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Autore: literatureonhowtolose    09/04/2015    0 recensioni
[ROOKIES]
Sekikawa/Mikoshiba.
Mentre noi pensavamo di essere imbattibili, temuti e padroni di noi stessi e di chiunque ci circondasse, Mikoshiba sapeva ciò che poi era la verità: eravamo solo ragazzini arrabbiati che erano stati abbandonati ai bordi della strada come cuccioli indesiderati e la nostra vita era diventata un eterno tentativo di vendetta verso chiunque non fosse stato abbandonato con noi, perché non c'era una persona su cui poter scaricare tutta la colpa e quindi tanto valeva prendersela con il mondo intero.
Però Mikoshiba non ha mai smesso di sperare. Sperare che un giorno saremmo tornati a camminare con lui sulla retta via e ci saremmo lasciati alle spalle quella reputazione da delinquenti che non ricordo nemmeno se abbiamo cercato o se ci si è appiccicata addosso. Sperare che avremmo di nuovo giocato a baseball tutti insieme, recuperando quella marea di sorrisi persi in risse senza scopo.
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: ROOKIES.
Titololet's go back to playing ball
Pairing e personaggi: Sekikawa/Mikoshiba. Sekikawa Shuta, Mikoshiba Toru.
Raiting: Verde.
Ambientazione: Nella seconda puntata - era la seconda? Quando Sekikawa e Mikoshiba sono in infermeria. 
Words: 1.214


let's go back to playing ball
Non riesco a credere a quanto sa essere stupido.
Sapeva che Shinjo l'avrebbe distrutto. Sperava non l'avrebbe fatto, forse, perché Mikoshiba si sforza sempre di vedere il meglio nelle persone, cosa nella quale somiglia parecchio a Kawato; però lo sapeva. E sapeva pure che non sarebbe stato in grado di difendersi, un po' perché picchiare non è nella sua natura, un po' perché Shinjo è superiore a lui – e a chiunque di noi, in realtà – sia in dimensioni che in forza fisica.
Lui è così piccolo. Così piccolo, fragile, incredibilmente fragile, bello nella sua fragilità. Con quegli occhi grandi e le membra esili non farebbe paura neanche a una mosca, né tanto meno le farebbe del male.
Lo amo per questo.
Di tutti noi, Mikoshiba è stato l'unico a non perdere se stesso lungo il sentiero.
Quando la gente ha cominciato a riferirsi a noi come a poco di buono abbiamo iniziato a conformarci a tali etichette, diventando – senza rendercene conto – quello che disprezzavamo che la gente pensasse che fossimo. Ma non Mikoshiba; lui è sempre rimasto al nostro fianco, ma non si è mai unito ai nostri comportamenti avventati e stupidi avvolti in quella nebbia di ribellione giovanile che credevamo li giustificasse. Mentre noi pensavamo di essere imbattibili, temuti e padroni di noi stessi e di chiunque ci circondasse, Mikoshiba sapeva ciò che poi era la verità: eravamo solo ragazzini arrabbiati che erano stati abbandonati ai bordi della strada come cuccioli indesiderati e la nostra vita era diventata un eterno tentativo di vendetta verso chiunque non fosse stato abbandonato con noi, perché non c'era una persona su cui poter scaricare tutta la colpa e quindi tanto valeva prendersela con il mondo intero.
Però Mikoshiba non ha mai smesso di sperare. Sperare che un giorno saremmo tornati a camminare con lui sulla retta via e ci saremmo lasciati alle spalle quella reputazione da delinquenti che non ricordo nemmeno se abbiamo cercato o se ci si è appiccicata addosso. Sperare che avremmo di nuovo giocato a baseball tutti insieme, recuperando quella marea di sorrisi persi in risse senza scopo.
«Sekikawa?»
La sua voce mi coglie di sorpresa. Perso nei miei pensieri non mi ero accorto di essere rimasto incantato a guardarlo e la mia espressione inebetita deve averlo preoccupato. Dopotutto ho la testa fasciata, immaginare un trauma cranico non è completamente assurdo.
«Scusa.» dico, senza sapere esattamente per cosa mi sto scusando. «Mi fa un po' male.» aggiungo, indicandomi la fronte. 
Tento di sorridere, ma lo sguardo preoccupato che Mikoshiba mi rivolge mi fa sospirare.
«Tu come ti senti?» chiedo, ansioso sì di riempire il silenzio ma soprattutto di accertarmi che stia relativamente bene.
Sembra sorpreso, come se fino a questo momento non ci avesse davvero pensato. Dopo un po' annuisce e dice: «Tutto a posto.»
La sua faccia sommersa dai cerotti racconta un'altra storia. Gli rivolgo un'occhiata interrogativa, ma non dico nulla.
«... forse non proprio tutto.» cede lui.
Sorride debolmente e può darsi che io senta il cuore creparsi un po', perché Mikoshiba non sorride mai debolmente. Lui sorride e basta ed il suo è il sorriso più bello che io abbia mai visto e io ho bisogno di quel sorriso per sapere che le cose si aggiusteranno e lui deve fare quel sorriso deve farlo e mi manca l'aria se Mikoshiba non sorride quindi mi alzo e prima di rendermi conto di quello che sto facendo mi siedo sul suo letto e lui deve farsi più in là perché altrimenti non ci stiamo e poi di colpo lo sto abbracciando e affondo il naso nella sua spalla e inspiro forte e i miei polmoni si riempiono di lui e riesco di nuovo a respirare.
Sento le sue braccia chiudersi intorno alla mia schiena e il suo fiato spezzarsi appena per la sorpresa causata dal gesto. Sto tremando, ma quell'odore familiare mi tranquillizza e pian piano sento il mondo stabilizzarsi intorno a noi. Sfrego il viso contro la stoffa bianca della sua camicia e lui stringe meglio la mia giacca fra le dita.
Sono passati diversi minuti quando mi convinco ad allontanarmi leggermente da lui e ad uscire dalla sua stretta confortante. Ci guardiamo e io so che se non lo faccio adesso non lo farò più perché non sono coraggioso come voglio far credere, quindi mi sporgo in avanti e poso le mie labbra sulle sue.
Il nostro è un bacio delicato e statico, ricambiato in ritardo perché probabilmente del tutto inaspettato, ma è comunque il mio preferito fra tutti quelli che io abbia mai dato e quando mi accorgo dei miei pensieri mi do dell'idiota per l'eccesso di sentimentalismo del tutto atipico; però la bocca di Mikoshiba rimane grandiosamente soffice e allontanarmici è estremamente difficile. 
Mikoshiba sbatte le palpebre un paio di volte, come per mettermi a fuoco. Per un attimo sembra in procinto di parlare, ma si limita ad allungare le mani verso il mio collo e a posarcele ed io lascio andare il respiro che non mi ero accorto di star trattenendo. 
«Mikoshiba...» mormoro per chissà quale ragione.
Lui continua a guardarmi e quelle iridi immense incatenate alle mie mi fanno venire le vertigini. Quando comincia ad avvicinarsi io mi sporgo in avanti e l'unica cosa che avviene dopo è Mikoshiba. Mikoshiba di fronte a me, le sue dita fredde sul retro del mio collo, la sua bocca sulla mia, il suo odore mischiato a quello pungente dell'alcool con il quale ci hanno disinfettato le ferite.
Affondo le mani nei suoi capelli, pensando vagamente che se lui volesse fare lo stesso con me non potrebbe per via della cresta e non so perché mi viene da pensarci ma ci penso e dopo mi viene da sorridere.
Separo le labbra quel tanto che basta per provare ad approfondire il bacio e con la punta della lingua lecco quelle di Mikoshiba, che mi concede l'accesso. Probabilmente gli fa un po' male perché Shinjo ci è andato parecchio pesante con i pugni e lui ha un brutto ematoma proprio di fianco alla bocca, quindi cerco di fare il più delicatamente possibile, con movimenti lenti e dolci che non ho mai riservato a nessuno.
Vorrei che durasse per sempre o almeno per una generosa mezz'ora, però dobbiamo smettere con una fretta deludente perché farci beccare a pomiciare da una qualsiasi persona sarebbe poco conveniente. Appoggio la fronte a quella di Mikoshiba indugiando ancora un momento e mentre sto per tornare nel mio letto lui si aggrappa alla manica della mia giacca blu scuro.
«Puoi restare?» chiede, e forse non è l'idea migliore visto che siamo nell'infermeria della scuola ma non posso e non voglio dirgli di no, quindi dico «certo» e  insieme ci infiliamo sotto al lenzuolo.
Lui mi dà la schiena e io mi appoggio ad essa, posando il mento sulla sua spalla e cingendogli la vita con un braccio. Ascolto i nostri respiri fino a raggiungere un livello di calma tale da farmi quasi addormentare, ma c'è ancora una cosa che devo fare.
«Torniamo a giocare a baseball, ti va?» sussurro, vicinissimo al suo orecchio.
Mikoshiba sorride e questa volta il sorriso è autentico, non un'ombra effimera ed incerta. Annuisce piano e poi chiude gli occhi.
Quando mi sveglio, un'ora o due dopo, le sue dita sono ancora intrecciate alle mie.
  
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