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Autore: Sciapy    13/08/2003    10 recensioni
'Is she cold?' 'It's not her. It's not her. She's gone.' 'Where'd she go?' [The body]
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Falling down
 di Sciapy
 dall'iniziativa I diari degli eroi

 Is she cold?
 It's not her. It's not her. She's gone.
 Where'd she go?

 
 Cado a pezzi.
 
 Riesco a vederli infrangersi...
 
 Riesco quasi ad udirne il suono cristallino, lo schianto assordante...
 
 Ma non riesco a frenarli.
 
 
 ... Importa a qualcuno?
 
 
 Scivolano tra le mie mani troppo stanche...
 
 E riesco solo a fissarli dietro lacrime calde.
 
 
 E attendo devastata che qualcuno li raccolga.
 
 Che qualcuno possa vederli e sentirli.
 
 
 ... Che qualcuno, forse, li calpesti?
 
 
 Per sbriciolarli, per ferirmi ancora, per distruggermi.
 
 Perché non ha importanza…
 
 Perché non ho più stabilità…
 
 Perché sento di meritarlo…
 
 
 E attendo che il dolore si plachi, si assopisca, consapevole che il suo risveglio sarà quello di un’affamata fiera.
 
 Attendo che la mia carne smetta di lacerarsi.
 
 Attendo che il mio viso smetta di contrarsi.
 
 
 ... Che qualcuno, forse, voglia lambire le mie ferite?
 
 
 
 Non sono forte come Buffy.
 
 Non so lottare come Buffy.
 
 Non sono capace di trovare conforto nell'amore dei miei amici... di gloriarmi della loro vicinanza…
 
 ...come Buffy...
 
 ...mia sorella...
 
 …stesso sangue, differente grado di calore…
 
 …lei è marmo incrollabile e freddo…
 
 …io calda creta che può essere schiacciata e strappata e ridotta a brandelli…
 
 
 Sono solo capace di rivederla in ogni gesto, in ogni stanza.
 
 
 Mamma e la sua cucina.
 
 Mamma e i suoi racconti.
 
 Mamma e le sue spiegazioni assurde sulla vita e sul destino.
 
 Mamma e la sua forza.
 
 Mamma e la sua gentilezza.
 
 
 
 Non voglio sorridere.
 
 Non voglio convincermi che è un bene che abbia smesso di soffrire.
 
 Non posso credere che sia in un posto colmo d'amore, distante da noi fisicamente, ma vicina a noi con il suo animo.
 
 
 Non riesco a sentirla...
 
 Non avverto la sua presenza...
 
 Non odo la sua voce familiare, la sua voce che sa di casa...
 
 
 Non voglio sorridere.
 
 Voglio piangere.
 
 E gridare.
 
 E maledire Dio, se esiste un Dio.
 
 E graffiarmi, farmi del male sino ad intravedere la tonalità vermiglia di quel sangue così simile al suo.
 
 E digiunare, studiare sino al pulsare delle tempie o non studiare affatto, impedirmi di provare un qualunque sentimento positivo, raccogliermi in posizione fetale sul suolo granitico e gelido, dormire per ore o restare insonne per giorni, diventare isterica, rendere un casino la mia vita.
 
 Come un urlo che esplode negli squarci della pelle, ascoltando la mia sofferenza forgiata nella musica…
 
 
 
 Pur sapendo che è sbagliato.
 
 Pur sapendo che lei non vorrebbe questo.
 
 Pur sapendo che mi distruggerà.
 
 
 
 Poiché solo così sento di piangerla come merita.
 
 Poiché solo così posso espiare.
 
 Espiare per non aver stretto la sua mano qualche attimo in più, per non averla abbracciata qualche volta di più, per non averle mai detto il mio affetto.
 
 
 Soltanto mortificando la mia vita posso avvicinarmi alla sua morte...
 
 ...e sentirmi morire anche io...
 
 ...per esserle vicina.
 
 
 
 Mamma...
 
 
 C'è sempre stata.
 
 Banale e stupido dirlo.
 
 Ma c'è sempre stata...
 
 
 Ed era la mia memoria, per me che possiedo ricordi fittizi, filtrati, selezionati.
 
 Ed era la mia umanità, per me che di umano ho solo la forma.
 
 Ed era l'unica cosa certa e stabile in una non-vita labile e sfuggente, accennata, sfocata, falsa.
 
 Ed era dolce, ed era saggia, ed era amore…
 
 
 Era… e ora non è più…
 
 
 
 Un corpo freddo.
 
 Vuoto.
 
 Involucro inutile.
 
 Inutile...
 
 Inutile.....
 
 
 Da seppellire, da nascondere...
 
 Che marcirà, si farà polvere, svanirà...
 
 
 ...Dove sei andata, mamma?
 
 
 Eppure ho dovuto toccarlo, quel corpo.
 
 Ho dovuto vederlo, percepirlo, renderlo reale nella mia mente confusa.
 
 Sono dovuta entrare in quel cosmo dove la morte sogghigna lasciva...
 
 Tendere la mano attraverso la membrana tra penombra e luce...
 
 
 La luce che mi ha fatto spalancare gli occhi, ha ferito violentemente le mie iridi spossate, ha rivelato il pianto scarlatto sul mio volto...
 
 
 Ed ha lasciato crollare il castello di carte in cui la tua dipartita era troppo irreale per colpirmi.
 
 
 Ma ancora non riesco a dare un significato a questo squallore.
 
 Non trovo logica in ciò che ti è successo.
 
 In ciò che il tuo stesso corpo ti ha causato.
 
 Nel male che hai generato, prole malnata e indegna, che ti ha divorata per nutrirsi e crescere, rendendoti così fragile che prendendoti la mano temevo di spezzarla...
 
 ...così debole che abbracciarti sembrava ferirti...
 
 
 
 …………..e togliti l’orologio, Dawnie, per favore, preme sulle ossa, mi fa male……..
 
 …………..ti chiedo scusa, tesoro, non sto bene, non mi guardare…………..
 
 
 
 ...così affranta...
 
 
 Eppure in noi trovavi la tua forza.
 
 
 
 Ma io non ho imparato, mamma.
 
 
 Sono debole e vigliacca.
 
 Nuda e vulnerabile.
 
 
 Non posso affrontare una vita senza di te.
 
 
 Sento solo panico, vertigini e affanno...
 
 Ogni giorno è una lotta che non posso affrontare...
 
 Non ho più il tuo sostegno...
 
 
 La vita mi tiene la testa sott'acqua.
 
 Questa vita che non ho chiesto, che non ho voluto.
 
 Questa vita che è attecchita dentro di me come un veleno che mi alimenta e mi squassa.
 
 Questa vita che mi ha avvinta così strettamente che posso sentirla gravare sulla mia carne, affondandovi gli artigli, marchiandomi la pelle con il suo cocente anelito.
 
 Questa vita che mi ha condannata ad esistere.
 
 
 
 E allora non lotterò.
 
 Accoglierò il tormento in uno straziante abbraccio.
 
 
 
 Perdonami, mamma.
  
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