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Autore: TrisNataliePrior    03/04/2015    1 recensioni
Faustina crede di essere la più sfortunata ragazza al mondo. La ciccia, gli occhiali, i denti storti, E PER DI PIU IL NOME! Non ne può proprio più! In questa storia capiremo come si sente, e spero che vi faccia strappare un sorriso ^-^
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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FAUSTINA

 
Le avevano messo quel nome ingombrante perché era nata il giorno di San Faustino e a papà e mamma faceva difetto la fantasia. Un nome che aveva detestato fin da piccola. Già mal sopportava gli occhiali, la ciccia e i denti storti, figurarsi quel nome!
Alle superiori, aveva scoperto che come lei si chiamava la moglie dell’imperatore Marco Aurelio. Una gran puttana, come molte matrone dell’Età Aurea dell’Impero. Mentre il suo augusto consorte era impegnato al fronte o chiuso nei suoi appartamenti a meditare, mica per altro l’avevano soprannominato l’Imperatore Filosofo, la santa donna si faceva trombare dai gladiatori. Queste cose i libri di scuola non le dicevano, lei le aveva scovate per caso scartabellando un’enciclopedia. Comunque, doveva trattarsi di notevoli pezzi di fusti, stando a quel che “Spartacus” e certi filmacci mitologici da quattro soldi che davano al cinema parrocchiale le avevano mostrato. Mentre il povero Marco Aurelio, come tutti gli intellettuali, a dispetto delle statue che lo ritraevano ieratico e solenne in sella al suo cavallo, era sicuramente secco, allampanato e stortignaccolo.
Cresciuta ancora un po’, un altro cataclisma le si era abbattuto sulle spalle. San Faustino, la cui ricorrenza cade i115 febbraio, da certi immondi speculatori per i quali ogni occasione è buona pur di festeggiare e smerciare profumi e cioccolatini, era stato consacrato, senza neppur scomodare il Papa, santo patrono dei single per il semplice motivo che il giorno prima gli innamorati celebravano, in nome dell’identica tradizione speculativo-commerciale, San Valentino. E lei era costretta a festeggiare tutti insieme compleanno, onomastico e festa degli spaiati manco a dirlo senza uno straccio di fidanzato. Del resto, chi l’avrebbe voluta, con gli occhiali spessi così e la sagoma da cubo di Rubik?
A vent’anni aveva buttato giù qualche chilo ed era passata alle lenti a contatto. Ma la sua situazione sentimentale non era cambiata di una virgola. Mai superata la fase adolescenziale delle cotte, continuava a vivere grandi e tempestosi amori a senso unico per l’idraulico, il giornalaio, il vicino del piano di sotto, l’istruttore dell’autoscuola…Poi finalmente a trent’anni, aveva deciso di metterci una pietra sopra per non soffrire più. Ma, quando pioveva, veniva assalita da dolorosi attacchi di malinconia: se questa pioggia fosse il prologo del Diluvio Universale, pensava, io sarei l’unico animale a salire e a scendere scompagnato dall’ Arca di Noè.
Alle amiche dava a intendere d’essere felicissima della sua condizione. E chi sta meglio di me? Diceva. Vado dove voglio, faccio quello che voglio, non devo preoccuparmi del moccio dei marmocchi né lavare la biancheria sporca del Signore e Padrone. Il quale magari da fidanzato è carino e gentile e poi, dopo sposato, subisce una brusca metamorfosi e ti si trasforma sotto gli occhi in un panzone insensibile e indifferente, che non si degna di aiutarti nel disbrigo delle faccende, si dimentica compleanni e anniversari, butta la cenere sul pavimento appena lucidato, rutta a tavola e scoreggia a letto…Nooo, Dio ce ne scampi, meglio sola che male accompagnata. Ma le carogne avevano capito benissimo che la sua era tutta una finzione: come la volpe della favola, disprezzava un bel grappolo d’uva per il semplice motivo che non arrivava a prenderlo. E, purtroppo, avevano ragione.
Dall’età di venticinque anni, lavorava come applicata di segreteria alla scuola elementare “Edmondo de Amicis”.Molte delle sue amiche avevano conosciuto il compagno della vita sul posto di lavoro, e lei era stata sfortunata anche in quello: gli unici maschi, lì dentro, erano il direttore didattico, un bidello e tre insegnanti. Tutti quanti sposati. E inguardabili, non bastasse il resto.
Era arrivata ai trentasette anni ancora zitella, romantica e illibata. Questo malgrado la sua amica Betta, che il pollo, lo aveva già accalappiato, si dedicasse con zelo missionario al compito di cercarle decorosa e soddisfacente sistemazione.
L’operazione marito era cominciata con un radicale restyling. Punto uno, dieta. Che le aveva consentito di perdere due chili ma era stata interrotta dopo appena una settimana: diamine, non si può chiedere a una zitella disperata di rinunciare all’unica gratificazione a cui le sia consentito aspirare, pizzette, tramezzini, bibite gasate e dolciumi. Agli uomini piacciono le ragazze belle rotondette, l’aveva consolata Betta, che era snella come un giunco malgrado avesse fatto due figli e abituale frequentatrice di palestre, campi da tennis e scuole di ballo latino americano. Lì, comunque, lei non si sarebbe lasciata trascinare neanche con una pistola puntata alla tempia e un cane idrofobo alle calcagna: si era sempre sentita goffa, e poi a esibirsi in pubblico a tempo di quelle musichette stupide si vergognava troppo. Accantonati balli e palestre, Betta l’aveva convinta ad abbandonare maglioni extralarge, tacchi bassi e gonnellone nere per passare a qualcosa di più carino e intrigante. Non troppo convinta, le aveva dato retta. Quindi, con l’entusiasmo di un manzo condotto al macello, l’aveva seguita dal parrucchiere. Il coiffeur più costoso della vicina città le aveva approntato un’acconciatura che sembrava un cavolo verza, ma lei non si era lamentata.
Giunse poi il momento in cui Betta cominciò a presentarle amici, parenti e colleghi scapoli. E Faustina a domandarsi come potessero, lei e il marito, frequentare una tale, patetica accozzaglia di disperati. Uno pendeva come la Torre di Pisa, un altro le arrivava a malapena alla spalla ( e dire che lei non vantava la statura di Nicole Kidman), un terzo era talmente peloso da poter accampare parentele prossime con lo Yeti senza timore d’essere smentito, un altro ancora aveva un alito così puzzolente che avrebbe potuto sterminare una mandria di bisonti con una sola sfiatata. Il quinto era un bravo ragazzo, con un’ottima posizione e perfino un aspetto passabile, tuttavia…Zitella sì. Disperata pure. Ma in età feconda e non ancora completamente scimunita: come poteva, a ragion veduta, accasarsi con uno che di cognome faceva Del Cul? Come poteva entrar di sua spontanea volontà nell’illustre casata e mettere al mondo tanti piccoli, rosei, paffuti, angelici e innocenti Del Cul?…In breve, non se ne fece niente. Forse Betta pensò male di lei, ma non glielo diede a vedere. Continuarono a restare buone amiche e a frequentarsi.
Un giorno, Betta le chiese di accompagnarla al cinema. Davano “Il Gladiatore” e i suoi figli, due gemelli dodicenni che adoravano i film d’azione, le avevano fatto una testa così. Perché non vieni anche tu? Non aveva di meglio da fare, e andò. La pellicola non le piacque un granché, troppo lunga e violenta per i suoi gusti, ma il protagonista, un fusto con gli occhi azzurri e un paio di spalle da urlo, da solo valeva i sei euro del biglietto. Trovarlo, uno così…Se lo sarebbe pigliato seduta stante si fosse pure chiamato Russell Del Cul invece che Russell Crowe.
Sognare non costa niente, ma purtroppo di sogni non si vive. Le giornate andarono avanti monotone per alcuni mesi, finchè Internet non fece irruzione nella sua esistenza. Un nipote col pallino dell’informatica le aveva regalato il suo vecchio pc e lei scoprì l’universo sconosciuto delle chat lines per cuori solitari, che si dedicò ad esplorare con grande entusiasmo e qualche dispiacere segnato sulla bolletta telefonica.
Lì dentro c’era di tutto: anche i porci che la fecero arrossire con le loro proposte esplicite e indecenti. Ma, nonostante quel che si leggeva sui giornali a proposito delle conoscenze raccattate in chat, Toni le era piaciuto da subito. Potrebbe essere un ragazzino, una donna…Potrebbe essere chiunque, anche il Mostro di Firenze. Potrebbe… Ma lei si era fidata del suo istinto e aveva continuato a frequentarlo per via telematica. Gentile, un po’ timido, mai indiscreto…Un signore. Ci avrebbe messo la mano sul fuoco che era pure ricco. A conoscenza virtuale ben avviata, le aveva proposto di mandargli una sua fotografia, ma Faustina con mille scuse, la più frequente e la meno plausibile delle quali era che non ne possedeva di abbastanza recenti, aveva sempre evitato di farlo, nonostante lui dicesse, da quel signore o da quell’ipocrita che era, che di una donna gli interessava solo la bellezza interiore.Un giorno, senza prendersi troppo sul serio, fu lei a chiedergli una fotografia. E, invece di cavarsela in corner con scuse cavillose, lui gliela mandò, via e mail.
Le mani che tremavano sul mouse, Faustina aprì l’allegato. Gli occhi, a momenti, le schizzarono fuori dalle orbite, quando, sotto il suo sguardo incredulo, vide materializzarsi l’immagine di un giovane dagli scintillanti occhi azzurri,il sorriso simpatico, il mento volitivo incorniciato da una morbida barbetta. Portava i capelli più lunghi di lui, ma, per il resto, era identico al fascinoso protagonista di quell’interminabile polpettone pieno di morti ammazzati che si era sorbita alcuni mesi prima.
Non osò chiedergli un appuntamento per conoscerlo davvero. Non sta bene, le avevano insegnato, una donna non deve mai fare il primo passo, se non vuol’essere tacciata di scarsa serietà. Ma quando il primo passo lo fece lui e le propose di vedersi l’indomani al bar della stazione per prendere un caffè e scambiare quattro chiacchiere, lei toccò il cielo con tutte le dita, comprese quelle dei piedi. Ma perché, si domandò, lui le aveva detto “”Non vorrei deluderti”?
Il giorno seguente era il 15 febbraio. La sua festa e quella degli spaiati. Ma, da quel momento, avrebbe rappresentato lo spartiacque tra la vecchia e la nuova vita: le amiche non le avrebbero più spettegolato alle spalle, Betta avrebbe smesso di proporle impresentabili individui ipertricotici, con l’alito fetido e il cognome ridicolo. Nessuno, maschio o femmina che fosse, avrebbe più osato ridere di lei. Anzi, tutti l’avrebbero invidiata. A ragion veduta. E, soprattutto, se fosse scoppiato il Diluvio Universale, sarebbe salita e scesa dall’Arca di Noè in compagnia di un sontuoso maschione invece che spaiata.
“Per farmi riconoscere, porterò una copia de “L’alchimista” “. Ma non ce ne sarebbe stato bisogno, si ritrovò a pensare Faustina, quando mai non avrebbe riconosciuto quell’apollo? Sarebbe stato impossibile non riconoscerlo alla stazione Termini nell’ora di punta, figurarsi nella stazioncina del paese, che se non rassomigliava a quella di “Destinazione Piovarolo” poco ci mancava.
Si era agghindata con il meglio del suo guardaroba e truccata di tutto punto. Chissà, forse lui l’avrebbe trovata brutta e grassa, si ritrovò a pensare, guardandosi intorno. Dentro il bar, non c’era nessuno che potesse somigliargli e che tenesse in mano una copia de “L’alchimista.”
Faustina aguzzò gli occhi e lo vide. Portava con sé il mattone che aveva consentito a Coelho di guadagnare i miliardi a palate, ma per il resto era diverso da quel che credeva e sperava come il giorno dalla notte. Piccolo. Spelacchiato. Brutto senza remissione e pure abbastanza avanti con gli anni. “Non vorrei deluderti”. Faustina comprese tutto. Era stata ingannata. Maledetto sia Internet e maledette le chat lines per cuori solitari, pensò, sgattaiolando via dalla stazione alla chetichella.
Fuori, una fastidiosa pioggerellina aveva cominciato a cadere. Il prologo del Diluvio Universale?
   
 
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