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Autore: harryholdme    03/04/2015    5 recensioni
L'acqua è gelata.
A Louis non importa.
Il marmo della vasca è incredibilmente più freddo del solito.
A Louis non importa.
I brividi gli percorrono tutto il corpo nonostante lui si sia portato le gambe al petto e le abbia circondate con le braccia.
Ma a Louis non importa.
Fuori piove, gli è parso pure di sentire un tuono, e questo non aiuta granché.
Ma a Louis non importa.
Il suo telefono continua a suonare. Ha sempre amato quella suoneria, ma ora sta iniziando a diventare fastidiosa.
Ma a Louis non importa.
L'unica cosa che ha in mente è che lui è morto.
Un dato certo, sicuro, da cui non si può tornare indietro in nessun modo.
E a Louis di questo importa.
[Harry/Louis! Death] [6K]
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonsalveee
Boh, non chiedetemi cosa sia questa cosa perché NON.LO.SO.
Mi è uscita così e non so cosa pensarne e non so cosa potreste pensarne voi, ma per saperlo devo postarla sooo eccoci qui.
E' abbastanza angst (se avete letto le note lo avrete visto) perciò se non vi piace il genere, cambiate storia. 
Detto questo vi lascio il link della scorsa fanfiction che ho pubblicato:
GREY http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3061036&i=1 , è una Zourry rossa.
Detto questo, se voleste contattarmi o sclerare insieme su qualsiasi cosa, contattatemi qui
E per il resto ALLA PROSSIMA!

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Cold Water
di
harryholdme


«Era stanco, di quella stanchezza che sa dare solo il vuoto.»
-La solitudine dei numeri primi



L'acqua è gelata.
Ma a Louis non importa.
Il marmo della vasca è incredibilmente più freddo del solito.
Ma a Louis non importa.
I brividi gli percorrono tutto il corpo nonostante lui si sia portato le gambe al petto e le abbia circondate con le braccia.
Ma a Louis non importa.
Fuori piove, gli è parso pure di sentire un tuono, e questo non aiuta granché.
Ma a Louis non importa.
Il suo telefono continua a suonare. Ha sempre amato quella suoneria, ma ora sta iniziando a diventare fastidiosa.
Ma a Louis non importa.
L'unica cosa che ha in mente è che lui è morto.
Un dato certo, sicuro, da cui non si può tornare indietro in nessun modo.
E a Louis di questo importa.

Non sa come dovrebbe sentirsi, se ci sono delle regole che dicano come uno debba reagire in questi casi.
Non lo sa, davvero, ma non è preoccupato di questo.
Il punto è che a rigor di logica dovrebbe almeno piangere.
Ha sempre immaginato che quando sarebbe successo qualcosa del genere avrebbe singhiozzato finché il suo corpo non fosse stato stremato al limite.
Invece no, se ne sta lì come un ebete a fissare l'acqua sotto di lui.

Pensa che forse è perché non riesce ancora a rendersene conto.
Ma anche lui sa che mentirebbe se lo dicesse.

Non è tanto ciò che si può osservare dall'esterno, il suo comportamento, ma quello che ha dentro ad essere distrutto.
È come se una parte di lui fosse morta, la parte migliore di lui, perché lui è – era senza ombra di dubbio la sua parte
migliore. 
Come se ora ci fosse solo un involucro vuoto in quella vasca troppo fredda anche per un mese come agosto.


Non esiste più il tempo o lo spazio, sono solo Louis e la sua mente che lentamente si sta sgretolando.
Sa che non è normale, ma non ricorda nemmeno più il suo viso.
L'unico viso che abbia mai amato.
Si sforza di ricordarlo, veramente, solo che non ci riesce.
Sente che aveva bisogno di lui, che il suo solo sorriso lo faceva stare bene, ma prova senza alcun risultato a raffigurarselo mentalmente.

Una goccia gli scivola lungo la tempia ed è sicuro che non sia acqua.
Trema e suda.
Ma non gli importa di quello.
Il suo cuore sta esplodendo.
La sua testa sta esplodendo.
E se uno dei due lo facesse sarebbe anche meglio, così smetterebbe di pensare.

Niente, ancora nessuna lacrima.
Li ha visti i suoi parenti piangere, disperarsi, dimenarsi, cadere al suolo in ginocchio.
Li ha visti abbracciarsi e chiedere a Dio il perché di tutto questo.
Ma, Louis si dice, un perché a tutto questo non esiste, perché Dio per primo non esiste.
Se realmente fosse lui a vegliare sulla terra, allora non permetterebbe che certe cose accadano, cazzo, non lo permetterebbe.
Invece no, se davvero esiste, se ne sta lì a guardare le persone marcire e morire e soffrire senza fare niente.
Niente.

Si accorge di aver urlato inconsapevolmente perché la sua voce lo risveglia dai suoi stessi pensieri.
Non avrebbe dovuto farlo, ritornare alla realtà in quella maniera.
In questo modo, nel giro di pochi secondi, il mondo gli è tornato a pesare troppo sulle spalle.
Così come, nel giro di pochi secondi, lui è morto.
E tutte quelle frasi che dicono cose come:“Se n'è andato, ma vivrà per sempre...nel tuo cuore” non significano nulla.
Louis non vuole avere un semplice ricordo di una persona che è stata l'unica per lui, Louis vuole che viva e basta.
E allora sono tutte cazzate. Tutte.
Dalla prima all'ultima.
Solo frasi di circostanza.
Anche quando:“Era un bravo ragazzo”, perché non era un bravo ragazzo, o almeno non nel modo in cui intendono loro.
Le persone lui le faceva soffrire, a volte persino le distruggeva. Derideva l'intero genere umano.
Ogni tanto si prendeva gioco addirittura di Louis, ma chiunque sapeva che nonostante tutto lo amava.
E se quando era vivo non era un bravo ragazzo agli occhi di nessuno, allora Louis era davvero speciale, come si ostinava a
dire l'altro, perché con lui era un bravo ragazzo
E Louis lo amava.
No, Louis lo ama.
Lo ama con ogni cellula del suo corpo.
Lo ama con ogni battito del suo cuore.
Con ogni respiro.
Con ogni parola.
Con ogni gesto.

 

È straziante.
Vorrebbe solo dormire, ma il fatto che non riesca ad uscire da questo stato di trance non gli permette di riuscirci.
Ma non ci riuscirebbe comunque, anche con tre giorni di sonno arrettrati, perché non smetterebbe mai di pensare a quello che lui gli ha fatto provare, non smetterebbe
di amarlo, non smetterebbe di soffrire.

 

Vorrebbe aver fatto qualcosa per salvarlo.
“Non avresti potuto fare niente, Louis”, ma intanto lui sa che in ognuna delle loro menti c'è il pensiero fisso che sì, Louis avrebbe potuto provarci, avrebbe dovuto provare a farlo restare.
Pensano addirittura che forse sarebbe dovuto esserci lui al suo posto.
Ma non li biasima per dire una cosa e averne in mente un'altra, è questo che si dovrebbe fare, quando muore qualcuno: esternamente usare parole di condoglianza e intanto internamente attribuire la colpa di un fatto ad un individuo qualsiasi per sentirsi in pace con sé stessi, come se una volta fatto ciò il dramma sparisse.
Ma non succede, Louis può giurarlo, anche se non sa quanto varrebbe una sua promessa. 
Infondo, lui non crede in Dio.
Nonostante ciò, anche Louis si incolpa, sì.
E si sente egoista, perché invece che a lui, ha appena pensato a sé stesso.


L'acqua continua ad essere troppo fredda.
Il telefono ha smesso di suonare, probabilmente si è spento.
Decide di immergersi, perché tanto si gela in ogni caso, perché ha troppo sonno, perché sta cercando un modo per far
smettere la sua testa di girare.
Chiude gli occhi, tappa il naso.
Come se tutta quell'acqua che lo sovrasta fossero le lacrime che non ha pianto.


Passa un minuto, in cui si costringe a rimanere sotto e a non aprire gli occhi, perché deve farlo smettere. Il dolore, deve finire. 
Finché non inizia a sentirsi più libero.
E nonostante si senta così, con la testa in qualche modo più leggera, non riesce comunque a finire del tutto di pensarci.
Allora semplicemente continua ad aspettare lì che tutto finisca.


All'improvviso due mani grandi lo afferrano da sotto lo strato di acqua dove è immerso e lo riportano in superficie.
Louis riprendendo ossigeno emette un enorme sospiro e inizia a tossire.
A lui andava bene stare là sotto, non capisce perché il suo corpo reagisca in quel modo, come se stesse morendo, quando è fuori dall'acqua che si sente morire.
Scienza, probabilmente.


“Ma cristo, che cosa ti passa per la testa?”, gli urla quella voce che sembra rimbombare nella sua testa come un rumore allo stesso tempo sommesso ed irritante.

Louis continua a respirare affannosamente e poi, dopo aver appoggiato i gomiti a bordo vasca, si volta verso l'individuo. Non risponde.
Perché se rispondesse direbbe che ciò che gli passa per la testa è formato dalle cose peggiori in assoluto.
E non vuole, non vuole dirlo a nessuno.
Lui, i suoi pensieri e la sua vita non sono affari di nessuno.


Appare quasi ironico dirlo quando è stato per qualche minuto senza ossigeno, ma è adesso che si sente davvero mancare il respiro.

“Dio Louis, almeno mi dici perché non hai risposto al telefono?”, ritenta il ragazzo.

Ed ora lo riconosce, è Harry.
Sì, sente di conoscerlo, ma non si ricorda niente di ciò che provava nei suoi confronti.
Ma sinceramente non gli importa di attribuire una collocazione nella sua vita a quel ragazzo.
Louis rivuole solo lui.
Non gli interessa di altri.
Di sicuro non gli interessa di Harry.


“Non lo sentivo”, e la sua voce esce strozzata, esce tremolante, esce come se non fosse veramente lui a parlare ma una macchina manovrata da qualcun altro.

Harry ora è inginocchiato oltre il bordo della vasca e lo sta guardando come si guardano le persone tanto malate distese su un letto d' ospedale.
Ma Louis non vuole pena.
Louis vuole spegnere il cervello.
Ancora, Louis vuole lui.

Vede il ragazzo da parte a sé allungare il braccio e una volta ritornato al suo posto avere il suo telefono nella mano destra:“È spento” constata, rigirandoselo tra le mani.

Louis lo osserva bene, con la guancia schiacciata contro le ginocchia fin troppo magre.
I suoi occhi eccessivamente verdi lo irritano.
Il suo sorriso lo irrita.
Perché è felice?
Gli viene voglia di prenderlo a schiaffi.


Il cuore gli sta esplodendo.

“Chi sei?”, chiede in una frase che esce come un verso incomprensibile.

Il ragazzo però sembra aver capito.
“Sono Harry.”, risponde ancora quello:“Ti ricordi di me?”, aggiunge velocemente subito dopo.

Ricorda i suoi ricci, le sue labbra rosse, il suo fisico possente, le sue gambe lunghe.
Ma di lui, di lui come persona, quello no.
Quindi:“No.”, dice. E basta.
Non aggiunge altro.


Si sposta in avanti dentro la vasca e gira la manopola.
L'acqua cade di colpo sulla sua schiena.
È fredda. Più fredda di quella che lo circonda.
Non importa.
Quella sensazione lo fa sentire meglio.
La sua testa sta ancora girando.


“Lou”, lo chiama quello.

Non può attribuirgli quell'appellativo, solo lui poteva, nessun altro:“Non chiamarmi così. Non farlo.”, riesce a dire.

Ed ora alza la testa e fa appena in tempo a vedere le gocce che gli cadono dritte negli occhi, per poi scivolargli lungo tutto il resto del corpo, prima di abbassare le palpebre.
L'acqua gelata continua a finirgli in bocca e quasi non riesce a respirare, ma non è importante.


“Okay scusa, Louis.”, guarda ancora un attimo il telefono che ha tra le mani e poi lo appoggia da parte, sul pavimento di piastrelle:“Allora, vuoi dirmi che succede? Gli altri non hanno potuto raggiungerti, ma erano tutti in pensiero per te. Però ci sono io ora.”, afferma con convinzione, come se ci credesse davvero.
È Louis a non crederci.
A non credere che gli altri "non hanno potuto raggiungerli", a non credere che siano tutti in pensiero per lui, a non credere che questo Harry sia lì per aiutarlo.
Nessuno vuole aiutarlo, chiunque pensa che infondo sia colpa sua, nessuno vuole stare con un individuo che più che essere una persona è un oggetto. Fermo, immobile.
Con troppi pensieri e poche parole dette ad alta voce.
Con un cuore che è ancora sul punto di scoppiare.
Perciò di nuovo non risponde, però sposta la testa tra le gambe e continua a farsi bagnare.
Tanto, non importa.


Ha ancora su i boxer, che ora non sopporta perché si sono appiccicati alla sua pelle.
Ma anche questo non importa, lui è morto.
Morto. Sparito.
Non tornerà mai più.
“Sei così fragile Louis ed io ti amo così tanto, non potrei mai e poi mai lasciarti. Che Dio mi uccida se dovessi lasciarti.”, diceva. Buffo.
Aveva fatto entrambe in una volta sola.
Come si suol dire, due piccioni con una fava.


Lui, nonostante per il resto non si potesse definire un ragazzo modello, era credente. Pensava che una volta che il suo cuore avesse smesso di battere sarebbe volato in un'altra dimensione, con tutte le persone che lo avevano precedentemente lasciato a marcire sulla terra e che amava.
E aveva giurato, una sera da ubriaco quando il vento era troppo forte e Louis gli aveva offerto la sua giacca per coprirsi, che se mai se ne fosse andato lo avrebbe amato anche in quella dimensione nella quale credeva tanto.
E Louis spera davvero, con tutto il cuore, che ciò che pensava e che diceva sia vero.
Solo, non ci riesce.
Non è concretamente possibile che una persona continui a vivere dopo la morte.
Si spegne e basta.
Per questo sta così tanto, infinitamente, eternamente male.
Perché lui si è spento e basta.
Perché lo stesso Louis si è spento e basta.


“Lou-”, cerca di dire il riccio, che però viene interrotto bruscamente.
“ È morto! Okay? È morto! Ed io non ho fatto assolutamente nulla per impedirlo! Ed ora vattene, per favore, lasciami solo... per favore.”, e la frase quasi si tramuta in una supplica.
Le sopracciglia di Harry si corrugano in un espressione truce.
Louis lo sta fissando, ma quello distoglie lo sguardo, probabilmente tutto quel dolore è troppo da sopportare.
Come se fosse lui a soffrire.
Poi si morde il labbro e mette una mano sul bordo della vasca: “Ascoltami. Io non me ne vado. Parlamene.”, e questa volta pare essere irremovibile.


I capelli gli sono entrati negli occhi azzurri e vuoti a furia di essere colpiti dal getto d'acqua. Louis li lascia lì.
Ha un qualcosa dentro che non lo lascia andare.
Pesa così tanto e vorrebbe solo disfarsene.
Probabilmente è giorno, ma tutte le tapparelle sono abbassate, perciò Louis non può averne la certezza.
Deve dormire. Tre giorni e quarantotto minuti che non lo fa.
Tre giorni e quarantotto minuti che lui è morto.
Tre giorni e quarantotto minuti che l'ha lasciato andare.
Tre giorni e quarantotto minuti che Louis è in quella vasca.
Stupido? Irrazionale? Da pazzi? Forse. Sì.
Ma a lui non importa.


Si accorge troppo tardi di essersi piantato le unghie della mano destra in quella sinistra.
Non l'ha fatto apposta, questo no.
Solo che ha stretto troppo forte e allora è successo.
Così ora sta perdendo sangue.
Beh, almeno in questo modo sa che il suo cuore ancora batte.

 

Harry sposta le dita che prima teneva sul marmo sui taglietti che Louis per sbaglio si è procurato.
Li accarezza con cura, come se fossero la cosa più preziosa che avesse mai toccato.
Poi lo guarda negli occhi.
Quegli occhi che, nonostante continuino ad essere fastidiosamente verdi, lo rassicurano.

Passano alcuni minuti, non sa esattamente quanti, così.
L'acqua è fredda, ma Louis sta bene.
Poi all'improvviso parla: “Abbiamo litigato.”, confessa con una punta di mortificazione nella voce.
Harry ora si alza dal pavimento e, come si fa con gli animali non ancora addomesticati, si siede con cautela sul bordo della
vasca.
“Tu e chi?”, chiede a bassa voce.

Louis sente che lo sta fissando mentre aspetta una risposta.
Non ricorda niente di lui.
Vorrebbe riuscire a riportare alla mente immagini che non siano solo dolore o amore, ma non ne è capace.
Per questo risponde semplicemente: “Io e lui”.
Finalmente si allunga per chiudere l'acqua che gli sta cadendo addosso e poi si volta e lo guarda in faccia: “Abbiamo litigato, il giorno stesso in cui è morto.”, non sa come quelle parole abbiano fatto ad uscirgli, non sa come siano risultate alle orecchie dell'altro, ma è successo.
Sta ancora tremando.


“Dai, perché non esci da lì?”
Pena, pena e solo pena.
Ecco cosa prova quello nei suoi confronti, ecco cosa fa Louis.
Si morde l'interno della guancia finché non sente il sapore metallico del sangue scivolargli sulla lingua.
“Non ne ho voglia.”

 

È come se tutte le cose belle fossero sparite.
Il sole, la luna, le stelle, il cielo e la terra, la poesia, la musica, l'arte, i paesaggi, le città, il nord, il sud, l'est e l'ovest. I bambini, gli anziani, le mamme, i padri, gli animali. Le lacrime di gioia, i sorrisi, le risate, le piazze, i locali, la felicità.
Come se se tutto fosse sparito con la sola morte di una persona.
Come se tutte le cose meravigliose che c'erano nel mondo fossero direttamente collegate al battito del suo cuore.
Per questo ora vede solo buio.
E non vuole vedere altro, lui starebbe bene lì, al freddo, con gli occhi chiusi e l'acqua che gli impregna la pelle.
D'altronde sta così da un po', perciò è okay.
Solo che c'è Harry, la cui presenza non fa che turbarlo.
Vuole stare da solo.

 

Quasi a farlo apposta proprio in quel momento – Louis non l'ha visto togliersi gli abiti– il riccio ruota su se stesso e si infila nella vasca, dopo averlo fatto spostare un po'.
“Se non esci tu, entro io.”, afferma lui, lasciando che le parole si dissolvano nel silenzio.
Solo, stanno lì.
Harry che lo guarda e Louis che si maledice per non aver fatto niente per l'amore della sua vita.


Passa mezzora – forse un'ora? – e non c'è una sola parola che interrompa quella pace superficiale.
Poi, contro ogni aspettativa, Louis parla.
Non osa ovviamente alzare il viso e guardare negli occhi smeraldo l'altro, ma comunque: “Sai quando non hai i soldi per
pagare l'affitto ed allora ti riduci a fare qualsiasi cosa per portare avanti la famiglia?” è l'unica frase che Louis abbia
pronunciato da tre giorni a questa parte.
Il riccio si limita ad annuire.

 

“Per lui io ero la sua famiglia, e per me lui era la mia. Allora entrambi avevamo trovato un lavoro in un bar. Io in uno e lui in un altro.”.
Pausa.
“Solo che..”, sospira, si passa una mano tra i capelli e ricomincia: “...nel suo locale stavano cercando qualcuno che ballasse. Lui ci era portato e mi aveva detto che voleva guadagnare qualcosa in più ed io avevo accettato, perché ne avevamo bisogno.”
Alza gli occhi verso il soffitto ed Harry può chiaramente vedere come questi siano diventati talmente lucidi da richiamare alla mente l'immagine di un mare cristallino, anche a causa dei suoi occhi celesti.
Da un debole pugno al muro, come se volesse distruggere tutto ma nello stesso momento si stesse contenendo per non farlo.
Ha un attimo di esitazione e infine riesce a dire:“Poi è morto.”, più a sé stesso che all'altro: “È morto e basta”. E adesso i suoi occhi sono sbarrati, come se non fosse una persona reale a parlare.


Harry fa peso sulle mani e si sposta di qualche centimetro in avanti, in modo da poter poggiare le sue mani sulle minuscole ginocchia dell'altro.
Ora sta guardando Louis negli occhi, ma questo sembra guardargli attraverso.
“Piangi se devi piangere.”
Ma Louis non può, non può permettersi un privilegio così enorme.
Non dopo ciò che ha fatto.
Non dopo ciò che non ha fatto.
Quindi scuote la testa e fa un mezzo sorriso, che più che un sorriso esce come un'espressione di dolore.
“Allora dimmi che cos'è successo poi.”, insiste.
Ci mette qualche secondo, ma poi riesce a continuare: “Non sapevo bene cosa facesse ballando, più che altro non me ne ero
curato più di tanto. Però...”, deglutisce: “però un giorno sono andato a vederlo, pensavo di fargli una sorpresa. Invece appena
varcata la soglia del bar, l'ho visto strusciarsi su un vecchio e prendere i suoi soldi. Poi si sono avviati verso l'uscita sul retro
e non li ho più visti tornare indietro”.
Le immagini di uomini e di una figura nera che si sovrappongono una sopra l'altra, le emozioni che combattono per avere la meglio su di lui.
Louis non sa proprio come quelle parole gli stiano uscendo.
Non gli importa.
In realtà, sente molto più di ciò che effettivamente riesce a dire a voce.
Continua solo a pensare a lui.
E il cuore ancora è sul punto di esplodere.


“Potevo accettarlo, che per fare soldi andasse a letto con dei viscidi, sai da queste parti non è che la prospettiva di vita sia le migliori, ma non potevo accettare che non me l'avesse detto esplicitamente. Pensava che un giorno l'avrei capito o sperava che non l'avrei capito affatto?” e la sua voce si è alzata di un'ottava quasi inconsapevolmente.
“Così l'ho aspettato a casa.”


Il tempo non è niente.
Per questo ne passa forse troppo per la concezione che Harry ha di questa parola, ma non per Louis.
Perché se il tutto è successo in unità di tempo così minuscola, se la vita di una persona è stata strappata via nel giro di
secondi, e se tutto ciò che ora per Louis è importante è avvenuto in così poco, allora nessuno ha capito il vero significato di
questo termine.
Perché esso ha il significato che la persona gli attribuisce.
E cosa sono i mesi, i giorni, le ore, se una cosa così grande è avvenuta in unità di tempo così ridotta?
Quindi aspettano, aspettano, aspettano. Aspettano in silenzio.
Aspettano che il tremore di Louis diminuisca almeno un po', aspettano che il verde degli occhi di Harry sia un po' meno
fastidioso, aspettano che il corpo del riccio si abitui alla temperatura dell'acqua e che l'altro riesca a mettere insieme nuovamente una frase che non sia composta da soli monosillabi.


Così, ne passa un po', di tempo.
“Cosa è successo quando è arrivato a casa?”, chiede il riccio cercando di non essere troppo indiscreto.
Louis sembra essere stato preso a pugni vista l'espressione di assoluta sofferenza che aleggia sul suo viso, ma si concede di
rispondere lo stesso: “Gli ho detto che non era possibile che si vendesse così. E che non era possibile che non me l'avesse mai nemmeno accennato.”, la sua voce esce soffocata:“Non volevo farlo incazzare, volevo solo che me ne parlasse, capisci?”, e lo supplica di rispondere di sì, perché in quel momento è quello che ha bisogno di sentirsi dire, perché morirebbe davvero se non lo facesse, e così Harry: “Sì, capisco.”
Il liscio lo guarda finalmente e lo ringrazia con gli occhi che continuano a diventare più rossi ogni secondo che passa.
“Mi ha detto che non dovevo preoccuparmi, che era “solo sesso”, e poi si era avvicinato per baciarmi, perché così facevamo. Litigata e poi l'amore, per risolvere tutto. Ma no. Mi sono tirato indietro e gli ho detto che ad andare avanti così io non ce la facevo più. Che era via costantemente, che preferiva passare il tempo con i suoi amici che con il suo ragazzo – cosa che mai invece era successa – e che ora mi tradiva pure e cercava anche di giustificarsi”.
Harry ha paura che la la vena all'altezza della tempia di Louis possa scoppiare.
“Io so che mi amava e che lui non lo considerava come un tradimento, solo un mezzo per ottenere soldi più facili. E non avrebbe dovuto farlo, io ero così arrabbiato, così deluso!”


Passa altro tempo.
Il più piccolo continua a tenere le grosse mani sulle gambe dell'altro e attende che questo si calmi.
Vuole solo che gliene parli, perché sa che tutta quell'afflizione non può rimanere così concentrata in un unico individuo.
Aspetta, e quasi non si accorge quando Louis ricomincia a raccontare in un sussurro: “È andato ad ubriacarsi al bar”.
Pausa.
“Non so cosa sia successo veramente, ma l'hanno pestato, fino ad ucciderlo. In questo quartiere non sono rari gli scontri che finiscono in ospedali, penso tu lo sappia se abiti qui. Non ho voluto conoscere altri dettagli.”.
Contrae la mascella e stringe i pugni:“So solo che è colpa mia.”


Passa qualche attimo di pace apparente, poi Harry riesce a vederlo, il mondo crollargli addosso, e poi Louis si prende la testa tra le mani ed inizia ad urlare, a dimenarsi in quella vasca troppo piccola per uno, figuriamoci per due.
E cerca di fermarlo, gli prende il polsi e lo scuote con forza.
Ma lui non da segno di voler smettere.
Così Harry con tutta la forza che ha lo tira di peso tra le sue gambe e lo abbraccia, lo abbraccia come se volesse davvero tenerlo insieme.
E Louis riesce ad aggrapparcisi ad Harry e dopo poco tempo è capace di smettere di tirare calci e pugni, però continua a tremare.
Trema e urla, perché quella sofferenza non lo fa più respirare.
E sa che non riuscirà mai più a farlo, perché senza di lui non può respirare.
Sente che Harry sta cercando di farlo sentire protetto, ma è tutto inutile, non è più al sicuro da nessuna parte.
Mentre la schiena di Louis è scossa dai fremiti, le dita dell'altro gli accarezzano delicatamente la spina dorsale troppo sporgente.


Sente come se ci fosse qualcosa all'altezza del petto che gli impedisce di muoversi, che gli grava addosso come un pesante macigno.
Grida. Pensa che così facendo butterà fuori ciò che lo sta opprimendo.
Ma semplicemente, non succede.
Allora i suoi spasmi aumentano se possibile ancora di più, perché la testa gli sta scoppiando e il cuore gli è ormai esploso e proprio non ce la fa più a trattenersi.
Avrebbe voluto e avrebbe dovuto stare lì, da solo, soffrire e basta.
Perché è infinitamente egoistico non provare un tale dolore sulla propria pelle quando hai lasciato che la persona a cui vuoi più bene al mondo se ne andasse.

 

“Oggi è il giorno del suo funerale”.
Passano trecentocinquantasette battiti del cuore di Louis e duecentosessantuno di quello di Harry prima che il primo riesca a ricavare uno spazio tra le grida per parlare chiaramente.
“Vuoi andarci?”, si affretta a domandare il riccio.
Lui non risponde, scuote leggermente la testa.
“Allora stai qui, con me.”
A Louis sembra di sentire che la presa del riccio sul suo corpo si sia serrata di più.


Immagina le facce di ognuno di loro.
Di ognuna di quelle persone che vivono lì che si aspettano di trovare il ragazzo del giovane defunto ad assistere a quelle cantilene su una persona che ormai non c'è più e che quindi non può nemmeno sentirle, quelle parole forzate.
Peccato che invece lui non ci sia.
Peccato per loro, tanto abituati al conformismo da non accorgersi che questa non è una cosa che rientra nella norma e a cui lui può semplicemente assistere senza fare altro.
È giusto soffrire profondamente, almeno questo, per lui.


Il suo cuore ormai distrutto sta pompando veleno per tutto il suo corpo e potrebbe quasi scommettere di vedere il sangue che scorre nelle vene divenire nero.
È così surreale.
Una persona teoricamente non può andarsene da un giorno all'altro, no?
Ma qui non si tratta di razionalità.
Si tratta di qualcos'altro, qualcosa che è al di sopra del suo sapere.
Ci sono certe persone che dicono che l'amore sia il sentimento più forte che una persona possa provare, che si insidia in tutte le fibre del tuo corpo fino ad arrivare al tuo cuore, alla tua anima, e a distruggerti dall'interno.
E se è così, l'amore che allora Louis prova per quel ragazzo è molto più intenso, reale, perché lo ha ucciso.
Nient'altro
Lo ha ucciso.


Gli ha sempre detto che sapeva che fosse un ragazzo forte.
Quello che però lui non sapeva è che Louis era forte solo in sua presenza.


“Spero che non abbia avuto paura.”, e lo spera davvero, è l'unica cosa che chiede a quel Dio in cui nemmeno crede.


Dicono, tra le tante teorie che vengono sputate fuori, che quando si muore si ci ritrovi circondati dal buio più totale.
Supplica non sa chi che non sia così, perché è il luogo peggiore dove riesce ad immaginarselo.
Altri sostengono che sia come addormentarsi, un sonno che dura un'eternità.
Si augura di no, perché lui la vita ha sempre voluto viversela, e passare il resto della sua esistenza come un'ameba non è sicuramente di suo gusto.
Stringe i denti e prega allora che l'amore della sua vita sia stato perdonato per tutto ciò che ha fatto di sbagliato.
Perché infondo, non era un cattivo ragazzo.
Spesso era arrogante, sfacciato, a volte maleducato, troppo orgoglioso, ma non cattivo.
Quando odiava una persona la odiava con tutto sé stesso sì, ma allo stesso modo quando ne amava un'altra lo faceva con ogni sua singola particella.
E amava in quel modo Louis.
Perciò dal punto di vista di quest'ultimo l'unico posto in cui davvero lui merita di stare è tra gli angeli più belli.
Prega che quel Qualcuno lo perdoni, perché onestamente, secondo Louis, può solo stare a cantare tra le creature celesti più belle.
Essere la più bella.
E adesso, dopo minuti in cui i loro corpi non hanno fatto altro che aderire sempre più uno all'altro, Harry si stacca e gli prende una mano.
“No, non ha avuto paura.”


Potrebbe sembrare strano, stupido, da pazzi pensarlo, ma il modo in cui il ragazzo pronuncia quelle parole fa credere a Louis che ciò che ha detto sia vero e, contro ogni previsione, si calma.
Di poco, ma lo fa.


È tutto così silenzioso.
Lo è da tre giorni e un po'.
Ricorda la sensazione che ha provato quando ha visto il suo corpo disteso e martoriato, anche se non se lo immagina
concretamente.
Un senso di vuoto.
Non tristezza, o rabbia, o sofferenza.
Solo vuoto.
Come se non potesse essere accaduto veramente, come se il suo sorriso non avesse smesso di splendere per sempre.
E poi il silenzio.
Le urla straziate ovattate da quella sensazione di completo disorientamento.
I suoi stessi passi lungo la via del ritorno a casa inudibili.
L'acqua in quella vasca contro la sua pelle, neanche percettibile.
Per adesso il silenzio è stato smorzato solo dalla voce calda di Harry, ma appena esso chiude bocca tutto intorno ricomincia a
vorticare.
I suoi occhi sono ancora troppo verdi, ma sta iniziando ad abituarcisi.

 

Solo ora si accorge di essere stretto da un altro, da un individuo che non potrà mai neanche lontanamente avvicinarsi a ciò che era lui, che come essenza vitale gli permetteva di respirare.
Nessuno potrebbe mai essere nemmeno comparato ad una persona così eterea
Per questo, come se si fosse scottato, si allontana con uno scatto da quel corpo estraneo fino a colpire con la schiena il marmo della vasca dietro di sé.
L'acqua si agita fino ad uscire e bagnare il pavimento, ma non importa.
Forse ha inzuppato anche Harry, ma nemmeno questo ha importanza.


Solitamente è un ragazzo educato Louis, ma questa volta non gli passa neanche per la testa di chiedere scusa al riccio.
Dovrebbe scusarsi per una cosa così futile, quando ha ben altro di molto più importante per cui sentirsi in colpa?


Harry sospira, si passa una mano tra i capelli e lo guarda con gli occhi lucidi.
Louis adesso, il viso pallido e le occhiaie troppo evidenti, si sta staccando le pellicine vicino alle unghie con tale veemenza che probabilmente risulta pazzo agli occhi dell'altro.
Quello però lo lascia fare, forse ha paura di compiere un gesto troppo avventato e terrorizzarlo.
Dentro di sé Louis ride, una risata amara, perché di certo non sarebbe quello a spaventarlo.
Quello che realmente lo spaventa è la consapevolezza che non sentirà mai più quel cuore battere contro il suo.
Fa male.
Devastato, è così che si sente.


“Louis, devi uscire da questa vasca. Sono passati tre giorni, non tre ore, tre giorni!”
Il più grande mentalmente lo corregge, perché in realtà sono passati tre giorni, un'ora e ventisette minuti, vede l'ora dall'orologio che ha appoggiato sul bordo del bagno.
“Non puoi startene qui dentro, senza far altro che pensare, pensare e pensare, senza però effettivamente dire niente. Non devi avere paura di mostrare i tuoi sentimenti! Tutti noi ci stiamo sentendo male, tutti noi capiamo come ti senti!”

 

E a quel punto Louis non ce la fa proprio a trattenersi, perché ciò che ha appena detto è la cazzata più colossale che abbia mai sentito: “Cosa? Spero che tu non l'abbia detto davvero! Nessuno, assolutamente nessuno capisce come mi sento! Nessuno sta provando ciò che sto provando io!”, le mani adesso serrate a bordo vasca e le ginocchia appena divaricate vicino al petto.
Un singhiozzo trattenuto risuona nella stanza.
Harry non si muove, lo guarda in silenzio.
Louis guarda in alto, corruga le sopracciglia, abbassa il viso tra le gambe, si prende la testa tra le mani, fa di tutto per cercare di non farlo, ma inevitabilmente scoppia a piangere.
Piange, per la prima volta da tre giorni, un'ora e ventotto minuti.
Non ce la fa più, vorrebbe non essere così debole, vorrebbe essere invincibile, impenetrabile, ma senza di lui al suo fianco
non ci riesce.


“Se lui non c'è più e non può più aiutarti a farlo, devi essere tu ad essere forte.”, afferma con decisione come se gli avesse letto nella mente.
Louis inizia a dubitare che non riesca a farlo davvero.
“Devi riuscire ad essere ciò che lui vedeva in te. Ad essere forte, ad affrontare ciò che ti aspetta, e, penso tu lo sappia, sicuramente non sarà facile, nonostante non sia più qui. Devi uscire da questa vasca, da questa stanza, da questo stato e pensare a ciò che lui ti diceva, alle cose belle, a come ti faceva sentire e cercare di ritornare ad essere come eri quando stavi con lui, perché ormai l'unica cosa che ti resta è la sua voce nella testa.”
Louis allenta la presa e si porta le braccia sotto le gambe.
Continua a singhiozzare, ovvio, ma le parole di Harry non smettono di rimbombare nella sua mente malata.
Perché ciò che ha detto è irreparabilmente vero e doloroso e lui non può far altro che annuire e dargli ragione.
E piange in modo tormentato, ma riesce comunque ad avvicinarsi al ragazzo ancora seduto lì davanti a lui e stringerlo a sé.
Corpi deformi, posizioni scomode, graffi sulla schiena, ma nel preciso momento in cui i loro cuori si scontrano, Louis riesce a smettere di pensare a lui e si focalizza solo sulla melodia che i loro battiti simultanei emettono.


L'acqua è ancora gelata, ma si sta riscaldando in quell'intrico di braccia e gambe bagnate.
Piange, anche se non vorrebbe, come se i suoi condotti lacrimali non facessero più parte del suo corpo ma fossero qualcosa di estraneo.
In realtà, è estraniato da tutto ciò che compone la sua struttura, perché quando vorrebbe staccarsi nuovamente da Harry perché è già stato consolato abbastanza, non si muove, neanche di poco, e continua a stare lì, avvinghiato a quel ragazzo che ha già visto e sa di conoscere ma che non ricorda.
Ci ripensa molto a quelle parole, Louis.
Ci ripensa perché fosse stato per lui avrebbe passato tutta la vita - che sicuramente non sarebbe durata molto - in quella vasca. Senza far altro che pensare a lui, alle cose belle, alle cose brutte, a tutto.
E standoci male, in ogni caso, perché gliel'hanno strappato via e quelle cose non potrà mai più riaverle indietro, qualunque esse siano.
Però sa che Harry ha ragione.


Louis in realtà non è mai stato forte.
Può rispondere a tono o mandare a fanculo delle volte, ma non è forte.
Però lui credeva davvero che Louis potesse affrontare qualsiasi cosa, che magari all'inizio sarebbe crollato, avrebbe sanguinato, si sarebbe distrutto, ma che poi avrebbe sempre trovato un modo per tornare in superficie.
E se lui ci credeva davvero, deve farlo anche Louis per primo. Almeno questo.
Perciò, nonostante le sue mani stiano sanguinando - Louis non ricorda esattamente cosa sia successo -, il suo cuore sia esploso, il sangue nelle sue vene sia nero e la sua testa non smetta un secondo di vorticare, si alza in piedi.
Non sa come abbia fatto a tirarsi su, perché le gambe gli stanno tremando davvero tanto, ma non ci riflette molto perché poi anche Harry lo segue ed è il primo ad oltrepassare il bordo.


“Louis, quando uscirai da qui cambierà tutto. Non ti preoccupare, puoi farcela.”
Sembra che gli occhi troppo verdi del ragazzo gli trapassino il cuore, che gli leggano nell'anima, nel momento in cui pronuncia quelle parole.
Gli porge una mano.


L'acqua è gelata.
Il marmo della vasca è ancora incredibilmente più freddo del solito.
I brividi non smettono di percorrergli tutto il corpo
Fuori, adesso, c'è addirittura il temporale.
Il suo telefono non squilla più da un bel pezzo ormai.
È morto, Louis.
E mentre gli afferra la mano, capisce cosa ci sia di strano in tutta quella situazione.
Perché Louis è davvero sempre riuscito a rialzarsi ogni volta che è caduto, a riprendere la sua vita che solo con lui era
davvero libera, ad andare contro il mondo per ciò in cui crede nonostante dentro si stesse deteriorando.
Ma Louis, ognuna di quelle volte, non è mai morto all'interno.
Però ora si, ora sente che il suo cuore ha smesso di battere.
Che la sua testa ha smesso di girare.
Che le sue gambe non tremano più.
È sul pavimento scivoloso, guarda Harry che gli sorride e:“Ce l'hai fatta”, dice questo, e Louis non sente più nessun peso all'altezza del cuore.
Si accorge di non star nemmeno più piangendo.
E in tutto quello, non si sente più un insulso egoista.
Continua a guardare negli occhi di Harry, che ora iniziano a piacergli.
Non ha paura.


“Louis, tu sai chi sono.”, dice con un accenno di speranza nella voce.
Ovvio che lo sa, ora sa tutto.
Si gira e guarda nella vasca.
Vede il suo stesso corpo lì dentro, lo vede galleggiare sul livello dell'acqua fredda.
Ma è come se non fosse lui.
Ancora, non ha paura.
“Sei morto, quando sei andato sott'acqua. Dal momento in cui mi hai visto sei morto, era solo questione di tempo prima che
uscissi e venissi con me, in questa dimensione. Quello era soltanto un luogo di transazione”, spiega l'ovvio con quella voce che se non è di un angelo risulta comunque angelica alle sue orecchie e Louis non si concentra più di tanto sulle sue parole, perché già sa.

 

Ricorda che lui è Harry e che Harry è lui.
E non può far altro che avvicinarglisi e tirarlo a sé e stringerlo e avvolgerlo e abbracciarlo e baciarlo.
E si sente riempire il cuore, come se questo si stesse ricomponendo anche se non batte più, ma l'unica cosa di cui ha bisogno
è di Harry, di lui, e quindi anche se il sangue non è nero ma non scorre nemmeno più nelle sue vene, è felice perché ha sempre detto che avrebbe dato tutto per potergli stare accanto perché era l'unica cosa che contava, e Louis oltre che non essere maleducato non è nemmeno un bugiardo.
Non sa cosa succederà, ma non si sente più vuoto e niente è più silenzioso.
Sente chiaramente Harry sussurargli pronunciando nuovamente quelle parole:“Davvero Louis, non ho avuto paura quando sono morto. Te l'ho sempre detto che non ne avrei avuta perché sapevo che sarei andato in un posto migliore.”
E a Louis un sorriso riesce ad apparire sul viso ancora pallido, nonostante Harry non possa vederlo da quella posizione.


Non sa se si trova all'inferno, in paradiso, in un mondo ultraterreno, o chissà cos'altro. Quello che sa è che qualunque cosa quel posto sia, è casa.
È casa, perché è luogo magnifico, luogo famigliare, luogo di felicità.
Perché Harry, anche se evidentemente Dio non esiste, è un angelo, forse il primo, o forse il più bello tra altri di cui Louis ancora non conosce l'identità.
È casa, perché Harry è casa.

 

 

   
 
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