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Autore: Maiko    06/04/2015    1 recensioni
Intravvide Max varcare il cancello, uno sbuffo di vapore ad uscirle dalle labbra ed il viso arrossato dal freddo; sfilò una mano dalla tasca e le fece un cenno per farsi notare, tornando subito dopo a nasconderla nel ben più caldo tessuto della giacca.
- Ehi - disse quando furono abbastanza vicine da potersi sentire. [...]
Picchiettò sul banco con le dita; lo fece due o tre volte prima di rendersi conto di essere eccessivamente rumorosa. Smise di farlo e ritrasse la mano. [...]
Alle sue spalle, da qualche parte in uno dei paesi vicini, un campanile diede sette rintocchi.

Un normale giorno di scuola, due ragazze con una propria vita, piccoli espedienti per ottenere buoni voti...
Eppure niente è come sembra.
Genere: Generale, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PARALLEL
 
 
 



Quel giorno di fine Febbraio la fermata dell’autobus era immersa in una tenue luce azzurra; un debole bagliore filtrava tra le fronde dei pini, nel parco aldilà della recinzione, mentre, in lontananza, si cominciavano ad udire i primi cinguettii del mattino.
Max si strinse nel cappotto, spostando il peso da un piede all’altro e lanciando un’occhiata alla propria sinistra, verso la provinciale. Sentiva le dita intorpidite dal freddo pungente; se le portò al viso e alitò per scaldarle, generando una spessa condensa opaca.
Alle sue spalle, da qualche parte in uno dei paesi vicini, un campanile diede sette rintocchi.
Infilò nuovamente le mani nelle tasche della giacca, stringendole un paio di volte a pugno nel tentativo di recuperare la sensibilità, e aspettò.
Passarono alcuni minuti, un lento agonizzare nel gelo di fine inverno, finché l’autobus fece capolino da dietro la curva e accostò al marciapiede, stridendo piano nel frenare.
Max si sistemò la borsa a tracolla, le dita congestionate per il freddo, mentre la porta anteriore veniva aperta lentamente; poi salì i pochi gradini e procedette verso uno dei posti liberi.
L’autobus fremette nel richiudersi e sobbalzò, poi partì.
 
***
 
L’ingresso della scuola era occluso da numerosi gruppi di ragazzi.
Un continuo mormorio si levava oltre i cancelli, intervallato da qualche risata o qualche voce più alta delle precedenti, ma perlopiù lo stordimento di prima mattina aveva ancora la meglio su quei visi assonnati.
Jenna si poggiò di schiena al muretto, le gambe accavallate e le mani rigorosamente nelle tasche del cappotto, il collo avvolto in una sciarpa di lana viola e il cappello del medesimo colore a coprirle le orecchie.
Faceva molto più freddo del giorno prima, constatò, ma si disse che presto la primavera sarebbe arrivata.
Intravvide Max varcare il cancello, uno sbuffo di vapore ad uscirle dalle labbra ed il viso arrossato dal freddo; sfilò una mano dalla tasca e le fece un cenno per farsi notare, tornando subito dopo a nasconderla nel ben più caldo tessuto della giacca.
- Ehi - disse quando furono abbastanza vicine da potersi sentire.
Max borbottò un veloce “buongiorno” e si poggiò di schiena affianco a lei, sbuffando spazientita nel notare le porte ancora chiuse. - Fa troppo freddo per i miei gusti. - ammise, stringendosi nelle spalle.
Jenna sorrise, rilasciando uno sbuffo di vapore verso l’alto. – Già. Non vedo l’ora che torni il caldo.
- Sì, anche io.
Restarono ad ascoltare i mormorii confusi attorno a loro; il sole, alla loro destra, aveva appena cominciato ad affacciarsi oltre le cime innevate delle montagne.
 
***
 
L’orologio appeso alla parete segnava le 10:23; era poco più a destra della lavagna, leggermente in alto. Con la coda dell’occhio, Max vide molti suoi compagni osservarlo con sguardo perso, come se da un momento all’altro la lancetta dei minuti avesse potuto spostarsi in avanti di mezzora.
Picchiettò sul banco con le dita; lo fece due o tre volte prima di rendersi conto di essere eccessivamente rumorosa. Smise di farlo e ritrasse la mano, nascondendola nella tasca della felpa mentre si abbandonava contro lo schienale, affranta.
Una serie di numeri e lettere indistinti occupava l’intera parte sinistra della lavagna; sentì chiaramente il prof parlare di asintoto obliquo, ma preferì rinunciare a capire di quale assurda cosa si trattasse e si limitò a fissare il vuoto, aspettando che la campanella segnasse la fine di quell’agonia.
 
***
 
Inserì i soldi nella macchinetta e digitò il numero, poi si abbassò a raccogliere dall’apertura il pacchetto di schiacciatine. Si scostò dalla fila e si allontanò per il corridoio, in un susseguirsi di “permesso” e tentativi di infilarsi tra le persone.
Raggiunse la porta della propria aula e si fermò a prendere una boccata d’aria. Là fuori, in quei pochi metri che separavano le macchinette dai bagni, c’era il delirio.
Aprì il pacchetto che aveva preso e con l’altra mano recuperò il cellulare dalla tasca, andando ad aprire la casella messaggi sul contatto di Max.
“Sono al terzo piano, in che aula sei?” Inviò ed attese risposta, sgranocchiando piano il proprio spuntino.
Non ci volle che una manciata di minuti, poi il telefonino vibrò per segnalare una notifica.
“Sono al primo, ma sto ripassando storia. Ci vediamo all’uscita” lesse. Accartocciò il pacchetto vuoto e lo gettò nel cestino, rispose con un veloce “ok, a dopo” e rientrò in aula.
 
***
 
Max si preoccupò di nascondere bene i foglietti all’interno dell’astuccio.
La campanella era suonata da qualche minuto e la prof era in ritardo. Osservò con aria critica il proprio operato, poi prese la penna e se la portò alle labbra, iniziando a mangiucchiarne il tappo.
I bigliettini erano solo per precauzione, si disse, non li avrebbe usati. Forse.
La porta si richiuse all’ingresso della professoressa e lei si alzò in piedi assieme ai suoi compagni. Notò un voluminoso plico di fogli sotto il braccio della donna e si morse nervosamente il labbro, mentre per istinto lanciava una veloce occhiata alle formule imboscate nell’astuccio.
La speranza è sempre l’ultima a morire, pensò.
 
***
 
All’orario di uscita l’aria si era fatta più tiepida.
La massa di studenti si accalcava verso i pullman, in una sorta di “fuggi-fuggi” generale per accaparrarsi i posti a sedere.
Jenna aspettò Max al cancello, come al solito, strofinandosi i polpastrelli delle dita sulla stoffa dei jeans nel tentativo di non farli intorpidire.
La vide uscire un paio di minuti dopo, zaino in spalla e il solito cipiglio annoiato ad incresparle il viso. Alzò la mano in un cenno di saluto per farsi notare, ed una volta che fu stata raggiunta si mise le mani nelle tasche del cappotto e si avviò verso gli autobus.
- Com’è andata l’interrogazione? – chiese mentre superavano un gruppo di ragazze del biennio intente a ridacchiare rumorosamente. Max si limitò a stringersi nelle spalle e a sbuffare una condensa di vapore.
- Lasciamo stare. – disse solo, e Jenna immaginò non fosse proprio l’argomento di cui voleva parlare in quel momento.
Riuscirono ad intrufolarsi sul secondo pullman, infilandosi tra due ragazzi appostati sulla porta in fondo a fumare; Max trovò un posto libero e si sedette, Jenna le rimase in piedi affianco, cercando di strapparle qualche parola e un paio di sorrisi.
Le entrate si chiusero, poi l’autobus fremette e partì.
 
***
 
Alzò il volume delle cuffiette fino a ché non riuscì quasi completamente a coprire il vociare delle persone.
Osservò la strada fuori dai finestrini: erano fermi al semaforo, ancora una svolta e si sarebbero ritrovati in centro, dove doveva scendere.
Nella tasca il cellulare emise un fremito; lo tirò fuori e lo sbloccò per leggere il messaggio.
“Ciao, Max. Dove sei?” lesse. Era suo fratello; si chiese se fosse riuscito a passare le eliminatorie per il campionato. Rispose con un veloce “In centro. Com’è andata?”, poi avvertì il pullman ripartire e si alzò, sistemandosi la borsa a tracolla sulla spalla.
La aspettava un’agonizzante giornata di studio.
L’autobus fermò affianco al marciapiede e spalancò entrambe le porte, mentre una massa di studenti vocianti si faceva largo verso le uscite e si riversava all'esterno.
Max stette ben attenta a non inciampare in qualche cartella o piede, ed osò rialzare lo sguardo solo quando fu sicura di essere fuori e lontana da eventuali percorsi ad ostacolo.
Il cielo era azzurro, limpido, e l’aria era fredda e pungente anche se, alla luce, i raggi del sole risultavano piacevolmente tiepidi.
Fece per incamminarsi lungo la strada quando urtò inavvertitamente qualcuno, rifilandogli una spallata involontaria. Si girò immediatamente verso la persona in questione e mormorò un frettoloso “scusa”.
Jenna si portò una mano alla scapola e le rivolse un sorriso rassicurante. – Non è niente.
Era strana, pensò mentre la vedeva voltarsi ed allontanarsi. Tutti la consideravano strana.
Maxine Hale, così si chiamava.
Non ci aveva mai parlato, se non in qualche rara e casuale occasione come in quel momento, anche se immaginò non avrebbero avuto granché da spartire: non sarebbe mai potuta essere amica di una ragazza taciturna e spesso imbronciata come lei.
Si sistemò la bretella dello zaino che era scivolata nell’impatto e si voltò a salutare due sue compagne, augurando loro un buon pomeriggio; poi si incamminò verso la stazione.






Spazio Autrice:
Dunque, non chiedetemi da dove mi sia venuta fuori questa storia perché non ne ho la pallida idea (?)
La spiegazione a quanto scritto è la seguente: a passi alterni, ho raccontato la storia della quotidianità di Max, e quella di Jenna. In un mondo, un universo parallelo, Max e Jenna sono amiche, nell'altro non si sono mai conosciute. Da qui il titolo della storia, Parallel.
Ho comunque scritto un paio di cosucce per rendere visibile il fatto che si trovino in due dimensioni differenti, uno piuttosto visibile e l'altro no; chissà se riuscite e trovarmele entrambe! -scherzi a parte, nessuno leggerà questa storia (?)
Detto questo, ringrazio chiunque sia arrivato a leggere fin qui e chiunque voglia lasciarmi una sua opinione, perché mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate  ♥ !

Maiko.

 
  
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