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Autore: Shichan    19/04/2015    0 recensioni
«Te l’ho detto» lo interruppe il demone «sembra che ci sia un tuo simile. O addirittura due.»
Haruki vede cose che gli altri non vedono, e ha imparato con il tempo e a sue spese che quella capacità non è affatto un dono.
Hideyuki osserva gli spiriti passargli accanto come se non li vedesse, perché ha imparato che se fingi che non esistano, loro faranno lo stesso con te.
Chiaki, che vorrebbe poter scegliere cosa vedere e cosa no, lascia che tutto le passi davanti agli occhi perché non può fare altro che quello.
Tutti e tre pensavano di essere soli.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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V
Nekomata

Painting a Tomorrow different from the past,
painting hope for just the two of us,
that’s the start line.
I never say goodbye… that’s how it always is.

 

Hide si accigliò a quelle parole da parte di Haruki, ma non disse nulla. Si preoccupò piuttosto di avvicinarsi a Chiaki e chinarsi su di lei, passandole una mano sulla schiena lentamente: «Chiaki» mormorò «ce la fai ad alzarti?» la incalzò, non reputando saggio rimanere lì in quel momento. Non aveva la minima idea di come combattesse Shiki quando si cibava di Haruki, e non aveva intenzione di scoprirlo finendo accidentalmente nel mezzo del combattimento – aveva però l’assoluta certezza che se lui o Chiaki si fossero trovati tra Shiki e lo youkai, il demone non si sarebbe fatto il minimo scrupolo ad attaccare ugualmente. D’altra parte era la sua stessa natura a renderglielo possibile, facile e non aveva con loro alcun contratto, il che significava avere ai suoi occhi la stessa importanza di un granello di polvere.
Sentì Chiaki tremare leggermente sotto la sua mano, mentre tossiva un paio di volte, l’odore acre e nauseante di ciò che aveva rimesso che gli fece storcere istintivamente il naso; la vide comunque annuire piano un paio di volte e strinse la presa su di lei per aiutarla a tirarsi su.
Aveva dato in parte le spalle tanto al demone quanto all’altro ragazzo, perciò non aveva idea di cosa stessero facendo. Quando si voltò insieme a Chiaki, tuttavia, ebbe modo di vederlo: Haruki aveva tra le mani una lama che ricordava più una sciabola che non una tradizionale katana, dalla lama rossa e l’elsa nera. Shiki sembrava sparito, ma la sensazione che aveva Hide era di una presenza concentrata e non era difficile ricondurla all’arma che Haruki stava brandendo in quel momento mentre si scagliava contro lo youkai. Hide lo osservò slanciarsi in avanti verso lo spirito e si preoccupò a stare pronto a tirare verso di sé Chiaki se ce ne fosse stato bisogno; la occhieggiò, quando Haruki colpì lo bersaglio scagliandolo qualche metro più in là e allontanandosi da loro. La ragazza aveva ancora il viso pallido, anche se il tremore leggero che Hide aveva avvertito poco prima sembrava scomparso.
«Chiaki» la richiamò con delicatezza «dobbiamo spostarci da qui.»
La vide sbattere un paio di volte le palpebre e poi scuotere leggermente la testa: «Haruki non…» iniziò, deglutendo e seguendo con lo sguardo il ragazzo più giovane. Non sembrava cavarsela male, ma lei aveva addosso una brutta sensazione che non riusciva a ignorare – non capiva però se fosse per lo youkai che Haruki stava affrontando o se fosse per Shiki e l’immagine di lui che si cibava del ragazzo.
Hide la osservò, incurvando le labbra in un sorriso lieve: «Rimango io con Haruki.» assicurò «Ma dovresti allontanarti, per—»
«Hideyuki-san!» esclamò Chiaki tirandogli una manica e indicando poco più in là: non solo Haruki stava impiegando più tempo del previsto a vedersela con quello spirito – per quanto gli sembrasse in vantaggio e con la situazione sotto controllo –, ma la zona si stava riempiendo di spiriti. E se anche a occhio Chiaki ne riconosceva diversi minori e innocui, non era certa che lo fossero tutti o che lo sarebbero rimasti una volta nella sfera d’influenza di uno così incattivito come quello con cui se la stava vedendo l’altro ragazzo.
«Questo è un problema.» mormorò Hide, accigliandosi e cercando di analizzare la situazione: quante possibilità c’erano che nessuno di quegli youkai si rivoltasse contro di loro? E se fosse successo, quanto sarebbero stati in grado di resistere? Non aveva idea di come funzionasse il contratto di Haruki e Shiki o quanto potesse durare senza effetti collaterali; Chiaki era scossa ed era poco probabile che avesse con sé l’occorrente per una varietà di spiriti come quella che si stava avvicinando. Quanto a lui non era sicuro che, se fossero aumentati o se avessero perso il controllo, sarebbe stato in grado di tenerli a bada.
«Chiaki, quanti ne riconosci?» domandò, senza distogliere lo sguardo dal punto in cui se ne stavano ammassando di più. La ragazza inspirò, soffermandosi di volta in volta sugli spiriti che vedeva: «Tutti.» decretò infine e Hide non poté non guardarla almeno per un attimo e lasciarsi sfuggire un sospiro tra le labbra. Si chiese fin dove arrivasse la conoscenza di Chiaki, fino a che punto avesse memorizzato gli appunti di suo padre.
«Ce ne sono di livello alto?»
«Nessuno superiore a Shiki-san.» confermò lei «Anche se ho una brutta sensazione da prima. Non so a causa di chi o cosa, però.» ammise, stringendosi appena nelle spalle. Hide annuì, cercando con lo sguardo Haruki proprio quando l’altro cozzava contro il muro che delimitava la strada sul lato sinistro. Lo sentì tossire e poi imprecare a mezza bocca; si assicurò di avere la presa salda sul polso di Chiaki e la tirò con sé verso Haruki che si stava rialzando.
«Non mi serve il tuo aiuto.» gli ringhiò contro, il marchio sul braccio che teneva la sciabola fattosi brillante in maniera inquietante. A una seconda occhiata più attenta, Hide notò che il punto dove era stato morso stava iniziando a sanguinare in maniera preoccupante.
«Sei ferito.» ribatté come per farglielo notare, sottintendendo che l’aiuto gli serviva ancora: «Non serve essere testardi—»
«Sono sempre ferito!» sbottò Haruki, in ginocchio, il respiro affannato: «Combatto sempre da solo, e sanguino ogni volta perché è così che funziona, il sangue in cambio del potere di liberarmi di questo schifo! Quindi risparmiami la buona azione quotidiana, va bene?»
Hide lo guardò, e Chiaki fu sorpresa dall’occhiata gelida che gli lanciò; lui non replicò tuttavia, rivolgendosi a lei: «Hai con te qualcosa per rallentarli?»
«Sì, ho dei talismani generici.» pronunciò pronta «Ma se dovessero aumentare potrebbero non fermarli tutti e non a lungo. Non ci possono proteggere completamente, quindi se dovessero attaccare dall’alto non potrei fermarli.» spiegò con parole più semplici possibile.
«Basterà.» decretò Hide «Hai il tempo dei talismani di Chiaki per abbattere quello youkai.» comunicò all’altro mentre la protezione della ragazza fermava gli spiriti che stavano avanzando verso di loro. Vide alcune delle creature confuse, e diede le spalle a Chiaki: «Se vedi la barriera cedere, avvisami.» disse, Haruki che ringhiando si scagliava in avanti contro lo youkai, la sciabola che andò a conficcarsi nel corpo informe di fronte a lui. Un rantolo inumano lasciò quella che doveva essere la bocca della creatura, la voce di Shiki che riecheggiò dalla spada: non stare troppo a contatto con lui!
Haruki arretrò di scatto, tirando via la lama, e l’essere prese ad agitarsi ancora di più, i lamenti capaci di far gelare il sangue a riempire l’aria; a Hide sembrava quasi di veder deambulare un ubriaco, non fosse stato per la forma tutt’altro che umana. Un brusio agitato gli arrivò alle orecchie – voltandosi per un attimo in direzione degli altri un brusio agitato gli arrivò alle orecchie e vide gli altri youkai lasciati oltre la barriera di Chiaki diminuire, alcuni forse troppo deboli persino per vedere oltre il muro invisibile creato dai talismani e altri magari intimiditi da quel suono sgradevole.
«Hideyuki-san.» chiamò la ragazza e Hide annuì, muovendosi per porsi tra lei e i pochi spiriti rimasti. I talismani persero di efficacia, scivolando a terra fluttuando piano; dopo un primo momento di sorpresa, le creature presero ad avanzare e Hideyuki sospirò piano, ritrovando la calma completa che lo aveva sempre caratterizzato anche camminando tra quelle figure che non avrebbe dovuto essere in grado di vedere. Gli occhi fermi su di loro, pronunciò poche parole con tono pacato, quasi sommesso.
Chiaki si sorprese nel vederli eseguire, come guardie di fronte al proprio sovrano e sebbene non fosse la prima volta che lo vedeva utilizzare il kotodama e sapesse perfettamente di cosa si trattasse, non riuscì a rimanere impassibile. Era un potere incredibile che, per quanto studiasse, non riusciva a comprendere fino in fondo come funzionasse o come potesse esistere qualcosa di così sovrannaturale tra le mani di una creatura semplice, effimera e debole come un essere umano.
Un rantolio alle sue spalle la fece voltare, inquadrando Haruki con un ginocchio a terra e la sua schiena alzarsi e abbassarsi anche troppo velocemente: «Al diavolo, ma quando muore?!» lo sentì dire, la mano che teneva la sciabola che tremava visibilmente. Fu del tutto istintivo per lei muoversi e mettersi tra lui e quello youkai, un fuda di fronte a sé che aderì al corpo dello spirito: un ululato fu l’ultimo suono emesso dalla creatura, prima di un tonfo a terra e un corpo esanime che andò scomparendo lentamente fino a lasciare solo il fuda a terra, annerito come se fosse stato bruciato.
«Hideyuki-san!» esclamò voltandosi e vedendo l’altro rimanere immobile per qualche attimo a guardare di fronte a sé – nessuno spirito era rimasto e Chiaki tirò un sospiro di sollievo; il ragazzo si voltò in loro direzione in tempo per notare Haruki che faceva lo stesso e li guardava come se lo avessero appena minacciato: «Non c’era bisogno che vi metteste in mezzo.» sibilò, la spada che si stava ritirando, passandogli su per il braccio. Era un processo singolare da osservare, come se la lama si fosse sciolta e risalisse strisciando lungo la pelle fino alla ferita lasciata dai denti di Shiki. Il demone riapparve alle spalle di Haruki – se avesse mutato forma divenendo la spada stessa o se fosse stato solo il suo potere a stare nell’arma questo Hide non avrebbe saputo dirlo – e occhieggiò il segno dei denti visibile sul collo del giovane; sorrise, e si chinò in avanti passando la lingua sulla pelle offesa.
Haruki si ritrasse immediatamente: «Lasciami perdere!» lo sentì sbottare «Perché in questo gruppo nessuno sa farsi i fatti propri.» aggiunse in un borbottio seccato. Chiaki non si sarebbe mai aspettata di vedere Hideyuki marciare verso Haruki e dargli un pugno senza alcun preavviso. Era chiaro che nemmeno il più giovane se l’era aspettato, visto che finì a terra dopo aver perso il precario equilibrio che aveva mantenuto nel ritrarsi di scatto da Shiki; Chiaki lo vide sgranare gli occhi sorpreso per poi assumere un’espressione arrabbiata: «Che cavolo ti salta in mente?!» esplose, una mano portata alla guancia colpita.
Hideyuki si avvicinò ancora, coprendo i pochi passi di distanza che c’erano fra loro, e lo guardò dall’alto senza porsi come suo pari; nei giorni dal loro primo incontro, con l’altro non si era mai comportato come se fosse superiore a uno dei due, e forse anche quello confuse Haruki: «Non conosco le tue ragioni.» pronunciò Hide guardandolo, gli occhi pieni di una serietà distante, fredda «E non ti chiederò di spiegarmele. Non mi interessano, e non mi interessa neanche sapere perché non ti piacciamo o perché vuoi combattere da solo. Forse sei solo orgoglioso» proseguì «ma da quando vedo, non ho mai avuto problemi con gli spiriti. Non sono mai stato nemmeno ferito. Non ho intenzione di farmi uccidere o perseguitare solo perché tu sei ossessionato all’idea di combattere da solo o di non volere l’aiuto degli altri.» lo sgridò, severo.
«Non so se a ucciderti sarà il tuo contratto con un demone o uno youkai, ma ti proibisco di mettermi in mezzo. La prossima volta se non vuoi aiuto fai da esca, attira gli spiriti da un’altra parte e combatti le tue battaglie come preferisci.» aggiunse, voltandosi con tutta l’intenzione di andare via, soffermandosi solo quando fu accanto a Chiaki e guardandola per qualche momento, in una tacita domanda. Lei annuì incerta, ma Hide si voltò comunque verso Haruki: «Impara a ringraziare, anche quando l’aiuto che ti viene dato non era richiesto.» disse, muovendosi nella direzione opposta a quella in cui si trovava il più giovane.
Con un ultimo sguardo incerto verso Haruki, ancora a terra, Chiaki fece lo stesso.


Nell’aprire la porta dell’appartamento due giorni dopo, Hide non si sorprese troppo di ritrovarsi davanti Chiaki; l’unica differenza rispetto alle visite da quando avevano visto l’ultima volta Haruki era l’abbigliamento della ragazza. Era andata a trovarlo sempre dopo l’orario scolastico, per cui l’aveva sempre vista in divisa scolastica; aveva creduto che di sabato non sarebbe passata, e invece eccola lì in borghese con una borsa abbastanza capiente che – provò a indovinare – doveva contenere dei documenti o un libro che di sicuro Hide avrebbe faticato a comprendere e che di certo per lei doveva essere stato una lettura quasi “leggera”. Incurvò le labbra in un sorriso, facendo spazio per lasciarla entrare. Era diventato un fare curiosamente abituale, a modo suo; di sicuro continuando così Chiaki sarebbe entrata nel suo appartamento più di qualsiasi altra ragazza – non che Hide ne frequentasse molte, men che meno in quel senso – e dei membri della sua band.
«Ti ho già detto che non sei tenuta a passare tutti i giorni, vero?» chiese, una sfumatura divertita nel tono di voce, vedendola rimanere in attesa all’ingresso. Nonostante le avesse detto spesso che poteva accomodarsi una volta entrata, Chiaki non lo faceva mai se non era preceduta da lui verso una qualsiasi area del piccolo appartamento. Lei lo guardò, senza un’espressione particolare in viso, per poi pronunciare un: «Ti ho disturbato?»
Hide sospirò, scuotendo la testa e spostandosi per primo verso la stanza più grande dove l’aveva accolta anche la prima volta: «Non è affatto un disturbo, figurati. Anche se non vorrei che ti creasse problemi venire qui di continuo.» ammise, facendole cenno di accomodarsi. La osservò sedersi, recuperando un secondo cuscinetto per poi sistemarsi dal lato del tavolinetto basso alla sinistra della ragazza.
«Come va il marchio, Hideyuki-san?» chiese lei senza girarci intorno. Erano due giorni che Chiaki andava lì per controllare il marchio apparso dopo quella specie di scontro avuto con gli youkai, rifiutandosi categoricamente di sottovalutare la cosa. Sebbene Hide le avesse assicurato di non essere particolarmente preoccupato dalla cosa, lei aveva insistito. La osservò mentre estraeva dalla borsa un piccolo plico di fogli, dai quali notò delle linguette colorate che uscivano fuori in un paio di punti; doveva aver cercato informazioni e appuntato le pagine.
«Come ieri. Non ci sono stati cambiamenti, non è successo niente e nessuno spirito mi ha fatto visita nel cuore della notte.» la rassicurò, occhieggiando i fogli poggiati ora sul tavolino e ritrovandosi poi con gli occhi di Chiaki puntati addosso. Sospirò lentamente, portando una mano al bordo della propria maglia e tirandolo su da un lato, estraendo il braccio dalla manica perché lei potesse osservare la spalla – e il marchio apparso di recente. Chiaki si mosse per sistemarsi più vicina e sfogliò poi il plico in corrispondenza della linguetta azzurra; alternò lo sguardo dalla spalla alla figura stampata su carta un paio di volte e poi riprese a girare le pagine per aprire il punto contrassegnato dal segno verde.
«Sei strana, Chiaki.» pronunciò Hide a un certo punto, senza cambiare posizione. Lei non portò lo sguardo su di lui, ma diede voce a un piccolo «Mh?» per dar segno di stare ascoltando: «Vieni qui da me da sola, a parte la volta in cui sei passata con Haruki, e negli ultimi giorni sei sempre qui e sembra che non ti importi troppo di stare entrando nell’appartamento di un ragazzo o delle cose che potrebbero dire se ti vedesse qualcuno che ti conosce. Credo di aver capito che non ti interessa troppo» ammise «perché altrimenti non mi avresti chiesto di togliere la maglia come se niente fosse, l’altro giorno. Anche se è per il marchio, ovviamente.» concluse senza malizia, anche se già il discorso in sé probabilmente ne aveva fin troppa.
«Mi sento un po’ a disagio.» la sentì ammettere, e non se l’era aspettato «Ma non perché sei… in ogni caso non ti ho chiesto di spogliarti. Solo di scoprire il marchio.» borbottò piano nel primo, vero accenno di imbarazzo che Hideyuki le avesse mai scorto in viso. Ridacchiò, senza neanche provare a nasconderlo: «Scusa, Chiaki, non volevo metterti in imbarazzo.» la prese bonariamente in giro, allungando una mano per sfiorarle il capo gentilmente. La sentì irrigidirsi, inizialmente, ma rilassarsi piano con un sospiro che lei doveva essere certa di stare nascondendo al meglio.
«Eccolo.» la sentì dire «Non ne ero sicura a casa, ma ora che ho davanti entrambi i marchi sono identici.» pronunciò e Hide suppose di poter infilare di nuovo la manica della maglietta; si accostò un poco per poter guardare anche lui gli appunti della ragazza: «Buone notizie?» la incalzò, ritrovandosi in risposta un annuire leggero ma deciso.
«Si tratta di un marchio di “tracciamento”. Non è proprio come quelli di localizzazione, quelli che alcuni youkai utilizzano per segnare le proprie vittime e essere sempre in grado di ritrovarle. È qualcosa a metà tra una localizzazione e un marchio di protezione. Da quanto leggo non ha grossi effetti se non segnalare agli altri spiriti che sei… sotto l’occhio di qualcuno. Una specie di atto di proprietà, forse.» concluse, spostando lo sguardo dalle pagine a lui «Scusami se non posso essere più precisa. Sono vecchi appunti e sono incompleti, quindi non posso sbilanciarmi più di così.»
«Non preoccuparti, hai già fatto più di quanto avrei potuto fare da solo. Sei davvero una specie di enciclopedia vivente, eh?» disse, alzandosi per dirigersi in cucina senza dire altro e riapparendo poco dopo con due lattine che andò a posare sul tavolino. Una delle due era tè verde, l’altra latte alla fragola: «Preferenze?» la interrogò, vedendola optare per la prima. Ridacchiò nuovamente, aprendo la restante.
Tacquero entrambi, bevendo in silenzio per diversi minuti. A Hide non pesava granché, abituato ad adattarsi al modo di fare altrui non perché timoroso di risultare sgradito ma perché – così dicevano le persone che lo conoscevano, almeno – portato per natura a mettere gli altri a proprio agio.
«A essere sincero» riprese guardando la lattina poggiata sulla superficie in legno «all’inizio mi ha stupito che tu sia rimasta in compagnia mia e di Haruki. Specie quando ho capito che sei a disagio con le persone.» disse, forse suonando indelicato, ma preferendo essere diretto. Chiaki non sembrava stupita di essere stata smascherata, né colpita dalle parole di Hideyuki.
«Posso chiederti come mai?» aggiunse, e per qualche strano motivo vide la ragazza posare gli occhi su di lui, un velo di sorpresa nel suo sguardo. Sembrava intenta a studiarlo, a carpire un significato più profondo di quello semplice e immediato che le parole di Hide implicavano; probabilmente non riuscì a trovarlo da sola, perché aggrottò appena le sopracciglia dando voce a un dubbioso: «Perché vuoi saperlo?»
Non è che Hideyuki non capisse il motivo di quella sorta di ritrosia: avevano saputo troppo gli uni degli altri in troppo poco tempo e quasi sempre senza avere il reale intento di rivelarsi, di mostrare segreti che in nessun’altra occasione avrebbero mai rivelato. Eppure in nessuna occasione qualcuno di loro aveva fatto domande agli altri, dando la possibilità di tenere qualcosa per sé; forse era quello a scombussolare Chiaki, a far sembrare così strano il suo interessamento: non la metteva alle strette ma le lasciava decidere se confidare qualcosa e quando fermarsi.
«Io e Haruki abbiamo visto qualcosa di te che non volevi mostrarci. Ti ho già detto che non posso fare nulla per farmi perdonare per quello, non importa quanto io pensi che non ci fosse scelta o tu sia convinta che avresti preferito altre alternative a quello che è successo.» iniziò quello che aveva l’aria di essere un discorso lungo, voltandosi con tutto il corpo verso di lei e non solo con la testa per guardarla: «Però ormai è accaduto, e conosco qualcosa di te. E ammetto che una domanda mi ronza in testa da quando ho visto la tua coscienza.» aggiunse, concedendosi qualche istante per studiare la sua espressione, per cogliere eventuali segni da parte di lei di non volere che continuasse. Non ve ne furono: «Tu non odi le persone.» pronunciò, e non era una domanda «Sei arrivata persino a importi un marchio che ti permettesse di vedere e non c’è niente di divertente in questo. Lo hai fatto per dimostrare che tuo padre non mentiva, che c’era davvero qualcosa anche se lui non riusciva a vederla concretamente e gli altri ne dubitavano. Certo, non mi permetto di mettere chiunque sullo stesso piano di tuo padre» chiarì prima di essere frainteso: «Ma fai attenzione a non causare problemi alla zia che ti ha presa con te. Ti sei presa cura di me aiutandomi con lo spirito che era qui in casa, e ora con il marchio. Non hai esitato a spalleggiare Haruki, anche se lui non ha capito che era ciò che stavamo facendo.» si corresse con un mezzo sorriso che Chiaki non riuscì a decifrare. Hideyuki prese un sorso della sua bevanda, forse per dare l’idea di non stare accusando nessuno o di non voler chiedere qualcosa a bruciapelo; non fu comunque in grado di trovare un modo pacato di esporre la sua domanda.
«Una persona che odia gli altri non penserebbe nemmeno, di aiutarli. Quindi mi chiedo, c’è un motivo per cui cerchi di stare lontana dagli esseri umani?» concluse, osservandola. Chiaki non sembrava stupita dalla domanda di per sé, ma confusa sì: per lei sembrava essere più difficile capire perché Hide si interessasse tanto a una questione che a conti fatti non lo riguardava, piuttosto che comprendere la domanda o cosa avesse scatenato in lui pensieri tali da fargli avanzare ipotesi tanto precise. Per questo impiegò diverso tempo a rispondere, al punto che Hideyuki pensò di aver fatto una domanda così indiscreta da non meritare nessun tipo di replica, fosse stata anche solo dirgli che non erano affari suoi.
Stava per alzarsi con la scusa di buttare la propria lattina ormai vuota, quando la voce di Chiaki lo fermò lì dov’era, in procinto di mettersi in piedi: «Io non odio le persone.» fu la prima cosa che disse, confermando ciò che lo stesso Hideyuki aveva detto in effetti. Lui tornò seduto, la lattina abbandonata sul tavolo e il busto di nuovo completamente girato verso di lei, addosso la sensazione di stare ascoltando qualcosa di importante che forse poche altre persone avevano avuto modo di udire.
«Non hai torto quando dici che mi sento a disagio con loro, ma… anche io sono un essere umano.» replicò, alzando finalmente lo sguardo su di lui e puntandolo in quello altrui. Non era la prima volta che notava quanto particolari fossero gli occhi di Hideyuki, almeno per essere un giapponese: erano chiari, di un grigio che non somigliava né al cielo carico di pioggia, né a quello quasi sporco che preannunciava la neve in inverno. Dal momento che non sapeva niente di lui, aveva solo potuto supporre che quel colore potesse essere dovuto a qualche parentela occidentale nella famiglia del più grande; neanche a dirlo, non aveva fatto domande.
«Gli youkai» riprese poi, stupendo sia Hide che se stessa «sono spiriti, per la maggior parte. Alcuni dicono si tratti di mostri, altri di demoni… anche se la definizione precisa esiste, al di là delle credenze popolari, io non ho mai fatto troppa attenzione a come gli altri li chiamassero. Perché l’unico tratto che mi interessava davvero di loro, non cambiava a seconda che fossero l’una o l’altra cosa.» ammise, abbassando gli occhi sulla lattina mezza piena, ancora tra le sue mani. Hideyuki avrebbe voluto chiederle di essere più chiara, ma non lo fece, abbastanza sicuro che la spiegazione sarebbe arrivata.
«Sono comunque immortali. O almeno, hanno una vita così lunga che a noi non basterebbero generazioni per vederli scomparire.» sembrò concludere così, come se tutto il resto fosse ovvio, scontato al punto da non aver bisogno di aggiunte di alcun tipo. Hide sbatté per un paio di volte le palpebre, e per assurdo sentì di capire – se non avesse visto la coscienza di Chiaki probabilmente non avrebbe mai compreso, ma era quello il punto: l’aveva vista. Aveva visto una bambina prendere atto del fatto che suo padre non sarebbe più tornato, che per sua madre lei non era una ragione sufficiente per non lasciarsi sconfiggere dal dolore. L’aveva vista venire accudita da una zia che per quanto amorevole non avrebbe mai potuto sostituire dei genitori. Aveva visto un’adolescente poco più piccola di lui entrare in un mondo da cui tutti quelli che c’erano dentro volevano scappare, farlo nonostante le creature spaventose che a volte lo abitavano; imporsi un marchio che le avrebbe impedito di fuggire anche se lo avesse voluto, e nonostante tutto rimanere. Dimostrare. Ed era rimasta sola, circondata da creature troppo diverse da lei per poter sostituire una famiglia perduta e al tempo stesso unica testimonianza che quella famiglia c’era stata davvero, che era crollata su se stessa, ma non per delle fantasie.
«Gli esseri umani sono fragili.» la sentì mormorare «Non riesco a… stargli vicino come prima. Ho paura che scompaiano tutti prima di me.»
Hideyuki avrebbe voluto dirle che non era così, che le persone prima o poi se ne andavano ed era vero, ma non lo facevano con la frequenza che sembrava spaventarla tanto da indurla a mantenere un distacco – involontario, iniziava a sospettarlo – come quello di Chiaki. Avrebbe voluto rassicurarla, perché nel tempo aveva potuto vantare la capacità di inquadrare gli altri facilmente, e qualcosa gli diceva che senza quella paura Chiaki sarebbe stata il tipo di ragazza capace di piacere a tutti o di prendersi cura del prossimo senza difficoltà. La vedeva fragile, più che mai in quel momento, e sentiva quasi il bisogno di fare qualcosa perché lei capisse di non aver alcun bisogno di chiudersi fuori dalla sfera dei rapporti umani.
Eppure, cosa mai avrebbe potuto dirle? Il suo passato non era di certo una smentita, anzi; poteva condividerlo, sì, ma con il rischio di ottenere l’effetto contrario.
«C’è una parte del mio passato, i primi… dodici anni della mia vita, che non ricordo per nulla.» esordì così, un mezzo sorriso sulle labbra e gli occhi chiari su Chiaki. Se l’era aspettato, di vederla ricambiare lo sguardo, ma per qualche momento tacque lo stesso. Non si trattava di essere presi alla sprovvista, quanto dello stupirsi di come una persona che tanto faticava a instaurare rapporti con gli altri riuscisse poi ad affrontare una confessione intima con una tale sincerità; chiunque altro si sarebbe sentito a disagio al suo posto – lo stesso Hideyuki, se lei avesse raccontato il suo passato anziché ritrovarsi costretta a condividerlo nel modo peggiore, non avrebbe saputo di preciso come comportarsi – e invece lei lo guardava, quasi a suggerirgli di avere la sua completa attenzione.
Hide sospirò impercettibilmente: «Il primo ricordo che ho è in ospedale, seduto in un letto e con il medico che mi faceva delle domande. Non avevo idea di dove mi trovassi, né di chi fossi. Ero illeso, ma mi avevano trovato privo di conoscenza.» iniziò a spiegare, il tono di chi conosce già il finale della storia e non riesce ad appassionarsi al racconto «Anche se dagli accertamenti uscì fuori che non avevo subito danni di alcun tipo al cervello, l’amnesia non è mai passata e io non ho mai ricordato cosa ci fosse prima dell’ospedale. Ho passato un periodo senza famiglia, perché nessuno è mai venuto a prendermi né all’ospedale, né dopo. Era come se non esistesse nessuno per me: genitori, fratelli, lontani parenti. Niente. Il nulla completo e creature sovrannaturali che vedevo soltanto io.» ammise, con un mezzo sorriso, più amaro che non divertito. Chiaki non diceva nulla, né dava cenno di pensare qualcosa di preciso: lo guardava e basta, senza interromperlo.
«Il nome “Hideyuki” mi è stato dato dall’infermiera che si è presa cura di me fino a quando non sono stato dimesso. Non mi importava troppo del modo in cui venivo chiamato… alla fine suonava tutto estraneo, quindi uno valeva l’altro. Il cognome l’ho preso ovviamente dalla famiglia adottiva.» chiarì, benché fosse sicuro che non servisse davvero «Ho capito presto che quello che vedevo non era niente di normale, né qualcosa che chiunque era in grado di notare. Anzi. All’inizio ero convinto che fosse non proprio all’ordine del giorno, ma abbastanza frequente. Poi andando a scuola ho capito che non era affatto così. In quel momento ho pensato per la prima volta di essere davvero solo: io e gli esseri con cui non dovevo parlare per non sembrare pazzo.» confidò, senza mutare espressione. Osservandolo, Chiaki non credeva che la cosa fosse dovuta a un disinteresse nei confronti delle proprie vicissitudini, ma all’aver preso coscienza di qualcosa e averlo fatto troppo presto. Hideyuki aveva dodici anni quando capì di essere diverso, la stessa età in cui lei si avvicinava alle ricerche di suo padre, ancora perfettamente parte di ciò che l’altro faceva rientrare nella parola “normalità” e ne era uscita forzatamente. Si chiese se anche Hideyuki, come Haruki, la biasimasse per aver gettato al vento una fortuna che a loro non era mai appartenuta.
«Li ignoravo, nella maggior parte delle occasioni, specialmente quando ero in compagnia di qualcuno. Ma c’erano volte in cui mi sentivo completamente fuori dal gruppo, e non perché in classe mi escludessero o qualcosa del genere. Anche se non so come spiegartelo, immagino che la conosca anche tu, quella sensazione di essere dove non dovresti, vero?» chiese, ma si limitò ad accarezzare la figura di lei con lo sguardo, senza aspettarsi davvero una risposta: «Così in quelle occasioni andavo dove nessuno poteva vedermi – prima non abitavamo qui, non è qui che ho frequentato la scuola. Era più in campagna, non è difficile trovare un posto per stare soli – e qualche volta vedevo gli youkai se mi sembravano abbastanza innocui, parlavo con loro. Le prime volte mi sedevo vicino agli spiriti fingendo che fosse casuale, come se non riuscissi a vederli, perché era quello che facevano le altre persone.» si fermò, in cerca delle parole adatte per proseguire. Non doveva fare grossi sforzi di memoria per organizzare quel che voleva raccontarle e soprattutto dove aveva intenzione di andare a parare, né provava difficoltà nel condividere il suo passato con lei. In un certo senso, però, aveva la sensazione di dover scegliere le parole con cura.
«Sai meglio di me che non ci sono solo youkai benevoli. Non ti saprei dire se mi avessero adocchiato perché fiutavano il potere di cui nemmeno io ero ancora cosciente, o se fossi per loro solo un umano come gli altri. D’altra parte, a differenza tua Chiaki, io non avevo mai studiato niente su di loro né avevo mai pensato di farlo visto che cercavo di tenermene alla larga il più possibile. Così alla fine tentarono di aggredirmi, perché è nella natura di alcuni di loro.» sembrò quasi volerli giustificare, con uno sbuffo divertito «E in quell’occasione ho scoperto che potevo controllarli. Certo, all’inizio non funzionava sempre e non riuscivo ad allontanarli tutti, ma con il tempo ce l’ho fatta e intanto ho continuato a tenermene alla larga se non era strettamente necessario interagire con loro. Questa forse è l’unica cosa che tu non puoi capire.» ammise, guardandola direttamente negli occhi.
«Hideyuki-san, credo che vi siate fatti un’idea sbagliata.» disse, e Hideyuki capì che in quel plurale era incluso anche Haruki: «Non vado alla ricerca di youkai con cui stringere amicizia per sopperire a una mancanza d’affetto o di presenze nella mia via vita. Non mi sono imposta di vedere al solo scopo di farmi degli amici tra le creature sovrannaturali. Li vedo, e se posso dare una mano lo faccio, ma nulla di più. Solo perché sono più incline alla loro compagnia che a quella delle persone non significa che imponga la mia presenza o che la loro sia un bisogno viscerale nella mia vita.» volle chiarire, rimanendo confusa dallo scuotere la testa di Hideyuki.
«Non era questo che intendevo.» riprese lui «Ma al tempo stesso è proprio questo che ti rende diversa da me e Haruki. Tu vuoi aiutarli. Per noi gli spiriti sono sempre stati soltanto il monito di una diversità che crediamo ci abbia rovinati.» spiegò più chiaramente possibile.
«…rovinati?» chiese la ragazza con cautela, un accenno di confusione ancora perfettamente visibile nel suo sguardo.
«Chiaki» pronunciò il suo nome con la stessa pacatezza che le aveva rivolto dal primo saluto, e lei vide che il sorriso era ancora lì, invariato; le parlava con gentilezza, quasi temesse di non poterle dedicare altro che quella «tu hai avuto una famiglia. Tuo padre era solo, a causa delle percezioni che aveva, ed erano molto più vaghe del vedere gli spiriti. Cosa credi farebbero i genitori di un figlio che ripete in continuazione di parlare con creature invisibili, perché è troppo piccolo per sapere di doverlo tenere per sé?» la incalzò: «Haruki ti ha mai parlato della sua famiglia? Ha mai nominato i genitori?»
Chiaki tacque, e non perché non avesse compreso cosa intendesse Hideyuki; al contrario, la consapevolezza che lui voleva farle acquisire serpeggiava nella sua testa come un sussurro tra le mura di una casa dove si vuole mantenere a tutti i costi un segreto che, però, non si è in grado di tacere oltre. Scosse la testa, piano, e Hideyuki seppe che aveva capito.
«Ma non ti sto raccontando questo per rafforzare la tua idea sulle persone che se ne vanno.» riprese: «Al contrario. Perché prima di trasferirmi qui a Tokyo, ho scoperto che a volte le persone rimangono.» assicurò «Certo, con il tempo si può morire. E gli incidenti capitano, e ciò che è accaduto a tuo padre e tua madre è terribile. Il modo in cui siamo rimasti soli è diverso, ma tua zia ti vuole bene. I miei genitori adottivi sono rimasti anche quando li hanno chiamati dalla mia scuola, dicendo che sostenevo di vedere cose che non esistevano: avrebbero potuto allontanarmi anche loro, e lasciarmi solo, ma non lo hanno fatto. E forse c’è qualcuno così anche per Haruki.» concluse, o almeno Chiaki ebbe quell’impressione. Attese, prima di dire qualsiasi cosa: capiva ciò che Hideyuki aveva voluto farle sapere condividendo il suo passato con lei – forse, in un certo qual modo, era anche il suo modo per farsi perdonare di aver ficcanasato in quello della ragazza stessa –, ma non era sicura di poter avere da un momento all’altro la stessa fiducia che sembrava animare Hideyuki.
«Chiaki» la chiamò di nuovo e, alzando gli occhi su di lui, fu sorpresa di sentire una mano sfiorarle la guancia in una carezza incerta ma gentile; il sorriso che Hideyuki le stava rivolgendo la fece sentire più in imbarazzo che a disagio «le persone potrebbero sparire prima di te, io questo non lo posso cambiare e non posso dire che non accadrà mai più, perché non ci credo nemmeno io.» ammise sincero: «Ma a volte rimangono. A volte per le persone scelgono di restare con noi. A questo puoi credere.»


Per un’intera settimana Chiaki aveva mantenuto invariata la sua routine: dopo la scuola andava a casa di Hideyuki per controllare che il marchio non fosse mutato o avesse causato qualche effetto collaterale, dopodiché se ne andava così com’era venuta. Dopo la volta in cui si era fermata a parlare con lui, non si era più trattenuta così a lungo; non c’era un motivo preciso, anzi: semplicemente la rarità era stata quell’occasione specifica e lei era tornata alla propria “normalità” – non che avesse motivo di trattenersi in casa dell’altro, comunque. Voltando l’angolo, l’appartamento di Hideyuki ora nel suo campo visivo, non si era aspettata di ritrovarsi davanti Haruki; il ragazzo stava poggiato contro il muretto e la fissò non appena lei si fermò d’istinto nel vederlo: le mani in tasca e l’aria seccata, lo vide scostarsi dal proprio appoggio e fissarla per qualche attimo, incerto su cosa dire forse.
Fu la voce di Shiki a rompere il silenzio: «Hai intenzione di stare fermo ancora per molto a fare il timido?»
«Non cominciare.» tagliò corto il ragazzo, senza guardarlo e voltandosi verso l’appartamento di Hideyuki, facendole un cenno con la testa «Andiamo, non ho intenzione di tenere questo coso con me ancora per molto.» borbottò e solo in quel momento Chiaki notò che l’altro non si era chinato a prendere una borsa come aveva pensato nel vederlo scostarsi dal muretto, ma un trasportino per animali. Al suo interno riuscì a intravedere un felino, ma ciò che attirò la sua attenzione fu un sigillo applicato su parte della rete.
Aggrottò le sopracciglia, riconoscendolo: «Quello…»
«Dubito che scappi via, ma nel caso non ho voglia di corrergli dietro. Ci ho già messo un sacco a trovarlo.» spiegò alla meno peggio. Chiaki decise di seguirlo, visto che sarebbe stato assurdo non farlo dovendo andare nella stessa direzione; lo aveva visto per pochi attimi, ma suppose di poter limitare la natura dello youkai all’interno del trasportino a due, tre possibilità al massimo. Non chiese di quale si trattasse, tuttavia, preferendo dare priorità ad altro: «Perché lo stai portando con te?»
«Perché sta morendo.» replicò senza troppi giri di parole. Lei non disse nulla, lasciando che il silenzio si formasse di nuovo fra loro – differentemente da quando era con Hideyuki, con Haruki non riusciva mai a scambiare più di qualche frase e le uniche volte in cui era successo si trattava sempre di situazioni che avrebbe voluto evitare se avesse potuto. Quale fosse il nesso per cui Haruki trovava sensato portare con sé uno youkai destinato a sparire di lì a poco, non lo comprendeva. Era certa che se avesse chiesto maggiori spiegazioni, difficilmente le sarebbero state date.
Shiki, al fianco di Haruki, le rivolse un’occhiata sorridendo beffardo, scostandosi dal ragazzo e rallentando il suo levitare – a ben pensarci, non lo aveva mai visto camminare – fino ad affiancarla; Chiaki abbassò lo sguardo.
«Ti ha fatto così tanta paura, vedere la natura del mio contratto con Haruki?» le sussurrò vicino, troppo per non rabbrividire. Le aveva fatto paura? Sì. Perché per la prima volta aveva avuto conferma che Shiki non era la guardia del corpo di Haruki come poteva sembrare a un primo sguardo. Il demone era come un avvoltoio pronto a cibarsi di una carcassa: stava solo aspettando il momento giusto, quello in cui sarebbe stato possibile gustarla indisturbato. E vedere Haruki che, di sicuro cosciente della cosa, si affidava comunque a un potere con prezzo così alto da pagare le aveva fatto paura: come si arrivasse a tanto, cosa spingesse un ragazzo così giovane a offrirsi volontariamente in ogni modo possibile come Haruki faceva con Shiki, era qualcosa che lei non riusciva a comprendere o immaginare. Era per questo che l’altro si era così arrabbiato di fronte alla rinuncia che lei aveva fatto marchiandosi?
«Oppure ti ha—»
«Shiki.» sentì pronunciare al ragazzo, ritrovandolo fermo a pochi passi da lei, lo sguardo eloquente: c’era un tacito ordine nel suo tono di voce, e sebbene Chiaki non avesse mai visto l’altro imporre qualcosa seriamente al demone – né quest’ultimo lasciarglielo fare – lo sentì far schioccare la lingua contro il palato con stizza, prima di tornare al fianco dell’altro senza più degnarla di uno sguardo.
Sospirò, continuando a seguirli, fino a varcare l’ormai famigliare soglia del condominio, salendo le scale e raggiungendo l’appartamento di Hideyuki; fu Haruki a bussare un paio di volte e Chiaki riconobbe sul viso di Hideyuki la stessa sorpresa che aveva provato lei di fronte al ragazzo. Forse anche lui era conscio di quanto inaspettata dovesse essere la sua visita, perché s’imbronciò un poco, borbottando un: «Ti ho portato una cosa, possiamo entrare?»
Hideyuki annuì, scostandosi di lato per fargli spazio; richiuse la porta quando furono tutti e tre nell’ingresso, muovendosi per primo verso la stanza dove li aveva già ospitati altre volte. Si sedette dopo aver disposto dei cuscini anche per loro, e attese. Haruki parve intenzionato a non tirarla troppo per le lunghe: posizionò il trasportino tra sé e l’altro, rimuovendo il sigillo e aprendo in modo che il felino al suo interno potesse uscire. Chiaki lo trovò strano, perché nessuno abituato ad avere a che fare con gli youkai ne avrebbe mai liberato uno dentro casa, nemmeno il più innocuo e soprattutto non Haruki. Ma lui sembrava perfettamente conscio di cosa stesse facendo: lo vide allungare entrambe le mani e tirare fuori lui stesso lo spirito che, docile, quasi non si mosse. Lo pose tra sé e Hideyuki e lo guardò, inizialmente senza parlare.
«Voleva incontrarti.» se ne uscì guadagnandosi un’occhiata stupita dal padrone di casa e una piuttosto confusa da Chiaki. Parve non badarci, o forse finse di non accorgersene: «Ti sei ritrovato un marchio dopo lo scontro dell’altro giorno, no?» domandò con fare retorico e abbastanza frettoloso «Beh, pare che sia opera sua. Ma non riesce più a muoversi bene, quindi l’ho portato io.» dichiarò incrociando le braccia al petto, neanche li stesse sfidando a lamentarsi. A uno sguardo più attento Chiaki notò che le code del felino erano due; non disse nulla però, visto che Hideyuki sembrava più interessato a capire le dinamiche di ciò che stava accadendo che di quale creatura si trattasse, sempre che non l’avesse riconosciuta da solo – le nekomata erano uno degli spiriti più comunemente conosciuti in fondo, non sarebbe stato strano.
Hideyuki aggrottò le sopracciglia, in procinto di dire qualcosa, quasi sicuramente di chiedere a Haruki che intenzioni avesse visto che l’ultima volta in cui c’era stato uno youkai in casa sua non era andata proprio benissimo; tuttavia qualcosa lo fermò, fu chiaro nel modo in cui spalancò leggermente gli occhi quasi avesse finalmente trovato il collegamento che gli serviva per chiarire l’intera faccenda. Toccò a lui allungare una mano verso lo youkai e quello non si mosse, limitandosi ad aprire pigramente un occhio e lasciarsi toccare, somigliando molto più a un gatto che a uno spirito. Un miagolio soddisfatto fu la risposta a quel gesto, e vedendo il sorriso gentile sulle labbra di Hideyuki Chiaki non riuscì a trattenersi dal chiedere se conoscesse o meno quello spirito. La risposta a lei sembrava evidente, ma non poteva esserne certa al cento per cento.
Hideyuki annuì, senza spostare lo sguardo dalla creatura: «Ricordi quando l’altro giorno ti ho detto che chiamarono i miei genitori adottivi a scuola?» la incalzò, senza attendere una risposta né pensare al fatto che per Haruki quel discorso con ogni probabilità non aveva senso «Avevo soccorso un gatto. Avevo abbassato la guardia perché pensavo che un animale non potesse essere uno youkai, così lo avvicinai senza pensarci. Quasi subito però capii di aver sbagliato, perché alcuni compagni continuavano a chiedermi se mi fosse caduto qualcosa per terra. Capii che non lo vedevano, ma sembrava stare così male che continuai a occuparmene lo stesso e alla fine dissi che c’era un gatto. Sapevo che mi avrebbero dato del bugiardo, ma mi sarei sentito peggio facendo finta di non averlo visto e andando via. Non pensavo mi avrebbe mai ritrovato o che lo avrei rivisto.» ammise, guardando con dolcezza lo spirito, quasi rivedesse dopo tanti anni un amico di vecchia data.
La nekomata, presa una seconda carezza, si alzò lentamente per muoversi piano verso Hideyuki, fino a salirgli sulle gambe incrociate. Chiaki la vide picchiettare con il muso contro il braccio marchiato del ragazzo e lui tirò su la manica, notando che gli strani simboli a cui si era ormai abituato stavano svanendo lentamente.
Lo youkai, soddisfatto, si acciambellò lì dov’era.
«Mh?» fece dubbioso Hideyuki, ma fu Haruki a rispondere: «Credo che stia per scomparire.» pronunciò, guardando dritto negli occhi il più grande «Voleva vederti ancora. Forse voleva ringraziarti o solo toglierti quel segno. Non lo so, ma si muoveva già poco quando l’ho trovato, quindi…» lasciò cadere la frase accolto unicamente dal silenzio. Hideyuki spostò lo sguardo sullo spirito, notando che stava effettivamente sparendo proprio come ciò che era stato fino a poco prima sul suo braccio. Chiaki lo vide deglutire a vuoto, senza fare nulla se non posare di nuovo la mano sulla testa della creatura: «Grazie di essere tornato.» mormorò piano.
Il felino miagolò debolmente, ma non sembrava soffrire e nessuno di loro fece o disse altro, limitandosi a guardare una vita che si affievoliva, lenta. Chiaki ne aveva visti altri di youkai vicini alla fine della loro esistenza, ma non per questo trovava la cosa più facile. Tuttavia, guardando quello e Hideyuki, capì che forse era davvero così: qualcuno se ne andava per sempre, qualcuno decideva di rimanere e altri ancora tornavano per poter dire addio alle persone importanti.


 

 

 

 

E così ci siamo tolti anche il secondo passato, che poi era anche il più felice (…).
Unica nota per questo capitolo: la nekomata
è uno youkai, una creatura soprannaturale della mitologia giapponese evolutasi da un gatto e caratterizzata dalla presenza di una coda biforcuta o addirittura di una seconda coda e dalla capacità di camminare sulle zampe posteriori. (wikipedia)
Ci sarebbe molto altro da dire, ma per quel che è funzionale al capitolo, questo è sufficiente.
La citazione in apertura viene da Daisy (Stereo Dive Foundation), la ending di Kyoukai no Kanata.

Un grazie enorme a Stars Trail per il betaggio (L)

   
 
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