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Autore: Tappy    03/04/2015    1 recensioni
"-Megan-
Singhiozzai il suo nome con voce roca e rotta dal pianto, tirando su col naso e mandando giù un altro sorso. La Vodka mi bruciava la gola.
-Megan-
Mia sorella. Scomparsa nel vuoto da un giorno all'altro. Uno era a casa, l'altro non c'era più.
-Megan-
Niente tracce, niente indizi, niente corpo, niente di niente per due settimane intere. Due settimane lunghe come due secoli a sentire le ipotesi degli ispettori che semplicemente non volevano dirmi che mia sorella era morta.
-Megan-"
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"Mi guardai intorno, cercando un masso abbastanza grande, qualsiasi cosa per farla finita e ritornare a casa.
Non sarei ritornato a casa per tanto tempo."
Genere: Drammatico, Horror, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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In The Woods Somewhere

( https://www.youtube.com/watch?v=bSDbzyViW7k )
 

L'odore della pioggia riuscivo a sentirlo ancora prima che arrivasse. Di solito circa due se non tre ore prima. Avevo l'olfatto sviluppato molto più degli altri sensi, già a quei tempi.


 

Quella sera c'era odore di pioggia.

La percepivo, mi inondava le narici con il suo profumo bagnato.

Non aveva piovuto da un bel po', quindi il terriccio sotto le mie scarpe era compatto, facendomi evitare di cadere sul suolo boscoso, anche data la mia sbronza.


 

Avevo guidato per un quarto d'ora, fino ad arrivare ai limiti del bosco. Durante il tragitto in macchina mi ero già scolato mezza bottiglia di birra.

Sono sceso e ho scavalcato il cancello, atterrando sull'erba con un salto. Le caviglie quasi mi cedettero.

Avrò camminato per mezz'ora, se non più, finendo la birra e lanciandola contro la corteccia di un albero con rabbia. Allora ne presi un altra, riservando la bottiglia di Vodka per dopo.


 

I miei passi pesanti risuonavano per la foresta, l'unico suono dopo i fruscii delle foglie e i versi di qualche animale innocuo in lontananza.

Il sole stava calando completamente, i colori caldi rimpiazzati dal nero della notte.

Non avevo idea di quanto mi fossi inoltrato nei boschi quando mi fermai. Sapevo solo che la seconda birra era finita (lanciata contro un formicaio) e i piedi mi facevano un male cane. Già immaginavo le grandi vesciche che si sarebbero formate.


 

Sono caduto quasi a peso morto schiena contro il tronco di un albero, grugnendo al contatto delle mie natiche con il terriccio scomodo. Mi sono sistemato decentemente per terra, la nuca contro la corteccia ruvida, e ho tirato fuori la preziosa bottiglia.


 

Dopo due sorsi ero già in lacrime.

Singhiozzavo così tanto che mi mancava quasi l'aria, il mio petto sobbalzava su e giù e non mi sentivo gli arti. L'eco dei miei gemiti mi rimbombava in testa e ,cazzo se faceva male.

Dovevo essere una scena pietosa: un ragazzo ubriaco fradicio con la maglia sporca e il muco che gli colava dal naso. Disgustoso.


 

La mano serrata attorno alla bottiglia tremava violentemente quando la alzavo per portarla alle labbra lucide e più di una volta non centrai la mia bocca. Il sapore dell'alcol si mischiava a quello delle mie lacrime salate e del mio muco. Poco mi importava, mi bastava semplicemente che avesse fatto il suo lavoro: annebbiarmi abbastanza la mente da riuscire a farmi dimenticare, almeno per un po'.

Fino ad allora non aveva funzionato granché.


 

-Megan-

Singhiozzai il suo nome con voce roca e rotta dal pianto, tirando su col naso e mandando giù un altro sorso. La Vodka mi bruciava la gola.

-Megan-

Mia sorella. Scomparsa nel vuoto da un giorno all'altro. Uno era a casa, l'altro non c'era più.

-Megan-

Niente tracce, niente indizi, niente corpo, niente di niente per due settimane intere. Due settimane lunghe come due secoli a sentire le ipotesi degli ispettori che semplicemente non volevano dirmi che mia sorella eramorta.

-Megan-

Mi sono occupato di lei da sempre, da quando era nata. Mi sono occupato di lei dopo la morte dei nostri genitori. Ho lasciato il college per badare a Megan, mi sono trovato subito un lavoro.

Ho promesso che l'avrei protetta.

“E ora, dov'è? In un sacco nero sul fondo di un canale? Dov'è Megan? Dov'eri tu?”


 


 

Finii la bottiglia e la scagliai contro una roccia, o almeno ci provai. Di sicuro non avevo centrato il bersaglio. La mia visione era sfocata, mi girava la testa, non mi sentivo la faccia e gli occhi mi bruciavano.

Non stavo più piangendo, no. Avevo esaurito tutti i fluidi nel mio corpo. Ero ridotto ad un corpo spento contro un albero che faceva semplicemente finta di essere vivo.

Rimasi inerme per molto tempo, lo sguardo perso nell'oscurità e le orecchie che fischiavano. A quel punto la mia schiena poteva essersi facilmente fusa con la corteccia.


 


 

Solo quando i gufi smisero di cantare mi accorsi che c'era qualcosa che non andava.


 

Il silenzio era troppo cupo, troppo pesante. Se non fossi stato inebriato dall'alcol forse avrei notato prima il fruscio tra i cespugli, forse avrei sentito i gemiti strozzati e i grugniti rudi, o l'ansimare animalesco, ma ero andato, la tristezza e la sbronza mi avevano lasciato in uno stato quasi di coma.


 

Quando sentii il grido, il sangue mi si gelò nelle vene. Tutto il mio corpo si irrigidì, le palpebre prima cementate ora erano sgranate, cercando di mettere a fuoco l'oscurità, invano. In un mezzo secondo era come se non avessi avuto più il cuore che mi pulsava nel petto, che poi cominciò a battere freneticamente.


 

Quell'urlo straziante sembrava appartenere ad una donna. No, ad un uomo. Ma quale uomo avrebbe mai emesso un verso così acuto, così innaturale per un essere umano?

Non avevo mai sentito nulla di simile in vita mia. Sembrava il verso di un essere infernale. Il terrore mi si riversò addosso in un'ondata, lasciandomi senza aria.

Di una cosa ero sicuro: era un urlo di dolore. Dolore agonizzante. Era un urlo di morte.


 

Appoggiandomi alla corteccia dell'albero, mi alzai in piedi, la testa pesante e il respiro leggermente affannato.

Mi guardai intorno con disperazione, vedendo solo sagome sfocate dalle dimensioni distorte, vertiginosamente protese verso di me. Strizzai gli occhi e finalmente il mondo diventò parzialmente visibile, almeno quel che bastava.


 

Eccolo di nuovo, il grido. La seconda volta sembrava ancora più vicino a me, ancora più disperato. Non fece che aumentare la mia paura.

“Solo pochi metri davanti.” pensai, prima di fare la cosa più stupida della mia vita.

Tra le mille decisioni, scelsi la peggiore.


 

Cominciai a correre tra gli alberi a mani vuote, verso l'essere agonizzante in lontananza, gli unici rumori il mio ansimare e lo scalpiccio delle mie scarpe sul terreno.

Il mondo vorticava, gli alberi che si fondevano tra loro e si avvolgevano attorno l'un l'altro, quasi sbarrandomi la strada.

Oh, quanto vorrei che l'avessero fatto.


 

Prima di accorgermene stavo inciampando, cadendo a terra di muso. Mi graffiai la guancia destra all'impatto e un rivolo di sangue uscì dal taglio.

La mia scarpa si era impigliata tra i viticci che ricoprivano il suolo boscoso.

Mi alzai in piedi con un gemito , la guancia che mi bruciava, e misi a fuoco la scena davanti a me.


 

Quasi immediatamente rovesciai la testa di lato e vomitai il poco che avevo mangiato.


 

Una volpe, stesa a terra, una delle zampe posteriori in una posizione innaturale. Sul fianco, l'impronta di denti enormi e il ventre aperto, le budella che fuoriuscivano sull'erba. Il sangue la ricopriva quasi interamente, ed era ancora viva. Quale animale sarebbe riuscito a provocarle un morso del genere? Non c'erano lupi in questi boschi. Non ce n'erano mai stati.


 

La volpe mi fissava con occhi lucidi, terrorizzata. No, rassegnata. Sapeva di essere spacciata e mi stava dando un avvertimento, o mi stava implorando?


 

Mi tremavano le gambe, le mani, le braccia. Avevo il sapore amaro della mia bile in bocca e la mia milza pulsava dallo sforzo.

La mia mente mi stava disperatamente gridando di girarmi e ritornare da dove ero arrivato, ma non potevo lasciarla lì, sofferente.

“Non puoi salvarla, non ha speranze.”

Allora dovevo mettere fine io alla sua agonia.

"Non ce la puoi fare."

Mi guardai intorno, cercando un masso abbastanza grande, qualsiasi cosa per farla finita e ritornare a casa.


 

Non sarei ritornato a casa per tanto tempo.


 

Mi accorsi per prima cosa dell'odore del suo respiro. Sapeva di morte, di putrefazione e rischiai di rigurgitare anche il mio pranzo.

-Merda- singhiozzai, portandomi una mano alla bocca e al naso.


 

Ed eccolo, finalmente, nascosto tra gli alberi davanti a me.

Mi aveva osservato per tutto quel tempo.


 

Era enorme, più grande di qualsiasi animale avessi mai visto. Gli occhi riflettevano la luce della luna, enormi, iniettati di sangue, arrabbiati. Ad ogni suo respiro emetteva un suono grutturale, come se avesse avuto un pezzo di carne incastrato in gola.

I suoi denti erano scoperti, lunghi quanto il mio anulare, sporchi di sangue fresco e vecchio, incrostato sulle gengive. Dei rivoli di bava pendevano dalle labbra tremolanti.

Il suo pelo era nero, sudicio, quasi spinoso e gli artigli affondavano nel terreno.

Era come l'incarnazione della paura stessa, una paura così forte che mi faceva tremare le ginocchia.


 

Mi guardò negli occhi. Mi guardò l'anima.


 

"Vattene."

Nel microscopico istante in cui mi sono girato per scappare, i miei piedi sembravano incollati al suolo, pesanti come macigni, poi scattanti come molle cariche.

Corsi veloce quanto me lo permetteva il mio corpo, fino a non sentirmi le gambe, fino a farmi bruciare i polmoni.

Corsi per salvare una vita che credevo di avere, ma la bestia me l'aveva sottratta ancor prima che io entrassi in quel bosco.

Sentivo i suoi ringhi dietro di me, il suo respiro, il tanfo di morte che si portava dietro che si avvicinava sempre più, sempre più.


 

Caddi a terra per la seconda volta, emettendo uno stridolio acuto quando la mia caviglia si piegò con un sonoro crack. Sbattei il muso contro una pietra ed un dolore acuto mi si propagò dal labbro e dall'articolazione del piede.

Boccheggiai in cerca d'aria, il dolore che mi soffocava.


 

-No. No. No. No.- la mia voce non sembrava la mia. Era acuta e miserabile.

Non cercai neanche di tirarmi su.

Ora ero io la volpe rassegnata. Ora toccava a me annegare nel mio stesso sangue.


 

La bestia era arrivata dietro di me. Sapevo che era lì. Sapevo che mi stava guardando.

Si avvicinò a lunghi passi, la sua puzza che mi soffocava e il suo respiro che mi faceva tremare da capo a piedi.


 

-No, ti prego. Ti prego.- implorai, mano tanto stretta attorno ad un ciuffo d'erba che le mie nocche erano di un bianco cadaverico. Chissà perché nutrivo la mezza speranza che mi avrebbe lasciato andare senza un graffio.

-Ti prego, Gesù Cristo, n-non farlo. Non.!- finii la frase con un verso strozzato.

La creatura mi appoggiò una zampa sulla schiena e premette in basso, schiacciandomi sul terreno ancora di più. D'improvviso un calore bagnato si diffuse nei miei pantaloni senza che io potessi trattenermi. Strappò lembi dalla mia maglia e poi affondò i suoi artigli nella mia carne, lentamente e profondamente.


 

Lanciai un grido disperato mentre la bestia tracciava le sue unghie dal basso verso l'alto sulla mia schiena, lacrime di dolore che mi offuscavano la vista. Sentii i suoi artigli pericolosamente vicini alla mia spina dorsale.

Gridai con tutto il fiato che avevo in gola, un suono pietoso e miserabile che spezzò il silenzio della foresta. Quello, pensai, era il mio grido di morte, allora.

Non riuscivo a muovermi, il taglio profondo sulla schiena mi impediva qualsiasi movimento, mi paralizzava con il suo intenso bruciare. Non avevo mai provato un dolore così grande da rendermi difficile respirare.

Piangevo, singhiozzavo cercando aria. Ogni volta che chiudevo gli occhi vedevo bianco.

Il sangue usciva a fiotti, riversandosi sull'erba, tingendo la mia maglia bianca di cremisi.


 

La bestia, divertita, si leccò il mio sangue dalle unghie sporche. Fissò il suo operato sulla mia schiena maciullata con quei suoi grandi occhi rossi. Non avevo visto nessuna ragione in essi, solo sfrenata pazzia e furia.

La sua saliva mi cadde sulla ferita ed io rabbrividii alla sensazione viscida. Provai disgusto ed un odio così profondo che cominciai a tremare dalla rabbia.

Essa sembrò divertita: emise un suono orrendo, simile ad una risata, che mi riecheggiò in testa fino allo sfinimento.


 

Che morte patetica. Ammazzato da un mostro, il corpo spezzettato e ingurgitato da un demone.

Chissà se avrei incontrato Megan dall'altra parte. Di sicuro la mia fine sarebbe stata più dolorosa della sua. Almeno lo sperai.


 

Infine la creatura decise di avere fame.

Spalancò le fauci con uno schiocco sonoro e affondò i suoi denti nella mia spalla.

Il dolore alla schiena, alla caviglia e al labbro fu niente in confronto al morso.

Non riuscii neanche a gridare: le mie corde vocali avevano ceduto.

Forse, per pena, Dio mi fece svenire. Forse si era stancato di tutto il mio miserabile piangere e urlare.


 

Vorrei che il demonio mi avesse ammazzato, quella sera.

Vorrei non aver mai aperto gli occhi, prima di quella notte castani, poi screziati d'oro puro.

Vorrei esser morto dissanguato dalle mie ferite invece di svegliarmi con una cicatrice su tutta la schiena ed una sulla spalla, la caviglia guarita.


 

La creatura mi ha risparmiato, ma mi ha tolto la vita.

Mi ha fatto diventare quello che non avrei mai voluto essere, mi ha condannato all'inferno in Terra.

Ha acceso un fuoco dentro di me che non può essere mai spento, solo placato. Ma non è mai abbastanza. Niente sarà mai abbastanza.


 

La odio. Mi odio.


 

Ho giurato che l'avrei ritrovata, quella bestia. L'ho giurato a Megan.

Avrò la mia vendetta.

Avrò la nostra vendetta.


 

I found something in the Woods, somewhere.





 












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Note dell'autore
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I'm back, bitches.

  
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