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Autore: MAMMAESME    08/04/2015    5 recensioni
Matrimonio in vista? Chissà ...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nina Dobrev
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ultima notte

Lo scatto della serratura cancellò ogni tentennamento.

Salii le scale due gradini alla volta, troppo impaziente per aspettare l’ascensore.

Non ebbi bisogno di bussare: Nina l’aveva lasciato la porta socchiusa.

Entrai, chiudendo il mondo fuori. Un giro di chiave mi avrebbe relegato dentro un’isola in cui gli unici naufraghi saremmo stati io e Nina.

Mi guardai intorno: una luce ovattata proveniva dalla sua camera. Lanciai il giubbotto sul divano senza riflettere e mi lasciai guidare da quel fuoco, come una falena anela al calore della candela, incurante del fatto che le brucerà le ali.

Nina era sepolta sotto le coperte, il volto appena visibile sul cuscino.

Mi accucciai davanti ai suoi occhi chiusi e le sfiorai la fronte. Era più fresca, leggermente sudata.

-Come stai? – le chiesi.

-Dove hai lasciato le chiavi? Stavo sonnecchiando e mi hai svegliata - mi rimproverò.

-Se vuoi me ne vado.-

-Ormai sei qui … -

-Hai preso qualcosa? –

-Del paracetamolo per la febbre. Mi sento sfiancata … -

-Vuoi del succo d’arancia dolce? Del tè freddo? –

Mi alzai per dirigermi in cucina ma Nina mi fermò.

-Voglio solo che ti sdrai un po’ con me: sono a letto, non posso svenire se sono sdraiata. -

Si spostò un po’ di più in quella che era solita essere la sua parte del letto.

Lei aveva sempre dormito alla mia sinistra, voltandomi le spalle affinché potessi abbracciarla e tenerla incollata a me tutta la notte.

Girai attorno al letto e, senza nemmeno togliermi le scarpe, mi sdraiai sopra le lenzuola, in modo da avere una barriera che mi tenesse separato dal suo corpo.

Feci passare il braccio tra il cuscino e il suo collo e la strinsi al mio petto, coperte comprese.

Chiusi gli occhi mentre lei si accoccolava contro il mio corpo, le labbra appoggiate al mio avambraccio.

Il silenzio riempì la stanza, amplificando il suono del suo respiro affannoso.

Ogni tensione si sciolse e la quiete ci avvolse.

Le spostai i capelli dal collo e cominciai a sfiorarla col dorso delle dita per farla rilassare.

La rabbia e la frustrazione di poco prima lasciarono il posto ad un senso di pace, alla consapevolezza di essere al posto giusto, esattamente dove volevo essere.

L’ultima volta che l’avevo tenuta tanto vicina, seminuda e morbida, era stato durante le riprese della puntata che aveva visto Damon ed Elena riavvicinarsi … fare l’amore per l’ennesima prima volta.

 

Eravamo nell’enorme letto di Damon, nudi dalla vita in su. La scena prevedeva che lei mi guardasse dormire, appagata da quell’amore che riaffiorava sulla pelle ancora calda dopo una notte di passione,  da quello stesso sentimento rilegato nell’oblio di un’amnesia crudele.

Nina non si era limitata a guardarmi, non si era fermata alla contemplazione: si era spinta oltre e si era avvicinata, portando il mio braccio attorno alle sue spalle, posando il suo volto e le sue mani sul mio petto nudo, indifferente allo sguardo dei tecnici e del regista i quali continuarono a girare, consapevoli che la scena avrebbe acquistato quel tocco di dolce passione tanto amato dai fan Delena.

Rimanemmo in quella posizione qualche secondo, in attesa dello stop di Pascal.

Qualche secondo di troppo.

Nonostante il silenzio tra di noi, nonostante la sua freddezza prima e durante le riprese, quella vicinanza inaspettata mi rivelò quanto ancora i nostri corpi si cercassero.

Nina era apparentemente immobile sotto le lenzuola di scena, ma io percepivo ogni lieve fremito della sua pelle, ogni minimo cambiamento nel suo respiro trattenuto.

La conoscevo

Conoscevo il suo corpo e il suo corpo mi parlava, mi raccontava le sue sensazioni, le sue emozioni: un muscolo contratto, un brivido improvviso, le labbra strette a trattenere un sospiro, mi rivelavano molto più di mille parole.

Nella vita Nina non era mai uguale, mai la stessa: imprevedibile e volubile, mi lasciava sempre senza fiato.

Ma, tra le mi braccia, non aveva segreti, non poteva nascondermi nulla: avevo imparato a leggere ogni reazione, ogni minimo cambio di battito, il tono del respiro, l’intensità del suo piacere.

Nel tempo della nostra storia, nelle notti che avevamo condiviso, tutti quei segnali non riuscivano mai ad arrivare al mio cervello. Il mio corpo giocava d’anticipo, fornendo tutte le risposte alle sue tacite ma eloquenti richieste: una carezza … un bacio … tutta la mia bruciante passione.

Avvolto dalla seta rossa, sentivo il suo desiderio, la sua lotta per nasconderlo; mi sforzai affinché non mi contagiasse, non invadesse i miei lombi e mi facesse alzare da quel letto con un evidente … imbarazzo.

Qualcosa comunque si smosse dentro di me e quella porta, chiusa su un sentimento sepolto ancora vivo, si aprì in uno spiraglio di disperata speranza.

Provava ancora qualcosa per me?

Forse lei no, ma il suo corpo sì.

Sentendo il calore del suo volto contro il mio petto, il tocco della sua mano, le sue gambe stringersi per controllare il crescente languore, capii che nulla era cambiato: vicini innescavamo una reazione chimica incontrollabile, che accendeva Nina e spegneva ogni mia razionalità.

E anche in quel letto, come sempre accadeva, mi persi in lei.

Come quando era ancora mia.

Ogni volta che la guardavo mi smarrivo nei suoi occhi, rimanendo stupito di quanto amore potessi provare.

Era l’unica ad essere riuscita spostare il mio epicentro da me a lei, a togliermi dal centro dell’universo per porvisi come regina incontrastata della mia esistenza, la sola che era riuscita ad annullare le mie brame per diventare il mio unico desiderio.

Fu solo il vociare della troupe, le luci di scena, il tossicchiare divertito di Paul a fermarmi dal possederla lì, tra quelle lenzuola rosse come la mia passione, stropicciate come la mia anima.

 

Contro ogni previsione, stavo ancora condividendo un letto con lei.

Cullavo il suo sonno agitato dalla febbre e da chissà quali sogni, mentre mi crogiolavo nella vischiosità di quel momento.

Sentivo riaffiorare i miei sentimenti, me li sentivo incollati sulla pelle, mi ci rotolavo, incapace di scrollarmi di dosso quella sensazione appiccicosa: più tentavo di spazzarla via, più si spalmava sulla mia pelle come miele.

Nina si voltò per cambiare posizione e la sua bocca si trovò a pochi centimetri dalla mia, gli occhi semiaperti, lucidi di febbre e di passione.

Inevitabilmente posai le mie labbra sulle sue, socchiuse, pronte ad accogliermi.

L’effetto fu sconvolgente.

Baciarla era come essere sommersi da ondate di calore che mi scioglievano il sangue e incenerivano le mie barriere.

Cercai di mantenere il controllo, ma separare le mie labbra dalle sue era difficile.

Mi concessi qualche secondo.

Infilai le dita tra i suoi capelli e la avvicinai ancora di più a me. Nina si aggrappò alle mie spalle per trattenermi, per farsi più vicina. Le onde si fecero più impetuose e mi travolsero. Feci scivolare una mano lungo la sua schiena: era così fragile sotto le mie dita.

La strinsi al petto e la sentii rabbrividire.

Era come naufragare ed io avrei voluto abbandonarmi alla marea.

Volevo sentire la sua pelle contro la mia, il suo corpo aderire al mio.

Com'era possibile “sentire” così intensamente?

La punta della sua lingua tracciò il contorno delle mie labbra.

 

… e il naufragar m'è dolce in questo mare …

 

Dovevo fermarmi o non ne avrei più avuto la forza: non potevo naufragare. Questa volta sarei affogato.

Allontanai il suo viso e sciolsi l’abbraccio.

La guardai severo.

I suoi occhi riflettevano il mio stesso desiderio, la mia stessa frustrazione.

-          Nina … - sospirai, arrendendomi a lei.

Sarei dovuto essere dispiaciuto del suo incosciente trasporto, invece non mi dispiaceva. Anzi, me ne compiacevo e non andava bene.

I pensieri si confondevano con la passione che fluttuava nell’aria, incontrastata padrona della mia volontà.

Le coperte tra di noi non erano una barriera sufficiente ad ostacolare le vibrazioni che i nostri corpi si comunicavano, chiamandosi disperati.

Inutile negarlo: separati eravamo incompleti, malati terminali staccati dalla macchina che ci teneva in vita.

Eppure dovevamo sopravvivere come gemelli siamesi separati.

Uniti ci alienavamo, incapaci di rinunciare a ciò che volevamo per ciò che provavamo. Ci avevamo provato. Avevamo fallito.

Tempi sbagliati, età sbagliate, momento sbagliato … tutto, tranne il nostro amore, era sbagliato. Anche adesso che tutti gli elementi avrebbero potuto trovare il proprio posto, era proprio il nostro amore a non trovare una collocazione, come acqua in un vaso ormai rotto.

-Perché è così difficile? Amarsi non dovrebbe essere difficile – sussurrò sul mio collo, dove aveva nascosto il suo viso.

-Amarsi non è difficile. Lo è stare insieme, conciliare l’inconciliabile, rinunciare, scegliere. –

-A volte mi domando se il nostro è amore o pura passione, se siamo come Damon ed Elena o come Damon e Katherine.-

-Noi siamo Nina e Ian: unici e inconciliabili.-

-Non mi hai risposto: amore o passione? –

Per quanto la passione, la carnalità del nostro rapporto fosse intensa e devastante, io sapevo che lei era un marchio sul mio cuore, una parte della mia anima e, sesso o no, era parte di me, lo sarebbe stata per sempre, uniti o divisi che fossimo.

Noi eravamo amore e passione, un connubio perfetto, un perfetto equilibrio tra pelle e sentimento, sangue e cuore. L’unica esclusa era la ragione. Con Nina non riuscivo a ragionare, non ero in grado di intendere e volere. Mi annullavo in lei, perché lei mi dava una vita nuova … o me la toglieva. Aveva un potere immenso sulle mie emozioni e, il giorno che mi aveva lasciato definitivamente, avevo capito quanto di me si era perso in lei, quanta parte della mia esistenza dipendeva da lei, come la vita dall’acqua.

Nina era pericolosa, lo era per me, per il mio equilibrio, per la mia vita, per come l’avevo sognata.

Ecco perché dovevo mantenere il controllo, staccarmi da lei, aggrapparmi alla realtà, a Nikki, al futuro.

Una voce, la mia voce, mi riscosse da queste inutili riflessioni.

Sentii l’aria trapassare le corde vocali, emettere un suono che divenne parola.

-Ti amo, Nina … lo sai che ti amo. -

Lo stavo dicendo davvero. Le parole mi erano uscite dalla bocca senza passare dal cervello, sorgere direttamente dal cuore dove le avevo sepolte.

La verità mi era esplosa in faccia come una granata tenuta tra le mani talmente a lungo che la presa sulla sicura si era allentata, provocando la deflagrazione.

La verità, però, non sarebbe servita rimetterci insieme e quella granata disintegrata in mille schegge non era che il mio cure, stretto in un pugno come nella copertina di “America idiot” dei Green Day.

Un idiota … la definizione mi calzava a pennello.

E il suo silenzio me lo stava confermando.

Aveva fatto una domanda, aveva preteso una risposta, ma non aveva concesso nulla in cambio.

Mi scostai da lei e la fissai in cerca di un segno sul suo viso, di un accenno d’amore nei suoi occhi.

-Era questo che volevi sentirti dire? – esclamai esasperato, alzandomi dal letto. – Volevi farmi ammettere la mia debolezza per sentirti potente. Non cambia nulla, Nina. Io sposerò Nikki. Io la sposerò, farò dei figli con lei, realizzerò i miei sogni con lei. Con lei, non con te. -

I pezzi del mio cuore scricchiolarono sotto i miei piedi.

Nina si mise a sedere, appoggiandola schiena ai cuscini e accartocciando le lenzuola contro il petto.

Mi fissava. In silenzio. Intensa.

Io chiusi gli occhi.

Just gonna stand there and watch me burn
But that's alright, because I like the way it hurts
Just gonna stand there and hear me cry
But that's alright, because I love the way you lie

 


Era esattamente così che mi sentivo.

Era esattamente così che non avrei voluto sentirmi mai più.

Lei mi scrutava, mi scavava dentro e, come un chirurgo, sezionava col bisturi del suo sguardo ogni brandello di orgoglio.

Stavo male ed ero felice di star male perché era lei a farmi star male.

Sentivo il suo potere, la sua forza che mi legava, la sua fragilità che mi calamitava al suo fianco.

E poi c’era il suo odore, le sue mani, il suo respiro … ed io non potevo far altro che essere lì, restare lì.

-Ti ho appena detto che ti amo … - rantolai.

Aprii gli occhi. I suoi erano bassi, sulle sue dita nervose.

Da regina a bambina in un batter di ciglia.

-Ian … io vorrei tanto sentirmi libera.

Libera di amarti, libera dal tuo amore. Libera di vivere la mia vita, ma di ritrovarti lì, dove ti vorrei.

Vorrei essere con te, senza parole, senza promesse, senza bugie, senza verità. Non m’importa di un amore che chiede pegni in cambio.

Vorrei poterti amare liberamente, vorrei che mi amassi senza aspettative.

Non sono frivola, e tu lo sai, ma in questo momento, in questa fase della mia vita non voglio legarmi, avere obblighi, farmi carico dei tuoi sogni o abbandonare i miei.

Non voglio essere il tuo piedistallo, la luce che ti illumina alla ribalta.

Non so cosa sono disposta a darti. Non ancora.

E non voglio sentirmi in colpa per questo.

Non voglio sentirmi intrappolata in un gioco di dare e avere solo perché ti amo, perché mi ami, e quindi non posso chiederti di aspettarmi, non più.

Io andrò avanti. Sarò felice. So che sarò felice anche senza di te, nonostante te.

Quindi, va bene.

Sposala.

Riproduciti.

Amala e fatti esaltare.

Ma non questa notte. Questa notte sei qui con me, libero di essere libero.

Domani sarete tu e lei.

Qui, questa notte, saremo tu ed io.

E potremo fare sesso o no, stare abbracciati o separati, nello stesso letto o ai poli opposti della stanza, ma saremo tu ed io, senza ieri e senza domani. –

 

Da bambina a donna in una frazione di respiro.

Destabilizzante.

Con Nikki c’era protezione, affetto, discrezione. Lei si muoveva in punta di piedi nel mio spazio, lo illuminava, spargeva petali ai miei piedi. C’era rispetto, c’era venerazione, bisogno.

Nikki non si avventurava nelle mie zone buie, non cercava di strabiliarmi o di cambiarmi. Lei c’era, mi amava, mi sosteneva. E questo le bastava. Mi bastava.

Nina no.

Nina scavava e lasciava crateri. Non aveva nessun imbarazzo nel guardarmi dentro, denudandomi, permettendomi di essere il meglio e il peggio, il buio e la luce, quello forte e quello debole. Tutto in uno.

Un essere libero, intero, completo tra le sue braccia e sotto le lenzuola.

Quell’intero, però, si sgretolava alla luce del sole artificiale di riflettori che s’infiltravano nel nostro mondo imperfettamente perfetto, della realtà che spaccava i sogni e li divideva ... i suoi … i miei, non più nostri, non più uniti.

Tutto era perfetto tra le quattro mura di una camera.

Tutto era fattibile nello spazio di una notte.

Tutto si sarebbe disfatto all’alba, oltre la soglia, fuori da lei.

Rischiare tutto per una manciata ore?

Rischiare l’anima per un ultimo ricordo?

Lo ammetto: avevo paura.

Ma la vertigine mi richiamava nel baratro invece di farmi fuggire.

La guardai e la mia volontà si spense.

La guardai e mi sentii un drogato che cede.

Un’ultima dose.

Un’ultima sigaretta.

Un ultimo bicchiere.

L’ultima notte.

 

(Continua? Forse … non so ancora. Vedremo.)

  
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