“Ce ne hai messo di tempo per arrivare!” -si tolse le cuffie dell’mp3 dalle orecchie- “Stava per scaricarsi la batteria!”
Un po’ sorpresa le chiesi: “E tu perché sei qui? Non vai a scuola?”
“Perché? Tu ci vai?” -mi rispose-
Poi, portò il cellulare all’orecchio e, simulando una chiamata, disse ciò che, guarda caso, avevo detto a mia mamma: “Mamma? Ascolta: l’autobus è in ritardissimo, non riesco ad arrivare per la fine della prima ora e più tardi non mi fanno entrare. Posso stare fuori? … GRAZIE ti voglio bene. Ciao!”
Risi.
“Dove si va?”

Lei viaggiava sempre in treno, a parte quando le imploravo un po’ di compagnia. Abitava nel paese vicino al mio dove abitavano anche la maggior parte delle nostre amicizie.
Mentre mi aspettava in stazione come tutte le mattine, non vedendomi arrivare chiamò sua madre riferendole di essere in ritardo.
Si preannunciava una spassosa mattinata di scazzo con lei, Lucy, tra le numerose vie della città. Faceva freddo e stava nevicando più forte, quindi decidemmo di rintanarci per un po’ in un conosciuto bar del centro per fare colazione, anche perché io, chissà perché, l’avevo saltata…
“Pamy? Allora, quel tizio che ti ho detto?”
Stavo per finire il mio delizioso cornetto ai frutti di bosco quando mi pose quella domanda.
“Com’è che si chiama?”
“Charles…”
Sbuffai. Alzai le spalle.
“No… non c’ho voglia…” -dissi, vaga-
“Daiiiiii! Che ti costa? Almeno parlaci!” -continuò- “Poi magari ti piace… insomma, non c’hai mai lo sbatti di conoscere nessun tipozzo! Parti sempre prevenuta… Sei una cacca!”
Bastò un mio sguardo per farla smettere.
“Ok… però io non ti voglio più vedere così… in certi momenti sembri una depressa!”
“Grazie… sempre gentile!”
“Dico solo la verità!” -riferì, voltando il palmo delle mani verso il soffitto-
“Sono una piccola bambina innocente!” -dissi, imitando la voce di una bambina, per prenderla in giro-
Mi beccai una forte pacca sulla spalla. Me la distrusse, porcaccia.
 “Ti ricordo che boxi da tre anni!”
Mentre mi massaggiavo la mia povera spalla sinistra, squillò un cellulare.
“Lucy, il telefono”
Mi guardò perplessa.
“Io non ho questa suoneria”
Mi ricordai di averla cambiata sul pullman.
“Ah già, è mio!”
Tirai fuori dalla tracolla il cellulare. Lo misi sul tavolo.
“Che fai? Non rispondi?”
Lo fissavo mentre squillava e si muoveva per via della vibrazione.
“Pamy?”
Non sapevo se rispondere, se mettere giù, se far finta di non averlo sentito…
“Ma chi è?”
Guarda
Prese il telefono, osservò il display, mi guardò e rispose.
“Moshi, moshi”
“Ma che fai?!” -urlai, silenziosamente-
“Si, è andata in bagno, sta arrivando” -continuò con il suo interlocutore- “Eccola, te la passo! Ciao!”
“Stronza!” -le dissi a bassa voce, mentre mi passava il cellulare- “Pronto?”

“Tu sei una vacca, ok?! Una brutta stronza del cazzo!”
“Oooooooooh!! Ma stai calma! Ho solamente risposto al telefono al posto tuo!”
“Appunto!”
Non avevo niente contro quella persona, però avevo paura di quello che mi avrebbe potuto chiedere. E io non ho saputo rifiutare.
“Uff… mi sono rovinata le vacanze…”
“Pagherei per farmele rovinare come te, Pamy!”
“E allora roviniamocele insieme, gratis!” -conclusi, fermandomi davanti ad una profumeria-
Ci pensò su un attimo. Poi disse: “I miei mi uccidono”
“Perché? Fai compagnia a me! Dai, dai, dai!!”
“Hanno già prenotato tutto!”
“Anche i miei!” -dichiarai- “Avanti! Chiedi, no? Non ti potranno dire di no se fai loro gli occhioni dolci”
Si voltò verso di me, sospirò e rispose: “Proverò…”
“Glasieeeeeeeee!” -la abbracciai forte-
“Si ma non strozzarmi!”
“Entriamo?” -indicai la profumeria-
“Così poi quando usciamo abbiamo due litri di profumo addosso e invece di avere un odore gradevole, nessuno riesce a starci vicino?”
“Si, Lucy!”
“Va bene”
Varcammo la soglia e ci fiondammo nel reparto profumi da uomo, come sempre.
“Me lo compri? Ti pregoooooo!” -mi implorò scherzosa, con in mano una boccetta di profumo-
“Magari per Natale!” -risposi, ridendo per la vocina da cane bastonato che aveva usato-
“Senti che buono!”
Annusai quel profumo. E mi bloccai.
“Mi dispiace, non te lo compro”
“Perché?”
“Indovina”
Non ci rifletté molto.
“No, non ci credo! Lo metteva lui?”
“Già…”
“Ups… non lo sapevo… mi dispiace!”
“Ma chissene! E poi, comunque sia, ci rinciamperò lo stesso in lui!” -terminai-

Passammo il resto della giornata in negozi di ogni tipo, dove facemmo qualche compera, e quando fu ora, andammo in stazione.
“Vedrai che adoreranno i tuoi regali!”
“Bha… forse era meglio che li facevo con un po’ più di calma un altro giorno…”
“Vanno benissimo… però, se verrò anch’io, dovrò prendere loro qualcosa… oddio! Che compro?!”
La guardai compassionevolmente.
“Non è obbligatorio che doni loro qualcosa”
“Era per fare la gentile… intrufolarmi senza nessun regalo mi sembra da stronza!”
“Vabbè… vedi tu…”
Intanto, ci sedemmo su una di quelle scomode panchine rosse della stazione.
“Quindi, quanti giorni stai là?”
“Quattro…” -risposi, con un po’ di amarezza- “Parto il ventisei e torno il trenta”
“Ma, scusa” -disse- “Ma se noi torniamo il cinque… tu come fai?”
Non l’avevo calcolato. Un attimo di silenzio. I miei occhi che si sbarrano.
CAZZO!”
“Potresti raggiungerci da sola…”
“Merda… e comunque, tu non parlarmi in seconda persona singolare, sai?” -esclamai, puntandole il dito contro- “Non è ancora detto che tu non venga!”
“Si, si, scusa!”
Buttai indietro la testa e scrutai  il soffitto, anche se, in realtà, stavo pensando a come risolvere questo problema.
“Lucy… come faccio?”
Non rispose, ovviamente. Sospirò fortemente e basta.
“È arrivato l’autobus”
“Si ritorna a casa e si chiede di poter venire con me, VERO?”
“Certo, certo”

“Mamma! Sono tornata!”
Chiusi la porta e fece sbucare la sua testa dal salotto.
“Ciao Pamy!”
Stava guardando una delle sue solite soap opera mentre era al telefono con qualcuno di poco interessante, visto che si stava anche mangiando delle patatine. Le mie. Feci in tempo ad assaporarne qualcuna prima che il pacchetto finisse.
Quando finalmente concluse la telefonata, le dissi: “Ah, guarda che mi ha chiamata…”
“Si, lo so già” -mi interruppe- “Ho ricevuto una mail”
Mi fermai, ansiosa di sentire quello che mi avrebbe detto poco dopo.
“Non ero molto sicura sul lasciarti andare, perché ci siamo andati anche il dicembre scorso e sei stata là tutta estate con la Lucy, però so che ti fa molto piacere vederli e che preferiscono te a tanti altri… e, se stai pensando al fatto che il giorno del tuo e del nostro ritorno non coincidono, stai tranquilla, perché ho già sistemato”
“Vengo là da sola?” -chiesi-
“No”
   
 
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