Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: killer_lady    16/04/2015    0 recensioni
Quel giorno la vita di molti cambiò. Molti morirono e i sopravvissuti furono pochi. Tra questi una ragazza si vide portar via tutto ciò a cui teneva e tra il dolore e l'angoscia decise di cambiar vita, promettendo di non dimenticare mai coloro che aveva amato. La sua decisione la porterà a fare delle scelte ardue dove il suo destino si intreccerà con quello di molti altri che la vedranno come un ostacolo ma anche come una fonte di salvezza.
Genere: Avventura, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"perchè questo mondo è così crudele? Siamo nati solo per soffrire di queste pene atroci? Io...non ce la faccio più! Voglio morire! Morire! Voglio lasciarmi abbandonare dalla tristezza e dal dolore,che mi trasportino fino alle porte del limbo e mi lascino lì a marcire per l'eternità...perchè non c'è sofferenza peggiore della vita!"

Forse era così che vedevo la vita un tempo. Una tortura, un supplizio, un'ingiustizia. Dio solo sa quante volte la disperazione mi aveva portato a compiere pazzie per poi essere frenate da quel poco di sale in zucca che mi era rimasto!

Perchè io un tempo ero diversa. Diversa, non pazza. La pazzia non mi è mai appartenuta, perchè il buon senso l'ho sempre avuto. Quando gli altri disperavano e l'unica ancora di salvezza ero io, davo me stessa per far ristabilire le situazioni. Quei sorrisi che si creavano nei volti di coloro che aiutavo mi rendevano felice e serena. Ma tutto questo durò poco.

Durò poco perchè io sono dannata. Vivo in un mondo crudele e malvagio, dove la violenza è all'ordine del giorno e vige la legge del più forte. Non puoi permetterti di essere debole se nò muori.

Ed io ero la più debole.

Vivevo in un piccolo villaggio vicino alle mura. Quelle mura alte e possenti che ci proteggevano dal male. Quelle mura che erano inviolabili e che un giorno vennero distrutte.

Neanche me ne accorsi o meglio, non me ne accorsi in tempo e persi tutto.

Avevo dodici anni quando accadde. Quel giorno avrei dovuto restare a casa con mia madre e aiutarla con le faccende domestiche che purtroppo lei non riusciva a compiere a causa dei forti dolori che la tormentavano. Invece quel giorno le chiesi metà giornata libera. Volevo andare nel paesino vicino dove abitava la mia migliore amica per riconsegnarle il bellissimo e preziosissimo libro che mi aveva prestato.

Un libro che adoravo perchè proibito.

Parlava del male che albergava fuori dalle nostre amate mura e raccontava storie tragiche ed eroiche sulle guerre affrontate dal genere umano. E tutto questo mi affascinava. Volevo sapere com'era fatto questo male, che aspetto aveva, e quanto potente poteva essere. Ma soprattutto volevo sapere cosa c'era al di fuori di quelle mura.

Non ero l'unica ragazzina che sognava di essere libera e poter vedere il mondo, ma io sapevo che un giorno ce l'avrei fatta perchè ero determinata a farlo!

E così fu. Quel giorno la mia vita cambiò e le domande che albergavano nella mia mente ebbero delle risposte.

Camminavo lungo il sentiero per tornare a casa, fatto di ciottoli e sabbia. Le mura non erano affatto lontane e il verde dei prati circondava tutto. Un verde che mi dava serenità e pace, mi tranquillizzava a tal punto di sentirmi completamente al sicuro. Ma non lo ero affatto.

La terra si mosse ed ebbi paura. Caddi inciampando sul lungo vestito che avevo, sporcandolo e rovinandolo.

Distesa a terra sentivo sotto la mia pelle la terra che tremava. Inizialmente pensai ad un terremoto, ma non lo era. Era qualcosa di diverso. Qualcosa che mi faceva tremare come la terra sotto di me. Quello non era un terremoto.

Quello era il male.

Perchè anche se non avevo ricevuto un'adeguata istruzione, sapevo che quello non era un terremoto ma erano passi. Passi enormi e brutali.

“...sono qui...” sussurrai a bassa voce.

Devo essere sincera. Ero giovane ed ingenua, e il mio istinto mi disse di andare a vedere com'era questo male per colmare le mie curiosità.

Non era per paura o per altro, ma fù questo pensiero che mi spinse a rialzarmi e a correre velocemente verso il mio villaggio.

La mia curiosità era incolmabile, la voglia di conoscere era tanta. Troppa.

Perchè per colpa di questa persi tutto.

Ero all'entrata del mio villaggio, dove si trovavano i campi che coltivavano i nostri padri.

Tutta l'adrenalina, la gioia e l'entusiasmo cessarono in un attimo.

Mi fermai di colpo paralizzata da tale orrore.

I campi che la mattina stessa che ero partita non erano più rigogliosi di quelle piante che ci nutrivano in questo momento di carestia. No. Le piante non c'erano , la terra era smossa ed enormi orme ricoprivano il terreno.

La mia curiosità riemerse. Era stato il male?

Avevo paura, ma la mia curiosità prevalse su quel senso di timore e angoscia, facendomi inoltrare nei campi.

Quelle impronte enormi e brutali erano gigantesche.

Mi bloccai ad osservarle e notai che tutt'intorno ad esse c'era del liquido rosso.

Mi inginocchiai e con le dita presi un po' di quella sostanza annusandola.

Di colpo la paura che tenevo a bada, scaturì.

Quello era sangue. Sangue significava feriti, morti. E quello era il mio villaggio.

Senza pensarci due volte mi inoltrai ancor di più nei campi in cerca di qualcuno.

Man mano che procedevo le chiazze di sangue si facevano sempre più frequenti fino alla comparsa di braccia e gambe mutilate lasciate sul terreno.

Chi poteva aver recato tanto male? Chi?

Inciampai su un mezzo braccio maciullato e squartato, cadendo in una pozza di sangue.

Il terrore mi avvolse completamente, perchè sapevo che avevo perso tutto.

Mi rialzai a stenti e continuai a cercare l'unica persona a cui tenevo che lavorava nei campi. E alla fine la trovai.

Steso a terra, ricoperto di sangue e senza una gamba, mio padre era lì, ancora conscio.

“padre!”

Corsi a perdifiato e mi gettai disperata addosso a lui.

“padre!! Resisti ti prego!”

Iniziai a piangere, le lacrime scorrevano veloci e calde sul corpo tumefatto di mio padre.

“a-ascoltami...devi f-fuggire...vattene via di qui e sii libera...”

“ma la mamma? Dov'è? Cosa è successo?!”

Con la mano tremolante e sporca di sangue mi prese per il viso e lo portò vicino al suo.

“scappa figlia mia...v-vivi...”

con quelle ultime parole, mio padre aveva espresso il suo ultimo desiderio. La mano che stringeva il mio volto si accasciò al suolo inerme e vidi la sua vita scorrergli via lasciando solo un corpo squartato e tumefatto.

Rimasi immobile. Non riuscivo a muovere un solo muscolo e sembrava che una forza terribile volesse ancorami lì vicino quel cadavere.

Quel cadavere. Che modo terribile per descrivere il proprio padre.

Ma diciamocelo...ormai mio padre non c'era più. Quello era un cadavere, un corpo, carne.

Perchè è questo che siamo: bestie, carne da macello.

Siamo nati solo per essere mangiati.

In quel momento tutti quei pensieri mi attraversarono la testa. Che senso aveva tutto ciò? Il mondo era davvero fatto così? Il più debole deve sempre soccombere? Come mio padre...?!

Il mio sguardo si posò sul volto del cadavere.

L'ultimo istante della sua vita non fù affatto felice e infatti gli era rimasto in volto una nota di rammarico e angoscia.

“che debole che sei stato, padre mio...”

Non feci in tempo a trattenere le parole che rimasi stupita di me stessa per ciò che avevo appena pronunciato.

Anch'io ero come lui, e allora perchè potevo permettermi di farmi sfuggire una cosa del genere?

No, io non ero come lui.

Lui era morto e io ero ancora lì, affianco al suo corpo.

E in quel momentoosservando la smorfia di dolore che era rimasta sul volto di mio padre, pensieri, paure e desideri mi attraversarono la mente fulminei.

Fino ad allora ero sempre stata debole. Gli altri mi deridevano, picchiavano e sfruttavano perchè ero troppo docile.

Oltrettutto quella era una caratteristica di famiglia. Tutti i miei parenti avevano un animo buono e altruista e io non ero da meno. Per questo la gente si approfittava della nostra generosità.

Questo ci rendeva deboli e aveva portato la morte di una delle persone che amavo di più: mio padre.

Avrei fatto anch'io la stessa fine? Perchè io ero debole sarei stata sopraffatta dal male anch'io?

Mi strinsi il petto che in un attimo mi pulsava forte provando un dolore che non avevo mai sperimentato.

Quel dolore era tutta la sofferenza repressa da anni e che col passare del tempo si era trasformato in un demone. Un demone che in futuro capii che era capace di cose terribili.

Fu proprio quel dolore che mi fece balzare in testa una domanda: “ sarò per sempre debole?”

E quella domanda era terribile. Sarei davvero rimasta per sempre indifesa e sottomessa da tutto oppure mi sarei ribellata a tutto ciò?

No. Non potevo permettermi di deludere mio padre. Non potevo deludere me stessa, non realizzare i miei sogni e non vedere il mondo fuori dalle mura. No!

Io mi sarei rialzata e...avrei combattuto! Perchè io ero diversa! Io avrei fatto di tutto per salvare ciò che amavo e per ribellarmi a questo mondo che mi opprimeva!

Mi alzai in piedi e voltai lo sguardo verso le case pressochè vicine ai campi. Lì c'era la mia famiglia e l'avrei salvata. Perchè ora avevo la forza per farcela!

Passo dopo passo riniziai a correre sempre più fino ad arrivare al centro del villaggio con il fiatone.

Non c'era nessuno, solo una landa desolata e silenziosa. Troppo silenziosa.

Il terreno era sporco di schizzate di sangue come i muri delle case bianche che ora erano diventati rossi.

Con passo deciso attraversai veloce le vie cercando di non guardare i cadaveri sparsi in giro per le case.

Tutti quelli che conoscevo erano morti. E allora perchè andavo avanti?

Perchè quella vana speranza mi dava la forza di cercare la mia famiglia?

“oneesan!!”

Una voce. Lontana, debole. Si, era una voce che...mi chiamava!

“oneesan!!”

Mi voltai e infondo al vialetto vidi la piccola figura del mio caro fratellino.

“Mato-chan!”

I miei occhi s'innondarono di lacrime. Quello era Mato...mio fratello! Ed era vivo!

Gli corsi incontro cingendolo in un abbraccio disperato, sfogando tutte le lacrime che avevo.

“oneesan!”

“Mato sono qui! Ora è tutto okay...”

Anche lui iniziò a piangere. Piangere come un bambino troppo piccolo vede portarsi via tutto.

“oneesan...l-la mamma...”

Quella parola sussurrata al mio orecchio tra le le lacrime mi paralizzò.

La mamma.

Se Mato era lì, la mamma dov'era?

“oneesan ho paura!”

Mi asciugai in fretta le lacrime e presi Mato per le spalle.

“la mamma...dov'è la mamma?”

“a...c-casa...”

Tra un singhiozzo e l'altro Mato mi disse che era a casa.

Ma cos'era davvero successo?

Sentimmo la terra tremare di nuovo e mato iniziò ad urlare dalla paura.

Con una mano gli tappai la bocca e preso in braccio, iniziai a correre a più non posso verso casa nostra.

Ormai i piedi mi facevano male, quel dolore pungente nel mio petto si faceva sempre più vivo e il desiderio di trovare ancora mia mamma viva era l'unica cosa che mi dava la forza di andare avanti.

Sentivo dietro di me una presenza oscura che si avvicinava sempre più, la terra sotto i miei piedi che continuava a tremare.

“madre, sto arrivando...”

Con un calcio spalancai la porta di casa e la scena che mi si presentò non la dimenticherò mai.

I pavimenti e i muri erano completamente sporchi di sangue. Schizzate e pozze di sangue ricoprivano ogni centimetro di quello che fino a poco era era stato il mio soggiorno.

A terra budella e interiora sparse qua e là insieme a qualche pezzo di carne strappata. E li lo vidi.

Vicino ad un'enorme pozza di sangue c'era un braccio mutilato. Un braccio in cui al polso c'era un bracciale che conoscevo bene.

Quello era il braccio di mia madre.

“oneesan!?”

Mato si voltò verso quella scena atrce. In un lampo lo rimisi a a terra e con una mano gli coprii gli occhi per non farlo assistere a una scena tanto raaccapricciante quanto truce.

“Mato esci! Non guardare!”

“oneesan! L-la mamma...”

Tra un singhiozzo e l'alyro Mato cercava insistemente di entrare in casa ma non potevo permetterglielo.

“Mato, ti prego! Non entrare!”

Iniziai a piangere. Forse quella scena Mato l'aveva già vista ma non mi sarei perdonata il fatto che avrei lasciato il mio povero fratellino assistere a tanta crudeltà in mia presenza.

“ Mato perdonami...”

Sentii la terra tremare sempre più. Quella presenza che prima la sentivo lontana ora era sempre più vicina, anzi, era in fondo al vialetto.

Mi voltai e dietro all'ultima casa della via vidi un'ombra enorme avvicinarsi.

“il male...”

La mente si annebbiò e la paura mi avvolse completamente. Quella curiosità inplacabile che prima mi aveva spinta ad addentrarmi nei campi cessò completamente. Non volevo più sapere com'era fatto quel male, non volevo. Mi aveva portato via ciò a cui tenevo di più e aveva lascitao orfani me e mio fratello.

E ora che si sarebbe presentato davanti a me, come avrei reagito? Ora che avrei affrontato faccia a faccia le mie paure e curiosità, cosa avrei fatto?

“Mato, fa silenzio ed entra!”

Presi Mato per un braccio e lo trascinai in casa.

La vista di tutto quel sangue mi fece venir il volta stomaco.

Mato tremava. Con una mano gli chiudevo gli occhi e con l'altra lo tenevo affianco a me.

Appoggiati ad una parete, i nostri respiri si sincronizzarono. I nostri battiti cardiaci aumentavano sempre più e quella presenza si faceva sempre più vicina.

Un passo. Due passi. Tre passi. Era davanti casa nostra.

Cercai di tranquillizzarmi e mantenere la calma ma in una situazione del genere era impossibile.

Mato tremava. Le lacrime gli scorrevano lungo il viso e io capii che eravamo entrambi spacciati.

Quella era la nostra fine.

Ci avrebbe trovati e avremmo fatto entrambi la stessa fine della nostra famiglia.

“oneesan...”

Mi accovacciai e lo strinsi forte a me. Le sue piccole e dolci mani sfilarono delicatamente la mia che gli copriva gli occhi.

“oneesan ti voglio bene”

Quelle parole. Quelle parole dolci mi riempirono il cuore di speranza in una situazione drammatica come quella.

Mi guardò dritto negli occhi e poi si voltò.

Vide la distesa di sangue e budella che c'era in casa.

Quella scena che non dovevo assolutamente fargli vedere.

Mato, tra urla e lacrime disperate per la paura, si liberò dalla mia presa e scappò verso la porta uscendo in strada.

Un istante era bastao. Uno solo.

Non feci neanche in tempo a pronunciare “Mato no!” che lui era già uscito.

Lo vidi varcare la soglia che lo conduceva direttamente alla morte. Lì fuori c'era lui e Mato gli stava andando incontro.

L'istinto mi disse di seguirlo e difenderlo a costo della mia stessa vita ma la paura mi bloccò.

Non riuscii a muovere un muscolo anche sentendo le urla agonizzanti di mio fratello.

Urlava, urlava sempre più! Sentii il male che lo prendeva e che me lo portava via per sempre. Ma allora perchè me ne stavo li ferma ad attendere?

Perchè io sono vigliacca. Avevo talmente paura da non riuscire ad andare a salvare mio fratello. Si, era per questo.

O forse no?

Era per la paura? Ma perchè avevo paura allora? Se avevo perso tutto, per quale motivo facevo di tutto per salvarmi? Perchè?

Ora anche Mato stava per essere ammazzato e allora perchè io rimanevo li, ferma ad ascoltare le sue urla senza far niente? Volevo semplicemnte sperare di non essere trovata?

Ma alla fine anche le urla di Mato si placarono.

Ora ero davvero sola.

In quel momento una parola mi attraversò la testa: vivi.

Quella parola...si, l'aveva detta mio padre.

Lui voleva che io vivessi! Io dovevo vivere per realizzare i miei sogni, uscire dalle mura, esplorare il mondo!

Si, ci sarei riuscita! Era questo il mio destino!

E mentre mi frullavano in mente questi ideali, un tremento tonfo mi fece cadere a terra insieme ad un muro portante.

Metà casa andò distrutta ed io rimasi appoggiata affianco all'unica parete che era rimasta intatta.

Dopo tutto quel tempo finalmente capii perchè mia madre diceva sempre “il male che alberga al di fuori delle mura”.

Quel male era talmente terribile che la mia famiglia o ancor meglio, la gente del mio villaggio, non voleva pronunciare il suo nome corretto.

Tutti sapevano cos'era ma nessuno voleva parlarne liberamente.

E improvvisamente tutto mi fù più chiaro perchè ora il male era davanti a me.

Due occhi enormi e neri mi fissavano come un cacciatore scova la sua preda più appetitosa immaginandosi già quale sapore prelibato abbia.

Una bocca sporca di sangue semi aperta stava in una testa proporzionata a un corpo di ben quattro metri.

Si, quello era il male. Quello era un gigante.

Mi fissava quasi divertito e io mi sentivo sempre più piccola di fronte a lui.

Tremavo. Tremavo perchè avevo paura. E questo lui lo aveva capito.

Mosse un piede verso di me e cercò di avvicinarsi.

“no...no ti prego!”

Eravamo solo io e lui. Nessuno poteva aiutarmi. Ormai ero morta.

La sua mano enorme mi prese per una gamba e iniziò a trascinarmi verso di sé come facevo io quando da piccola giocavo a stuzzicare gli insetti.

Perchè questo ero io. Un gioco, un divertimento.

Qualcosa che non ha alcun valore e che puoi farne ciò che vuoi.

“no! Lasciami ti prego! Non voglio morire!”

Cercai in tutti i modi di liberarmi dalla presa ma era troppo forte. Venivo trascinata sempre più verso di lui da quella sua orribile mano e non avevo nulla con cui difendermi.

Non c'era nulla lì che potevo usare per liberarmi. Finchè la vidi.

Vicino ad una maceria vidi la zappa che usava mio padre per lavorare i campi. Non era lontana e forse avrei potuto usarla in qualche modo.

Mi aggrappai ad una maceria con una mano e con l'altra sfilai la zappa che era rimasta incastrata dalla maceria più lontana.

Il gigante ontinuava a guardarmi sempre più desideroso di gustare la mia carne ma io non volevo lasciargliela toccare.

In mano stringevo la zappa e non opposi più resistenza al gigante che mi portò fin davanti al suo viso.

Vidi nei suoi enormi occhi tutte le persone che aveva divorato compreso il mio povero fratellino.

Si, era stato lui. Lui lo aveva mangiato!

“maledetto!”

Aprì le sue fauci pronto per mangiarmi ma io non mi sarei fatta toccare. No, non più!

Ora avevo un obbiettivo e l'avrei portato a termine. Io avrei vissuto per me stessa, e per continuare ad avere il ricordo di tutti coloro che mi avevano dato la possibilità di continuare a vivere. Si, avrei vissuto per questo e non sarei stata il prossimo pasto di quel gigante.

“muori bastardo!!”

Urlai a squarciagola richiamando a me tutte le mie forze.

Strinsi la zappa saldamente e colpii quei due occhi che non la smettevano di scrutarmi, facendo uscire flussi corposi di sangue.

Il gigante mollò la presa e caddi a terra. Ero riuscita ad accecarlo parzialmente grazie alla zappa e lui iniziò a contorcersi dal dolore.

Mollai l'attrezzo sul pavimento e corsi via. Dovevo fuggire il più lontano possibile.

Non potevo essere mangiata. No.

Io non potevo permettermi di essere debole, non più.

Il mio cuore batteva sempre più velocemente e sentii man mano che mi allontanavo che il gigante si stava riprendendo.

Come era possibile? I giganti si potevano rigenerare?

Arrivai al centro del villaggio e i diressi verso la strada che conduceva nella foresta.

Forse lì sarebbe stato più difficile trovarmi. Daltronde ero sola e potevo sperare solo nella provvidenza.

Corsi, corsi con le ultime forze che avevo. Nessuno mi avrebbe più protetta. Ero sola.

Il mio corpo diventava sempre più debole, le forze si facevano sempre a meno ma la voglia di vivere era troppa. Troppa!

Arrivai in fondo alla strada quando venni scaraventata al suolo da un tonfo.

Una gross nube di polvere si era alzata dal suolo e mi oscurava la vista. Con una mano cercai di ripulirmi il viso dalla polvere e dal sangue il più velocemente possibile.

Che cosa era stato?

Notai a un metro da me qualcosa di strano ed enorme.

Cercai di focaalizzare ciò che vedevo e di intravedere qualcosa tra la polvere.

Quello era...un piede”

Alzai lo sguardo al cielo e vidi sopra di me un'altro giagante di almeno quindici metri.

“perchè a me? Perchè?”

Mi misi in piedi ma crollai a terra. Avevo rotto una caviglia e non riuscivo più a mantenere l'equilibrio.

Ora che non avevo più neanche la possibilità di scappare come avrei fatto?

Niente, avrei fatto un'unica cosa: accettato la realtà.

Quelli sarebbero stati i miei ultimi istanti di vita e avrei dovuto farmene una ragione.

Ero debole e non potevo cambiare me stessa. La natura mia veva creata così: piccola, insignificante e indifesa.

E ora avrei dovuto accettare il mio destino.

Il gigante sopra di me mi prese in mano e mi portò fin sopra la sua testa.

Aprì la sua bocca enorme sporca del sangue di tutte le vittime che si era mangiato prima e mi lasciò l'istante per poter osservare la mia fine.

Ero lì, tenuta appesa da due dita sopra delle fauci enormi. Che modo terribile di morire.

Chiusi gli occhi e attesi la mia ora.

“mi dispiace...padre....”

Il gigante mollò la presa e io iniziai a cadere verso la sua bocca.

Sembrava quasi di volare, ma volare verso la fine



Ciao a tutti! Questa è la mia prima fanfiction su l'attacco dei giganti che io adoro in assoluto xD 
Spero sia venuta abbastanza bene e che sia leggibile, quindi se notate errori o incongruenze fatemelo sapere ;)
Grazie  per aver letto la mia storia <3

Killer_lady

   
 
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