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Autore: wanderingheath    10/04/2015    1 recensioni
Jennifer, una problematica diciassettenne alternativa ed ermetica con una drammatica e dolorosa storia alle spalle, si è stancata di tutto e di tutti. Non prova più rispetto per alcuna regola, nemmeno se imposta da sua madre, l’unica persona appartenente al proprio passato che le è rimasta accanto.
L’unica fonte di gioia che restituisce un po’ di vitalità alla grigia esistenza di Jennifer è Tiffany Low, la ragazza dai corti capelli violacei e dagli occhi di un azzurro gelido, che allo stesso tempo le regala emozioni indescrivibili ed è capace di farla soffrire in modo atroce, portandola ad un abuso di alcool e droga.
Una sera, a seguito di un’overdose, Jennifer si ritrova morente in un buio vicolo lontano da casa, sola, inerme, indifesa e divorata da mille rimorsi. Vi sono persone che non ha più cercato, domande a cui non ha trovato una risposta, occasioni che ha miseramente sprecato e troppi momenti che ancora non ha vissuto.
Ma cosa accadrebbe se le fosse data una seconda possibilità? Cosa farebbe se si ritrovasse in un universo parallelo in cui nulla è come prima? Riscriverebbe la propria storia daccapo oppure commetterebbe gli stessi identici errori?
Genere: Drammatico, Fantasy, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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~~Capitolo 5.

Mezz’ora dopo erano tutti e tre seduti al tavolo della minuscola cucina di Hilde. La casa aveva davvero un odore sgradevole, oltre a delle stanze strettissime e poco pulite.
Hilde aveva preparato un thè per i suoi ospiti, ma né Jennifer né Robert Jackson sembravano intenzionati a berne anche solo un goccio, data la terribile condizione in cui versavano le tazzine.
- Sai, Walter- commentò improvvisamente il professore:- Credo che debba prenderti una pausa ogni tanto. Staccare per un po’ dal tuo lavoro. Magari dedicare qualche ora a te stesso o alla tua casa-.
- Al diavolo questa vecchia e marcia casa-.
- Credevo che vi fossi affezionato- replicò il professor Jackson.
- Sono solo affezionato alla mia vita da lupo solitario…non so se capisci cosa intendo dire-.
Hilde cercò con uno sguardo ammiccante la complicità del suo collega, ma Robert T. Jackson aveva già posato gli occhi altrove, attratto da una fotografia appesa alla parete di fronte a lui.
L’ospite notò l’interesse del suo amico e collaboratore per la foto incorniciata e sorrise compiaciuto:- Bella,  non è vero?-.
- Che cos’è?- domandò Jackson aguzzando  inutilmente la vista.
Jennifer non ci pensò due volte ed istintivamente, pur essendo ancora stordita dall’alcool ingerito, balzò in piedi per raggiungere la parete su cui si trovava la fotografia in questione.
A braccia conserte studiò l’immagine, spostando il peso da una gamba all’altra, inspiegabilmente insofferente.
- E’ una foto di quando ero alle superiori…bei tempi quelli- sospirò Hilde con tono nostalgico.
- Non sapevo che fossi così attaccato alla vecchia scuola-.
- In realtà odiavo tutti i professori e i compagni di classe, ma è quella sensazione di libertà, quel bivio davanti al quale tutti prima o poi veniamo posti, che mi manca davvero...-.
Jennifer continuò a tenere gli occhi fissi sulla foto color seppia, che ritraeva una schiera di venti studenti tra ragazzi e ragazze intorno ai diciotto, tutti vestiti con una stessa, monotona uniforme.
La conversazione tra Jackson e Hilde nel frattempo proseguì.
- Se avessi di nuovo la possibilità di scegliere- disse quest’ultimo, guardando attentamente il suo interlocutore:- e potessi decidere di fare qualunque cosa, credi che sceglieresti di nuovo questa strada?-.
Jackson rifletté in silenzio qualche istante su quel quesito: l’indice e il pollice della sua mano destra torturavano il mento, segno che era immerso in una questione importante.
Prima di dare una risposta definitiva, si voltò lievemente in direzione di Jennifer, ancora assorbita dalla foto, e sorrise appena:- Sì. Rifarei tutti gli stessi errori-confermò infine, soddisfatto:- Non cambierei l’insegnamento con nient’altro al mondo-.
Jennifer si voltò proprio in quel momento verso Hilde:- Lei chi è tra questi?- chiese, puntando l’indice sull’immagine.
- Indovina-.
Le bastarono pochi secondi per poter affermare con certezza che la figura magrolina con i capelli arruffati e un paio di occhialoni calzati sul naso lentigginoso era quella del professor Hilde.
-Le lentiggini non ci sono più- concluse l’uomo, stringendosi nelle spalle:- Misteri della fede-.
Jennifer scoppiò a ridere di cuore e si riaccomodò accanto al suo insegnante.
Passarono un altro quarto d’ora a chiacchierare del più e del meno, per sciogliere l’atmosfera e soprattutto per fare in modo che Hilde prendesse confidenza con Jennifer: Robert Jackson era sicuro che se non avesse testato da sé la ragazza, Walter non le avrebbe mostrato nessuna delle loro scoperte.
Jenny si lasciò progressivamente andare e Jackson riuscì a vedere il lato meno scontroso e più spontaneo della sua studentessa. Non aveva dubbi: la professione d’insegnante era la cosa migliore che gli potesse capitare.
- Bene, così tu sei interessata ai nostri studi- decretò alla fine Walter Hilde, quando fu sufficientemente convinto dalla lingua svelta e dalle risposte argute della diciassettenne:- Cosa ti piacerebbe esattamente sapere? Sappi che questo è un unicum, mia cara…io e Robert non mostriamo a tutti le nostre scoperte-.
- Lei parla di scoperte- osservò Jennifer, decisa a stuzzicare i due professori:- Ma io non ho mai sentito parlare in vita mia di universi paralleli…quindi dove sono tutte queste scoperte?-.
Hilde si alzò in piedi e le fece cenno con una mano di attendere qualche istante.
Sparì in qualche stanza della casa, lasciando professore ed alunna nuovamente da soli.
Jackson non resistette alla tentazione. Si voltò verso Jennifer e le disse:- Allora, queste scoperte ti interessano oppure no?-.
- La vuole smettere?- sbuffò l’altra:- Se continua con questa storia, mi alzo e me ne vado-.
- Mi stai mancando un po’ troppo di rispetto oggi-.
- Non siamo a scuola al momento- gli fece notare lei:- E mi sembra che il mio comportamento sia il solito-.
Jackson scosse la testa rassegnato:- Perché non vuoi ammettere di avere qualche passione?-.
- Perché questa può essere una passione per lei e per il suo collega, ma di certo non per me- replicò indignata Jennifer, drizzandosi sulla sedia di legno:- Voi avete votato le vostre intere vite a queste ricerche…io ho solo diciassette anni e non so cosa voglio fare della mia vita; non ho hobby, né interessi, né passioni e se mi voglio informare di questa storia degli universi paralleli è solo perché la trovo insolita. È un po’ come quando si parla di ufo e alieni, ha presente? Si sa che non è vero nulla, ma l’argomento è comunque…intrigante-.
Jackson preferì non continuare quella discussione: il fatto che Jennifer avesse descritto come “intrigante” la questione degli alieni e, per proprietà transitiva, anche quella degli universi paralleli, gli bastava come risposta al proprio quesito. Jennifer era una ragazza molto particolare: indubbiamente ermetica e scontrosa, ma anche fragile e insicura, priva di punti e modelli di riferimento; non aveva nessuno che la potesse indirizzare da qualche parte…era come una banderuola al vento.
Improvvisamente provò compassione per quella povera creatura, che a soli diciassette anni aveva sperimentato sulla propria pelle la morte, l’abbandono, l’indifferenza, la solitudine e, in fondo, anche la depressione.
Forse le serviva solo qualche stimolo, qualcosa che l’aiutasse a scoprire le proprie attitudini, le proprie passioni, qualcosa che la distraesse e la incoraggiasse. Jackson decise in quel momento che avrebbe aiutato ad ogni costo Jennifer Young ad uscire da quella spirale di solitudine, a sfondare quelle inutili barriere difensive che alzava con tutti.
- Potrebbe smetterla di fissarmi?- brontolò Jenny, infastidita dallo sguardo indagatore dell’insegnante:- Sono sporca? Ho qualcosa sul viso?-.
Jackson si rese conto solo in quell’esatto momento di aver incollato i propri occhi, involontariamente, sul volto della ragazza: gli capitava sempre di perdersi nelle proprie riflessioni e lasciare che il suo sguardo vagasse chissà dove.
- Scusami, stavo riflettendo- ammise lui, imbarazzato ed umiliato da quel rimprovero aspro.
Walter Hide finalmente fece rientro in cucina con un pacco polveroso di giornali lucidi.
Li sbatté senza complimenti sul tavolino di legno, rischiando di ribaltare thè, tazzine e teiera; poi, con aria decisamente compiaciuta li spinse verso la giovane conoscente.
- Cosa sono?- chiese Jennifer, prendendone uno.
- Le varie riviste scientifiche che hanno pubblicato dei risultati simili ai nostri, senza mai prendere in considerazione le nostre teorie…che cazzo!- esplose Walter, abbassando un pugno sul tavolo con violenza e pentendosi subito del proprio comportamento:- Oh scusami, non sono abituato ad avere ragazze, oltretutto minorenni, intorno-.
- Non preoccuparti, Walter- lo rassicurò Jackson, intromettendosi nella discussione:- Sa essere anche più volgare di te- aggiunse, lanciando una veloce occhiatina a Jennifer, che lo ignorò apertamente.
La ragazza era assorbita del tutto dalle riviste e le sfogliava avidamente una dopo l’altra.
- E’ incredibile! Pensavo che nessun giornalista con un minimo di buon senso volesse imbarcarsi in un’impresa kamikaze come questa- esclamò improvvisamente, sollevando gli occhi chiari dalle lettere stampate sui vari fogli:- Chi è così pazzo da scrivere articoli su “universi paralleli”?-.
Walter scoppiò a ridere e Jackson si limitò a fare un sorrisetto amaro.
- Lei- proseguì Jennifer, rivolgendosi al primo dei due uomini:- Non aveva detto che solo una volta avevate provato a far pubblicare su una rivista le vostre scoperte, ma non eravate stati presi sul serio?-.
Il professor Hilde annuì in un grave silenzio.
- E allora perché dice che “nessuno ha mai preso in considerazione le vostre teorie”, se avete tentato di confrontarvi solo con un giornale?-.
Jackson si sentì compiaciuto di avere come studentessa una ragazza così brillante.
Hilde replicò con un tono scoraggiato:- Non ci siamo più voluti esporre semplicemente perché bruciava parecchio l’umiliazione a cui siamo stati sottoposti-.
- Quanto tempo fa è accaduto?- lo interruppe Jennifer, impaziente.
- Che cosa?-.
- Il rifiuto da parte di quella cazzo di rivista!-.
- Oh!- esclamò Hilde, aggrottando di nuovo la fronte:- Mmh…un annetto fa-.
Jennifer schizzò in piedi e sbatté la rivista sotto al naso dello sconosciuto che la stava ospitando in casa propria e che conosceva da meno di due ore. Nessuno dei tre sembrò fare caso a quanta confidenza la ragazza si stesse prendendo.
- E allora riprovate! Diamine, non potete farvi scoraggiare da una rivista, oltretutto di stronzi, che non ha voluto pubblicare l’articolo! Ci sono almeno altri venti giornali che s’interessano di questa…roba che state studiando voi- proseguì la ragazza, animata da un’emozione completamente nuova e da un entusiasmo inspiegabile e del tutto nuovo. Sicuramente era stato l’alcool a farla eccitare in quel modo e a farla strillare.
- Insomma, siete due ricercatori e le vostre scoperte potrebbero davvero essere valide. Anzi, sono valide, cazzo! Dovreste riscrivere l’articolo e presentarvi nelle sedi di altre riviste! Ci sarà qualcuno pur disposto ad ascoltarvi, porca troia!-.
Quando il suo sfogo entusiastico fu concluso, Jennifer si riaccomodò al proprio posto e affondò la faccia nelle proprie mani, riacquistando la stessa espressione neutra e impassibile di sempre:- Scusate, non so cosa mi sia preso. Devo aver bevuto troppo…-.
- E invece mi sei piaciuta un sacco- replicò Hilde, a sua volta entusiasta:- Hai una grinta incredibile e, sai che c’è? Hai ragione. Forse dovremmo riprovare. Jackson, la tua studentessa è fantastica-.
Il professore annuì, soddisfatto.
- Dobbiamo rimboccarci le maniche e ritentare- continuò Hilde imperterrito, insistendo sullo stesso argomento. Terminato il discorso, rivolse uno sguardo speranzoso a Jennifer, che era però tornata ad essere la stessa adolescente indifferente e fredda di sempre, probabilmente confusa e spaventata da quell’improvvisa ondata di entusiasmo che l’aveva travolta.
-  Walter, comunque io te l’avevo detto che imprecava molto più di te- osservò Jackson, sorridendo.

 

 

   
 
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