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Autore: Nymphna    04/04/2015    2 recensioni
Henri de Sagran e la sua vita da ragazzo, la sua amicizia con Julien e il suo amore per Angelique. Il motivo per cui ora è così freddo e rigido.
*Spin Off di Le Parfait Amour, leggibile singolarmente*
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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À partir de Croquis

 

Henri e Julien rientrarono all'albergo che si intravedevano già le luci dell'alba oltre i tetti della città, ridendo a crepapelle. La serata era stata una delle più divertenti che entrambi avessero mai trascorso, anche se nessuno dei due era davvero certo di ricordarsi l'accaduto con lucidità.

Salirono le strette scale che portavano alla loro stanza sorreggendosi l'un l'altro e per poco non caddero aprendo la porta. Henri si lasciò cadere sul letto a pancia in giù, la faccia immersa nel morbido cuscino. Julien si preoccupò di chiudere la porta a chiave prima di raggiungerlo e gettarsi sul materasso con un urlo che li fece nuovamente sghignazzare. Erano spensierati, allegri e sereni come ogni ragazzo intorno ai vent'anni, sensazioni accentuate dalla serata ai limiti del decoro che avevano appena trascorso.

I due rampolli dell'aristocrazia francese erano cresciuti insieme come fratelli. Le loro tenute di campagna erano vicine e i loro caratteri affini, perciò non c'era voluto molto prima che si incontrassero, ognuno perso nei propri sogni di gloria. Da quel giorno di molti anni prima erano diventati inseparabili. Avevano studiato insieme ad ora, all'alba di uno di quei giorni che avrebbero cambiato per sempre le loro vite, erano stesi in un letto dopo una notte di bagordi.

Julien era chiaramente il più bello fra i due: i capelli scuri come l'ala di un corvo e i vispi occhi azzurri, uniti a un sorriso arrogante, lo rendevano davvero irresistibile. Ogni volta che partecipavano a un ballo o a una festa era sempre il più corteggiato, il più desiderato, l'uomo da non lasciarsi sfuggire. Julien era un marchese e anche i suoi soldi facevano gola. Il ragazzo ne approfittava il più possibile. Quanto ad Henri, barone ma non meno economicamente appetitoso, aveva in testa una chioma di capelli biondicci e un paio di occhi grigi che, a detta di alcune ragazze, sembravano gelidi. Sapeva di non avere l'arroganza né la spregiudicatezza di Julien, ma era un cinico e non perdeva occasione per usare il sarcasmo: era la sua arma preferita.

Non quella sera.

Il giorno precedente, verso l'ora di colazione, il padre di Henri aveva richiesto la presenza del figlio per annunciargli che la sera successiva avrebbe dovuto cenare a casa con la sua promessa sposa. Aveva così scoperto che entro breve sarebbe diventato un marito e che avrebbe probabilmente avuto dei figli.

"Il vecchio si è reso conto che i giorni dinnanzi a sé cominciano ad essere di meno. Credo abbia bisogno di rassicurarsi che il suo unico figlio non sia un totale spostato: domani conoscerò la donna che avrà l'onore di darmi la sua mano". Questo aveva scritto a Julien, per trovarselo in casa meno di un'ora dopo, affascinante come sempre. Era stato trascinato a Parigi, dove avevano preso una camera di albergo, per poi cominciare il giro di tutte le locande della città, a suo parere. Avevano cominciato da una birra stantia che avevano faticato a bere, erano passati attraverso vini di dubbia origine e altri alcolici di cui non conoscevano il nome, per arrivare alla tappa finale: un bordello di lusso con un padrone ansioso di portare tutti i clienti in stato di ubriachezza. Aveva offerto lui stesso ai ragazzi qualcosa da bere e aveva consigliato loro due fra le migliori prostitute della casa. Alla fine erano tornati a bere.

«Bisogna dire addio alla libertà, mon ami, bisogna salutare la tua futura vita coniugale con tutti gli eccessi di cui puoi usufruire. È la vita.», aveva detto Julien, così erano partiti per locali.

In fondo non erano altro che due ragazzi, e per nessuno dei due un matrimonio perfettamente normale era il coronamento dei sogni. A dire la verità avevano entrambi idee piuttosto simili sull'amore: volevano trovare una donna appassionata, una di quelle in grado di sedurli con un solo sguardo, una al limite della decenza, e vivere con lei un amore intenso e profondo che li avrebbe portati a farsi invidiare dalla totalità della nobiltà francese. Sapevano entrambi che quelli sarebbero stati solo sogni. Henri ne aveva avuto la conferma il mattino precedente. Il padre l'aveva già promesso, senza nemmeno consultarlo. Non si sarebbe opposto, anche perché sapeva che la maggioranza dei nobili aveva più di un'amante che incontrava regolarmente, perciò vedeva una scappatoia nel piano paterno. Quanto alla ragazza, sperava che fosse perlomeno carina.

«Accasato a ventiquattro anni, Henri... avrai tutto il tempo del mondo per avere figli» mormorò Julien a occhi chiusi, nella penombra. L'altro ridacchiò.

«Suppongo che tu intenda "per concepirli". Non sono del tutto convinto che crescerli sia la parte che preferiresti» Julien si girò sogghignando, reggendosi su un gomito.

«Sono felice che l'alcool non ti abbia confuso, sul tuo migliore amico» il moro fece una smorfia e il suo viso prese una sfumatura verdognola che significava solo che il conto per tutto ciò che aveva ingerito era arrivato. Si appoggiò una mano sullo stomaco, poi si lasciò ricadere sul letto con un gemito. «Perché bere è così bello ma poi ti fa stare male per giorni?»

«Un po' come il matrimonio, non pensi?» Julien scoppiò a ridere. Henri rimase però più serio, un pensiero indefinibile che gli fluttuava nella mente ma a cui non riusciva a dare una forma. C'era qualcosa che non riusciva a comprendere, non del tutto... una nota stonata in tutto ciò che lo aspettava. Sospirò profondamente e cercò di ignorare le domande indiscrete dell'amico. «E va bene! Stavo pensando che è finita, d'accordo? Finita. Non ci saranno più le nostre gite ai bordelli, le gare di bevute, le pisciate dietro gli angoli e i balli a cui ci infiltravamo. Ora io diverrò... rispettabile. E prima o poi capiterà anche a te.»

Nella stanza cadde il silenzio. Quella notte avevano festeggiato, riso, fatto a pugni, scopato e bevuto, tutto all'eccesso. A Henri sembrava di ricordarsi di essersi ritrovato a cavalcioni di Julien, a un certo punto, e di aver schivato miracolosamente un destro pericoloso. Ricordava anche che qualcuno li incitava e di una fuga precipitosa in un momento indefinitamente successivo. Si erano divertiti tantissimo insieme. Si erano rivelati le verità più sconcertanti e si erano fatti forza. Avevano affrontato praticamente tutto insieme e ora si ritrovavano davanti la prova più dura della loro esistenza: il raggiungimento della maturità.

«Rispettabile... fa schifo, come parola, eh?» Julien fissava il soffitto, un po' pallido in viso. Henri si voltò a guardarlo. Il moro sospirò. «Non sono sicuro di volerlo essere veramente»

«No, nemmeno io.» rimasero in silenzio per qualche tempo, abbastanza perché si addormentassero entrambi.

 

Henri era tornato a casa indecentemente tardi, il giorno seguente. Aveva varcato la soglia di casa quasi timoroso di essere ripreso, come quand'era piccolo e compiva qualche marachella. Era certo di non avere una gran bella cera. Passando davanti a uno specchio della villetta si rese conto che palesemente malridotto non poteva che essere un eufemismo. I capelli biondicci erano spettinati dal primo all'ultimo e sembrava che in testa avesse il nido di qualche uccello. Occhiaie bluastre si presentavano sotto gli occhi e il viso era pallidissimo. Si avvicinò allo specchio per esaminare meglio lo zigomo tumefatto, il labbro spaccato e il sopracciglio tagliato.

«Oh, merde...» mormorò fra sé e sé mentre provava a sfregarsi via la crosta sulla bocca. Non riuscì ad ottenere nemmeno un risultato mediocre. Tutto ciò che concluse fu che la ferita cominciasse nuovamente a sanguinare. Alla fine lasciò perdere la sua immagine allo specchio e si diresse verso la sua stanza. Doveva farsi un bagno, vestirsi e truccarsi. Forse con un po' di cipria sarebbe sembrato ridotto meglio, sempre che fosse riuscito a richiudere quei maledetti tagli...

«Henri!» la voce tonante del padre lo congelò a un paio di passi dalla porta della propria stanza. Si girò con un sorriso e l'uomo fece un profondo sospiro. Il ragazzo era sicuro che gli avrebbe tirato un manrovescio piuttosto ben assestato, se solo fosse stato ridotto meglio. «Henri, voglio sapere dov'è finito uno dei tuoi denti e che cosa diavolo hai fatto per ridurti così. Non dovevate passare una notte a Parigi per incontrare un amico di ritorno dal viaggio di fine studi?»

«Sono caduto da cavallo» mentì il ragazzo. Il padre strinse le labbra: non ci sarebbe mai cascato.

«Fila a prepararti. Arriveranno alle sette, e sai che ore sono?»

«Le cinque e mezza, padre»

Aprì la porta della sua camera, mentre il monsieur di Sagran si preoccupava di lanciargli un altro urlaccio, giusto per ricordargli che era al limite di ciò che un uomo potesse sopportare. Il ragazzo tirò subito il cordone che serviva a chiamare i servitori, che accorsero in breve tempo. Chiese un bagno caldo, questi corsero via a preparare l'acqua. Henri si sbottonò la giacca, si tolse i pantaloni sporchi e strappati e calciò lontano gli stivali. Le calze una volta di cotone bianco erano ormai quasi nere e le sfilò per buttarle in un punto indefinito della camera. Si posizionò quindi davanti allo specchio per analizzare il resto del corpo. Aveva diversi lividi, come sospettava. Sperò che passassero in tempo per il matrimonio: non sapeva come fosse la sua promessa sposa, ma non voleva rischiare di fare la figura del ragazzo scapestrato. I servitori tornarono e versarono l'acqua nello spogliatoio lì vicino, dentro una delle piccole vasche di ferro che il padre aveva acquistato. Se ne andarono tutti, tranne uno, quello che avrebbe dovuto essere il suo cameriere personale, se Henri avesse avuto più predisposizione per la vita nobile, che gli pettinò i capelli. Fu un'esperienza dolorosa, ma quando uscì dalla vasca, almeno, il ragazzo non puzzava più né di alcool né di sudore e non era più sporco. I suoi capelli erano di nuovo lisci e ben pettinati.

«Portami della salvia. Non posso presentarmi con l'alito che sa ancora di vomito» ordinò al ragazzo, che sparì oltre la porta. Henri si occupò, nel frattempo, di indossare l'abito che suo padre gli aveva comprato per l'occasione. Si fece scorrere fra le dita per un momento la leggera seta azzurra, poi si morse un labbro e si preparò alla vestizione. Indossò prima la biancheria, assicurandosi che fosse stretta per non mostrare eventuali segni di lasciva debolezza maschile, poi le calze e infine i calzoni. Ebbe paura di romperli ogni momento in cui li tirava verso l'alto -era forse ingrassato, ultimamente?-, poi venne la volta della candida camicia e del panciotto. Il servitore arrivò quando ormai era del tutto abbigliato. Si guardò nello specchio, mentre si spingeva in bocca qualche foglia di salvia e cominciava a masticare. Non era così male, anzi. L'azzurro gli donava e sembrava ora decisamente meno pallido di prima. I decori oro riprendevano il colore dei suoi capelli e le scarpette lo facevano svettare più in alto del normale. Si avvicinò a una sedia e si tirò indietro i capelli con le dita. «Ora truccami... spero di non sembrare uscito da una festa in maschera, alla fine» ordinò ancora.

Per quanto Henri detestasse il trucco, era anche una delle poche speranze che aveva di apparire un bravo ragazzo, almeno in quell'occasione. Si fece apporre una buona dose di cipria sulla pelle, e quando si guardò allo specchio sperò di non essere troppo bianco. Gli venne apposto un po' di colore sulle guance per rimediare, non troppo o sarebbe parso una bambola. Le labbra erano però rimaste poco coperte e la ferita si vedeva ancora, così come quella sul sopracciglio.

«Forse devo usare più trucco?» si domandò, figurandosi le risate di Julien, in caso l'avesse visto. Alla fine optò per definire le sopracciglia e nascondere le labbra sotto il colore che aveva usato per gli zigomi. Alla fine era abbastanza soddisfatto del risultato. Decise di apporre anche un neo finto su un lato della bocca. Il servitore non attese che i suoi capelli si fossero asciugati, ma cominciò subito a cospargerli di cipria, ottimo modo per lasciarglieli bianchi per un sacco di tempo. Aveva quasi finito, ed Henri cominciava ad annoiarsi anche del giornale che stava leggendo, quando qualcuno bussò alla porta. Il viso del padre si incastonò fra il muro e il legno.

«Henri, scendi immediatamente al piano di sotto. Sono al cancello.»

«Ma i capelli...» protestò il ragazzo.

«Al diavolo i capelli. Voglio vederti nell'entrata nel giro di un minuto.»

Henri sbuffò, strappò la spugnetta pelosa dalle mani del servitore e se la tamponò con energia sulla testa, notando che i capelli parevano comunque biondi qua e là. Aprì un cassetto e ne tirò fuori un nastro, scese le scale che ancora finiva di legarsi i capelli in una coda sotto la nuca. Quando arrivò il padre gli lanciò un'occhiata severa, che sparì appena la porta d'entrata si spalancò per far entrare gli ospiti.

A capo del gruppetto c'era un cinquantenne che indossava un ridicolo parrucchino bianco. Henri detestava quel genere di cose. Era convinto che finché i capelli restavano attaccati alla testa, bisognava sfruttarli, non tagliarli. Si inchinò davanti a lui, accorgendosi di non avere il cappello: era ormai tardi per recuperarlo. Si accontentò di sfiorare il proprio ginocchio con la punta del naso, in una dimostrazione di rispetto al limite del ridicolo. L'uomo parve soddisfatto. La seconda persona ad entrare fu una donna dal viso talmente equino che per un momento il ragazzo disperò di trovare una moglie perlomeno carina. Cercando di evitare il più possibile di guardare i denti sporgenti dell'ospite si inchinò sulla sua mano guantata e la sfiorò con le labbra. Quando si alzò vide la sua promessa sposa.

Di sicuro non si presentava come lui l'aveva immaginata. Era piuttosto bassa e minuta, dalla pelle pallida e i tratti da bambola, compreso il viso a cuore. I capelli erano castani e perfettamente arricciati sotto la cuffietta, alcune ciocche le ricadevano sul petto e sulle spalle, parecchio lunghi. Nonostante la scollatura fosse piuttosto pronunciata, non era eccessiva e anzi sottolineava la collana di perle che portava al collo. L'abito era rosa, decorato da pizzo candido sulla scollatura e alla fine delle maniche, sul gomito. La gonna era piuttosto larga, ma non troppo appariscente e quando camminava sbucavano le eleganti scarpine foderate di stoffa bianca, il cui fiocco era perfettamente abbinato al resto dell'abito.

Quando gli occhi scurissimi di lei si incontrarono con quelli grigi di Henri, questi capì che non l'avrebbe mai tradita con nessun'altra. La ragazza arrossì, lui si inchinò e le prese con delicatezza la mano nella sua.

«È un piacere conoscervi, mademoiselle» mormorò, sperando che nessun altro avvertisse il tono suadente che aveva provato a donare alla voce. Lei ridacchiò.

«Il piacere è tutto mio, monsieur» la sua voce era da soprano e sembrava quasi quella di una bambina. Il signore di Sagran fece le presentazioni.

«Questo è nostro figlio, Henri, di cui abbiamo parlato la scorsa settimana. E la vostra Angelique... si, di certo il quadro che avete nell'ufficio non le porta giustizia» commentò soddisfatto. Henri pensò che per una volta il padre avesse ragione.

 

La sera era trascorsa in una sorta di sogno. Avevano rispettivamente mangiato al tavolo, tutti insieme, gli uomini che parlavano di affari e le donne di pettegolezzi. Henri era rimasto quasi muto tutto il tempo. Non voleva fare la parte dello scemo, ma ogni commento gli sembrava da perfetto idiota. Elogiare la cucina sarebbe stato da vanitosi, farle altri complimenti da libertino; quanto agli affari, non era così ferrato né in politica né in economia, perciò rischiava di dire una sciocchezza e di venire redarguito dal padre. Dopo cena si spostarono tutti nel salotto e mentre gli uomini bevevano alcool le donne e Angelique ammiravano i fiori e gli abiti l'una dell'altra.

Henri voleva rimanere da solo con la ragazza per un paio di minuti. Aveva deciso di baciarla entro la fine della serata da quando l'aveva vista, ma lui non era così bravo a occuparsi di quei dettagli tecnici: erano la specialità di Julien. Quando si imbucavano ai balli e trovavano qualche ragazza ben disposta, il ruolo di Henri era quello di distrarre l'eventuale chaperon per poi accompagnarla a cercare la ragazza, sparita da qualche parte insieme all'irriverente moretto. Era il momento giusto per provare a concludere qualcosa, se riusciva a dire le parole giuste. Peccato che in quel caso non ci fosse l'aiuto dell'amico. Pensò di attirarla fuori con una scusa, e alla fine pensò che l'unica cosa che una ragazza avrebbe voluto vedere erano i fiori. Le si avvicinò piuttosto convinto.

«Vorreste ammirare i fiori del giardino? Ce ne sono di quelli che si aprono solo di notte, questo è il momento ideale per goderne» domandò con indifferenza, lo sguardo perso nel calice di vino che aveva quasi finito cercando di farsi coraggio. La ragazza alzò gli occhioni scuri su di lui con una certa ritrosia.

«Intendete... da soli?» Henri soffocò l'impulso che lo spingeva a dirle che si, certo, con chi altro dovevano uscire? Non era certo una comitiva. Le rivolse il sorriso più rassicurante che fu in grado di tirar fuori, cosciente che sembrasse comunque quello di una vecchia volpe.

«Potremmo chiedere a vostra madre di unirsi. Sono certo che sarebbe affascinata dalle composizioni che ha disegnato il nostro giardiniere. Madame, maman... vorreste per caso prendere una boccata d'aria nei giardini?» domandò poi a voce più alta vedendola rassicurata.

«Sarebbe un'ottima idea! Chissà perché non ci ho pensato prima!» esclamò l'allegra madre di Henri, donna dalla quale lui aveva ereditato il colore di capelli. Era una grande appassionata di botanica e il ragazzo sperava vivamente che avrebbe intrattenuto a dovere la donna dal viso equino. «Caro! Noi andiamo a fare una passeggiata in cortile» annunciò alla fine rivolto al marito, che non si distrasse dalla conversazione con l'amico se non per un cenno della mano. Soddisfatto, Henri aprì la porta e le fece passare tutte e tre prima di richiuderla alle sue spalle. Le tre donne presero degli scialli per coprirsi le spalle, dopodiché uscirono tutti e quattro nel giardino. Non ci volle molto prima che la madre di Henri si mettesse a divagare su ogni specie botanica presente, mentre l'altra la ascoltava con annoiato rispetto. Lui ne approfittò per allungare leggermente il passo e portarsi leggermente lontano dalle due.

«Oh, forse ci stiamo allontanando troppo...» disse la ragazzina a un certo punto. Henri si girò e la guardò con occhi ardenti. Lei lo guardò per un momento come se ne avesse quasi timore, poi fece una risatina.

«Che succede?» domandò Henri con voce roca, un po' punto sul vivo «Vi fa forse ridere il battito del mio cuore?»

«Certo che no, monsieur, piuttosto stavo pensando che mi sento come un topolino preda di un gatto. Sono così inesperta di pratiche amorose che non riesco nemmeno a mantenermi seria, perdonatemi.» ci volle qualche momento prima che riuscisse a trovare la serietà necessaria per mettere insieme un'altra frase, mentre Henri soffocava urla di giubilo: sicuramente si sarebbe dedicata a lui con tutta l'anima, così facevano le ragazze che non conoscevano il mondo dell'amore, cadevano fra le braccia del primo che dimostrava loro attente emozioni. Gli bastava solo calcare un po' la mano, quanto bastava, non troppo.

«Siate sincera: vi aspettavate un altro tipo di promesso?» le domandò Henri, ricominciando ad incamminarsi, accorgendosi che le madri stavano andando verso la loro direzione. Aveva bisogno di un po' più di tempo. Pregò la madre di trovarsi sotto il naso l'ennesimo, interessantissimo "miracolo botanico".

«Onestamente si, monsieur, per qualche motivo mi aspettavo che foste più vecchio» fu il turno di Henri di ridere di gusto. Si domandò che cosa le avessero messo in testa suore, madri e parenti varie. Lei gli lanciò un'occhiata timida, le guance che si erano deliziosamente colorite. «Invece siete piuttosto giovane e affascinante, ed è stato sorprendente»

«Anche voi siete molto più bella di quanto mi aspettassi, Angelique» lei si arrestò quando Henri utilizzò il suo nome proprio, e lui dovette fare altrettanto dato che erano a braccetto. Lo guardò quasi impaurita.

«Pensate sia... corretto, chiamarmi con il mio nome di battesimo?»

«Mai errore fu migliore, mademoiselle, entro poche settimane saremo sposati e possiamo già cominciare ad avere qualche piccola intimità l'uno con l'altro, dato che siamo fidanzati... sempre che voi non preferiate trovarvi un altro marito» le domandò lanciandole un'occhiata fintamente tesa. Sapeva che lei avrebbe ceduto.

«Oh, certo, certo, avete ragione ovviamente» confermò infatti la ragazzina, facendo allargare un sorriso sornione sulle labbra di Henri «È solo che mi sembrava... quasi esagerato, ecco» il ragazzo non demorse nemmeno un momento. Il giro per il giardino si protrasse a lungo, sempre con la stessa scena: quanto più le matrone si avvicinavano, tanto i giovani si allontanavano nel buio, nella totale inconsapevolezza dell'ingenua Angelique. Non erano mai troppo lontani perché non ci si potesse sentire solamente esclamando il nome l'uno dell'altra. Henri cominciò ad allarmarsi quando sentì che la madre della ragazza cominciava a parlare di ritorni a casa. Fortunatamente, la sua compagna era talmente ingenua da dire:

«Sta cominciando a fare freddo... forse sarebbe meglio rientrare»

Henri si fermò nel luogo più buio del giardino e si voltò verso di lei, che alzò gli occhi su di lui, per allontanarli subito dopo. La osservò per un breve momento, tenendole la mano per non farla scappare verso la madre sempre più annoiata dagli sproloqui botanici dell'altra donna.

«Datemi un bacio, Angelique» mormorò ardentemente. Lei spostò lo sguardo su di lui e a Henri non sfuggì il vivace colorito delle sue guance.

«Non dite così, monsieur, vi prego... è sconveniente»

«Vi prego. Un dolce e friabile ricordo della vostra presenza. Chissà quando potremo rivederci. Lasciatemi un segno del vostro affetto, ve ne prego, o rischierò la morte. Vi giuro che poi vi scorterò da vostra madre e non attenterò oltre alla vostra buona immagine. Datemi un bacio, e poi aspetterò che siate voi a volermene dare un altro...»

«Io non ho mai... monsieur... non mi pare il caso di...» i tentativi di mantenersi perfettamente integra di Angelique naufragarono contro lo sguardo appassionato di Henri. Senza che lui dicesse più una parola, la ragazza si fece sempre meno convinta ogni parola pronunciata e alla fine rimase lì, rossa in viso e ansimante come se avesse appena corso, un labbro morso dai denti, in un ultimo tentativo di resistenza. Poi, con un «Oh, al diavolo» borbottato a fior di labbra, si alzò sulle punte delle scarpine, si aggrappò al panciotto del ragazzo, serrò gli occhi e le labbra e le appoggiò alle sue.

Henri, che aveva baciato molte ragazze prima di lei, sorrise fra sé e sé, portò una mano sulla nuca della ragazza e mantenne le labbra morbide finché anche quelle di lei cedettero, dopodiché le sfiorò con la lingua e, dopo un primo momento di esitazione, riuscì ad approfondire il bacio.

Non durò molto, ma fu abbastanza per sconvolgere la pia Angelique, che si staccò quasi con violenza da lui, come se non credesse davvero di aver appena compiuto un'azione di una simile dissolutezza. Henri decise di non far intravedere la soddisfazione se non con un sorriso soddisfatto.

«Io devo... monsieur... vi prego, devo davvero sedermi. Le gambe mi sembrano di gelatina» ansimò la ragazza. Senza dire una parola, Henri la tirò gentilmente qualche passo più in là, luogo in cui c'era una panchina di marmo. Era fresca ma l'aria intorno non era certo calda e portò sollievo a entrambi prendere un respiro dopo il bacio di poco prima. Nonostante non fosse stato nulla di particolarmente eccezionale, al ragazzo era sembrato il migliore della sua vita e lo infondeva di una soddisfazione mai provata precedentemente.

«Non capisco se sia normale oppure no... quest'accaldamento... o forse è la temperatura ad essere all'improvviso così alta? Non me lo so proprio spiegare... ma ora ditemi... mi porterete da mia madre?»

«Se è il vostro desiderio, mademoiselle, vi scorterò anche sulla luna» lei sorrise dolcemente guardandolo. Era la prima volta che lo faceva da quando si erano inoltrati nel giardino, ed Henri ne fu felice. Capiva di essere quasi innamorato e sperava che per lei valesse lo stesso. Non gli chiese di accompagnarla, ma aspettarono lì che le due donne li raggiungessero. Angelique si rese molto presentabile, cosicché la madre non sospettò nemmeno un momento ciò che era accaduto. Tornarono alla villetta e gli ospiti restarono ancora una mezz'oretta, prima di cominciare a recuperare le loro cose e avviarsi verso la carrozza. La ragazza si fece scortare da Henri, e, evitando con maestria i tentativi degli adulti di tenerli entrambi sotto controllo, lo spinse delicatamente nel buio di una colonna e lo baciò di nuovo.

 

«Che cosa?!» Henri era profondamente sconvolto, mentre Julien sembrava l'uomo più felice e soddisfatto del mondo. Il matrimonio del ragazzo si avvicinava rapidamente e si era visto un paio di volte con Angelique, una per andare a passeggiare nel parco e l'altra perché erano andati a prendere il tè da loro. Poi gli era arrivata una lettera da parte dell'amico, che gli chiedeva di vedersi il prima possibile, e lui si era presentato puntuale, sperando di non sentire qualche brutta notizia. Ciò che gli era stato posto davanti l'aveva reso decisamente incredulo: Julien si era fidanzato.

«Non puoi capire, Henri, è una ragazza fantastica»

Gli aveva raccontato di aver incontrato Marianne, questo il nome della fortunata colpevole, ad una festa in maschera a cui erano andati insieme. Non gli aveva detto nulla per non allarmarlo, ma i retroscena erano molti e variopinti. Si era innamorato di lei immediatamente, a prima vista, e lei si era lasciata baciare entro la fine della serata. La settimana seguente gli aveva chiesto di incontrarsi in un albergo, e lì l'aveva sedotto ed erano andati a letto insieme.

«Così ho deciso di sposarla. È solo una nobile, suo padre è un medico mediocre, ma ho capito che era la persona giusta per me nonappena l'ho vista. Ti ho chiamato qui perché sarai il mio testimone. Mi sposo adesso, e dopo andrò a presentarla ai miei genitori.»

«Sei sicuro che sia ciò che desideri, Julien?»

«Lei è tutto ciò che io abbia mai sognato. Henri, lei è tutto.»

E alla fine Henri aveva ceduto e aveva aiutato l'amico a sposarsi in segreto. Julien sembrava davvero felice, i suoi occhi erano accesi di passione, il sorriso dolce e il petto gonfio di fierezza quando parlava della ragazza. Il biondo la vide quello stesso giorno. Era di certo una bellissima donna: lunghi e boccolosi capelli neri le scendevano pesanti fino alla vita, legati solo approssimativamente, come nessuna aristocratica li avrebbe portati, le labbra erano accentuate quasi troppo dal rosso e l'abito che indossava era bellissimo ma quasi esagerato. La scollatura era decisamente più prominente di quella di Angelique, i tacchi più alti e il pizzo nascondeva a malapena la pienezza dei seni. Marianne aveva il ventaglio di pizzo e lo teneva quasi sempre aperto, guardando gli altri con brillanti occhi verde chiaro, sicuramente bellissimi. La sua figura era sensuale da capo a piedi: i capelli sciolti e leggermente spettinati, la pelle un po' abbronzata, il seno messo in bella mostra e il modo in cui si tirava su l'abito. Le sue maniere erano molto raffinate ed era di certo educata, anche se la risata non veniva mai trattenuta.

Messe da parte le riserve iniziali, Henri capì che non ci sarebbe stata al mondo altra donna capace di far innamorare il barone di Croquis. Julien non avrebbe riposto il suo cuore nelle mani di nessuna donna, nemmeno per vantaggio economico. Il loro amore era appassionato e pieno ed era davvero ai limiti della decenza.

Si sposarono in quel giorno rovente di un luglio caldissimo, sotto la benedizione di Dio. Furono i parenti di entrambi a non prenderla molto bene. I genitori di Marianne la presero per ciò che era, dopo un paio di sfuriate: la figlia aveva avuto un ottimo fiuto e perlomeno ora faceva parte dell'aristocrazia. I baroni di Croquis non aderirono alla stessa filosofia, rendendo la vita impossibile al figlio per il primo mese e mezzo. Julien ottenne diverse minacce, fra cui l'essere diseredato, la colpa dell'improvvisa malattia della madre e la reputazione finita sotto le scarpe.

Lui non si pentì mai. Un giorno di inizio autunno dopo il matrimonio di Henri e Angelique, andò a salutarlo e, appoggiandogli una mano sulla spalla, gli disse che sarebbe partito per un lungo viaggio in cui avrebbe aspettato che le ire dei genitori sbollissero un po'.

«Andremo nel continente. Ci divertiremo. Pensavamo di cominciare dalla Spagna. Ti scriverò, Henri. Sei sempre il mio migliore amico» gli disse, le lacrime agli occhi. Poi partì, e Henri non lo vide più per diversi anni: sapeva che era ancora vivo solo per le lettere che arrivavano regolari, una al mese, alla sua tenuta.

 

Il matrimonio di Henri e Angelique si rivelò molto più azzeccato di quanto non fosse parso inizialmente. Presto cominciarono a conoscersi bene. Lei ammirava il sarcasmo di lui almeno quanto Henri adorava la timida pudicità della moglie. Parlavano spesso anche di questioni importanti, scherzavano fra loro e ogni tanto si concedevano brevi vacanze. Non fu facile raggiungere un ottimo livello anche in intimità, a causa dell'inesperienza e dei timori della ragazza, ma alla fine lei rimase incinta di un bambino e ciò fu la felicità di entrambi. Un medico li seguì per tutta la gestazione, sin dalle prime avvisaglie. Tutto sembrava perfetto.

Poi, però, Angelique cominciò ad avere problemi durante la gravidanza. Era molto debole, lamentava forti dolori addominali e non riusciva quasi più ad alzarsi dal letto. Verso il settimo mese, il dottore annunciò che quasi sicuramente avrebbe avuto un aborto spontaneo. Il pomeriggio in cui la donna cominciò a urlare come se la stessero aprendo in due armati di un coltello fu quello in cui tutti erano convinti che il bambino non avrebbe mai visto la luce. Eppure, qualche ora dopo, il piccolo Gérard de Sagran scoppiò nel suo primo pianto disperato e Angelique, stordita e stanchissima, sorrise al marito con fierezza. Da quel momento seppero entrambi che ogni volta che facevano l'amore rappresentava per loro un rischio.

Ci furono altre due gravidanze. Una terminò con un aborto nel giro di un paio di mesi, l'altra dopo quattro. Angelique era sempre più triste, nonostante Henri cercasse in tutti i modi di renderla fiera del loro bambino.

«Sarà perfetto, te lo prometto. Diventerà ancora meglio sia del padre che della madre» le diceva accarezzandole i capelli, tirandole fuori un sorriso tirato. E così, senza nemmeno rendersene conto, Henri cominciò a diventare sempre più intransigente con il piccolo Gérard, ignaro delle sue motivazioni. I giochi erano proibiti, se non dopo che tutti i lavori erano stati sbrigati. Se il tutore si lamentava della noia del bimbo, questi incontrava delle sonore sculacciate. Quando sbagliava a scrivere gli venivano colpite le mani con la bacchetta. Se faceva qualche bravata, le uscite gli erano negate per una settimana intera.

Gérard era sempre educato e molto a modo, ma non era un bambino spensierato. Di questo Henri non si rendeva conto, affaccendato com'era a cercare di portare un po' di felicità alla moglie sempre più triste. Angelique lo abbracciava e lo coccolava, ma non giocava con lui perché si sentiva sempre debole. Nemmeno il medico sapeva più che cosa consigliare alla coppia. Alla fine, una sera d'inverno, al nuovo barone di Sagran, dopo che il padre era morto di polmonite qualche mese prima, venne in mente qualcosa che aiutasse la moglie. Era moltissimo tempo che non facevano l'amore per le paure di entrambi; inoltre la ragazza si era depressa ancor più quando aveva scoperto che Julien e Marianne avevano invece avuto due gemelle e che stavano entrambi benissimo. Henri decise di affrontare la situazione di petto.

«Facciamo così, amore mio: passeremo la notte più bella e appassionata del mondo. Tu rimarrai incinta. E ti giuro che farò di tutto perché tu arrivi al parto sana e pronta a far uscire un bambino vivo» le aveva proposto. Dopo qualche giorno, Angelique aveva accettato.

Era stata davvero la notte migliore delle vite di entrambi. Si erano sentiti bene, al sicuro, l'uno con l'altra. Avevano trascorso meravigliose ore insieme ed Henri non aveva lasciato nulla al caso. Erano stati lenti, nulla di tralasciato, e dolci. Avevano trasposto tutto l'amore che provavano in gesti e il giorno dopo erano rimasti a lungo nel letto, abbracciati, a godere della sensazione dei loro corpi l'uno contro l'altro.

Come promesso, Henri aveva fatto tutto ciò che poteva per lasciare la moglie tranquilla durante la gravidanza. Le aveva portato ogni cibo che desiderava, l'aveva ricoperta delle stoffe più pregiate, aveva portato a casa i libri migliori e aveva addirittura imparato a suonare uno strumento a corde per allietarle le giornate. Gérard veniva tenuto a debita distanza per paura che rendesse nervosa Angelique, e anche Henri si allontanò da lui pian piano. Poi il giorno del parto era arrivato. E da quel giorno era arrivata la catastrofe.

 

Caro Henri,

spero che le cose in casa vadano bene. Siamo molto dispiaciuti della scomparsa di Angelique, so quanto l'amavi, non facevi che scrivermi di lei. Ma io ci sono ancora, amico mio, e anche se a distanza di mesi -ma purtroppo non avrei potuto fare altrimenti, o non avrei avuto i soldi per raggiungerti- verrò da te e ti conforterò. Io e Marianne partiremo fra due settimane, di mercoledì: la nave che ci porterà in Francia parte da Tallinn e spero che la traversata vada bene, anche se sarà molto lunga, sai quanto soffro il mal di mare.

Le nostre piccole non verranno con noi, le lasciamo con la balia. Hanno solo quattro anni, non so se sono ancora pronte ad affrontare un viaggio del genere. La piccola Juliette ha già sviluppato un buon caratterino e ha strillato e pestato i piedi finché non le abbiamo promesso che le avremmo portato un vero vestito di moda francese, alché ha deciso che poteva anche smettere di urlare. Quanto a Marie – Anne, è un angelo. Ci ha salutati con le lacrime negli occhi azzurri -li hanno ereditati da me entrambe, è incredibile- ma non ha pianto finché non è stata sicura che nessuno la vedesse. Un giorno devi conoscerle, Henri, perché sono entrambe le tue figliocce e in caso accadesse qualcosa a me e a Marianne te ne dovresti occupare tu. Lo stesso vale per il piccolo Gérard, ovviamente. Perché non organizziamo un matrimonio?

Sto scherzando, sai che sono contrario. Tu non disperare. Arriveremo presto e ti prometto che tutto sarà diverso.

Julien de Croquis

 

La notizia della morte del suo migliore amico a così poco tempo dalla scomparsa di Angelique provocò una ferita profondissima nel cuore di Henri, ferita che non riuscì mai più a rimarginare. Inizialmente se la prese con il Fato, con il destino o con Dio, a dir si voglia, perché gli aveva tolto tutto ciò che di più caro avesse al mondo. Poi si sentì un inetto e capì che la responsabilità non poteva essere divina ma solo umana e si inoltrò in se stesso in cerca delle motivazioni. Quanto ad Angelique, non poteva prendersela con nessuno se non con se stesso.

La donna amata si era spenta pian piano fra le sue mani, lui l'aveva vista peggiorare ogni giorno di più e non aveva chiesto al medico un modo per farla abortire perché non avrebbe mai voluto ferirla ancora di più. Sapeva che non si sarebbe ripresa. Aveva così pregato molto -ma forse non abbastanza- e alla fine l'aveva stretta fra le braccia ancora una volta, quando il sudore le rigava il viso arrossato, quando gli aveva sorriso per l'ultima volta.

«Sono sicura che sarà un maschio. Sarai fiero di me, Henri» erano state le sue ultime parole.

Ironicamente, aveva avuto ragione. Il maschietto era nato, ma il parto aveva presentato innumerevoli difficoltà, così aveva detto il medico prima di riempirlo di definizioni strane e antiquate che lui non avrebbe mai compreso, soprattutto stordito com'era in quel momento. Il bambino era morto poche decine di minuti essere dato alla luce e Angelique si era spenta con lui. Henri aveva pensato che non avrebbe potuto sopportare una vita così, e aveva deciso di seguire il figlio nell'oltretomba.

Quanto alla fine di Julien, il suo odio si era rivolto verso Marianne. Era stata una donna splendida, spregiudicata e appassionata, robusta e forte abbastanza da far uscire dal suo corpo non una sola creatura, ma due identiche, entrambe similissime al padre. Juliette e Marie – Anne, le avevano chiamate, in onore della loro eterna devozione. E per quanto Henri potesse essere felice per il migliore amico, sapeva anche che lui non sarebbe morto, non se avesse lasciato perdere quella ragazza e ne avesse trovata un'altra.

Julien avrebbe potuto sposarsi con chiunque. Aveva il fascino, la bellezza e i soldi, avrebbe potuto chiedere la mano a una principessa e questa avrebbe sicuramente accettato. Era stato uno dei maggiori predatori di ragazze dei suoi tempi da ragazzo ed anche il più odiato dai rivali, che sapevano di non avere speranza contro di lui. Aveva vissuto un'esistenza piena di sentimento, ma, secondo Henri, tutta quella passione non l'aveva portato ad altro che a un naufragio. Mentre andava da lui, oltretutto, a consolarlo per la tragica perdita di una moglie amata e perfetta.

Henri si ritrovò totalmente solo. Non aveva più una guida paterna nell'amministrare i beni di famiglia, si impegnò parecchio e decise di dedicarsi solo al suo patrimonio, in modo da lasciare a Gérard una cospiqua eredità, una volta cresciuto. Quanto al bambino, non riuscì più a guardarlo come prima. I suoi occhi scuri gli ricordavano troppo quelli della madre e nonostante gli volesse moltissimo bene, non riuscì mai ad esprimerglielo.

Il suo sarcasmo, una volta brillante, divenne malumore; il suo spirito critico si trasformò in insoddisfazione e il cuore divenne d'acciaio. Non aveva più niente per cui valesse la pena andare avanti, o almeno così gli pareva: Gérard era ancora piccolo e voleva che si comportasse nel più perfetto dei modi; Angelique, la sua anima, ormai se n'era andata e non trovava più una ragione in nulla; il suo migliore amico Julien era stato prima portato via da una donna e poi affondato dalle fredde onde del mare.

Henri si trasferì dopo appena qualche settimana, perché non sopportava più di vedere quella villetta di campagna che aveva tanto amato. Comprò una decorosissima casa in città, che venne soprannominata "Maison Sagran", e da quel momento in poi la vita dell'uomo distrutto si diede solamente agli affari, l'unica cosa che non poteva sparire.

La sua vita, però, non poteva avere una piega peggiore.

E nulla sembrò migliorare quando gli arrivò una lettera che testimoniava che, secondo le volontà di Julien, lui sarebbe divenuto il tutore delle sue due figlie.

Quando lesse la lettera, Henri strinse i denti e resistette per miracolo al lanciare la carta nel fuoco.

 

Il giorno in cui le due ragazzine arrivarono a Maison Sagran Henri e Gérard erano pronti sul pianerottolo fuori dalla porta di casa. Quando la carrozza si fermò dentro il cancello di maison Sagran il cuore di quell'uomo dall'animo vecchio e dai capelli gia tendenti al grigio per le sofferenze batteva all'impazzata. Il viso rimase un'impenetrabile maschera di freddezza, come aveva imparato, per non lasciar trapelare la disperazione che ogni giorno gli mangiava di più il cuore.

La prima che scese dalla carrozza era avvolta in un abito lilla chiaro, portava i capelli legati con un fiocco e aveva occhi grandi e sperduti. A giudicare dal naso arrossato, pareva che avesse passato gran parte del viaggio sciolta in singhiozzi. Il cuore di Henri si strinse dalla tenerezza che quell'esserino gli ispirava. Per un momento le parve di rivedere la sua Angelique e la sua fragilità, ma la sensazione durò solo un istante. Perché quando l'altra gemella saltà giù dalla carrozza e alzò gli occhi su di lui, per un momento a Henri parve che il mondo si frantumasse sotto i propri piedi. Era convinto di avere davanti a sé non soltanto un fantasma, ma due. La bambina, seppur ancora piccola, era perfettamente uguale a sua madre, quanto a bellezza. Ma gli occhi, azzurri, profondi e diretti, erano esattamente quelli di Julien. Lo scrutarono come se già lo conoscessero, come se ogni suo segreto fosse già stato svelato.

Confuso, Henri spostò lo sguardo prima su una e poi sull'altra gemella. Erano identiche, vero, almeno fisicamente. Ma dalla luce spaventata degli occhi di una e dalla sfrontatezza di quelli dell'altra si capiva perfettamente che il carattere era tutt'altra cosa.

«Benvenute a maison Sagran, la vostra nuova casa. Gérard vi mostrerà le vostre stanze» disse, per poi battere i tacchi dietro di sé e rientrare, lasciando tutti confusi sul suo comportamento e sulla sua freddezza.

Quando raggiunse il suo studio e chiuse la porta non riuscì a fare a meno che guardare il fuoco con occhi disperati, accusatori e carichi di dolore.

«Perché, Julien? Perché dovevi creare una figlia così uguale a te e una così simile ad Angelique?» il fuoco non rispose. Henri si accovacciò a terra stringendosi la testa tra le mani. Si preparò ad essere perseguitato dai propri fantasmi per il resto della sua vita.

 

   
 
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