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Autore: Jude_InTheSkyWithDiamonds    18/04/2015    2 recensioni
[Cinder]
[Cinder]E poi soltanto quel nome, che mai avrebbe dimenticato.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il suono delle gocce di pioggia che si infrangevano sulla superficie liscia del vetro della finestra, erano l’unico suono a distruggere il silenzio della piccola casa buia.
Non un’ombra, non un vociare, una risata. Neanche la voce del presentatore di qualche squallido programma era percepibile.
La sala da pranzo era vuota. Una tazza di the mezza piena era ancora poggiata sul tavolo di un colore chiaro, in compensato. Una sottile muffa ne ricopriva il liquido ormai freddo, segno che da molti giorni non veniva svuotata e lavata.
Una mosca ronzava lungo il corridoio silenzioso. Attraversò la camera dalla porta mezza aperta, dalla quale era possibile notare i giocattoli colorati abbandonati sul pavimento ingombro. Sembravano essere immobili da giorni.
La mosca indugiò soltanto un momento sulla maniglia impolverata in ottone, dal centro leggermente rovinato, segno che molto spesso veniva stretta ed aperta, dirigendosi poi verso l’unica stanza dalla porta quasi totalmente spalancata.

Una camera da letto matrimoniale si stagliava dinanzi lo sguardo di chi ne varcava la soglia.
Il cassettone era ingombro di oggetti. Degli orecchini di bigiotteria, una cintura. Un orologio chiaramente maschile. Dei fazzoletti. E delle scatole vuote di medicinali.
E poi vi era il letto. Grande, dalle lenzuola grigio chiaro. Pieno.
Due corpi parzialmente mummificati erano sdraiati sulle lenzuola sfatte.
La donna aveva dei lunghi capelli neri, che arrivavano sino a metà schiena. Gli occhi, dalle pupille ormai scolorite, sembravano chiari. Azzurri o verdi. Doveva essere stata una bellezza. La pelle invece era gialla, secca, ruvida e ricoperta di bolle scarlatte.
L’uomo invece era leggermente calvo. Sembrava non più vecchio di trentacinque – quarant’anni, e aveva iniziato a stempiarsi. La sua pelle era identica a quella della moglie.
Entrambi sembravano girati verso un’unica direzione, quasi come se i volti mummificati fossero rivolti verso una persona, a guardarla con i loro occhi vacui e le mascelle contratte in una sorta di ghigni fantasma.

Un bambino di non più di cinque anni stava accucciato contro il muro, con la schiena riparata dall’angolo della stanza.
Le ginocchia erano strette al petto, e le piccole mani coprivano le orecchie, quasi come stesse cercando di non ascoltare quel silenzio di morte.
Peter M. Barrie era l’unico sopravvissuto alla Letumosi che aveva ucciso, tra atroci sofferenze, i genitori.
Era solo.

Gli occhi azzurri di Peter, leggermente arrossati per le lacrime, si spalancarono al suono della pioggia battente. Strinse le braccia intorno alle ginocchia, impaurito, al suono potente di un tuono.
Le lacrime iniziarono a scorrere lungo le guance magre. Aveva paura dei tuoni. Voleva la sua mamma. Voleva abbracciarla, stringerla, affondare il viso tra i suoi capelli lavati di fresco. Ma la sua mamma era /così/ fredda. E dura.

Un altro suono, stavolta diverso da quello del tuono, distrasse per un attimo il bambino, che si alzò di scatto, aderendo maggiormente contro la parete, come se potesse difenderlo.
Portò lo sguardo sui corpi dei genitori, mentre un braccino si strusciava sugli occhi. Non doveva piangere.
Aveva promesso alla madre che non avrebbe pianto. Lui era il suo Peter. Il suo campione. Non avrebbe pianto.

Soffocò un singhiozzo, afferrando il pupazzo del folletto che giaceva ai suoi piedi, stringendolo forte. Era il suo unico amico.
Strinse con le dita paffute un orecchio appuntito, mentre si dirigeva verso il corridoio.
Rumore di passi. Una persona, due. Forse tre.
Peter aveva paura, ma non lo avrebbe dimostrato. Doveva proteggere la sua mamma.
Prese una spada giocattolo, piazzandosi dinanzi la porta della camera da letto.
Le gambe erano leggermente divaricate, ed una mano poggiata sul fianco. Lo sguardo sembrava bruciare. Avrebbe difeso la sua mamma.

E poi..
E poi non riusciva a ricordare bene.
Solo sonno, caldo, paura.
Veniva preso in braccio a forza, buttato in un brutto librante che puzzava di alghe morte. E poi soltanto quel nome, che mai avrebbe dimenticato.

“Orfanatrofio Neverland.” 
  
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