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Autore: Kary91    18/04/2015    5 recensioni
[One-shot|Pre-Saga|Haymitch e il suo fratellino]
“Mitch!” gridò a quel punto il bambino, incominciando ad apparire impaurito. “Mitch! Non lasciarmi qui da solo. Ho paura!”
Per un po’ non accadde nulla. Tuttavia, non era passato nemmeno un minuto quando Haymitch fece nuovamente capolino alla bocca del viale.
“Coniglio” mormorò, mettendosi le mani in tasca e prendendo a camm Keynes trotterellò per stare al passo, per nulla turbato dalla presa in giro del maggiore.
“I conigli sono buoni” osservò Keynes, con un sorriso birbante.“Se al Forno non riesci a trovare niente da mangiare, tu e la mamma potete mettermi nella pentola e cucinarmi.”
Haymitch gli scoccò un’occhiata perplessa, prima di abbozzare un sorriso.
“Sei proprio strano, affarino” commentò, arruffandogli i capelli.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Haymitch Abernathy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Much worse games to play.'
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“Ehi, Mitch!”

 

Quando Keynes Abernathy incominciò a parlare, la prima parola che disse fu “Ehi”. La seconda fu “Mitch.” Per anni rimase convinto che suo fratello si chiamasse solo Mitch, mentre la prima parte del suo nome fosse un “Ehi”.

Quando la signora Abernathy chiamava a gran voce il primogenito, per Keynes stava esclamando “Ehi, Mitch!”  e a cinque anni incominciò a domandarsi come mai sua madre non avesse mai urlato “Ehi, Keynes!” per farlo rientrare, quando incominciava a fare troppo freddo per il suo fisico esile e cagionevole.

Lui era sempre stato solo Keynes, ma non se la prendeva se il fratello aveva un modo tutto suo di farsi chiamare, con quell’ “Ehi” di fronte al nome. Gli piaceva, in realtà, perché conferiva a Mitch un’aria importante ed era orgoglioso di poterlo chiamare così, quando cercava di stargli dietro durante le sue commissioni in giro per il Distretto, ignorando i borbottii infastiditi del maggiore.

 

*

“Ehi, Mitch!”

La vocetta concitata del bambino inseguì Haymitch fino al viottolo che portava al Forno, facendogli roteare gli occhi.

“Dove stai andando?”

Suo fratello aveva già compiuto sei anni, ma non ne dimostrava più di quattro. Era il più basso della classe e aveva la pelle rosea e liscia come quella di un neonato, nonostante fosse spesso ammalato. I grandi occhi curiosi erano nascosti da una lunga frangetta che il ragazzino doveva spostare in continuazione e la spruzzata di lentiggini che aveva sul volto collaborava con alcuni denti mancanti, facendolo sembrare ancora più piccolo e innocente. Non somigliava molto al fratello maggiore, o per lo meno questo era quello che pensava Haymitch: lui, alla sua età, aveva già quello sguardo diffidente e un po’ sfrontato che caratterizzava molti giovani del Giacimento.

“A procurarci qualcosa da mangiare”  rispose il ragazzino, proseguendo verso il forno senza degnare il fratello di un’occhiata. “Levati di torno, Keynes. Questo posto non è roba per bambini.”

Il minore dei due obbedì e smise di seguire l’altro, ma rimase a fissarlo fino a quando Haymitch non svoltò a destra, scomparendo alla sua vista.

“Mitch!” gridò a quel punto il bambino, incominciando ad apparire impaurito. “Mitch! Non lasciarmi qui da solo. Ho paura!”

Per un po’ non accadde nulla. Tuttavia, non era passato nemmeno un minuto quando Haymitch fece nuovamente capolino alla bocca del viale.

“Coniglio” mormorò, mettendosi le mani in tasca e prendendo a camminare verso casa, con il ragazzino a fianco. Keynes trotterellò per stare al passo, per nulla turbato dalla presa in giro del maggiore.

“I conigli sono buoni” osservò con un sorriso birbante, prendendogli la mano.  “Se al Forno non riesci a trovare niente da mangiare, tu e la mamma potete mettermi nella pentola e cucinarmi.”

Haymitch gli scoccò un’occhiata perplessa, prima di abbozzare un sorriso.

“Sei proprio strano, affarino” commentò, arruffandogli i capelli.

Keynes sorrise allegro, mettendo la mano libera in tasca, per imitare il maggiore; tutto a un tratto, con suo fratello a fianco, si sentì un po’ meno piccolo e più somigliante a Mitch.

 

*

Haymitch afferrò  il ragazzo per il bavero e lo spinse da parte. Seduto su una sedia dietro il bancone del negozio di liquori, Keynes si teneva la testa fra le braccia, paonazzo in volto.

“Che diavolo pensavi di fare, eh?” ringhiò Haymitch contro lo sconosciuto. “Non ha ancora nemmeno dieci anni!”

“Calmati, ragazzo” cercò di trattenerlo Ripper, appoggiandogli una mano sulla spalla. “Capisco la tua furia, ma non voglio risse nel mio negozio.”

“Non pensavo l’avrebbe fatto sul serio” cercò di difendersi il giovane, arretrando nervoso verso la venditrice. “L’ho incontrato qua fuori, cercava di far su qualche soldo e gli ho detto che se comprava da bere e riusciva a far fuori almeno metà della bottiglia, gli avrei dato il doppio del suo prezzo.”

Haymitch lo trascinò fuori dalla bottega e lo spintonò in mezzo alla strada. Fece per sferrargli un pugno, ma il colpo andò a vuoto, poiché il ragazzo riuscì a scansarsi.

Era sul punto di tentare di nuovo, quando qualcuno lo tirò per la manica: Keynes lo fissò implorante, aggrappandosi a lui.

“Andiamo via, per favore.”

Haymitch esitò, ma alla fine acconsentì. Scoccò un’ultima occhiata collerica al ragazzo e fece per voltarsi, quando tutto a un tratto gli tornò qualcosa in mente.

“I soldi” sbottò, tendendo la mano verso il compagno di zuffa. Il coetaneo lo guardò in cagnesco, mentre si frugava nelle tasche del giubbotto. Gli porse un paio di monete e Haymitch gli rivolse un brusco cenno del capo, prima di allontanarsi, sorreggendo Keynes per il busto.

Osservò con attenzione il fratello; Ripper gli aveva detto che non aveva bevuto molto, ma a guardarlo si sarebbe potuto dire che avesse fatto fuori un’intera bottiglia.

“Sei proprio un fesso” lo rimbrattò dopo un paio di minuti.

Il ragazzino ridacchiò.

 “Da quando in qua ti ho dato il permesso di andare al Forno? Non è roba per bambini, te l’ho già detto mille volte.”

“Volevo procurarci anch’io del cibo …” cercò di spiegare Keynes; si sentiva la bocca impastata e la testa gli doleva ogni volta che pronunciava una nuova parola. “… Non sono più un coniglio. Ehi, Mitch…” mormorò poi, fermandosi all’improvviso. Si stropicciò i capelli e perse l’equilibrio, ma venne subito sorretto dal fratello maggiore. “… Mi sento strano.”

Haymitch abbozzò un sorrisetto beffardo.

“Non ti senti strano: sei strano” lo prese in giro, circondandogli il collo con un braccio. Gli strofinò un pugno sulla testa e il fratellino mugugnò, infastidito dal dolore alle tempie.

“Affarino…” lo schernì ancora il maggiore, lasciandolo andare.

Keynes aggrottò le sopracciglia.

“Non sono un affarino” si lamentò, appoggiandosi a lui. “Sono un uomo, ho bevuto come una spugna!”

Haymitch ignorò l’esagerazione del fratellino e lo guidò verso casa, assicurandosi che non inciampasse nei gradini.

“Bere non serve a sentirsi più uomini” commentò, mentre lo faceva sdraiare sul letto. Keynes vi si rannicchiò senza nemmeno togliersi le scarpe, strizzando gli occhi in una smorfia infastidita.

“E a che cosa serve, allora?” mugugnò, passandosi una mano sulle palpebre.

Haymitch lo fissò per un po’ – le braccia conserte e una spalla appoggiata al muro - prima di rispondergli.

“A non sentire il dolore, credo.”

Keynes tornò ad aggrottare le sopracciglia, prima di sorridere al fratello maggiore: aveva ancora gli occhi chiusi.

“Non penso che mi ubriacherò di nuovo, allora” mormorò infine, girandosi su un fianco. “Adesso ho la testa che mi scoppia, ma di solito non sento dolore. Non quando ci sei tu.”

 

*

I singhiozzi della signora Abernathy rimbalzavano come gocce di pioggia dentro il petto di Haymitch. Il ragazzo fece del suo meglio per non sentirli – né fuori né dentro di sé – ma era difficile quando, qualsiasi cosa pensasse, gli tornavano in mente lacrime e occhi gonfi.

L’espressione terrorizzata della sua fidanzata, Lyra, era ancora ben impressa dietro i suoi occhi, così come continuava ad avvertire intorno al collo la disperata insistenza dell’ultimo abbraccio che si erano scambiati.

E poi c’era Keynes, di fronte a lui. Keynes con le guance rigate di tracce umide e il moccio al naso, ma perfettamente in silenzio. Non piangeva: magari l’avrebbe fatto più tardi, di nascosto da sua madre, ma in quel momento non poteva permetterselo.

Era cresciuto molto in quei mesi, Keynes. Sembrava un po’ più alto, un po’ più in forze e anche meno coniglio rispetto a un tempo, come si sforzava così spesso di sottolineare.

Era anche maturato molto, sì, ma non abbastanza.

Era ancora troppo timido, troppo gentile con il prossimo. Troppo ingenuo.

“Ehi, Mitch” mormorò il ragazzino, a voce talmente bassa che il fratello lo sentì a malapena. “Oggi mi sento di nuovo un coniglio.”

Haymitch riuscì a concedergli un mezzo sorriso, nonostante il groppo in gola avesse cercato di impedirgli il gesto.

Non sei mai stato un coniglio, avrebbe voluto dirgli, se solo il suo orgoglio gliel’avesse consentito.

“Meglio così” replicò invece, posandogli una mano sulla spalla. “I conigli sono buoni. Se non riesci a procurarti da mangiare, potrai sempre cucinarti per la mamma.”

Anche le labbra del ragazzino, finalmente, si arricciarono a formare un sorriso.

Haymitch gli strinse più forte la spalla, prima di tornare dalla madre. Mentre si lasciava abbracciare un’ultima volta dalla donna, un pacificatore entrò nella stanza per concludere il momento dei saluti.

Il giovane si sforzò di mostrarsi impassibile, mentre il suo sguardo tornava a posarsi sul fratellino.

“Mitch…” incominciò Keynes, mentre le lacrime tornavano a sfuggire al suo controllo.

“Starò bene” fu l’unica cosa che riuscì a promettergli il maggiore, per confortarlo. Lo strinse frettolosamente in un abbraccio e gli arruffò un’ultima volta i capelli.

Il Pacificatore lo afferrò per un braccio e lo condusse verso l’uscita.

Ehi, Keynes, mormorò a mente il ragazzo, mentre la porta del Palazzo di Giustizia si chiudeva alle sue spalle. Anche io oggi mi sento un po’ un coniglio.

 

 

*

Casa Abernathy era rimasta inabitata per quasi un anno, quando Haymitch ci mise piede la prima volta dopo mesi. Era ormai notte inoltrata e per le strade si potevano incrociare ben poche persone, al di fuori di qualche disperato senza un soldo o un tetto sopra la testa.

Da piccolo, Keynes aveva paura a camminare per il Giacimento a quell’ora tarda.

Un sorriso amaro si tratteggiò sulle labbra del Vincitore, mentre quei pensieri gli vorticavano confusi per la mente; non riuscì a capire come mai avesse aggiunto la parola ‘piccolo’ prima del nome di suo fratello: Keynes era sempre stato piccolo. Quel ragazzino non sarebbe mai potuto diventare grande.

Attraversò barcollando la cucina della sua vecchia casa, facendosi strada verso la camera da letto; il contenuto della bottiglia che teneva in mano ondeggiava a ogni suo passo, come se fosse a sua volta ubriaco.

Una volta raggiunta la brandina dove un tempo dormiva Keynes, Haymitch vi si inginocchiò di fronte. Aveva gli occhi lucidi, ma era difficile intuire se fosse  per via della sofferenza o dell’alcool.

Ricordò con una fitta di malinconia, la volta in cui aveva sdraiato il suo fratellino, ubriaco fradicio, in quello stesso letto. Un ghigno sarcastico scappò dalla sua gola, nel momento in cui ricostruì nella sua mente le parole che aveva pronunciato quel pomeriggio.

“Avevo ragione, eh, affarino?” biascicò fra sé, passandosi il dorso della mano sulla bocca. “L’alcool non fa sentire uomini proprio per niente. Ma il fatto che aiuti a non provare dolore… Beh, quello era vero.”

Gli venne da ridere, nonostante si sentisse tutt’altro che bene. Le sue mani tremavano e la testa gli girava, mescolando i ricordi allegri a quelli malinconici. Amalgamando assieme rabbia e una più tenue e delicata malinconia. Si aggrappò con forza alle reti della branda, avvertendo l’improvvisa sensazione di scivolare nel vuoto.

“Ehi, Mitch” borbottò fra sé, ricordando alla perfezione il tono con cui era solito pronunciarlo Keynes. “Mi sento strano.”

Aveva freddo, come le volte in cui la notte, prima dei Giochi, era stato spesso costretto a passare le coperte a suo fratello, sentendolo tremare nel sonno.

Una sensazione di angoscia, non troppo forte ma comunque presente, gli avviluppò lo stomaco e per un attimo l’intera stanza vibrò, facendogli provare un’ insistente sensazione di smarrimento. Ripensò alle volte in cui Keynes l’aveva inseguito per mezzo Giacimento, salvo poi supplicarlo di riportarlo a casa, piagnucolando perché aveva paura.

“Keynes” esclamò un po’ più forte il ragazzo, alzandosi dalla branda. “Non lasciarmi qui da solo.”

La stanza incominciò a girare più forte e il senso di smarrimento si fece più intenso.

“Ho paura.”

Gli occhi di Ehi-Mitch erano appannati da una patina di stordimento dovuta all’alcool.

O forse erano lacrime.

Ho paura.

 

Note Finali.

Era da tanto che sognavo di scrivere qualcosa su Haymitch e il suo fratellino, ma non ne avevo mai avuto occasione. Questa mattina ho incominciato a rimuginare sul nome del nostro caro vecchio ubriacone e mi divertiva l’idea che Haymitch si pronunciasse esattamente come “Ehi, Mitch”. Mi sono ricordata che da bambina conoscevo una suora di nome Anna che pensavo si chiamasse Ranna (da suor Anna) e ho pensato di unire le due cose assieme. Ehi-Mitch è un po’ diverso dal vecchio e cinico ubriacone sarcastico che abbiamo imparato a conoscere nei libri, un po’ perché da ragazzo lo immagino vagamente più morbido ma al tempo stesso un tipico ragazzo da Giacimento (taciturno, un po’ scontroso, riservato) e molto protettivo con il fratellino. In secondo luogo, perché penso che i Giochi e la successiva morte dei suoi famigliari e della sua ragazza l’abbiano cambiato davvero molto. Keynes è un personaggio che pensavo di introdurre da un po’, soprattutto perché nel mio head-canon  è molto somigliante a Vick Hawthorne e, per questo, Haymitch riconosce un po’ del fratellino nel più piccolo dei maschietti Hawthorne. Mitch chiama Keynes ‘affarino’ perché è così che il Mentore (cresciuto) chiamava la piccola Posy Hawthorne nella mia storia ‘Sorrisi di Neve’.

Grazie infinite a chiunque sia passato a leggere questa storia!
Un abbraccio e a presto!

Laura

 

   
 
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