V
Nekomata
Painting
a Tomorrow different from the past,
painting hope for just the two of us,
that’s the start line.
I never say goodbye… that’s how it always is.
Hide si accigliò a quelle
parole da parte di Haruki, ma non disse nulla. Si preoccupò piuttosto di
avvicinarsi a Chiaki e chinarsi su di lei, passandole una mano sulla schiena
lentamente: «Chiaki» mormorò «ce la fai ad alzarti?» la incalzò, non reputando
saggio rimanere lì in quel momento. Non aveva la minima idea di come
combattesse Shiki quando si cibava di Haruki, e non aveva intenzione di
scoprirlo finendo accidentalmente nel mezzo del combattimento – aveva però
l’assoluta certezza che se lui o Chiaki si fossero trovati tra Shiki e lo youkai, il demone non si sarebbe fatto
il minimo scrupolo ad attaccare ugualmente. D’altra parte era la sua stessa
natura a renderglielo possibile, facile e non aveva con loro alcun contratto,
il che significava avere ai suoi occhi la stessa importanza di un granello di
polvere.
Sentì Chiaki tremare leggermente sotto la sua mano, mentre tossiva un paio di
volte, l’odore acre e nauseante di ciò che aveva rimesso che gli fece storcere
istintivamente il naso; la vide comunque annuire piano un paio di volte e
strinse la presa su di lei per aiutarla a tirarsi su.
Aveva dato in parte le spalle tanto al demone quanto all’altro ragazzo, perciò
non aveva idea di cosa stessero facendo. Quando si voltò insieme a Chiaki,
tuttavia, ebbe modo di vederlo: Haruki aveva tra le mani una lama che ricordava
più una sciabola che non una tradizionale katana,
dalla lama rossa e l’elsa nera. Shiki sembrava sparito, ma la sensazione che
aveva Hide era di una presenza concentrata e non era difficile ricondurla
all’arma che Haruki stava brandendo in quel momento mentre si scagliava contro
lo youkai. Hide lo osservò slanciarsi
in avanti verso lo spirito e si preoccupò a stare pronto a tirare verso di sé
Chiaki se ce ne fosse stato bisogno; la occhieggiò, quando Haruki colpì lo
bersaglio scagliandolo qualche metro più in là e allontanandosi da loro. La
ragazza aveva ancora il viso pallido, anche se il tremore leggero che Hide
aveva avvertito poco prima sembrava scomparso.
«Chiaki» la richiamò con delicatezza «dobbiamo spostarci da qui.»
La vide sbattere un paio di volte le palpebre e poi scuotere leggermente la
testa: «Haruki non…» iniziò, deglutendo e seguendo
con lo sguardo il ragazzo più giovane. Non sembrava cavarsela male, ma lei
aveva addosso una brutta sensazione che non riusciva a ignorare – non capiva
però se fosse per lo youkai che
Haruki stava affrontando o se fosse per Shiki e l’immagine di lui che si cibava
del ragazzo.
Hide la osservò, incurvando le labbra in un sorriso lieve: «Rimango io con
Haruki.» assicurò «Ma dovresti allontanarti, per—»
«Hideyuki-san!» esclamò Chiaki tirandogli una manica e indicando poco più in
là: non solo Haruki stava impiegando più tempo del previsto a vedersela con
quello spirito – per quanto gli sembrasse in vantaggio e con la situazione
sotto controllo –, ma la zona si stava riempiendo di spiriti. E se anche a
occhio Chiaki ne riconosceva diversi minori e innocui, non era certa che lo
fossero tutti o che lo sarebbero rimasti una volta nella sfera d’influenza di
uno così incattivito come quello con cui se la stava vedendo l’altro ragazzo.
«Questo è un problema.» mormorò Hide, accigliandosi e cercando di analizzare la
situazione: quante possibilità c’erano che nessuno di quegli youkai si rivoltasse contro di loro? E
se fosse successo, quanto sarebbero stati in grado di resistere? Non aveva idea
di come funzionasse il contratto di Haruki e Shiki o quanto potesse durare
senza effetti collaterali; Chiaki era scossa ed era poco probabile che avesse
con sé l’occorrente per una varietà di spiriti come quella che si stava
avvicinando. Quanto a lui non era sicuro che, se fossero aumentati o se
avessero perso il controllo, sarebbe stato in grado di tenerli a bada.
«Chiaki, quanti ne riconosci?» domandò, senza distogliere lo sguardo dal punto
in cui se ne stavano ammassando di più. La ragazza inspirò, soffermandosi di
volta in volta sugli spiriti che vedeva: «Tutti.» decretò infine e Hide non
poté non guardarla almeno per un attimo e lasciarsi sfuggire un sospiro tra le
labbra. Si chiese fin dove arrivasse la conoscenza di Chiaki, fino a che punto
avesse memorizzato gli appunti di suo padre.
«Ce ne sono di livello alto?»
«Nessuno superiore a Shiki-san.» confermò lei «Anche
se ho una brutta sensazione da prima. Non so a causa di chi o cosa, però.»
ammise, stringendosi appena nelle spalle. Hide annuì, cercando con lo sguardo Haruki
proprio quando l’altro cozzava contro il muro che delimitava la strada sul lato
sinistro. Lo sentì tossire e poi imprecare a mezza bocca; si assicurò di avere
la presa salda sul polso di Chiaki e la tirò con sé verso Haruki che si stava
rialzando.
«Non mi serve il tuo aiuto.» gli ringhiò contro, il marchio sul braccio che
teneva la sciabola fattosi brillante in maniera inquietante. A una seconda
occhiata più attenta, Hide notò che il punto dove era stato morso stava
iniziando a sanguinare in maniera preoccupante.
«Sei ferito.» ribatté come per farglielo notare, sottintendendo che l’aiuto gli
serviva ancora: «Non serve essere testardi—»
«Sono sempre ferito!» sbottò Haruki,
in ginocchio, il respiro affannato: «Combatto sempre da solo, e sanguino ogni volta perché è così che funziona,
il sangue in cambio del potere di liberarmi di questo schifo! Quindi
risparmiami la buona azione quotidiana, va bene?»
Hide lo guardò, e Chiaki fu sorpresa dall’occhiata gelida che gli lanciò; lui
non replicò tuttavia, rivolgendosi a lei: «Hai con te qualcosa per rallentarli?»
«Sì, ho dei talismani generici.» pronunciò pronta «Ma se dovessero aumentare
potrebbero non fermarli tutti e non a lungo. Non ci possono proteggere
completamente, quindi se dovessero attaccare dall’alto non potrei fermarli.»
spiegò con parole più semplici possibile.
«Basterà.» decretò Hide «Hai il tempo dei talismani di Chiaki per abbattere
quello youkai.» comunicò all’altro
mentre la protezione della ragazza fermava gli spiriti che stavano avanzando
verso di loro. Vide alcune delle creature confuse, e diede le spalle a Chiaki: «Se
vedi la barriera cedere, avvisami.» disse, Haruki che ringhiando si scagliava
in avanti contro lo youkai, la
sciabola che andò a conficcarsi nel corpo informe di
fronte a lui. Un rantolo inumano lasciò quella che doveva essere la bocca della
creatura, la voce di Shiki che riecheggiò dalla spada: non stare troppo a contatto con lui!
Haruki arretrò di scatto, tirando via la lama, e l’essere prese ad agitarsi
ancora di più, i lamenti capaci di far gelare il sangue a riempire l’aria; a
Hide sembrava quasi di veder deambulare un ubriaco, non fosse stato per la
forma tutt’altro che umana. Un brusio agitato gli arrivò alle orecchie –
voltandosi per un attimo in direzione degli altri un brusio agitato gli arrivò
alle orecchie e vide gli altri youkai
lasciati oltre la barriera di Chiaki diminuire, alcuni forse troppo deboli
persino per vedere oltre il muro invisibile creato dai talismani e altri magari
intimiditi da quel suono sgradevole.
«Hideyuki-san.» chiamò la ragazza e Hide annuì, muovendosi per porsi tra lei e
i pochi spiriti rimasti. I talismani persero di efficacia, scivolando a terra
fluttuando piano; dopo un primo momento di sorpresa, le creature presero ad
avanzare e Hideyuki sospirò piano, ritrovando la calma completa che lo aveva
sempre caratterizzato anche camminando tra quelle figure che non avrebbe dovuto
essere in grado di vedere. Gli occhi fermi su di loro, pronunciò poche parole
con tono pacato, quasi sommesso.
Chiaki si sorprese nel vederli eseguire, come guardie di fronte al proprio
sovrano e sebbene non fosse la prima volta che lo vedeva utilizzare il kotodama e
sapesse perfettamente di cosa si trattasse, non riuscì a rimanere impassibile.
Era un potere incredibile che, per quanto studiasse, non riusciva a comprendere
fino in fondo come funzionasse o come potesse esistere qualcosa di così
sovrannaturale tra le mani di una creatura semplice, effimera e debole come un
essere umano.
Un rantolio alle sue spalle la fece voltare, inquadrando Haruki con un
ginocchio a terra e la sua schiena alzarsi e abbassarsi anche troppo velocemente:
«Al diavolo, ma quando muore?!» lo sentì dire, la mano che teneva la sciabola
che tremava visibilmente. Fu del tutto istintivo per lei muoversi e mettersi
tra lui e quello youkai, un fuda di fronte a sé che aderì al corpo
dello spirito: un ululato fu l’ultimo suono emesso dalla creatura, prima di un
tonfo a terra e un corpo esanime che andò scomparendo
lentamente fino a lasciare solo il fuda
a terra, annerito come se fosse stato bruciato.
«Hideyuki-san!» esclamò voltandosi e vedendo l’altro rimanere immobile per
qualche attimo a guardare di fronte a sé – nessuno spirito era rimasto e Chiaki
tirò un sospiro di sollievo; il ragazzo si voltò in loro direzione in tempo per
notare Haruki che faceva lo stesso e li guardava come se lo avessero appena
minacciato: «Non c’era bisogno che vi metteste in mezzo.» sibilò, la spada che
si stava ritirando, passandogli su per il braccio. Era un processo singolare da
osservare, come se la lama si fosse sciolta e risalisse strisciando lungo la
pelle fino alla ferita lasciata dai denti di Shiki. Il demone riapparve alle
spalle di Haruki – se avesse mutato forma divenendo la spada stessa o se fosse
stato solo il suo potere a stare nell’arma questo Hide non avrebbe saputo dirlo
– e occhieggiò il segno dei denti visibile sul collo del giovane; sorrise, e si
chinò in avanti passando la lingua sulla pelle offesa.
Haruki si ritrasse immediatamente: «Lasciami perdere!» lo sentì sbottare «Perché
in questo gruppo nessuno sa farsi i fatti propri.» aggiunse in un borbottio
seccato. Chiaki non si sarebbe mai aspettata di vedere Hideyuki marciare verso
Haruki e dargli un pugno senza alcun preavviso. Era chiaro che nemmeno il più
giovane se l’era aspettato, visto che finì a terra dopo aver perso il precario
equilibrio che aveva mantenuto nel ritrarsi di scatto da Shiki; Chiaki lo vide
sgranare gli occhi sorpreso per poi assumere un’espressione arrabbiata: «Che
cavolo ti salta in mente?!» esplose, una mano portata alla guancia colpita.
Hideyuki si avvicinò ancora, coprendo i pochi passi di distanza che c’erano fra
loro, e lo guardò dall’alto senza porsi come suo pari; nei giorni dal loro
primo incontro, con l’altro non si era mai comportato come se fosse superiore a
uno dei due, e forse anche quello confuse Haruki: «Non conosco le tue ragioni.»
pronunciò Hide guardandolo, gli occhi pieni di una serietà distante, fredda «E
non ti chiederò di spiegarmele. Non mi interessano, e
non mi interessa neanche sapere perché non ti piacciamo o perché vuoi
combattere da solo. Forse sei solo orgoglioso» proseguì «ma da quando vedo, non ho mai avuto problemi con gli
spiriti. Non sono mai stato nemmeno ferito. Non ho intenzione di farmi uccidere
o perseguitare solo perché tu sei ossessionato all’idea di combattere da solo o
di non volere l’aiuto degli altri.» lo sgridò, severo.
«Non so se a ucciderti sarà il tuo contratto con un demone o uno youkai, ma ti proibisco di mettermi in
mezzo. La prossima volta se non vuoi aiuto fai da esca, attira gli spiriti da
un’altra parte e combatti le tue battaglie come preferisci.» aggiunse,
voltandosi con tutta l’intenzione di andare via, soffermandosi solo quando fu
accanto a Chiaki e guardandola per qualche momento, in una tacita domanda. Lei
annuì incerta, ma Hide si voltò comunque verso Haruki: «Impara a ringraziare,
anche quando l’aiuto che ti viene dato non era richiesto.» disse, muovendosi
nella direzione opposta a quella in cui si trovava il più giovane.
Con un ultimo sguardo incerto verso Haruki, ancora a terra, Chiaki fece lo
stesso.
Nell’aprire la porta dell’appartamento due giorni dopo, Hide non si sorprese
troppo di ritrovarsi davanti Chiaki; l’unica differenza rispetto alle visite da
quando avevano visto l’ultima volta Haruki era l’abbigliamento della ragazza.
Era andata a trovarlo sempre dopo l’orario scolastico, per cui l’aveva sempre
vista in divisa scolastica; aveva creduto che di sabato non sarebbe passata, e
invece eccola lì in borghese con una borsa abbastanza capiente che – provò a
indovinare – doveva contenere dei documenti o un libro che di sicuro Hide
avrebbe faticato a comprendere e che di certo per lei doveva essere stato una
lettura quasi “leggera”. Incurvò le labbra in un sorriso, facendo spazio per
lasciarla entrare. Era diventato un fare curiosamente abituale, a modo suo; di
sicuro continuando così Chiaki sarebbe entrata nel suo appartamento più di
qualsiasi altra ragazza – non che Hide ne frequentasse molte, men che meno in quel senso – e dei membri della sua band.
«Ti ho già detto che non sei tenuta a passare tutti i giorni, vero?» chiese,
una sfumatura divertita nel tono di voce, vedendola rimanere in attesa
all’ingresso. Nonostante le avesse detto spesso che poteva accomodarsi una
volta entrata, Chiaki non lo faceva mai se non era preceduta da lui verso una
qualsiasi area del piccolo appartamento. Lei lo guardò, senza un’espressione
particolare in viso, per poi pronunciare un: «Ti ho disturbato?»
Hide sospirò, scuotendo la testa e spostandosi per primo verso la stanza più
grande dove l’aveva accolta anche la prima volta: «Non è affatto un disturbo,
figurati. Anche se non vorrei che ti creasse problemi venire qui di continuo.»
ammise, facendole cenno di accomodarsi. La osservò sedersi, recuperando un
secondo cuscinetto per poi sistemarsi dal lato del tavolinetto basso alla
sinistra della ragazza.
«Come va il marchio, Hideyuki-san?» chiese lei senza girarci intorno. Erano due
giorni che Chiaki andava lì per controllare il marchio apparso dopo quella
specie di scontro avuto con gli youkai,
rifiutandosi categoricamente di sottovalutare la cosa. Sebbene Hide le avesse
assicurato di non essere particolarmente preoccupato dalla cosa, lei aveva
insistito. La osservò mentre estraeva dalla borsa un piccolo plico di fogli,
dai quali notò delle linguette colorate che uscivano fuori in un paio di punti;
doveva aver cercato informazioni e appuntato le pagine.
«Come ieri. Non ci sono stati cambiamenti, non è successo niente e nessuno
spirito mi ha fatto visita nel cuore della notte.» la rassicurò, occhieggiando
i fogli poggiati ora sul tavolino e ritrovandosi poi con gli occhi di Chiaki
puntati addosso. Sospirò lentamente, portando una mano al bordo della propria
maglia e tirandolo su da un lato, estraendo il braccio dalla manica perché lei
potesse osservare la spalla – e il marchio apparso di recente. Chiaki si mosse
per sistemarsi più vicina e sfogliò poi il plico in corrispondenza della
linguetta azzurra; alternò lo sguardo dalla spalla alla figura stampata su carta
un paio di volte e poi riprese a girare le pagine per aprire il punto
contrassegnato dal segno verde.
«Sei strana, Chiaki.» pronunciò Hide a un certo punto, senza cambiare
posizione. Lei non portò lo sguardo su di lui, ma diede voce a un piccolo «Mh?» per dar segno di stare ascoltando: «Vieni qui da me da
sola, a parte la volta in cui sei passata con Haruki, e negli ultimi giorni sei
sempre qui e sembra che non ti importi troppo di stare entrando
nell’appartamento di un ragazzo o delle cose che potrebbero dire se ti vedesse
qualcuno che ti conosce. Credo di aver capito che non ti interessa troppo»
ammise «perché altrimenti non mi avresti chiesto di togliere la maglia come se
niente fosse, l’altro giorno. Anche se è per il marchio, ovviamente.» concluse senza
malizia, anche se già il discorso in sé probabilmente ne aveva fin troppa.
«Mi sento un po’ a disagio.» la sentì ammettere, e non se l’era aspettato «Ma
non perché sei… in ogni caso non ti ho chiesto di
spogliarti. Solo di scoprire il marchio.» borbottò piano nel primo, vero
accenno di imbarazzo che Hideyuki le avesse mai scorto in viso. Ridacchiò,
senza neanche provare a nasconderlo: «Scusa, Chiaki, non volevo metterti in
imbarazzo.» la prese bonariamente in giro, allungando una mano per sfiorarle il
capo gentilmente. La sentì irrigidirsi, inizialmente, ma rilassarsi piano con
un sospiro che lei doveva essere certa di stare nascondendo al meglio.
«Eccolo.» la sentì dire «Non ne ero sicura a casa, ma ora che ho davanti
entrambi i marchi sono identici.» pronunciò e Hide suppose di poter infilare di
nuovo la manica della maglietta; si accostò un poco per poter guardare anche
lui gli appunti della ragazza: «Buone notizie?» la incalzò, ritrovandosi in
risposta un annuire leggero ma deciso.
«Si tratta di un marchio di “tracciamento”. Non è proprio come quelli di
localizzazione, quelli che alcuni youkai
utilizzano per segnare le proprie vittime e essere sempre in grado di
ritrovarle. È qualcosa a metà tra una localizzazione e un marchio di
protezione. Da quanto leggo non ha grossi effetti se non segnalare agli altri
spiriti che sei… sotto l’occhio di qualcuno. Una
specie di atto di proprietà, forse.» concluse, spostando lo sguardo dalle
pagine a lui «Scusami se non posso essere più precisa. Sono vecchi appunti e
sono incompleti, quindi non posso sbilanciarmi più di così.»
«Non preoccuparti, hai già fatto più di quanto avrei potuto fare da solo. Sei
davvero una specie di enciclopedia vivente, eh?» disse, alzandosi per dirigersi
in cucina senza dire altro e riapparendo poco dopo con due lattine che andò a posare sul tavolino. Una delle due era tè verde,
l’altra latte alla fragola: «Preferenze?» la interrogò, vedendola optare per la
prima. Ridacchiò nuovamente, aprendo la restante.
Tacquero entrambi, bevendo in silenzio per diversi minuti. A Hide non pesava
granché, abituato ad adattarsi al modo di fare altrui non perché timoroso di
risultare sgradito ma perché – così dicevano le persone che lo conoscevano,
almeno – portato per natura a mettere gli altri a proprio agio.
«A essere sincero» riprese guardando la lattina poggiata sulla superficie in
legno «all’inizio mi ha stupito che tu sia rimasta in compagnia mia e di
Haruki. Specie quando ho capito che sei a disagio con le persone.» disse, forse
suonando indelicato, ma preferendo essere diretto. Chiaki non sembrava stupita
di essere stata smascherata, né colpita dalle parole di Hideyuki.
«Posso chiederti come mai?» aggiunse, e per qualche strano motivo vide la
ragazza posare gli occhi su di lui, un velo di sorpresa nel suo sguardo.
Sembrava intenta a studiarlo, a carpire un significato più profondo di quello
semplice e immediato che le parole di Hide implicavano; probabilmente non
riuscì a trovarlo da sola, perché aggrottò appena le sopracciglia dando voce a
un dubbioso: «Perché vuoi saperlo?»
Non è che Hideyuki non capisse il motivo di quella sorta di ritrosia: avevano
saputo troppo gli uni degli altri in troppo poco tempo e quasi sempre senza
avere il reale intento di rivelarsi, di mostrare segreti che in nessun’altra occasione
avrebbero mai rivelato. Eppure in nessuna occasione qualcuno di loro aveva
fatto domande agli altri, dando la possibilità di tenere qualcosa per sé; forse
era quello a scombussolare Chiaki, a far sembrare così strano il suo
interessamento: non la metteva alle strette ma le lasciava decidere se
confidare qualcosa e quando fermarsi.
«Io e Haruki abbiamo visto qualcosa di te che non volevi mostrarci. Ti ho già
detto che non posso fare nulla per farmi perdonare per quello, non importa
quanto io pensi che non ci fosse scelta o tu sia convinta che avresti preferito
altre alternative a quello che è successo.» iniziò quello che aveva l’aria di
essere un discorso lungo, voltandosi con tutto il corpo verso di lei e non solo
con la testa per guardarla: «Però ormai è accaduto, e conosco qualcosa di te. E
ammetto che una domanda mi ronza in testa da quando ho visto la tua coscienza.»
aggiunse, concedendosi qualche istante per studiare la sua espressione, per
cogliere eventuali segni da parte di lei di non volere che continuasse. Non ve
ne furono: «Tu non odi le persone.» pronunciò, e non era una domanda «Sei
arrivata persino a importi un marchio che ti permettesse di vedere e non c’è niente di divertente in
questo. Lo hai fatto per dimostrare che tuo padre non mentiva, che c’era
davvero qualcosa anche se lui non riusciva a vederla concretamente e gli altri
ne dubitavano. Certo, non mi permetto di mettere chiunque sullo stesso piano di
tuo padre» chiarì prima di essere frainteso: «Ma fai attenzione a non causare
problemi alla zia che ti ha presa con te. Ti sei presa cura di me aiutandomi
con lo spirito che era qui in casa, e ora con il marchio. Non hai esitato a
spalleggiare Haruki, anche se lui non ha capito che era ciò che stavamo
facendo.» si corresse con un mezzo sorriso che Chiaki non riuscì a decifrare.
Hideyuki prese un sorso della sua bevanda, forse per dare l’idea di non stare
accusando nessuno o di non voler chiedere qualcosa a bruciapelo; non fu
comunque in grado di trovare un modo pacato di esporre la sua domanda.
«Una persona che odia gli altri non penserebbe nemmeno, di aiutarli. Quindi mi
chiedo, c’è un motivo per cui cerchi di stare lontana dagli esseri umani?»
concluse, osservandola. Chiaki non sembrava stupita dalla domanda di per sé, ma
confusa sì: per lei sembrava essere più difficile capire perché Hide si
interessasse tanto a una questione che a conti fatti non lo riguardava,
piuttosto che comprendere la domanda o cosa avesse scatenato in lui pensieri
tali da fargli avanzare ipotesi tanto precise. Per questo impiegò diverso tempo
a rispondere, al punto che Hideyuki pensò di aver fatto una domanda così
indiscreta da non meritare nessun tipo di replica, fosse stata anche solo
dirgli che non erano affari suoi.
Stava per alzarsi con la scusa di buttare la propria lattina ormai vuota,
quando la voce di Chiaki lo fermò lì dov’era, in procinto di mettersi in piedi:
«Io non odio le persone.» fu la prima cosa che disse, confermando ciò che lo
stesso Hideyuki aveva detto in effetti. Lui tornò seduto, la lattina
abbandonata sul tavolo e il busto di nuovo completamente girato verso di lei,
addosso la sensazione di stare ascoltando qualcosa di importante che forse
poche altre persone avevano avuto modo di udire.
«Non hai torto quando dici che mi sento a disagio con loro, ma…
anche io sono un essere umano.» replicò, alzando finalmente lo sguardo su di
lui e puntandolo in quello altrui. Non era la prima volta che notava quanto
particolari fossero gli occhi di Hideyuki, almeno per essere un giapponese:
erano chiari, di un grigio che non somigliava né al cielo carico di pioggia, né
a quello quasi sporco che preannunciava la neve in inverno. Dal momento che non
sapeva niente di lui, aveva solo potuto supporre che quel colore potesse essere
dovuto a qualche parentela occidentale nella famiglia del più grande; neanche a
dirlo, non aveva fatto domande.
«Gli youkai» riprese poi, stupendo
sia Hide che se stessa «sono spiriti, per la maggior parte. Alcuni dicono si
tratti di mostri, altri di demoni… anche se la
definizione precisa esiste, al di là delle credenze popolari, io non ho mai
fatto troppa attenzione a come gli altri li chiamassero. Perché l’unico tratto
che mi interessava davvero di loro, non cambiava a seconda che fossero l’una o
l’altra cosa.» ammise, abbassando gli occhi sulla lattina mezza piena, ancora
tra le sue mani. Hideyuki avrebbe voluto chiederle di essere più chiara, ma non
lo fece, abbastanza sicuro che la spiegazione sarebbe arrivata.
«Sono comunque immortali. O almeno, hanno una vita così lunga che a noi non
basterebbero generazioni per vederli scomparire.» sembrò concludere così, come
se tutto il resto fosse ovvio, scontato al punto da non aver bisogno di
aggiunte di alcun tipo. Hide sbatté per un paio di volte le palpebre, e per
assurdo sentì di capire – se non avesse visto la coscienza di Chiaki
probabilmente non avrebbe mai compreso, ma era quello il punto: l’aveva vista.
Aveva visto una bambina prendere atto del fatto che suo padre non sarebbe più
tornato, che per sua madre lei non era una ragione sufficiente per non
lasciarsi sconfiggere dal dolore. L’aveva vista venire accudita da una zia che
per quanto amorevole non avrebbe mai potuto sostituire dei genitori. Aveva
visto un’adolescente poco più piccola di lui entrare in un mondo da cui tutti
quelli che c’erano dentro volevano scappare, farlo nonostante le creature
spaventose che a volte lo abitavano; imporsi un marchio che le avrebbe impedito
di fuggire anche se lo avesse voluto, e nonostante tutto rimanere. Dimostrare. Ed era rimasta sola, circondata da creature
troppo diverse da lei per poter sostituire una famiglia perduta e al tempo
stesso unica testimonianza che quella famiglia c’era stata davvero, che era
crollata su se stessa, ma non per delle fantasie.
«Gli esseri umani sono fragili.» la sentì mormorare «Non riesco a… stargli vicino come prima. Ho paura che scompaiano tutti
prima di me.»
Hideyuki avrebbe voluto dirle che non era così, che le persone prima o poi se
ne andavano ed era vero, ma non lo facevano con la frequenza che sembrava
spaventarla tanto da indurla a mantenere un distacco – involontario, iniziava a
sospettarlo – come quello di Chiaki. Avrebbe voluto rassicurarla, perché nel
tempo aveva potuto vantare la capacità di inquadrare gli altri facilmente, e
qualcosa gli diceva che senza quella paura Chiaki sarebbe stata il tipo di
ragazza capace di piacere a tutti o di prendersi cura del prossimo senza
difficoltà. La vedeva fragile, più che mai in quel momento, e sentiva quasi il
bisogno di fare qualcosa perché lei capisse di non aver alcun bisogno di
chiudersi fuori dalla sfera dei rapporti umani.
Eppure, cosa mai avrebbe potuto dirle? Il suo passato non era di certo una
smentita, anzi; poteva condividerlo, sì, ma con il rischio di ottenere
l’effetto contrario.
«C’è una parte del mio passato, i primi… dodici anni
della mia vita, che non ricordo per nulla.» esordì così, un mezzo sorriso sulle
labbra e gli occhi chiari su Chiaki. Se l’era aspettato, di vederla ricambiare
lo sguardo, ma per qualche momento tacque lo stesso. Non si trattava di essere
presi alla sprovvista, quanto dello stupirsi di come una persona che tanto
faticava a instaurare rapporti con gli altri riuscisse poi ad affrontare una
confessione intima con una tale sincerità; chiunque altro si sarebbe sentito a
disagio al suo posto – lo stesso Hideyuki, se lei avesse raccontato il suo
passato anziché ritrovarsi costretta a condividerlo nel modo peggiore, non
avrebbe saputo di preciso come comportarsi – e invece lei lo guardava, quasi a
suggerirgli di avere la sua completa attenzione.
Hide sospirò impercettibilmente: «Il primo ricordo che ho è in ospedale, seduto
in un letto e con il medico che mi faceva delle domande. Non avevo idea di dove
mi trovassi, né di chi fossi. Ero illeso, ma mi avevano trovato privo di
conoscenza.» iniziò a spiegare, il tono di chi conosce già il finale della
storia e non riesce ad appassionarsi al racconto «Anche se dagli accertamenti uscì fuori che non avevo subito danni di alcun tipo al
cervello, l’amnesia non è mai passata e io non ho mai ricordato cosa ci fosse
prima dell’ospedale. Ho passato un periodo senza famiglia, perché nessuno è mai
venuto a prendermi né all’ospedale, né dopo. Era come se non esistesse nessuno
per me: genitori, fratelli, lontani parenti. Niente. Il nulla completo e
creature sovrannaturali che vedevo soltanto io.» ammise, con un mezzo sorriso,
più amaro che non divertito. Chiaki non diceva nulla, né dava cenno di pensare
qualcosa di preciso: lo guardava e basta, senza interromperlo.
«Il nome “Hideyuki” mi è stato dato dall’infermiera che si è presa cura di me
fino a quando non sono stato dimesso. Non mi importava troppo del modo in cui
venivo chiamato… alla fine suonava tutto estraneo,
quindi uno valeva l’altro. Il cognome l’ho preso ovviamente dalla famiglia
adottiva.» chiarì, benché fosse sicuro che non servisse davvero «Ho capito
presto che quello che vedevo non era niente di normale, né qualcosa che
chiunque era in grado di notare. Anzi. All’inizio ero convinto che fosse non
proprio all’ordine del giorno, ma abbastanza frequente. Poi andando a scuola ho
capito che non era affatto così. In quel momento ho pensato per la prima volta
di essere davvero solo: io e gli esseri con cui non dovevo parlare per non
sembrare pazzo.» confidò, senza mutare espressione. Osservandolo, Chiaki non
credeva che la cosa fosse dovuta a un disinteresse nei confronti delle proprie
vicissitudini, ma all’aver preso coscienza di qualcosa e averlo fatto troppo
presto. Hideyuki aveva dodici anni quando capì di essere diverso, la stessa età
in cui lei si avvicinava alle ricerche di suo padre, ancora perfettamente parte
di ciò che l’altro faceva rientrare nella parola “normalità” e ne era uscita
forzatamente. Si chiese se anche Hideyuki, come Haruki, la biasimasse per aver
gettato al vento una fortuna che a loro non era mai appartenuta.
«Li ignoravo, nella maggior parte delle occasioni, specialmente quando ero in
compagnia di qualcuno. Ma c’erano volte in cui mi sentivo completamente fuori
dal gruppo, e non perché in classe mi escludessero o qualcosa del genere. Anche
se non so come spiegartelo, immagino che la conosca anche tu, quella sensazione
di essere dove non dovresti, vero?» chiese, ma si limitò ad accarezzare la
figura di lei con lo sguardo, senza aspettarsi davvero una risposta: «Così in
quelle occasioni andavo dove nessuno poteva vedermi – prima non abitavamo qui,
non è qui che ho frequentato la scuola. Era più in campagna, non è difficile
trovare un posto per stare soli – e qualche volta vedevo gli youkai… se mi
sembravano abbastanza innocui, parlavo con loro. Le prime volte mi sedevo
vicino agli spiriti fingendo che fosse casuale, come se non riuscissi a
vederli, perché era quello che facevano le altre persone.» si fermò, in cerca
delle parole adatte per proseguire. Non doveva fare grossi sforzi di memoria
per organizzare quel che voleva raccontarle e soprattutto dove aveva intenzione
di andare a parare, né provava difficoltà nel condividere il suo passato con
lei. In un certo senso, però, aveva la sensazione di dover scegliere le parole
con cura.
«Sai meglio di me che non ci sono solo youkai
benevoli. Non ti saprei dire se mi avessero adocchiato perché fiutavano il
potere di cui nemmeno io ero ancora cosciente, o se fossi per loro solo un
umano come gli altri. D’altra parte, a differenza tua Chiaki, io non avevo mai
studiato niente su di loro né avevo mai pensato di farlo visto che cercavo di
tenermene alla larga il più possibile. Così alla fine tentarono di aggredirmi,
perché è nella natura di alcuni di loro.» sembrò quasi volerli giustificare,
con uno sbuffo divertito «E in quell’occasione ho scoperto che potevo
controllarli. Certo, all’inizio non funzionava sempre e non riuscivo ad
allontanarli tutti, ma con il tempo ce l’ho fatta e intanto ho continuato a
tenermene alla larga se non era strettamente necessario interagire con loro.
Questa forse è l’unica cosa che tu non puoi capire.» ammise, guardandola
direttamente negli occhi.
«Hideyuki-san, credo che vi siate fatti un’idea sbagliata.» disse, e Hideyuki
capì che in quel plurale era incluso anche Haruki: «Non vado alla ricerca di youkai con cui stringere amicizia per
sopperire a una mancanza d’affetto o di presenze nella mia via vita. Non mi
sono imposta di vedere al solo scopo
di farmi degli amici tra le creature sovrannaturali. Li vedo, e se posso dare
una mano lo faccio, ma nulla di più. Solo perché sono più incline alla loro
compagnia che a quella delle persone non significa che imponga la mia presenza
o che la loro sia un bisogno viscerale nella mia vita.» volle chiarire,
rimanendo confusa dallo scuotere la testa di Hideyuki.
«Non era questo che intendevo.» riprese lui «Ma al tempo stesso è proprio
questo che ti rende diversa da me e Haruki. Tu vuoi aiutarli. Per noi gli spiriti sono sempre stati soltanto il monito
di una diversità che crediamo ci abbia rovinati.» spiegò più chiaramente
possibile.
«…rovinati?» chiese la ragazza con cautela, un
accenno di confusione ancora perfettamente visibile nel suo sguardo.
«Chiaki» pronunciò il suo nome con la stessa pacatezza che le aveva rivolto dal
primo saluto, e lei vide che il sorriso era ancora lì, invariato; le parlava
con gentilezza, quasi temesse di non poterle dedicare altro che quella «tu hai
avuto una famiglia. Tuo padre era solo, a causa delle percezioni che aveva, ed
erano molto più vaghe del vedere gli spiriti. Cosa credi farebbero i genitori
di un figlio che ripete in continuazione di parlare con creature invisibili,
perché è troppo piccolo per sapere di doverlo tenere per sé?» la incalzò: «Haruki
ti ha mai parlato della sua famiglia? Ha mai nominato i genitori?»
Chiaki tacque, e non perché non avesse compreso cosa intendesse Hideyuki; al
contrario, la consapevolezza che lui voleva farle acquisire serpeggiava nella
sua testa come un sussurro tra le mura di una casa dove si vuole mantenere a
tutti i costi un segreto che, però, non si è in grado di tacere oltre. Scosse
la testa, piano, e Hideyuki seppe che aveva capito.
«Ma non ti sto raccontando questo per rafforzare la tua idea sulle persone che
se ne vanno.» riprese: «Al contrario. Perché prima di trasferirmi qui a Tokyo,
ho scoperto che a volte le persone rimangono.» assicurò «Certo, con il tempo si
può morire. E gli incidenti capitano, e ciò che è accaduto a tuo padre e tua
madre è terribile. Il modo in cui siamo rimasti soli è diverso, ma tua zia ti
vuole bene. I miei genitori adottivi sono rimasti anche quando li hanno
chiamati dalla mia scuola, dicendo che sostenevo di vedere cose che non
esistevano: avrebbero potuto allontanarmi anche loro, e lasciarmi solo, ma non
lo hanno fatto. E forse c’è qualcuno così anche per Haruki.» concluse, o almeno
Chiaki ebbe quell’impressione. Attese, prima di dire qualsiasi cosa: capiva ciò
che Hideyuki aveva voluto farle sapere condividendo il suo passato con lei –
forse, in un certo qual modo, era anche il suo modo per farsi perdonare di aver
ficcanasato in quello della ragazza stessa –, ma non era sicura di poter avere
da un momento all’altro la stessa fiducia che sembrava animare Hideyuki.
«Chiaki» la chiamò di nuovo e, alzando gli occhi su di lui, fu sorpresa di
sentire una mano sfiorarle la guancia in una carezza incerta ma gentile; il
sorriso che Hideyuki le stava rivolgendo la fece sentire più in imbarazzo che a
disagio «le persone potrebbero sparire prima di te, io questo non lo posso
cambiare e non posso dire che non accadrà mai più, perché non ci credo nemmeno
io.» ammise sincero: «Ma a volte rimangono. A volte per le persone scelgono di
restare con noi. A questo puoi credere.»
Per un’intera settimana Chiaki aveva mantenuto invariata la sua routine: dopo la
scuola andava a casa di Hideyuki per controllare che il marchio non fosse
mutato o avesse causato qualche effetto collaterale, dopodiché se ne andava
così com’era venuta. Dopo la volta in cui si era fermata a parlare con lui, non
si era più trattenuta così a lungo; non c’era un motivo preciso, anzi:
semplicemente la rarità era stata quell’occasione specifica e lei era tornata
alla propria “normalità” – non che avesse motivo di trattenersi in casa
dell’altro, comunque. Voltando l’angolo, l’appartamento di Hideyuki ora nel suo
campo visivo, non si era aspettata di ritrovarsi davanti Haruki; il ragazzo
stava poggiato contro il muretto e la fissò non appena lei si fermò d’istinto
nel vederlo: le mani in tasca e l’aria seccata, lo vide scostarsi dal proprio appoggio
e fissarla per qualche attimo, incerto su cosa dire forse.
Fu la voce di Shiki a rompere il silenzio: «Hai intenzione di stare fermo
ancora per molto a fare il timido?»
«Non cominciare.» tagliò corto il ragazzo, senza guardarlo e voltandosi verso
l’appartamento di Hideyuki, facendole un cenno con la testa «Andiamo, non ho
intenzione di tenere questo coso con me ancora per molto.» borbottò e solo in
quel momento Chiaki notò che l’altro non si era chinato a prendere una borsa
come aveva pensato nel vederlo scostarsi dal muretto, ma un trasportino per
animali. Al suo interno riuscì a intravedere un felino, ma ciò che attirò la
sua attenzione fu un sigillo applicato su parte della rete.
Aggrottò le sopracciglia, riconoscendolo: «Quello…»
«Dubito che scappi via, ma nel caso non ho voglia di corrergli dietro. Ci ho
già messo un sacco a trovarlo.» spiegò alla meno peggio. Chiaki decise di
seguirlo, visto che sarebbe stato assurdo non farlo dovendo andare nella stessa
direzione; lo aveva visto per pochi attimi, ma suppose di poter limitare la
natura dello youkai all’interno del
trasportino a due, tre possibilità al massimo. Non chiese di quale si
trattasse, tuttavia, preferendo dare priorità ad altro: «Perché lo stai
portando con te?»
«Perché sta morendo.» replicò senza troppi giri di parole. Lei non disse nulla,
lasciando che il silenzio si formasse di nuovo fra loro – differentemente da
quando era con Hideyuki, con Haruki non riusciva mai a scambiare più di qualche
frase e le uniche volte in cui era successo si trattava sempre di situazioni
che avrebbe voluto evitare se avesse potuto. Quale fosse il nesso per cui
Haruki trovava sensato portare con sé uno youkai
destinato a sparire di lì a poco, non lo comprendeva. Era certa che se avesse
chiesto maggiori spiegazioni, difficilmente le sarebbero state date.
Shiki, al fianco di Haruki, le rivolse un’occhiata sorridendo beffardo,
scostandosi dal ragazzo e rallentando il suo levitare – a ben pensarci, non lo
aveva mai visto camminare – fino ad
affiancarla; Chiaki abbassò lo sguardo.
«Ti ha fatto così tanta paura, vedere la natura del mio contratto con Haruki?»
le sussurrò vicino, troppo per non rabbrividire. Le aveva fatto paura? Sì.
Perché per la prima volta aveva avuto conferma che Shiki non era la guardia del
corpo di Haruki come poteva sembrare a un primo sguardo. Il demone era come un
avvoltoio pronto a cibarsi di una carcassa: stava solo aspettando il momento
giusto, quello in cui sarebbe stato possibile gustarla indisturbato. E vedere
Haruki che, di sicuro cosciente della cosa, si affidava comunque a un potere
con prezzo così alto da pagare le aveva fatto paura: come si arrivasse a tanto,
cosa spingesse un ragazzo così giovane a offrirsi volontariamente in ogni modo
possibile come Haruki faceva con Shiki, era qualcosa che lei non riusciva a
comprendere o immaginare. Era per questo che l’altro si era così arrabbiato di
fronte alla rinuncia che lei aveva fatto marchiandosi?
«Oppure ti ha—»
«Shiki.» sentì pronunciare al ragazzo, ritrovandolo fermo a pochi passi da lei,
lo sguardo eloquente: c’era un tacito ordine nel suo tono di voce, e sebbene
Chiaki non avesse mai visto l’altro imporre qualcosa seriamente al demone – né
quest’ultimo lasciarglielo fare – lo sentì far schioccare la lingua contro il
palato con stizza, prima di tornare al fianco dell’altro senza più degnarla di
uno sguardo.
Sospirò, continuando a seguirli, fino a varcare l’ormai famigliare soglia del
condominio, salendo le scale e raggiungendo l’appartamento di Hideyuki; fu
Haruki a bussare un paio di volte e Chiaki riconobbe sul viso di Hideyuki la
stessa sorpresa che aveva provato lei di fronte al ragazzo. Forse anche lui era
conscio di quanto inaspettata dovesse essere la sua visita, perché s’imbronciò
un poco, borbottando un: «Ti ho portato una cosa, possiamo entrare?»
Hideyuki annuì, scostandosi di lato per fargli spazio; richiuse la porta quando
furono tutti e tre nell’ingresso, muovendosi per primo verso la stanza dove li
aveva già ospitati altre volte. Si sedette dopo aver disposto dei cuscini anche
per loro, e attese. Haruki parve intenzionato a non tirarla troppo per le
lunghe: posizionò il trasportino tra sé e l’altro, rimuovendo il sigillo e
aprendo in modo che il felino al suo interno potesse uscire. Chiaki lo trovò
strano, perché nessuno abituato ad avere a che fare con gli youkai ne avrebbe mai liberato uno
dentro casa, nemmeno il più innocuo e soprattutto non Haruki. Ma lui sembrava
perfettamente conscio di cosa stesse facendo: lo vide allungare entrambe le
mani e tirare fuori lui stesso lo spirito che, docile, quasi non si mosse. Lo
pose tra sé e Hideyuki e lo guardò, inizialmente senza parlare.
«Voleva incontrarti.» se ne uscì guadagnandosi
un’occhiata stupita dal padrone di casa e una piuttosto confusa da Chiaki.
Parve non badarci, o forse finse di non accorgersene: «Ti sei ritrovato un
marchio dopo lo scontro dell’altro giorno, no?» domandò con fare retorico e
abbastanza frettoloso «Beh, pare che sia opera sua. Ma non riesce più a
muoversi bene, quindi l’ho portato io.» dichiarò incrociando le braccia al
petto, neanche li stesse sfidando a lamentarsi. A uno sguardo più attento
Chiaki notò che le code del felino erano due; non disse nulla però, visto che
Hideyuki sembrava più interessato a capire le dinamiche di ciò che stava
accadendo che di quale creatura si trattasse, sempre che non l’avesse
riconosciuta da solo – le nekomata erano uno degli spiriti più comunemente conosciuti
in fondo, non sarebbe stato strano.
Hideyuki aggrottò le sopracciglia, in procinto di dire qualcosa, quasi
sicuramente di chiedere a Haruki che intenzioni avesse visto che l’ultima volta
in cui c’era stato uno youkai in casa
sua non era andata proprio benissimo; tuttavia qualcosa lo fermò, fu chiaro nel
modo in cui spalancò leggermente gli occhi quasi avesse finalmente trovato il
collegamento che gli serviva per chiarire l’intera faccenda. Toccò a lui
allungare una mano verso lo youkai e
quello non si mosse, limitandosi ad aprire pigramente un occhio e lasciarsi
toccare, somigliando molto più a un gatto che a uno spirito. Un miagolio
soddisfatto fu la risposta a quel gesto, e vedendo il sorriso gentile sulle
labbra di Hideyuki Chiaki non riuscì a trattenersi dal chiedere se conoscesse o
meno quello spirito. La risposta a lei sembrava evidente, ma non poteva esserne
certa al cento per cento.
Hideyuki annuì, senza spostare lo sguardo dalla creatura: «Ricordi quando
l’altro giorno ti ho detto che chiamarono i miei genitori adottivi a scuola?»
la incalzò, senza attendere una risposta né pensare al fatto che per Haruki
quel discorso con ogni probabilità non aveva senso «Avevo soccorso un gatto.
Avevo abbassato la guardia perché pensavo che un animale non potesse essere uno
youkai, così lo avvicinai senza
pensarci. Quasi subito però capii di aver sbagliato, perché alcuni compagni
continuavano a chiedermi se mi fosse caduto qualcosa per terra. Capii che non
lo vedevano, ma sembrava stare così male che continuai a occuparmene lo stesso
e alla fine dissi che c’era un gatto. Sapevo che mi avrebbero dato del
bugiardo, ma mi sarei sentito peggio facendo finta di non averlo visto e
andando via. Non pensavo mi avrebbe mai ritrovato o che lo avrei rivisto.»
ammise, guardando con dolcezza lo spirito, quasi rivedesse dopo tanti anni un
amico di vecchia data.
La nekomata,
presa una seconda carezza, si alzò lentamente per muoversi piano verso
Hideyuki, fino a salirgli sulle gambe incrociate. Chiaki la vide picchiettare
con il muso contro il braccio marchiato del ragazzo e lui tirò su la manica, notando
che gli strani simboli a cui si era ormai abituato stavano svanendo lentamente.
Lo youkai, soddisfatto, si
acciambellò lì dov’era.
«Mh?» fece dubbioso Hideyuki, ma fu Haruki a
rispondere: «Credo che stia per scomparire.» pronunciò, guardando dritto negli
occhi il più grande «Voleva vederti ancora. Forse voleva ringraziarti o solo
toglierti quel segno. Non lo so, ma si muoveva già poco quando l’ho trovato, quindi…» lasciò cadere la frase accolto unicamente dal
silenzio. Hideyuki spostò lo sguardo sullo spirito, notando che stava
effettivamente sparendo proprio come ciò che era stato fino a poco prima sul
suo braccio. Chiaki lo vide deglutire a vuoto, senza fare nulla se non posare
di nuovo la mano sulla testa della creatura: «Grazie di essere tornato.»
mormorò piano.
Il felino miagolò debolmente, ma non sembrava soffrire e nessuno di loro fece o
disse altro, limitandosi a guardare una vita che si affievoliva, lenta. Chiaki
ne aveva visti altri di youkai vicini
alla fine della loro esistenza, ma non per questo trovava la cosa più facile.
Tuttavia, guardando quello e Hideyuki, capì che forse era davvero così:
qualcuno se ne andava per sempre, qualcuno decideva di rimanere e altri ancora
tornavano per poter dire addio alle persone importanti.
E così ci siamo tolti anche il secondo passato, che poi
era anche il più felice (…).
Unica nota per questo capitolo: la nekomata è uno youkai, una creatura
soprannaturale della mitologia giapponese evolutasi da un
gatto e caratterizzata
dalla presenza di una coda biforcuta o addirittura di una seconda coda e dalla
capacità di camminare sulle zampe posteriori. (wikipedia)
Ci sarebbe molto altro da dire, ma per quel che è funzionale al capitolo,
questo è sufficiente.
La citazione in apertura viene da Daisy
(Stereo Dive Foundation), la ending
di Kyoukai no Kanata.
Un grazie enorme a Stars Trail
per il betaggio (L)