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Autore: Phantom13    14/04/2015    1 recensioni
Un ladro, una guardia, un involtino dolce, personaggi con la pelliccia e altri con fin troppe squame.
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"Per puro caso, lo sguardo gli cadde verso terra. Una piccola lucertola color smeraldo zampettava beata, non troppo distante dalla sua mano. –Anche a te piace il sole, eh?- sorrise il ladro."
Genere: Comico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Dovahkiin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'I giorni di Riften'
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Seconda storia della serie "I giorni di Riften"





LUCERTOLE PIÙ O MENO PROBLEMATICHE

Runa, appoggiato di schiena contro uno dei muretti che cingevano la piazza del mercato, era genuinamente, fanciullescamente raggiante di felicità. Osservò con occhioni luccicanti l’involtino dolce, innevato di zucchero e con un’abbronzata crosticina croccante tutto intorno. Si leccò i baffi un'ultima volta e affondò i denti nel piccolo gioiello culinario.
Una guardia cittadina, a meno di un passo di distanza dal ladro in pausa pranzo, lo fissava con espressione torva. Se un temporale avesse potuto avere un volto, sarebbe stato identico a quello della guardia.  Aveva le braccia rigidamente incrociate, e picchiettava nervosamente un piede a terra, voltando di tanto in tanto la testa a destra e sinistra.
Strizzando le palpebre contro la luce del sole, masticando con gusto, il ladro scoccò un’occhiata alla guardia e poi una alle inermi bancarelle del mercato appena oltre le spalle del suo non desiderato compare.
-‘Mbeh?- fece, a bocca piena.
-La tua presenza non è benvoluta in questo luogo, Ladro. Sparisci.-
Runa ingoiò il boccone, e sfoderò una delle occhiate più innocenti del suo repertorio. –Ma io sto semplicemente mangiando!- osservò. –È forse contro la legge consumare un pasto in questa città? Ora gli involtini dolci sono diventati illegali?-
-Sai perfettamente a cosa mi riferisco, tagliaborse. Vattene, ora!-
Se c’era un piccolo piacere che Runa non rifiutava mai di concedersi era ricordare alle guardie che non potevano fargli nulla, ma proprio nulla. Per quanto le sue “prese in prestito” fossero rinomate, quei poveri soldatini patriottici non potevano far altro che stare a guardare, anche quando lui non aveva effettivamente cattive intenzioni, proprio come quella volta.
Sogghignando, decise di giocherellare un pochetto con la pazienza del malcapitato.   
-Soltanto quando avrò finito di mangiare, se non ti dispiace. E poi è una così bella giornata! Guarda il cielo azzurro, il sole, gli uccellini.- addentò ancora l’involtino dolce, sbirciando in direzione della guardia.
-Ladro, non lo ripeterò. Svanisci!-
-Non mi va.-
-Dileguati!-
-Sul serio … magari più tardi.-
-Vaporizzati!-
-Per Talos, sicuro di non far parte dell’Accademia dei Bardi? Hai un’abilità lessicale tale da poter benissimo …-
-Non scherzo, Runa. Se la tua faccia non si leva di mezzo nei prossimi cinque secondi ti sbatto in gattabuia sul serio.-
Runa arricciò il naso, decise l’ultima frase non valeva come sinonimo. Optò per salvaguardare il fegato della guardia, risparmiandole altre seccature gratuite. Quanto era generoso, certe volte!
Si scostò da muretto a cui era appoggiato, con tutta la calma del mondo. Staccò un altro morso dall’involtino, ormai ridotto tragicamente. Piegò il capo in saluto. –Buona giornata.-
Voltò le spalle alla guardia furente e si diresse, a passi lenti, per le vie di Riften, determinato a godersi il resto della giornata e soprattutto gli ultimi bocconi d’involtino.
Gattabuia … chissà cosa stava facendo la loro, di gatta, in quel momento …
Ricordò con un brivido d’orrore le ore passate a spalare cadaveri di skeever fuori dalla Caraffa Logora, rimasugli dell’ultimo passatempo ideato dalla loro piccola micia (1). Sospirò, lasciando che il calore del sole e il canto degli uccellini dissipassero quei traumatici ricordi. 
Si sistemò su di un altro muretto, nei pressi della bottega del fabbro. Luogo un po’ più appartato dove poter consumare il resto del pranzo in pace e tranquillità.
Godendosi appieno il tempore della luce, mise voracemente termine alla dolce esistenza dell’involtino. Chiunque aveva inventato quella roba avrebbe dovuto meritarsi una statua, come minimo!
Per puro caso, lo sguardo gli cadde verso terra. Una piccola lucertola color smeraldo zampettava beata, non troppo distante dalla sua mano. –Anche a te piace il sole, eh?- sorrise il ladro.
E solo allora lo notò. Un gatto rossiccio, dello stesso colore di Brynjolf, stava accucciato dietro ad un secchio. Le pupille del felino erano dilatate al massimo, le orecchie tremanti protese in avanti, i baffi che fremevano d’impazienza e la coda che frustava l’aria. Il parente all’antica dei khajiit prese con cura la mira, agitò un poco le zampe posteriori per prepararsi allo scatto e in una frazione di secondo piombò addosso alla lucertola.
Cosa successe precisamente in seguito, rimase quasi interamente un mistero per Runa. Seppe solo di essersi ritrovato in grembo tutto ad un tratto una belva tutta artigli e pelo, che soffiava e ruggiva più del Dovahkiin, che graffiava e colpiva qualunque cosa si muovesse (cioè quasi solo l’umano innocente che s’era ritrovato a sedere da quelle parti per puro caso), tentando di colpire la scheggia verde nonché parente all’antica degli argoniani, il quale, disperato, si era aggrappato alla corazza del ladro in seguito ad una qualche sorta di evoluzione atletica o fisica non meglio nota al suddetto brigante.  In breve, Runa si ritrovò nel bel mezzo di una selvaggia rissa animalesca.
Cercando solamente di togliersi di dosso la tigre in miniatura, e cercando magari di salvaguardare i lembi rimanenti della propria pelle, il ladro afferrò la coda del gatto riuscendo in un qualche modo a bloccarlo. Una volta immobilizzato, riuscì a prenderlo con maggior fermezza e a ributtarlo a terra.
Il felino lo guardò, torvo almeno quanto lo era stata prima la guardia. Sprezzante, gli mostrò il sottocoda prima di andarsene ancheggiando, con la coda della lucertola che spuntava dalle fauci.
Runa sospirò, cominciando a fare il resoconto dei danni: tre graffi sull’avambraccio destro, quattro sul sinistro, uno su una guancia e un numero incalcolabile su entrambe le mani. Sbuffò.
Un lieve movimento gli fece voltare la testa. Da oltre la spalla fece capolino il musetto della lucertola. –Ehi, guarda un po’ chi si rivede.- sorrise Runa. –Vedo che sei riuscito a cavartela, amico.-
Improvvisamente, senza preavviso, la luce del sole si spense. Il ladro strabuzzò gli occhi, confuso. Il tempo di voltarsi a controllare cosa fosse successo (o chi s’era interposto tra lui e il sole) che la luce ritornò esattamente normale. L’ombra passò.
Runa, però, rimase sull’attenti. Troppi anni di situazioni più o meno problematiche avevano affinato i suoi sensi. Era abbastanza saggio da sapere che abbassare la guardia poteva essere una pessima scelta, fosse anche solo per un gatto e una lucertola.
Poi ci fu il ruggito. Era un suono profondo, vibrante e potente allo stesso tempo. Veniva dal cielo e superava di gran lunga qualunque cosa Runa avesse mai sentito prima, compresi gli Urli del Capogilda.
Per qualche secondo rimase paralizzato sul posto. La lucertola che aveva sulla spalla gli scese lungo il fianchi e saltò di nuovo sul muretto. Il ladro partì a corsa, dirigendosi verso la piazza, dove avrebbe avuto una visuale più libera, sgombra dai tetti delle case.
La situazione alla piazza era radicalmente cambiata rispetto a prima. Ora la gente urlava e correva, in preda al panico più totale e sconvolgente. Runa alzò lo sguardo e capì il perché.
Il drago volteggiava sopra il cielo di Riften, le ali immense che oscuravano le nuvole. Compì un’ampia curva, invertendo la marcia e tornando indietro verso la piazza. Ruggì di nuovo, ferocemente, e il getto di fiamme che eruttò dalla sua gola si schiantò contro il tetto dell’Ape e il pungiglione. Altre urla di terrore si sollevarono dalla città.
La lucertola sputafuoco decisamente troppo cresciuta si sollevò di quota, battè le ali e tornò indietro di nuovo. Runa riuscì a sentire delle parole, antiche parole dimenticate pronunciate da quella belva che nemmeno avrebbe dovuto esistere. In dubbio sul da farsi, Runa rimase immobile, paralizzato e decisamente troppo in vista.
Il drago lo superò in volo. Un secondo ladro si unì al primo, presente sulla scena. Vipir il Lesto battè una mano sulla spalla del collega. –Non disperare, sta arrivando la gattina. Sistemerà tutto lei, vedrai.- poi, Vipir lo osservò meglio. –Che diamine t’è successo alla faccia e alle mani? Non dirmi che hai litigato di nuovo con il Boss, eh?-
-Non proprio …. Con un suo cugino alla lontana.-
Un’ombra, rapidissima, fuoriuscì dai livelli inferiori di Riften. Il Capogilda si fiondò al centro della piazza, la corazza nera che luccicava al sole e alle fiamme. Il Dovahkiin si erse in tutta la sua esile figura di khajiit, studiando il cielo e i movimenti del drago con occhio esperto, cacciatore. Valutava cosa fare e come attaccare. Orecchie frementi, pupille dilatare e coda che non riusciva proprio a rimanere ferma per più di un secondo. Runa sorrise, con i vari graffi che bruciavano: un gatto restava pur sempre un gatto.
L’aspetto del Sangue di Drago avrebbe potuto assomigliare ad un leopardo delle nevi, come quelli che si potevano trovare nel Pale, però la sua colorazione presentava sia le classiche chiazze del felino sopracitato sia le striature delle tigri. Era un perfetto incrocio di due temibili predatori. La sua pelliccia argentea sembrava in perfetta sintonia con i ghiacci perenni di Skyrim. E dell’inverno i suoi occhi avevano il colore.
Runa s’era sempre domandato come doveva essere, vivere ad Elsweyr e possedere una colorazione di pelo così palesemente nordica … che la loro khajiit fosse stata predestinata fin dalla nascita a venire da loro, lassù nella neve e nel ghiaccio, lontano dalle giungle e dalle sabbie, per aiutarli a sconfiggere Alduin? Di sicuro non si sarebbe potuto trovare un leopardo delle nevi in un deserto, o una tigre bianca in una giungla. Ma solo sui ghiacci di Skyrim …
Il drago che vomitava fuoco e morte su di loro non sembrò voler concedere al tagliaborse altro tempo per filosofeggiare sul destino e non destino del Dovahkiin.
Il dovah si preparò ad un altro attacco, volò verso di loro in linea retta, con le fiamme che gli affioravano tra le zanne. Fu allora che la gattina si mostrò per ciò che realmente era – JOOR ZAH FRUL!-
Lo Squarcio Del Drago schioccò nell’aria, il tuono fece vibrare anche la terra, e l’onda dell’Urlo colpì in pieno il figlio di Akatosh. Il grido disperato del drago mentre veniva strappato a terra assordò Runa e Vipir.
Il Dovahkiin sfoderò le due sciabole, senza perder tempo si slanciò all’inseguimento. Doveva raggiungere il luogo in cui il drago era atterrato, per finirlo.
Runa sospirò, distogliendo lo sguardo. Quella era stata la sua seconda battaglia “lucertola contro gatto” del giro di cinque minuti. Basta che non diventi un’abitudine, pensò il ladro.
Il delinquente da mercato identificò la guardia che poco prima gli aveva intimato di andarsene dalla piazza. Era terrorizzata, le sue movenze erano rigide, gli occhi spalancati al limite del rotolamento fuori dalle orbite, eppure stava aiutando Madesi, rimasto lievemente bruciacchiato, ad andarsene dalla piazza. Trascinava via il gioielliere argoniano, verso un posto più sicuro e meno esposto.
-Andiamo con il Boss o la lasciamo fare da sola?- la domanda di Vipir aleggiò nell’aria, oltre gli scoppiettii delle fiamme.
-Nah, se avesse avuto bisogno di noi ce l’avrebbe chiesto.- sussurrò Runa.
I due ladri si scambiarono un’occhiata d’intesa. Estrassero contemporaneamente gli archi e si slanciarono dietro alle orme del Dovahkiin.







(1) Leggere "Ratti e Gatti" per capire meglio.
 
  
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