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Autore: Rexam    19/04/2015    2 recensioni
Se il tempo non fosse una linea, ma se si comportasse come lo spazio, se fosse un piano cartesiano a sé stante con tre assi, riusciremmo a vedere tutti i possibili eventi di tutti i possibili tempi? E, a quel punto, “capiremo”?
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’invenzione

Il professor Jacob Witter non riusciva a trattenere l’emozione. Sopra il palco, era al settimo cielo,  riuscendo a stento a frenare l’entusiasmo mentre aspettava che il presentatore della conferenza gli desse la parola. Stava per esibire il lavoro di tutta una vita nell’auditorium all’ultimo piano del Dipartimento di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali davanti ad un’aula gremita di persone del suo stesso spessore intellettuale.
«Vi ringrazio di cuore per essere qui», disse il professore, iniziando il suo discorso, «quello che sto per presentarvi è l’epilogo di anni di ricerche e di studi e sono orgoglioso di tutto il lavoro fatto. L’uomo si è da sempre posto domande sull’origine del mondo, dagli antichi filosofi che cercavano di sintetizzare un sistema di pensiero coerente con quanto il loro occhio gli dava modo di osservare fino ai matematici moderni che ci hanno permesso di ottenere le prime risposte soddisfacenti. Tuttavia c’è anche un'altra domanda con cui tutti costoro hanno dovuto scontrarsi: l’universo in cui viviamo è infinito? La nube oscura puntinata di stelle che compare ogni notte sopra le nostre teste e a cui poeti e scrittori hanno cantato le lodi è davvero senza fine? Se così fosse, vorrei sollevare una questione. Ammettiamo che l’universo sia infinito e che la probabilità che la vita sorga sia non nulla. Questo vuol dire anzitutto che la nostra creazione non è frutto di una divinità. È solo statistica.» Lo disse con una freddezza disarmante. Un paio di uomini in sesta fila borbottarono qualcosa fra di loro. Witter aveva sicuramente acceso l’interesse e la curiosità di quella piccola comunità.
«E questa non è l’unica ripercussione di queste premesse. Spingiamoci oltre: se l’universo fosse davvero infinito e la vita può essere generata con probabilità non nulla vuol dire che, da qualche parte, nello spazio oscuro ci sono infiniti cloni di noi tutti che stanno facendo esattamente quello che stiamo facendo noi. Dopotutto cos’è l’infinito se confrontato con una piccolissima probabilità che un evento accada? Ma non solo: ci sono anche infiniti cloni che stanno facendo cose molto diverse da quello che stiamo facendo noi. Magari hanno preso altre vie, altre strade. Strade più accidentate o moralmente discutibili.»
La donna in prima fila iniziò a sentirsi turbata da quelle parole.
«Perché, ammettiamolo, le nostre azioni di fare del bene o di fare del male sono assolutamente inefficaci se paragonate all’infinito, perché da qualche parte ci sarà una copia di noi tutti che avrà scelto l’altra via.»
Witten era galvanizzato. Sapeva di avere ragione.
«Questo problema etico ha tormentato Nietzsche per tutta la vita. Perché se, come dicevo, la vita può svilupparsi nell’universo, allora ognuno di noi è rinato e destinato a rinascere non una, ma infinite volte, fino alla fine de tempi, in un eterno ritorno dell’uguale. Nessuna idea è davvero innovativa perché si è già realizzata e si realizzerà ancora in un infinito temporale passato e futuro. Una linea senza inizio né fine su cui camminiamo tutti noi, credendo di fare progressi.»
Una ragazza in ultima fila aveva iniziato a mordersi nervosamente le unghie.
«Ed è per questo che, con enorme orgoglio, presento a tutti voi la mia eccezionale scoperta.»
Il professor Witten tirò fuori dalla tasca interna della giacca una piccola fiala da laboratorio contenente una sostanza rossastra e la mostrò alla platea, tenendo alta la mano.
«A chi è morto, ridà la vita. È una pietra rossa come il sangue. Gli uomini la chiamano con venerazione la pietra filosofale.»
Una coppia in terza fila rise sommessamente.
«Questo raccontano le leggende», riprese Witten, «io non vi prometto tanto, ma sono giunto a produrre un composto che moltiplicherebbe a dismisura il pensiero umano, accelerandolo. Questa sostanza che ho creato permette ad un individuo di riuscire a vedere al di là del proprio naso, oltre la terza dimensione che ci appartiene. Dicono che la quarta sia il tempo. Ma cosa si nasconde oltre? Se il tempo non fosse una linea, ma se si comportasse come lo spazio? Un piano cartesiano a sé stante con tre assi. Un tempo distorto. Magari riusciremo a vedere tutti i possibili eventi di tutti i possibili tempi. A quel punto “capiremo”? E, se ci spingessimo ancora più avanti, oltre una sesta dimensione, cosa troveremmo? C’è una fine a questo processo? O, ancora una volta, siamo costretti a fidarci di uomini che ci raccontano che “Dio” è ciò di cui non si può pensare nulla di più grande?»
L’intera aula era concentrata su di lui. Il professore aveva tutti gli occhi puntati addosso.
«Io non mi accontento di una risposta del genere», disse, « siamo scienziati. Vogliamo vedere le cose con i nostri occhi.»
E dette queste parole aprì velocemente la fiala e prima che qualcuno avesse modo di fermare quel fuori-programma l’aveva già ingurgitata tutta. Witten restò fisso a guardare la sua platea per qualche secondo in un interminabile silenzio. Poi il suo viso si fece pallido. La sua espressione divenne sbalordita, dal sapore di tenebra. La bocca aperta. Gli occhi sgranati, puntati al cielo.
«Non può essere questa la risposta», disse in un sussurro più flebile di una fiamma, «non avrei mai dovuto chiedere.»
E, detto questo, prese una rincorsa e si lanciò oltre l’enorme vetrata dell’aula, precipitando al suolo.
  
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