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Autore: guastafesta    11/04/2015    1 recensioni
Una classifica che ha la presunzione di giudicare con assoluta certezza il valore dei partecipanti al sadico gioco. Il gioco della vita di Osvaldo che vive in mondi paralleli e li attraversa col solo pensiero distraendolo da quello reale che lascia sempre un amara sorpresa. Una piccola rivincita personale di un ragazzo emarginato che per la prima volta finge di essere padrone e protagonista indiscusso di ciò che lo circonda. Un potere illusorio che allevia la sensazione di malessere prolungato a cui è stato sottoposto per una vita. Una vendetta che non riesce a sanare tutte le carenze di una vita, una vendetta a cui, tra l'altro, tutti sono indifferenti, è il quadro che accompagna le vicende e le riflessioni del protagonista e dei suoi compagni di classe
Genere: Demenziale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Il suo sederone ampio e molliccio fuoriusciva dai bordi della seggiola da ufficio sul quale era seduto. Il suo lardo quasi penzolava al di fuori del perimetro del cuscino, consumato dallo sfregare delle sue chiappone nel giro degli anni. L’enorme massa cellulitica strizzata da un paio di pantaloni simil leggins occupava quasi tutto lo spazio sottostante la scrivania in legno. Le due taglie in meno si facevano sentire soprattutto in vita dove l’adipe formava una sorta di marsupio su tutti i lati, una sorta di salvagente. La maglia degli Iron Maiden rubata dal fratello minore copriva, ma non troppo, tutta la parte superiore del corpo. Le sue tette, probabilmente una coppa B, deformavano la scritta stampata sul petto della t-shirt rendendo difficile la lettura del nome della band. Giusto un fazzoletto di tessuto sarebbe bastato a coprire la zona fondo schiena in cui si poteva così scorgere una voragine pelosa che andava a tuffarsi dritta dritta in quei suoi discutibili pantaloni. Ai piedi indossava dei calzini dei barbapapà e le babbucce a forma di castoro in cui erano infilate erano la ciliegina sulla torta. Una lampada nel buio di quella sera d’inverno illuminava il suo viso cicciotto. I baffetti appena accennati come un adolescente che non ha mai preso in mano un rasoio e le occhiaie da giocatore assiduo di videogiochi davano un aspetto poco affascinante a quel suo faccione. L’espressione goduriosa e quasi sadica nei suoi occhi era molto inquietante vista anche l’illuminazione parziale che risaltava le sue rughe.
Osvaldo Farozzi. Per gli amici, Osva, Ovaie, Rozzone, Aldo, Favaldo, Aldo lercio, Ciccio fantozzi, Saldo, Oslo, Codardo, Spavaldo. Che amici!
Ma quali amici? Lui non li voleva gli amici.
“Lara, sei una puttana! Guarda questa sei tu. Questa è la tua faccia… la tua faccia da gallina, sì! E questi i tuoi capelli… Oh guarda quanto sei sciatta Lara, hai anche i ragni che ti corrono in testa! Fai proprio cagare! E queste sono le tue tettone, astronomiche, guardale, ti sommergono, ti risucchiano..” Quell’espressione ancora fissa sul volto e la matita impugnata nella mano. Faceva delle spirali sul suo quadernino attorno al disegno della sua compagna di classe Lara. Sia chiaro, non era un vero e proprio disegno, era una bozza più che altro, date le scarse capacità artistiche. Nella sua testa quelle spirali rappresentavano il seno della compagna e lui tracciava spirali calcando sempre di più la mano quasi a perforare il foglio, copriva tutto il disegno precedente con uno scarabocchio
“Guarda che sciocca, le tue tette ti hanno divorata tesoro” urlava
“Oh mio dio sono stata così stupida, forse avrei dovuto fartele toccare, così magari avrei evitato la sua ira o glorioso signore” seguitava a urlare scimmiottando la voce di Lara e poi rispondeva con tono saccente
“Ti prego sgualdrina, non c’è più tempo per le scuse e poi quando ti rivolgi a me” faceva una pausa
“Devi darmi del voi” Urlava a un centimetro dal foglio e poi strappava la pagina.
“Ciao Marco, come stai? Ti vedo un po’ ingrassato, guarda, hai il lardo che ti esce anche dal culo! Ora non fai più lo spiritoso eh, brutto secco? Ti dai le arie perché sei secco, sei secco qui sei secco là… Il pisello ce l’hai secco, altrochè! Ora disegno i tuoi capelli.” Faceva una pausa
“Ecco qua! Una bella porcheria, come piacciono a te! Sentiamo, ti va di assaggiare il fuoco?”
“No, il fuoco no mio signore, altrimenti il piercing che ho sul capezzolo mi si arroventa”
“Devi rivolgerti a me col titolo di eminenza, quante volte te lo devo dire?”
Faceva tutto da solo. Domande e risposte, vocine e vocioni.
E il fratellino molte volte ascoltava  avvilito dall’altra parte del muro. E il padre se ne fregava, un figlio cretino gli andava bene purchè ce ne fosse un altro sano. E la madre invece andava su di giri quando lo sentiva in preda alle sue fantasie. Non lo poteva sopportare! Ma come? Un figlio cresciuto a pane e tv si permetteva di fantasticare? Lei gli aveva comprato tutti i videogiochi possibili e immaginabili pur di farlo sfogare e invece questi avevano alimentato ancor di più la sua alienazione? Lei era stanca di rapportarsi a lui in modo normale, come un figlio normale. Prima non aveva avuto tempo, ora che lo aveva perduto, non voleva più andarselo a riprendere. Così lo allontanava. Tanto Gerardo era sempre lì, a dimostrare che qualche ovulo buono lo aveva avuto anche lei. Sì, Osvaldo e Gerardo erano dei nomi atroci, ma quando un’ Annabetta e un Ernesto si incontrano qualsiasi nome risulta meno ridicolo.
“Ma che cazzo urli? Dammi quel computer che te lo faccio volare dalla finestra”. Urlava la mamma quasi sfondando la porta.
“Non sto giocando al computer ma’!”
“Non mi interessa, dammelo qua che te lo spacco lo stesso” E così tuffandosi sul pc del figlio causava il panico. Osvaldo staccando il computer dalla presa lasciava la batteria attaccata nella foga del momento, strascicandosi il cavo per tutta la fuga, lanciando urletti acuti dalla paura.
“Con le tue urla mi hai fatto perdere il finale di Titanic!” lo sgridava lei. Lui arrampicandosi come un ippopotamo sul letto a castello degli ospiti portava su per le scale il pc in bilico sulla testa, come una donna africana
“Lo abbiamo visto centomila volte quel film, alla fine lui muore e lei fa la troia sulla zattera” rispondeva lui urlando
“Ti insegno io a rovinarmi il finale di Titanic!”  avventandosi sul cavo che era rimasto a penzoloni giocava al tiro alla fune col figlio
“Non è possibile che in questa casa non si possa mai stare tranquilli” diceva lei strattonando il cavo
"Io sono tranquillissimo, sei tu quella agitata” rispondeva. Strattone.
“Per forza, sei tu che mi fai agitare”. Strattone.
Tira che ti ritira, il cavo finiva squarciato a metà.
Quest’orsa lasciava Osvaldo in uno stato di perenne vigilanza, poiché al minimo sgarro l’animale, come nell’ultimo caso, poteva accanirsi sulle cose a lui più care, minacciare, rompere, punire, e compagnia bella.
“Guarda cosa hai fatto ora lo ripaghi” Diceva Annabetta fiondandosi sulla scaletta con la sua mole altrettanto corposa. Sgambettando per raggiungere Osvaldo allungava le sue manacce sul letto in cui lui si rifugiava
“Oh mamma! Ma te ne vai” faceva lui scalciandola giù.
“Non ti permettere mai più di toccare tua madre eh!”.  Diceva lei fermandosi e mettendo un dito davanti al suo sguardo truce.
“Io ti spacco la faccia hai capito?”. Mettendosi a saltellare ai piedi del letto, ogni volta che con un balzo arrivava all’altezza giusta mollava uno schiaffo e lo prendeva dove lo prendeva, sulle cosce, sulla faccia, sul braccio. Una volta soddisfatta se ne usciva come un uragano e la tempesta si concludeva d’improvviso come era iniziata.
“Osvà”. Diceva il padre bussando alla porta.
“Cosa volete adesso tutti quanti?” Gridava lui singhiozzando in lacrime. Senza alcun permesso la porta si apriva
“Osvà esci un po’ da casa! Fatteli degli amici, c’hai il culo che fa la muffa mamma mia! Te ne stai sempre chiuso qua a fare le tue minchiate”
“Non faccio le minchiate” Rispondeva
“Sì che le fai. A volte ti sento che parli da solo, poi vengo di là e tu sei lì a corteggiare lo scopettone del water”. Faceva il dodicenne interrompendoli come al solito dal corridoio.
“Queste sono cose private! Io lo ammazzo a quello stronzo! Che cazzo vuoi tu? Eh?”. In questi casi quel bisonte di Osvaldo non era facile da fermare perché si fiondava sul fratellino sbracciando e menando all’aria le gambe. Un trambusto assurdo si era sollevato da un’inezia. Come al solito.
Era tutto così intenso, le sua vita sulla terra era intensa e quella nella sua testa pure. Viveva un sacco di vite e di avventure. Non è che le viveva. Lui le visitava. La sua vita vera: in quella doveva essere presente per 24 ore. Le altre vite? Anche quelle scorrevano, autonomamente. Quando voleva però si affacciava e ne viveva un pezzettino. Ovviamente guarda caso, viveva sempre il momento migliore. Forse perché in quella reale erano solo momenti peggiori e lui voleva bilanciarli.
Dopo averle prese di santa ragione un po’ da tutti piangeva sul suo letto.
“Amici!.... Io ce ne ho un sacco di amici porca troia” Si diceva così e quel ‘porca troia’ gli gorgogliava in bocca a causa della sua erre moscia
“Schifosi bastardi ladri di merda” Anche questo, tutto con la sua erre moscia. L’aveva solo pensato ma anche i suoi pensieri avevano la erre moscia.
“Sempre pronti a criticare, a giudicare… Ora vi giudico io maledetti idioti.”
Era convinto a fargliela pagare e a portare giustizia a quella parte di lui che era celata dietro il suo goffo aspetto oscuro. Una specie di batman ciccione che ha sempre combattuto per l’umanità ma che inciampa nel mantellino e non ne combina una giusta. Quel batman coi baffetti ora si faceva valere.
“La maestosa classifica: elezione del mio migliore amico”
Era il titolo che aveva appena assegnato all’ultima pagina del quadernetto
In classe erano in 16, meno lui 15. All’inizio erano 24 ma poi alcuni non ce l’hanno fatta a superare lo scoglio della terza superiore e così si era ritrovato in quarta con ancora meno aspiranti amici. Questi erano i 15 papabili all’ascesa al trono. Le uniche 15 persone che erano costrette ad avere un contatto vitale con Osvaldo erano proprio queste. Tutti in classe lo mal sopportavano ma questo era un grande passo avanti rispetto al comune evitamento generale. Costretti a condividere con lui cinque ore al giorno per sei giorni a settimana per nove mesi l’anno questi non potevano che essere gli unici candidati.
“Gioite miei cari perché siete i prescelti” Diceva così mentre stilava l’ordine alfabetico dei partecipanti al grande evento nella pagina a fianco

Stefania Arzilla
Emanuele Beccacci
Riccardo Bonacci
Carmela Cantarelli
Marzia Cecchi
Lara Cesarini
Ginevra Fabbri
Pasquale Geronzio
Patrizio Leoni
Jasmine Mehda
Marco Nespolo
Giulio Palumbro
Elia Quartetti
Bianca Silvani
Paolo Udda

E nella pagina finale, subito sotto il titolo, le relative posizioni, ancora vuote in ordine decrescente

1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15

“Alla fine di ogni giornata assegnerò voi un punteggio in base a come mi avete trattato miei cari. Gli indicatori di valutazione saranno i seguenti: simpatia generale, che rapporto avete avuto con me, intelligenza, come vi comportate con i vostri compagni, loquacità nei discorsi, abilità nel ballo e molti altri che ora non mi vengono in mente.. Perché.. Adesso è tardi e io sono stanco, e ho mille cose per la testa e… Oh ma non devo dare mica tutte queste spiegazioni a voi. Soffrite, soffrite! Ahaha! E alla fine ognuno di voi per me sarà nient’altro che un numero! E il primo sarà l’unico degno della mia amicizia, sarà il mio vero, unico migliore amico!... Che il gioco abbia inizio stronzetti! Muahahaa”
“Osvaldo se non la smetti di gridare durante la notte… Giuro su cristo che ti ammazzo” Annabetta entrava come una furia e Osvaldo smetteva di ridere (era fortunato se gli rimanevano ancora i denti) e si riposava preparandosi al primo dei maestosi quindici giorni che lo aspettavano.

 
   
 
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