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Autore: Eynieth    07/04/2015    0 recensioni
In un mondo dove gli dèi influiscono sulla vita di tutti i giorni, scendono sulla terra e manovrano la vita dei comuni mortali, Amy Lee è il nulla. Figlia prediletta del dio della Guerra, si è rivoltata contro il padre e combatte per la pace di un mondo che forse non la merita. O forse è Amy Lee a non meritare quel mondo? Amy Lee con il suo candore sporco, macchiato dagli omicidi commessi che l'hanno sempre colorata di un colore che non le è mai appartenuto. Il rosso.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  1. Amy Lee

Amy Lee entrò nella stanza silenziosamente, come sempre. Come le avevano insegnato per vent'anni anni, quello era diventato il suo modo di vivere. Essere trasparente il suo motto.

Si sedette al suo posto, aspettando gli altri presidi. La sua quasi famiglia, i suoi unici legami. Quasi duecento anni di vita e solo quattro persone relativamente importanti. Cinque, anzi. Aveva dimenticato di calcolarlo.

Come se lo avesse chiamato, Iroth apparve, visibile ai soli occhi di Amy Lee. Il dio vagò per la presidenza, spostando qualche oggetto qua e là, aprendo un libro e guardandolo a caso. La semin lo osservò per un po’, ma poi il suo vagare senza senso la stancò, così cominciò a giocare con un piccolo stiletto, facendolo girare tra le dita, passandoselo da una mano all’altra.

Iroth partecipava sempre alle riunioni, anche se poteva vederlo solo la ragazza. Gli altri presidi sapevano solo che la ragazza era riuscita a trovare un finanziatore sconosciuto che, da quando avevano fondato l’Accademia, li aiutava con le finanze. Del resto, neanche la semin sapeva come aveva fatto a convincerlo, anche perché non aveva fatto nulla, un giorno il dio era comparso nella sua stanza e le aveva detto che l’avrebbe aiutata, ma Amy Lee aveva dovuto promettere di non rivelare a nessuno l’identità del misterioso “amico”, soprattutto perché il dio della guerra che finanziava e sosteneva la pace sembrava solo un brutto scherzo. Infatti si vociferava che l’aiuto arrivasse da Ireth, la dea della pace, altri dicevano che a finanziare tutto fosse una famiglia abbiente che era stata salvata dalla preside e che era in debito con la ragazza. Qualcuno diceva che era l’amante segreto della semin ad aiutarla, ma quella era un’ipotesi fantasiosa e poco gettonata, chi avrebbe mai voluto avere Amy Lee come amante, cioè l’equivalente di un’arma o un blocco di ghiaccio? Probabilmente nessuno. Chi avrebbe voluto amare senza ricevere nulla in cambio? Chi avrebbe voluto? Semplicemente nessuno. Si dà per ricevere qualcosa in cambio, e la preside non ne era capace.

Nella stanza calò il silenzio. A Amy Lee non dava fastidio il silenzio, lei viveva nell’anonimato e nella solitudine, tutto quello era il suo pane quotidiano. Insieme all’allenamento fisico e alla conoscenza. Si nutriva solo di quello. Niente sogni, amore, amicizie, passioni. Niente. A parte i presidi e Iroth.

E, proprio quest’ultimo, non amava i silenzi. La sua vita era composta da rumori di battaglia e morte, la quiete non riusciva a sopportarla. E fu proprio lui che ruppe il silenzio.

-Amy…-

Il dio non fece in tempo a finire la frase perché il piccolo stiletto lasciò le mani della ragazza e volò nell’aria immobile, mirando dritto tra gli occhi del dio. E lo avrebbe colpito, se Iroth non avesse fermato lo stiletto tra due dita, a pochi centimetri dall’obiettivo. Di certo non poteva pensare di battere il dio della guerra sul suo campo d’azione, anche se aveva imparato tutto il possibile, dal padre.

Iroth rise. -Siamo suscettibili, oggi, mia dolce Amy Lee?- sussurrò ridacchiando. Solo il dio poteva pensare di chiamare Amy Lee dolce, e solo lui pensava che fosse sua.

Iroth iniziò a giocare a sua volta con lo stiletto.

Amy Lee non rispose, testarda nel suo silenzio e fece vagare lo sguardo per la stanza.

-Oh… Amy-Lee… Amy-Lee…- sussurrò il dio guardando lo stiletto, lo sguardo giovane e arzillo.

Era strano pensare che quel ragazzo, che poteva passare per un allievo di Amy Lee, fosse vecchio come Diemdiart Parscenie. Non che lei fosse molto più giovane, e non che lei dimostrasse la sua età, ma era sempre strano vederlo addosso a Iroth. Come era strano pensarlo come dio della guerra, visto così non sembrava, poteva anche risultare dolce e gentile. Solo a un primo sguardo superficiale, ovviamente. Ed era ancora più strano pensare che lei fosse sua figlia, che lui fosse suo padre.

Assorta nei suoi pensieri, Amy Lee, vide solo all’ultimo momento lo stiletto che volava dritto verso di lei.

Afferrò con entrambe le mani il bracciolo della sedia e, dandosi una leggera spinta con le gambe, fece una perfetta verticale, giusto in tempo per vedere lo stiletto conficcarsi nello schienale della sedia, dove pochi secondi prima si trovava la sua testa.

-Sei un po’ distratta, tes… Amy Lee…- disse Iroth scuotendo la testa, desolato.

Se ne fosse stata capace, la ragazza si sarebbe arrabbiata con il padre, per le sue parole, per le sue continue prove, il suo comportamento, il suo essere così spocchioso. Ma non ne era capace, non poteva provare dei sentimenti così complessi.

La semin ritornò seduta e tolse lo stiletto con un movimento secco. Avrebbe voluto rispondere, dire che non era sua, non era dolce, non era un tesoro. Lei non era di nessuno, libera, ma legata all'idea di una vita migliore. Lei era fatale, ogni suo movimento comportava dolore o morte. Ma forse non era del tutto vero. Amy Lee, in qualche modo, apparteneva a Iroth, come un figlio appartiene al padre. Come l'allievo dipende dal maestro. Come il devoto appartiene al dio. Amy Lee dipendeva e apparteneva a Iroth. Era sua, anche se non lo sopportava.

Ricominciò a giocare con lo stiletto, ignorando il dio. Giocando la ragazza si tagliò. Un piccolo taglio, da cui uscì del sangue. Rosso. Non era la prima volta che si feriva, in battaglia diventava un mostro scarlatto, coperto dal suo sangue e da quello dei nemici. Sentì Iroth schioccare le dita e il taglio scomparve, così come i ricordi delle innumerevoli battaglie.

Il dio aveva quel potere, anche se sulla semin non lo usava quasi mai. La ragazza voleva guarire, voleva seguire il lento scorrere del tempo, aspettare che il corpo guarisse da solo. Voleva essere paziente. D’altronde aveva tutto il tempo del mondo. La ragazza non aveva fretta, anche perché, la maggior parte delle volte, le cose che si fanno di fretta, non uscivano mai bene, mentre Amy Lee se faceva qualcosa, voleva che venisse fatto in modo perfetto. La perfezione, che aveva sempre ricercato in se stessa, la riportava nel lavoro. Lei non sarebbe mai stata perfetta. Mai “bianca” al punto giusto. Le sarebbe sempre mancato qualcosa, ma Iroth, fortunatamente o sfortunatamente, a seconda dei punti di vista, ci sarebbe sempre stato, le avrebbe sempre rinfacciato le sue mancanze e i suoi difetti. E la semin non avrebbe reagito, perché lei non sapeva reagire, non a parole. Avrebbe accusato i colpi e avrebbe cercato di andare avanti, migliorarsi dove poteva. Aveva tutta l’eternità per quello.

Amy Lee mise via lo stiletto, al sicuro sotto la manica bianca e larga del corpetto e ricominciò a giocare con lo stiletto, cercando di ignorare Iroth, quando sentì dei fogli cadere. La ragazza girò appena la testa verso il rumore e dal divano vide emergere la figura del drago. Reo. Come aveva fatto a non sentirlo? Guardò il divano da cui si era alzato. Probabilmente si era addormentato. E guardando tutti i fogli sparsi per terra, aveva lasciato tutte le pratiche per ultime, come al suo solito. Iroth alzò gli occhi al cielo. Il ragazzo non gli stava tanto simpatico. Ma non era colpa del drago, a Iroth stavano simpatiche poche persone in generale. Era fatto così. Lo sapeva, faceva fatica a sopportare i suoi fratelli, figuriamoci tutte le creature che non erano al suo livello.

Reo era uno dei presidi della scuola, l’unico preside maschio. A suo tempo era stato uno dei più grandi Generali dell’esercito dei draghi, ma finita la guerra, gli avevano affidato, o come preferiva pensarla lui, affibbiato, il ruolo di preside, per poter così controllare e presidiare gli sviluppi da parte di tutti i draghi. Ma, come dimostrava ogni anno, il ruolo non gli importava per niente. Lasciava sempre tutte le pratiche di cui si doveva occupare per ultime e cercava di rigirarle alle altre ragazze. In poche parole, era uno scansafatiche. E a Amy Lee non piacevano per niente le persone di quello stampo. Non faceva mai niente, quando doveva spiegare, dormiva, quando doveva compilare moduli, dormiva. Certe volte si chiedeva proprio come poteva essere stato un grande Generale, non ne aveva l’aria e non si comportava da tale.

Amy Lee guardò il drago. -Guarda che non è per niente felice di vederti…- le fece notare Iroth. Certo, lei non poteva leggere nel pensiero degli altri, ma il dio ne era capace. E ovviamente le diceva tutto in faccia, senza preoccuparsi dei suoi sentimenti. Tanto, lei, che sentimenti aveva? Nessuno. Un oggetto, ecco cos’era. Aveva voglia di rispondere a Iroth, ma dopo Reo cosa avrebbe pensato? Nessuno sapeva che poteva parlare con il dio e sinceramente, non ne aveva la minima voglia. Certo, giravano voci, soprattutto tra gli allievi, che parlasse da sola. Ed era vero. Anche se non del tutto. Ma non aveva voglia di confermare quelle voci. E neanche di smentirle. Guardò ancora Reo senza proferire parola. Ogni anno riscuoteva molto successo tra le allieve. E ogni anno, puntualmente, accadevano dei disastri, per colpa del suo… fascino? Amy Lee non lo sapeva, non ci vedeva niente di speciale in Reo, forse perché aveva visto gli dei e aveva conosciuto il loro carisma e la loro perfezione, o forse perché non era in grado di dire quello che le piaceva veramente. Quello che le piaceva in generale. E poi, Reo, le ricordava troppo il padre. Se non fosse stato per quegli assurdi occhi ametista, sarebbero state due gocce d’acqua. Stesso portamento, stesso fisico, stessi capelli, stesso viso. Erano uguali, ma diversi. La faccia della stessa medaglia, forse. Ma non si potevano neanche classificare bene o male, bianco o nero. Tante volte le cose non erano così facili, non c’era solo una sfumatura, solo un pensiero, solo una storia. Ce ne erano centinaia che si mescolavano, si fondevano. Niente nella vita era semplice,niente nella vita era scontato. Trattenne un sospiro esasperato. Era tutto così difficile e complesso, e lei era stanca. Stanca di tutto. Stanca di cercare la perfezione che mai riusciva a raggiungere, stanca degli sguardi degli alunni. Stanca di non fare nulla. La monotonia la annoiava. Tutto la annoiava. Solo combattere la faceva stare bene. Ma non poteva combattere, doveva rimanere all’Accademia e aiutare e fare il lavoro di Reo. E quello non le piaceva. Aveva sempre bramato la libertà, anche la libertà di Iroth, aveva sempre desiderato la possibilità di ritirarsi in un cantuccio desolato di Diemdiart Parscenie e passare lì il resto dei suoi giorni, in solitudine ad allenarsi. Ma non poteva. La sua vita era costellata di scelte non sue. E sarebbe andata avanti così fino all’ultimo suo giorno, all’ultimo suo tramonto.

Girò il viso verso la figura di Iroth, etera e visibile solo ai suoi occhi. Il padre le si avvicinò e le sfiorò una guancia. -Dolce Amy-Lee... a cosa pensi?-

Le parole erano dolci, ma il tono era canzonatorio. Certo, come poteva il dio della guerra usare un tono dolce? La sua stessa natura glielo impediva. Lei lo sapeva.

Quante volte aveva ricevuto vere parole dolci? Nessuna.

E quante volte aveva ricevuto sgridate o frustate? Tante.

Aveva voglia di allontanarlo, come si allontana una mosca fastidiosa. Aveva voglia di prendere lo stiletto e conficcarlo nella mano di Iroth. Aveva voglia... aveva voglia... e Iroth lo sapeva, poteva leggerglielo negli occhi, nel pensiero. E ghignava per questo. Ghignava felice perchè sapeva quello che la sua mente voleva fare, ma non poteva esaudire il suo desiderio. Perchè Iroth era un dio, perchè era suo padre. E perchè, in fondo, non le interessava. Perchè aveva imparato a lasciarsi scivolare le cose addosso senza darci peso.

Amy Lee riprese in mano lo stiletto, cominciando a giocarci. Guardò i fogli volanti sparsi per la presidenza. Avrebbe dovuto sbrigare il lavoro da sola, o dividerlo con le altre presidi, ma non era arrabbiata. Come poteva esserlo? Era un sentimento fin troppo complesso per lei. Non era in grado di provare dei semplici sentimenti come tutti gli altri. La semin faceva tutto quello che doveva fare, lo faceva bene, ma lo faceva senza passione. Era quello che le mancava. La passione. Anche quella era troppo difficile per lei. Anche il semplice combattere era una cosa meccanica. Faceva quello da quando aveva sette anni, era la sua vita. Ed era il motivo d'orgoglio di Iroth. E lei lo faceva per lui. Non c'era niente che faceva per se stessa. Dipendeva dai desideri degli altri, visto che lei non ne aveva di propri.

Comunque, non riuscì a dire niente a Reo perché entrò Lerisse. Si materializzò, perdendo la sua forma eterna e incorporea. Lerisse era una delle quattro presenze femminili della scuola. Era una nefanis, o più semplicemente, un fantasma, uno spirito, che era riuscito a scappare da Necklen, la terra dei morti. Su Lerisse non si sapeva molto, soprattutto perché anche lei conosceva poco su se stessa, infatti, la maggior parte delle volte, la memoria dei nefanis veniva come resettata, soprattutto se morivano di una morte violenta, e a quanto pareva, era proprio quello che era successo a Lerisse.

Ma comunque, appena la preside entrò nella stanza, sgridò Reo. Iroth si divertiva a vedere la nefanis sgridare il drago, si era stravaccato su una sedia e aveva appoggiato i piedi sul tavolo. Amy Lee lo ignorò, persa nei suoi pensieri. Alle tante battaglie vinte al fianco del dio, a come tutto quel sangue versato li avesse uniti meglio di qualsiasi parola. A come, alla fine, Iroth avesse ceduto nel seguirla. In fondo, ci teneva a lei. O era quello che voleva far credere. Di certo non era mai stato un padre, non sapeva comportarsi come tale, lui sapeva solo essere un comandante, un generale, duro e severo come nessuno, ma mai amorevole. Ma ad Amy Lee andava bene così. In fondo, se era quello che era, lo doveva solo a lui. E, anche se non si piaceva, aveva imparato ad accettarsi. Accettava la sua forza, fisica e mentale, e lo doveva a Iroth, alle ore stremanti di allenamento, alle percosse subite, alle sgridate, a tutto. In quasi due secoli l’aveva resa una fortezza invalicabile, insuperabile. Un mostro nella sua indifferenza, nella sua vita priva di passioni e sentimenti. Un mostro bianco.

Era talmente persa nei suoi pensieri, che non sentì che Iroth si era alzato e le si era avvicinato.

-Dolce Amy-Lee… dolce… mia…- le prese il viso tra le mani, bloccandola, inchiodandola nel suo sguardo, nei suoi occhi così simili a quelli della ragazza. Poteva perdersi, smarrire la strada e non trovarla più, perdere la ragione per sempre. E, anche se solo per pochi istanti, Amy Lee scorse l’anima del dio. Magica e sporca del sangue di innocenti. Eppure, in fondo si nascondeva qualcosa di buono, lo sapeva, lo aveva visto.

Lasciò il viso della ragazza all’improvviso quando entrò Alina e subito dopo entrò Evelyn. Ecco. Tutti i presidi al completo. Il cuore della scuola riunito in una stanza.

Alina era una ragazza umana cresciuta da un elfo. Da quella magica razza aveva assorbito tutto quello che poteva esserle utile, la magia e le doti fisiche. Era una delle più brave a controllare il Faos e il Nefos, le forme di magia che risiedevano a Diemdiart Parscenie.

Evelyn, invece, era una sirena riuscita a scappare dall’Oceano Olimpionico.

Eccoli lì, i cinque presidi, fondatori dell’Accademia. La scuola riuniva tutti i più talentuosi giovani di Diemdiart Parscenie, c’erano elfi, draghi, sirene, nefanis, umani e semin o semi dei.

Amy Lee si alzò e prese dalla libreria addossata al muro, un vecchio tomo rilegato in pelle. Lì dentro era conservata la storia di Diemdiart Parscenie e della scuola. Aprì il libro e cominciò a leggere la corta introduzione.

In principio esistevano solo due forze magiche: Faos, la luce, e Nefos, l' oscurità.

Queste due forze erano ben bilanciate e ruotavano una attorno all’altra, senza mai sfiorarsi finché un giorno si scontrarono. Le forze esplosero e crearono Diemdiart Parscenie, un mondo piatto.

Inizialmente, su Diemdiart Parscenie, c’era solo terra ed acqua. In seguito, l'immenso potere magico dell'esplosione si depositò in esse donando la vita a questo mondo.

I primi esseri viventi furono due divinità, Idril Elros, nati dagli astri - una da un meteorite, l’altro da una cometa- e futuri coniugi.

Successivamente nacquero tutte le creature, da noi oggi conosciute, che iniziarono a popolare Diemdiart Parscenie.

Elfi, Umani, Sirene, Semin, Nefanis e Draghi erano tutti molto di versi tra loro, ma avevano qualcosa in comune: stando sulla terra, o nuotando nell’oceano, entrarono in contatto con le forze magiche che permeavano il mondo e acquistarono un po’ di quel potere magico.

Le diverse razze nel tempo si svilupparono e formarono una loro cultura e delle loro tradizione. E per volere degli dei, furono accomunati da una stessa lingua e una stessa fede.

Portarono avanti la loro evoluzione, ognuno per conto proprio, con l’unico scopo di sconfiggere le altre razze, mossi da una inspiegabile furia e bramosia, così da avere il dominio sul mondo.

Fu così che iniziò la Guerra.

Fu proprio dopo una grande battaglia, chiamata di “Mace Koinos” [Battaglia Universale] perché vi parteciparono tutte le civiltà, che si conobbero i cinque presidi: una semin senza terra, una sirena che aveva oltrepassato l’Oceano, uno spirito fuggito, un’umana e un drago dedito alla musica.

Ognuno di loro, finito il sanguinoso conflitto a cui avevano partecipato, si era ritirato a riordinare i propri pensieri cercando di ignorare la povertà che stava devastando il loro mondo.

Per uno strano gioco del destino, si incontrarono e scoprirono il loro ideale in comune, ossia: il desiderio di diffondere la loro conoscenza e cambiare le ideologie delle generazioni future, promuovendo un mondo basato sulla pace.

Dopo “Mace Koinos” ritornò la dura pace conquistata anche grazie all’aiuto dei cinque ragazzi, ma non tutti ne erano convinti. C'era ancora chi credeva nella guerra e nel sangue versato, nell’indipendenza e nel dominio, ognuno della propria razza.

Ed è proprio per questo che venne fondata l’accademia, un progetto a cui i cinque furono coinvolti. Per sradicare quelle convinzioni, per aiutare a costruire un nuovo futuro privo della violenza e del dolore della morte, un futuro senza gli errori del passato.

Alcune divinità, ancora adesso sconosciute, aiutarono i presidi e donarono loro l’eterna giovinezza, così da poter garantire la riuscita e il continuo del progetto di pace e riunificazione che avevano cominciato.

Lentamente, l’Accademia si espanse coinvolgendo tutti i giovani di Diemdiart Parscenie che credevano in un nuovo futuro per il loro mondo.

E c’è sempre qualcosa da fare. Qualche missione da portare a termine, qualcuno da proteggere. Qualcosa in cui credere.

 

Mentre Amy Lee leggeva il libro, Alina si era avvicinata al mucchio di fogli e aveva preso una lettera di un’ammiratrice di Reo e aveva cominciato a leggerla ad alta voce, ridendo a crepapelle.

La semin non rise. Un po’ perché non rideva da tanto, troppo, tempo e non era sicura di sapere come si facesse a ridere. Un po’ perché non trovava niente di divertente. Anzi, quasi invidiava quella ragazza. Lei probabilmente, sapeva cos’era l’amore, o quantomeno lo avrebbe imparato, prima o poi. Lei comunque poteva provarlo. Amy Lee no. Non sapeva neanche di cosa stesse parlando la lettera. Amore, che parola sconosciuta. Che sentimento complesso, lei non lo avrebbe mai provato. Nessuno le aveva mai insegnato ad amare, non sapeva cosa fare, come comportarsi. E poi, chi mai avrebbe voluto amare un essere come lei? Freddo, distaccato, non umano? Chi mai si sarebbe legato a un pezzo di ghiaccio? Chi avrebbe resistito al suo terrore, al suo cuore di ghiaccio? E amore era sinonimo di debolezza, lo aveva visto più volte nei secoli. Quel sentimento rendeva gli uomini pazzi e li spingeva a comportarsi in modo stupido, avventato e senza logica. Con l’amore di una persona in pugno, si poteva costringerla a fare qualsiasi cosa. Ma sapeva anche che amore equivaleva a vita e voglia di vivere, a forza. Aveva visto tanti soldati combattere con tutta la loro energia perché a casa li attendeva la loro adorata moglie, o l’amore di un figlio piccolo. E tante volte li aveva salvati, altri solo uccisi. Niente era così forte da salvare una persona dalla Morta, da Nèsme. Nessuno poteva sconfiggerla. Neanche l’amore.

La ragazza uscì dai suoi pensieri solo quando Alina finì di decantare la lettera e sgridò a sua volta Reo. Già, avevano imparato a conoscerlo.

Evelyn sorrise a tutti quanti e li salutò calorosamente, ma Amy Lee non rispose al saluto. Per lei non era quasi mai un buon giorno, e non aveva la minima voglia di salutare, non con Iroth che la guardava e ghignava malefico. Incrociò le braccia al petto e osservò la stanza tornando alla sua sedia.

Dovevano parlare di tante cose.

La partenza di Evelyn, dei nuovi allievi, di quelli vecchi. Delle missioni. Rivolte. Novità.

Il dio si avvicinò e posò le mani sulle spalle della ragazza. La semin si irrigidì contro lo schienale. Il contatto fisico non le piaceva. La metteva a disagio, soprattutto se chi la toccava si trovava dietro di lei. Amy Lee voleva, doveva, avere il controllo della sua vita. Del suo campo visivo. Del suo corpo.

Il dio avvertì l’irrequietezza della ragazza, così si spostò davanti a Amy Lee e posò una mano sul tavolo, appoggiandoci tutto il peso e cercò di guardarla negli occhi. Come se avesse bisogno di quello. Certo, gli occhi erano lo specchio dell'anima, ma cosa si poteva contrapporre ai potere di un dio? Di certo non uno sguardo.

La preside continuò a osservare il vuoto davanti a sé e, con un movimento fulmineo, conficcò l'arma nel legno del tavolo, dove solo pochi istanti prima si trovava la mano di Iroth.

Il dio ridacchiò e scosse la testa. -Rassegnati mia dolce Amy-Lee...-

Avrebbe sempre vinto. Amava vincere e vinceva. E con lei erano sempre battagli vinte.

Osservò lo stiletto davanti a sè senza muovere un dito.

Peccato per il tavolo...

Alzò lo sguardo verso gli altri presidi. -Scusate…- poco più che un sussurro che probabilmente non avrebbero sentito. Ma sicuramente i presidi sentirono l’urlo del drago. Amy Lee lo guardò, non si era neanche accorta che si fosse messo vicino a lei, non si era accorta che, conficcando il pugnale, cercando di prendere Iroth, era andata vicino alla mano di Reo. D'altronde, se avesse voluto ucciderlo veramente, sarebbe già morto, la forma umana del drago era così... debole, c'erano mille modi per ucciderlo, lui e chiunque altro. Ne aveva uccisi così tanti, era facile, era nata per quello. Probabilmente sarebbe riuscita ad ucciderlo anche in forma di drago, tutti avevano dei punti deboli, anche quelle creature enormi.

Quante volte si era schierata con Iroth in uno o nell'altro esercito, stabilendone la vittoria o la sconfitta. Era stata schierata con tutte le creature, almeno una volta. Una volta li aveva aiutati, quella dopo sconfitti. E la semin si divertiva, si sentiva meglio con se stessa, rilassata. Al fianco di un dio e con la spada sguainata e scarlatta. Era un mostro, non migliore del padre. Dopotutto, l'avevano addestrata a quello per tutta la vita e la ragazza si sentiva piena, completa, solo coperta di sangue. Dopo non era più bianca. Il rosso era un colore, un sentimento, delle emozioni. Anche se non le appartenevano, poteva fingere che quel colore fosse il suo.

Fortunatamente, era maturata, con il passare del tempo. Aveva accettato il suo carattere e il suo colore. Sapeva che tutti avevano un posto, e il suo era neutrale, invisibile agli occhi. Ma accanto agli altri presidi. E a Iroth. Da qualsiasi parte guardasse la prospettiva della sua vita, vedeva sempre il dio al primo posto. Come era possibile? Però, in un certo senso, era anche positivo. Se era accanto ad Amy Lee non era in giro per Diemdiart Parscenie a seminare morte e terrore.

La preside allungò una mano per riprendersi lo stiletto, ma Reo fu più veloce e lo prese per primo, per poi allontanarsi dal tavolo.

No, quello non doveva farlo.

Solo due persone potevano toccare quell'arma, Amy Lee e Iroth. Di certo non il drago.

Sentì il dio cominciare a perdere il controllo, era facile per la ragazza capirlo anche senza guardarlo, cominciava a sentire un caldo cuocente al collo e tutti i pensieri di Iroth le si fiondarono nella mente. Per un attimo la semin cadde nel panico. Il dio era terribile, incontenibile, imprevedibile, quando si arrabbiava. Poi il ferreo controllo dei suoi non sentimenti, prese il controllo.

La ragazza si ricordava di come Iroth le aveva donato lo stiletto. Aveva chiesto direttamente a Xavier, il dio del fuoco e della metallurgia, di forgiarlo. Glielo aveva regalato quando Amy Lee aveva deciso di lasciarlo per l'Accademia. Lo stiletto era semplice, visto che Iroth non amava i troppi sfarzi, un'arma serve per uccidere, non a essere messa in mostra. Semplice ma resistente, era fatto da un metallo che si trovava solo nella Dimora Celeste e che, praticamente, era indistruttibile. L'unico ornamento era una piccola pietra verde. Una pietra che racchiudeva un frammento dell'anima di Iroth.

Il dio glielo aveva consegnato freddamente sulla porta della Dimora Celeste.

-Hai fatto la tua scelta e io non posso seguirti. Ma sarò vicino a te. Meglio che tu non ti faccia uccidere. Mi servi. – le disse, poi si era girato e se n'era andato. Non un sorriso, una parola dolce. Ma un'arma. Che poi non l'aveva mai protetta, visto che Iroth l'aveva raggiunta poco tempo dopo e l'aveva aiutata.

Ma chi toccava lo stiletto andava in contatto con l'anima del dio, e di certo non c'era niente di bello da vedere. Non per chi non lo conosceva. E non per chi non sapeva cosa cercare.

Guardò Iroth negli occhi. Sì, era molto arrabbiato. Per di più Lerisse era scomparsa perdendo la sua forma corporea, probabilmente per colpa del dio e della sua presenza oscura e potente. Se non avesse fatto qualcosa, sarebbe finita male. Per Reo.

Ritornò anche Alina, anche se Amy Lee non si era accorta che la preside era uscita, e disse qualcosa a proposito di omicidi e divertimento probabilmente era quello che sembrava. La semin che cercava di uccidere brutalmente il drago. Anche se in verità stava cercando di uccidere un dio e non un semplice drago. E di divertente non ci trovava assolutamente niente, ma lei non trovava mai niente divertente. Forse non riusciva a cogliere l’ironia della situazione.

Assorta nei suoi pensieri, vide solo con la coda dell’occhio Evelyn che si era alzata e si era avvicinata alla finestra, ma non ci fece troppo caso, era troppo presa dai suoi pensieri e da quelli di Iroth. Una persona, o meglio, un dio, come poteva provare tanta rabbia e odio per una persona totalmente sconosciuta? Certo, era il dio della guerra, era pressoché logico che odiasse tutto e tutti, era nella sua natura, ma non riusciva a capirne il motivo. Si poteva odiare qualcuno a vista? Senza conoscerlo, senza averci mai parlato, così, a pelle? La preside non lo sapeva, non ci aveva mai provato, non ci era mai riuscita, era tutto troppo complesso. Cosa scatenava l’odio verso una persona? Una parola, un comportamento, un movimento, un pensiero, un’espressione? Cos’è che spingeva due persone a odiarsi? Qualcuno lo sapeva o era un mistero per tutti? Erano gli dei che decidevano per te chi si doveva odiare, così, per rendere la loro giornata meno noiosa, o lo decideva la persona? Forse avrebbe potuto chiederlo, qualcuno le avrebbe risposto? Come si faceva a odiare le persone? E a amarle? Iroth di certo sapeva come odiarle, e probabilmente l’amore era una cosa misteriosa per il dio quanto per la figlia.

Il drago era l’esempio perfetto, il dio non conosceva Reo, ma lo odiava. Perché?

Ma prima doveva risolvere in fretta la questione dello stiletto prima che la situazione sfuggisse dalle mani di tutti.

Allungò una mano e guardò il drago negli occhi. -Dammi lo stiletto Reo. Subito.-

La voce era rauca, come quella di una persona che non parlava da molto. E in effetti era così. Con Iroth non aveva bisogno di parole, le leggeva nel pensiero, ed era tanto che non parlava con Imòr o Fierith. Passava il suo tempo ad allenarsi e ad allenare, parlava poco e solo se strettamente necessario, dopo tutto, la sua voce era così impersonale... non aveva nè un timbro nè un accento particolare. Sua madre aveva visto giusto a chiamarla neve trasparente, tutto in lei portava alla trasparenza, al bianco. I suoi capelli, la sua pelle, il suo carattere, la sua voce.

Purtroppo, più Amy Lee guardava il drago negli occhi, più capiva che sarebbe stato difficile riavere lo stiletto in fretta. E lo aveva capito anche Iroth e si stava arrabbiando ancora di più. Il dio stava osservando i pensieri e i ricordi del preside, per scoprire i punti deboli, fisici e mentali. E se li sarebbe ricordati. Probabilmente anche il drago stava vedendo qualcosa, anche se non capiva cosa.

-Reo. Dammelo.-

La semin sentì il dio muoversi dietro di lei e sussurrò qualcosa di incomprensibile. Questo la preoccupò non poco. Quando c’era di mezzo qualcosa che non riusciva a capire, non era mai un buon segno.

Perché Reo non si sbrigava a ridarle lo stiletto? Non sentiva l’ira di Iroth crescere?

Lo guardò negli occhi, tendendo ancora la mano. -R…- non fece in tempo a dire niente perché sentì un pugnale volare in direzione del drago. Istintivamente si alzò in piedi e si mise davanti a Reo. Non riuscì, però, a prendere il pugnale e quello la colpì al braccio destro. Sulla manica candida si allargò una macchia rossa sempre più grande. Amy Lee si guardò il braccio, non sentiva poi così male, giusto un lieve pizzicorio. Dopotutto, non era niente di grave, era solo un’altra cicatrice da aggiungere alla sua collezione.

Alzò lo sguardo e guardò male Iroth. Adesso era contento? Gli altri presidi avevano visto un pugnale comparire dal nulla e lei si era ferita. Avrebbero cominciato a fare domande. E Amy Lee non sopportava le domande.

Prese il pugnale e se lo tolse dal braccio, sentì una fitta, ma non disse nulla, non una smorfia, una lacrima, un lamento. Niente. Era abituata a tutto quello, lanciò il pugnale lontano, macchiando il pavimento di sangue.

Guardò Reo negli occhi e allungò la mano sinistra macchiata di rosso, ma non aspettò un suo gesto, gli tolse lo stiletto dalle mani. Si sedette di nuovo al suo posto e con lo stiletto appena recuperato, tagliò tutta la manica, che ormai era diventata scarlatto, e la gettò da parte. Si guardò la ferita con occhio esperto. I margini non erano frastagliati, ma era una ferita profonda. Si tagliò la gonna e ne fece delle bende improvvisate, e cominciò a fasciarsi strettamente il braccio. Il dio le si avvicinò. -Perché ti sei messa in mezzo?-

La semin non lo guardò, concentrata a fasciarsi il braccio, che però continuava a sanguinare. Neanche lei lo sapeva, solo non capiva perché fare del male a Reo. Le sembrava una reazione esagerata. Certo, aveva preso lo stiletto, ma il drago voleva solo giocare, fare lo stupido, lui se lo poteva permettere, d’altronde lei era seria abbastanza per tutti, gli altri potevano pure giocare e divertirsi.

Iroth schioccò le dita con un sospiro e il sangue smise di uscire dalla ferita.

-Vattene… non ho bisogno di te…-

Sussurrò Amy Lee con lo sguardo basso. Non era arrabbiata, ma delusa. Da se stessa, che non era riuscita a fermare il pugnale. Da se stessa, che dipendeva sempre dal padre. Da se stessa. Da tutto.

Amy Lee non si era neanche accorta che il drago le si era avvicinato per vedere cosa si era fatta. Si girò e guardò male Reo, l’affermazione non era rivolta a lui, ma se lo avesse visto gli avrebbe risposto allo stesso modo. La ragazza non capiva proprio. Non era una persona che ispirava dolcezza e protezione, lo dicevano i suoi occhi, duri e intensi, il suo corpo allenato e scultoreo, le sue innumerevoli cicatrici. Niente in lei ispirava protezione e non capiva perché Reo avesse fatto quello che aveva fatto, si conoscevano da un po’, ormai doveva conoscerla, almeno un pochino. Come doveva conoscerla Iroth, d’altronde. Perché allora faceva sempre il bambino? Ragionandoci, Reo era innocuo, se aveva visto qualcosa nello stiletto, qualche ricordo, suo o del dio, probabilmente non lo aveva capito, o non gli interessava, chissà quale ricordo assurdo e senza senso aveva scorto attraverso il pugnale. Per lui poteva essere un sogno, per lui come per chiunque altro. Forse solo Lerisse avrebbe capito qualcosa, ma più che altro perché avrebbe avvertito l’aura malvagia di Iroth come aveva fatto qualche istante prima, visto che aveva perso il controllo della sua forma e era svanita. Ma, comunque, la semin sapeva perché il dio si era arrabbiato, non era tanto per lo stiletto, almeno, non troppo, ma proprio per Reo, o meglio, per il suo essere un drago. Amy Lee si passò inconsapevolmente la mano sul cuore dove, attraverso la stoffa leggera, poteva sentire una spessa cicatrice. Gli occhi le si annebbiarono andando a ripescare un ricordo in particolare in mezzo a tanti altri che ormai aveva rinchiuso in fondo al cuore di ghiaccio per tanto tempo. Sapeva che dietro a tutto c’era Iroth, che voleva farle capire quello che aveva provato, se così si poteva dire e, nonostante quello, non riuscì a non farsi trascinare dal vorticare dei ricordi e così, scomparve la presidenza, scomparvero Reo, Alina, Evelyn, Lerisse, scomparve tutto, e al loro posto comparve il territorio desolato di Vollen, la terra dei draghi.

 

Era passato più di un secolo, quasi due, eppure il ricordo era così vivido, come se tutto fosse successo solo qualche giorno prima. Era una delle sue prime vere e proprie battaglie e Iroth aveva deciso di schierarsi dalla parte degli elfi che combattevano contro i draghi. Lo scontro, combattuto sulle terre aride di Vollen, nella lunga storia di Diemdiart Parscenie non aveva mai acquistato un nome, era stato dimenticato. Amy Lee era scesa in campo e si era mescolata con gli elfi. Anche Iroth era lì da qualche parte che vegliava la battaglia o i prima fila, mascherato da elfo che combatteva. I ricordi della battaglia erano sfocati, ma d'altronde non c'era molto da ricordare, era solo un alternarsi di colpi, sangue e colpi ancora, alcuni inflitti altri ricevuti, ma di quelli ne avrebbe risentito dopo, durante la battaglia, con tutta quell'adrenalina in circolo, non se ne accorgeva neanche. Aveva ucciso draghi, aveva sentito gli elfi cadere accanto a sé, senza sosta, senza riposo, senza ritegno, senza domande. Uccideva perché doveva, uccideva senza pensare, uccideva perché era l’unica cosa che sapeva fare, uccideva senza richieste, semplicemente perché voleva. Uccideva come le avevano chiesto, uccideva come le avevano insegnato.

Poi il ricordo saltó più avanti, alla fine della battaglia, dopo che gli elfi avevano vinto e stavano controllando il campo, medicando i feriti e uccidendo i nemici che non erano morti. Amy Lee stava uccidendo un drago a cui era stato mutilato un braccio e che riportava altre varie ferite molto gravi, e la ragazza sapeva che, in fondo, gli faceva un favore, di sicuro non avrebbe superato la notte, ma quelle ore le avrebbe passate nell'agonia. Ad un certo punto sentì un dolore lancinante alla schiena e al cuore. Quel cuore che ormai pensava di non avere più. Abbassò lo sguardo e vide la punta di una spada uscire dal suo petto. Si accasciò a terra e tutto divenne buio. 

 

Amy Lee aprì gli occhi di scatto e dovette trattenere un urlo. Poi si ricordò tutto. Dannato Iroth e i suoi ricordi. Non aveva già combinato abbastanza disastri per un giorno solo? Con calma mise a fuoco la presidenza e con lunghi respiri riprese la sua consueta calma. Sperò che nessuno avesse notato quell’attimo di.. “distrazione” e si alzò in piedi. Avevano tergiversato anche troppo. La semin stava per cominciare a parlare di quello per cui si erano trovati, quando una colomba entrò in presidenza e atterrò sulla spalla di Alina. La preside prese il foglio legato alla colomba e cominciò a leggere. Poco dopo sbiancò. L’umana raccolse le sue cose sparse per la presidenza, salutò velocemente tutti dicendo che si sarebbe fatta sentire al più presto, poi uscì di corsa.

Amy Lee si lasciò cadere di nuovo sulla sedia. E adesso ce n'era un'altra in meno. Sarebbero mai riusciti a stare dietro a tutto se continuavano ad assentarsi? Proprio quell'anno, poi. Tutto sembrava andare male. C'erano sempre più fuochi di ribellione disseminati in tutta Diemdiart Parscenie a favore della guerra e sempre più studenti si iscrivevano all’Accademia.

-Direi che dobbiamo proprio passare alle cose importanti. Primo fra tutte, la suddivisione delle materie. Io prenderò quella che rimane, non è un problema. E in più dobbiamo parlare dei nuovi studenti e organizzare la Cerimonia di inizio anno, quindi direi che abbiamo davvero molto da fare. Inoltre ho sentito da delle mie fonti molto affidabili, che ci sono delle proteste molto accese, e penso che non sia il caso di coinvolgere troppo i ragazzi. Quindi, o contattiamo persone esterne, assumendoci i rischi che potrebbe comportare questa scelta, o dovremmo prenderci delle missioni anche noi...- detto questo Amy Lee ritornò a sedersi. Aveva parlato anche troppo. Quello che doveva dire, lo aveva detto. Sperava solo che non rimanesse scoperta la cattedra di magia, non era proprio bravissima in quello, soprattutto perché a Son non si focalizzavano tanto sull’esercizio di quest’ultima e sulle materie intellettuali, ma solo sulle materie fisiche. La magia era sempre stata considerata da deboli, chi non riusciva a difendersi da solo, con le proprie forze, doveva far ricorso a trucchetti e magie varie. E a Son evitavano di ricorrere a quei trucchi. Almeno fino due secoli prima, non andava più nella sua terra natia da molto tempo, ma dubitava che qualcosa fosse cambiato. Ma, d’altronde, sapeva anche che Lerisse teneva molto a quella cattedra e che era anche molto brava. Non rimanevano molte altre cattedre scoperte. Geostoria, che non amava particolarmente, ma che si sarebbe fatta andare bene, strategia che le sarebbe andata molto bene e infine le lezioni pratiche. E rimanevano fuori Reo e Evelyn. La meta musa non la vedeva proprio a fare lezioni pratiche e Reo… beh, non sapeva proprio cosa avesse voglia di fare. Mentre pensava, Amy Lee ricominciò a giocare con lo stiletto e si ritrovò a chiedersi cosa aveva visto Reo. Un ricordo suo o di Iroth? E dove si trovava? Possibile che il dio gli avesse fatto vedere il ricordo che poi aveva proposto a lei pochi minuti dopo? Sperava vivamente di no. Quello era proprio un episodio che denotava la sua debolezza. Essere colpita alle spalle. Una grave mancanza, doveva stare più attenta. Non che ormai cambiasse molto, quello che era successo era successo, ma Iroth si divertiva sempre a rigirare il coltello nella piaga. Ma sperava che lo facesse solo con lei e che non la mettesse in ridicolo davanti ad altri.

Poi decise di accantonare quei pensieri, e soprattutto, quei ricordi. Così si mise a pensare alla Cerimonia di apertura. Non che avesse tanta fantasia da buttare in un’opera mondana in cui lei si annoiava ogni anno. Ma gli studenti, a quanto pareva, si divertivano, e quindi.. beh, bisognava farlo. E, a proposito di studenti, aveva proprio voglia di conoscerli. Le sembrava che si nascondessero molti pregi dietro a quei ragazzi.

Prese dei fogli dal tavolo e cominciò a sfogliare i curriculum degli studenti.

Amy Lee alzò lo sguardo dai fogli e tornò a guardare gli altri presidi. Non le era venuta in mente nessuna idea per la Cerimonia di inizio anno, sperava che gli altri avessero più fantasia di lei.

   
 
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