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Autore: EsterElle    22/04/2015    1 recensioni
C’era una volta una ragazza e il suo segreto.
C’era una volta l’Irlanda e tutta la magia del mondo ferma in un punto.
C’era un villaggio, un ragazzo e i suoi colori, alla ricerca di ciò che è bello.
Ed allora fu incontro e scontro, vita e rinunce, magia e colori; semplicemente Caris e Will, alla ricerca di sé, dell’altro, della strada giusta per loro.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4


 


Lo specchio mi restituisce uno sguardo opaco, la pelle candida, gli occhi tristi. Una ragazza, una donna, mi guarda, ed io non riesco ancora a capire dove siano finiti gli anni trascorsi.
Sono un’adulta, ormai.
Sto per sposarmi.
Alle mie spalle, un abito lilla, pieno di veli e bellissimo, aspetta solo me, aspetta solo di essere provato.
Mia madre è impaziente, mio padre orgoglioso.
Io, non lo so.
Io non sono felice, non penso.
A ventiquattro anni sono poche le ragazze ancora nubili, al Villaggio, ed io, ancora una volta, sono l’eccezione. È un affare semplice, il matrimonio, quaggiù: i ragazzi non abbondano e la scelta è piuttosto ristretta e i genitori contano molto. Per me, è stato scelto Cillian: non male, in realtà, un bravo ragazzo. È il miglior artigiano del legno di tutto il Villaggio, un promettente Autore.
Dovrei essere felice.
Mi spettano una casetta coi fiori alle finestre, un paio di bei bimbi dai capelli rossi, il lavoro come assistente del consigliere Gerald, con la certezza che, alla sua morte, prenderò il suo posto. Molti vengono dai noi in cerca di consigli, con richieste e preghiere, desideri da avverare nel limite delle nostre possibilità: ma noi Maghi dei Desideri siamo in primo luogo al servizio della comunità intera e, quindi, del Capo Walsh.
Ecco perché io, al buon Cillian, non piaccio molto.
Quale uomo vorrebbe una moglie più importante, più potente di lui? La mia posizione, i miei talenti, lo sminuirebbero agli acchi della comunità. Quale uomo vorrebbe una moglie con la mia reputazione? Tutti sanno della mia avventura al di là del bosco e per tutti sono strana, un po’ fuori di testa. Caris l’ingannatrice, ecco come mi chiamano quando pensano che io non possa sentirli.
I miei genitori ripongono tante speranze in questo matrimonio: un nuovo prestigio sociale, per me, il cuore in pace, per loro.
Eppure, io, il mio posto nel mondo ancora non l’ho trovato.
Una cosa so: non è qui, non nel Villaggio, moglie di Cillian, consigliere del Capo.
Fuori dove è vietato andare, lì dovrei cercare.
È la speranza, quella che manca, in realtà: la vita scorre così e così deve andare. Nove anni fa avevo trovato una via per conoscere  il mondo e trovare me stessa e quella via mi è stata sbarrata. Con tutta la magia, tutta la fiducia che avevo, ho lanciato un incanto per ritrovarci, ritrovare lui, ma mai, in questi anni, quel desiderio si è avverato. Non ero abbastanza forte, ecco la verità. Non lo sono ora, non lo sarò mai: incrociare due vite, cambiare il destino è qualcosa di troppo grande persino per Gerald, il mio maestro.
Quindi, sposerò Cillian.
Mamma e papà saranno fieri di me, una volta almeno.
A che prezzo, mi chiedo? Saranno i miei desideri, i miei sogni, ad essere infranti.
Alto, cara mia, rispondo.
Bene, non c’è più tempo.
Passo le mani sul viso, sopra le lentiggini appena accennate delle guance e poi su, tra i capelli, per scacciare la malinconia. Con un nastro viola raccolgo i riccioli ribelli e mordicchio il labbro inferiore, per colorirlo un po’. Cerco di rendermi almeno presentabile per quando mia madre verrà a cercarmi.
"Caris, tesoro!” eccola, già sulla porta, con quel sorriso smagliante e dolce che è solo suo.
“Dimmi mamma” rispondo guardandola dallo specchio, senza voltarmi.
“Hai già provato il vestito?”
“Si” mento.
È un po’ delusa, adesso. Che volesse essere presente anche lei?
“Cosa ne pensi?”
“E’ molto bello, grazie” mi giro e la guardo negli occhi.
L’ha fatto lei, e la nonna, le Autrici di casa.
“Sono così contenta, tesoro!” esclama. “Non vedo l’ora di vederti mentre lo indossi”.
“Adesso no, però. Dobbiamo andare in città, ricordi?” è importante per me.
Raggiunti i vent’anni a tutti gli abitanti del Villaggio è concesso ottenere un permesso per il mondo al di là delle mura. Ed io sono fuori più spesso che posso, anche se non mi è consentito andarci da sola.
“Carsi, cara, posso creartelo io il velo da sposa che desideri, lo sai” la mamma è scettica, non ama la città e ancor meno il mercato.
“Ma io lo voglio vero”.
“Sarebbe vero, Caris, non essere cocciuta!”
“Lo so che hai capito: voglio qualcosa, il giorno del mio matrimonio, che venga da fuori”.
La vedo scuotere leggermente la testa, vedo che non si capacita di questa mia fissazione.
“Ti prego, mamma, fammi questo regalo” le chiedo ancora, avvicinandomi un po’ e prendendo le sue mani tra le mie.
“E va bene. Vestiti, ti aspetto di sotto” cede, infine.
Mi vuole così bene ed è così preoccupata per me. In tutti questi anni mi è stata vicina come pochi, severa al punto giusto, dolce quando il mio cuore soffriva troppo.
“Grazie” e la bacio sulla guancia che incomincia ad avvizzire.
Lei si chiude la porta alle spalle ed io resto sola nella mia stanza; c’è un tale disordine! Non troverò mai gli abiti giusti senza un piccolo aiuto.
“Libri, sullo scaffale, da bravi! E voi, tazze sporche, scendete in cucina, nel lavello! Sciarpa lilla, cosa ci fai sotto il letto? Fila nell’armadio! Tu, cesto delle erbe, arrampicati fin sopra il tavolo, così!” ed il mondo intorno a me prende a vorticare e a girare, guidato dalla mia voce.
Non è male mettere a posto se hai la magia dalla tua parte!
Infine, sul pavimento resta solo un mucchietto di gonne tra le quali scelgo la più bella, quella dorata con i ricami verdi, da abbinare alla mia camicetta lilla. Infilo in gran fretta i sandali aperti e scivolo giù per le scale, impaziente.
“Caris, che combina guai che sei! Potevi avvisare delle tazze in arrivo; sono andate a sbattere contro l’anta aperta della credenza ed ora sono tutte in frantumi!” mi rimprovera mia madre appena mi vede, china sul pavimento, con in mano i cocci di ceramica.
“Oh, tra quelle c’era la mia preferita”.
“Ci penso io, come sempre” borbotta, seccata.
Con un gesto lieve della mano, ecco, una nuova tazza identica alla mia preferita.
“Raccogli i resti, per favore” mi dice, mentre sistema in credenza la sua nuova creazione.
“Nella spazzatura, voi!” intimo ai cocci e quelli ubbidiscono senza fiatare.
“Sei pronta?” chiede la mamma.
“Certo” e c’è quasi entusiasmo nella mia voce.
Insieme camminiamo per le strade del Villaggio, salutando qui e là uomini e donne che conosco da sempre, all’opera nelle loro botteghe, seduti a godersi il sole di maggio, a guardare i bambini rincorrersi e ridere. La vita scorre bella, pacata e semplice, quaggiù, nascosta, ormai lo so.
Arrivate alle mura è mia madre a chiedere il permesso per me e per lei al Guardiano in carica e quello glielo concede senza fare domande; c’è qualche vantaggio, dopotutto, ad essere la moglie del Capo Guardiano.
Camminiamo svelte ed in silenzio lungo il sentiero. Mamma sa che questo posto è pieno di ricordi belli e dolorosi, per me, un po’ sbiaditi, ormai, ma sempre presenti. Vedo la sua disapprovazione, le sua labbra chiuse in un’unica linea. Lasciamo l’ombra amica delle querce e siamo allo  scoperto, sotto il cielo azzurro chiazzato di bianco, mentre l’erba morbida delle colline accarezza i miei piedi attraverso le cinghie dei sandali. Amo questa sensazione, amo questo mondo aperto, senza confini, pieno di gente. Amo guardare la sconfinata grandezza dei monti ad est e vorrei tornare sulle scogliere a vedere il mare, una volta ogni tanto. L’ultimo ricordo che ho dell’Oceano è un’alba, con Will al mio fianco ed una me sciocca di quindici anni; è passato così tanto tempo, ormai!
Camminare per quei sentieri con la mamma non è la stessa cosa; sento il suo disagio, la sua paura, il suo malessere. A lei non piace allontanarsi dalla protezione del Villaggio e so che teme in ogni momento di essere scoperta e catturata dagli uomini senza poteri; vedo la sua magia zampillarle dalla dite, pronta a difenderci.
Mentre io, io mi sento a casa, serena.
È in questi posti che ho vissuto i miei momenti più felici.
“Mi raccomando, tesoro, una volta in città tieni un profilo basso e non attirare l’attenzione su di noi per nessun motivo al mondo” si raccomanda mia madre alle soglie di Galway.
Io annuisco.
“Devono  scambiarci per persone come loro, non devono percepire nulla di strano” continua.
Vorrei gridare, scuoterla forte.
Ma noi siamo persone come loro, perché non lo capisce?
È vero, abbiamo un potere in più, una dote particolare, ma siamo persone e possiamo essere onesti e malvagi, egoisti, felici, corretti o sleali proprio come loro. Chi mai ha stabilito che noi siamo i buoni e loro i cattivi? Will era buono e gentile, con me, ed è stato il miglior amico che io abbia mai avuto.
Ma non perdo tempo a dare voce a questi pensieri.
Finalmente arriviamo ed il mercato si apre davanti a noi: è ciò che di più bello esiste in questa città, l’ho sempre pensato!
C’è disordine e grida e chiacchiere e talmente tante persone messe insieme da stordirmi! Abituata alla piccola popolazione del Villaggio, questo modo pieno di colori, di odori, questo mondo di sconosciuti, è qualcosa di fantastico, per me. E’ vita, vita piena, vita che ama e che rischia.
La mamma mi sta vicina, stringe forte il mio braccio, mentre ci aggiriamo per le strade: ed io, io vorrei fermarmi ad ogni singola bancarella, vorrei fermarmi a parlare con chi mi ispira simpatia. Raccolgo la palla di un bambino moccicoso e gliela rendo con un sorriso: lui ringrazia e scappa via, ridacchiando senza un perché. Mia madre mi ammonisce con lo sguardo, severo e spaventato insieme.
La città è cambiata, dicono gli anziani del Villaggio, non è più quella di un tempo, quella di prima della Seconda Grande Guerra degli Uomini Senza Poteri. Oramai siamo nel 1959 e la comunità magica ha paura delle case che si vedono in  lontananza, dei palazzi un po’ più alti, delle donne che indossano i pantaloni, le gonne corte, che sembrano così ardite e indipendenti. Della luce elettrica che fa brillare ogni angolo di Galway la sera, che la rende viva e visibile a distanza! Io amo questo posto proprio per questo: è ritmo, è pulsazione, è trasformazione, un mondo vivo, così diverso dal nostro Villaggio sempre uguale nel corso dei secoli!
Tutto questo mi fa battere il cuore più veloce e mi ricorda Will.
“Laggiù, Caris, c’è una bancarella di stoffe che può fare al caso nostro” mi indica mia madre, bisbigliando al mio orecchio.
 Giusto, siamo qui per il mio velo da sposa, per rendermi bella il giorno in cui sarò la moglie di Cillian. Non devo lasciarmi trasportare così, non devo fantasticare e far correre i pensieri a briglia sciolta.
Fa male, poi, tornare alla realtà.
“Andiamo, allora” acconsento.
La mamma non scambia neanche un cenno con il commerciante e inizia a tastare le stoffe, guadagnandosi un po’ di spazio tra quella calca. Cerca il tulle o l’organza, ma non le piace quello che vede, lo capisco: niente, per lei, è bello come ciò che crea con la sua magia.
“Caris, che te ne pare di questa?” mi chiede in un sussurro, senza neanche guardarmi.
“No, non è il colore giusto”.
Mi madre annuisce.
Non mi interessa affatto del mio velo da sposa, non mi interessa del colore, della consistenza, di quanto sarò bella.
Forse perché non voglio sposarmi affatto.
Così, lentamente, inizio a muovere piccoli passi intorno alla bancarella dove mia madre è intenta a scegliere ciò che più le piace; ecco un banchetto col pungente odore del pesce fresco, un uomo su un vecchio sgabello sgangherato che suona il suo violino, e laggiù, in fondo, intravedo dei fiori, bellissimi. Sento due donne chiacchierare su uno strano posto stregato poco lontano dal mare, a sud della città, e sorrido tra me e me; le leggende sul nostro Villaggio circolano da secoli, questo lo so. A destra, invece, ecco una bancarella con piccoli quadretti, ad olio e a matita, che non riscuote grande successo. Pian piano, i miei passi diventano più arditi e mi allontano sempre più dalle stoffe e da mia madre, che non se ne accorge. Ovviamente, mi avvicino al banco d’arte.
A controllare la mercanzia c’è, stranamente, solo un bambino. È il bambino al quale ho restituito la palla, ora lo riconosco: è piccolo, non più di sei anni, credo, e biondo, col colletto della camicia tutto stropicciato e le guance rosse e paffute.
“Ciao” mi azzardo a salutare, sicura che mia madre non possa sentire.
In fondo, è solo un bambino.
“Ciao” risponde lui, fiducioso. “Vuoi un quadro?”
“Non ho soldi con me, mi dispiace” gli dico.
“Ma tu non sembri povera” aguzza lo sguardo, lui. “Anche se sei vestita in modo strano”.
Un bimbetto sveglio: ha già capito che c’è qualcosa che non quadra in me.
“Infatti" gli do ragione. “Tu come ti chiami?”.
“Finbar, ma puoi chiamarmi Fin. E tu, signora?”
“Io sono Caris, felice di conoscerti” allungo la mano, per stringere la sua piccola e sporca.
“È tuo questo banco ?” gli chiedo, curiosa.
I quadri sono belli, a dir la verità, belli e stranamente familiari: in uno posso riconoscere la torre alta e di ferro che Will, una volta, mi aveva raccontato essere a Parigi. In un altro, un vecchio signore con la sua scimmietta al ciglio di una strada sporca e umida, come quelle di Londra.
“No” ride il mio nuovo amico.
“Ti divertono le mie domande?” sorrido a mia volta.
“Si, sei simpatica, signora Caris”.
Ecco fatto, ho raggiunto l’approvazione di un bimbetto senza magia! Alla mia età, resto un vero disastro.
“I quadri sono del mio papà” risponde, gonfiando il petto, orgoglioso.
“Sono molto belli”.
“Si, ma non provare a prenderne uno senza pagare” mi ammonisce, cercando di essere minaccioso nonostante le sue guance paffute e la piccola statura.
“Sissignore” scherzo.
“Vuoi sapere qual è il mio preferito?” mi chiede, con fare buffamente cospiratorio.
“Assolutamente, Fin”.
“È uno di quelli che papà non vende mai, non so perché. È così bello che di sicuro qualcuno lo comprerebbe ed io potrei avere, finalmente, una palla nuova; sai, è persino più bello del ritratto della mamma” parla veloce, mentre solleva una cartella quasi più grande di lui.
“Vuoi vedere la mamma?” mi chiede poi, all’improvviso.
“Mi piacerebbe molto”.
Allora Fin  pesca qualcosa da sotto la camicia, una specie di medaglione; all’interno vedo un pezzo di carta ripiegato più e più volte. Il bambino lo apre lentamente, lo accarezza e lo sfiora con le labbra: poi, me lo porge.
“Bella, vero?”
Si, è davvero bella, la mamma di Fin.
Tra le mani ho il ritratto di una donna bionda, dal sorriso dolce e gli occhi chiari, buoni. Non è una di quelle fotografie che riportano fedelmente l’immagine che catturano, come quelle che mi mostrava Will i primi tempi della nostra amicia. Eppure è bellissimo, pieno di tenerezza. I colori sono sfumati, le linee non sono nette, come a voler dare solo un’impressione dei contorni, come a voler lasciare all’immaginazione il punto esatto in cui finisce il rosa dell’incarnato e comincia il biondo dei capelli, il verde degli occhi e il marrone delle ciglia. È un modo di dipingere che, ancora una volta, mi sembra di conoscere, mi fa sorridere e volare indietro nel tempo.
Ma no, Caris, non può essere.
Devo dare un taglio a queste fantasticherie, per il mio bene.
“È davvero bellissima” sorrido, mentre gli restituisco il ritratto. “Ma dov’è adesso? Non sarai mica da solo, vero?” solo ora mi rendo conto che non è normale, per un bambino ancora piccolo, restare solo tanto a lungo.
Lui sistema il foglio nel medaglione “La mamma è morta quando sono nato e papà è andato a portare uno dei quadri grossi a casa del signore che l’ha comprato. Torna tra poco e nel frattempo io faccio la guardia” dice, senza peli sulla lingua.
“Mi dispiace per la tua mamma”.
“Io vorrei parlare con lei, ogni tanto, ma fa niente: tanto c’è papà”.
“Sei proprio un bravo bambino, lo sai?” dico, scombinandogli i capelli, già arruffati per conto loro.
“Adesso ti mostro il mio dipinto preferitissimo, però” dice, risoluto, aprendo la cartella sul banco.
Fruga tra molte carte, alcuni semplici schizzi a matita, altri veri e proprie opere finite.
Io do uno sguardo fugace a mia madre e la trovo ancora intenta al banco delle stoffe, mentre confronta due rotoli di tulle ricamato. Ha lo sguardo concentrato, lo sguardo che ha quando crea, ed io so che non distoglierà l’attenzione dal suo compito tanto facilmente.
“Eccolo!” esulta Fin, facendo scivolare dal fondo una tela piuttosto grande.
“Chiudi gli occhi, signora Caris” dice, ridacchiando.
“Va bene, ma non fare scherzi!”
Lo sento armeggiare sul banco per stendere il disegno e soffiarci sopra, come a volerlo ripulire dalla polvere.
“Fatto. Guarda pure: non è fantastico?”
Allora sollevo le palpebre, lentamente, e guardo la tela.
E poi, il mondo si ferma, d'un colpo.
Non è possibile.
Il respiro mi muore in gola ed sono costretta ad aggrapparmi al bordo del banco con entrambe le mani. Sento gli occhi umidi, e la testa gira, e il cuore vuole scoppiarmi in petto per quanto batte furioso.
Com’è possibile?
Lì, sul banco, c’è il nostro dipinto.
“Fin” cerco di parlare, ancora con il fiato corto.
“Tutto bene, signora Caris?” mi chiede lui, gli occhi sgranati.
“Si, piccolo, tranquillo” dico, raddrizzandomi un momento e prendendo aria.
Piano, niente potrebbe essere come sembra.
“Dove ha preso, il tuo papà, questo dipinto?” chiedo.
Il tuo papà!
È troppo, per me, davvero.
“Te l’ho detto, l’ha dipinto lui!”
“Quando?”
“Boh, io l’ho sempre visto qui. Ma, quindi, ti piace?”
Non puoi capire quanto, piccolo Fin.
“Si”.
 Lui fa un sorriso grande, che gli occupa metà della faccia.
“Ascolta una cosa, bambino” tento, cercando di fermare il tremolio delle mani. “Puoi, per cortesia, girare questa tela?” chiedo.
Lui mi guarda “Perché?”
Adesso non so bene come spiegare la mia richiesta al bambino, non vorrei davvero usare la mia magia su di lui.
“Vorrei solo vedere la data in cui è stato dipinto. Sembra piuttosto vecchio” decido, infine, per la sincerità.
“Va bene signora”
Fin solleva la tela a fatica sulle sue braccia paffute. Non è semplice per me, lasciar correre questi secondi, questi attimi che sembrano così importanti, così brevi e così lunghi. Sono qui, davanti ad un bimbo biondo senza mamma, davanti a quel dipinto, e mi dimentico di ogni altra cosa. Non sono più Caris dei Desideri, non esiste la mia magia, il Villaggio, il matrimonio, i miei genitori. Ho quindici anni e sono sdraiata su un prato verde, all’alba di un giorno che profuma di sale e di mare.
Il mio cuore batte folle come faceva allora, come raramente ha fatto negli ultimi dieci anni.
E così, quasi d’improvviso, in quell’attesa infinita, in quell’attimo fuori dal tempo, il mondo smette di girare ancora una volta.
Perché lui è qui, di fronte a me.
Will.
“Fin, cosa fai?” dice.
È lui, non ho dubbi.
Ci sono voluti nove anni, ed eccoci qui.
Il tempo non hanno scalfito il mio ricordo, né ha mutato lui tanto profondamente. Certo, la sua voce è più profonda, i suoi occhi più cupi, le mani più segnate e qulche segno sulla fronte.
Chissà dove è stato, chissà cosa ha fatto, in tutto questo tempo!
Vorrei mi raccontasse tutto, proprio come un tempo.
“Niente papà!”
Fin ha la voce colpevole, registro distrattamente.
“Buongiorno, signorina” mi saluta Will, alzando brevemente lo sguardo.
I nostri occhi si incontrano. Se potessi, cesserei di respirare.
Ma lui, lui non fa una piega.
“Mi spiace se mio figlio le ha dato noia; è un bambino vivace” dice, posando una mano sulla spalla di Fin.
Io scuoto la testa, gli occhi sgranati, senza riuscire a trovare la via per le parole, e questo dice tutto.
Non mi ha riconosciuta.
Che sia colpa del tempo, degli anni trascorsi, o della vecchia magia di Gerald? Era talmente forte, talmente incorruttibile, da non smuovere una virgola in lui alla mia vista? Il mio incanto non ha potuto niente al confronto.
E' un mondo di speranze che sta crollando.
Le speranze per una vita diversa, per una fuga impossibile, per un sogno d’amore che muore ancora una volta.
“Quante volte devo dirti di non prendere la cartella dei miei lavori?”
Ora Will sta rimproverando il bambino, lo sguardo fermo la voce dura.
“Ma io volevo far vedere alla signora il mio dipinto preferito. Io lo dico sempre che dovresti metterlo sul banco insieme agli altri” ribatte Fin, la voce lacrimosa.
“Chiedi scusa alla signorina per averle fatto perdere tutto questo tempo, da bravo”.
“Mi dispiace, signorina Caris” mormora, quindi.
Deglutisco a vuoto.
Fin mi guarda, speranzoso. È vero, mi sento vuota e rotta e provo una tristezza mai provata prima, ma posso donare un po’ di gioia a questo bambino.
Suo figlio, in realtà. Suo figlio!
“È stato un piacere chiacchierare con te, Fin. Non si preoccupi, signore” trovo modo di bisbigliare.
Fin ora sorride e ammicca verso di me. Fatico a rispondere alla sua gioia.
Chino la testa e accenno un sorriso, in segno di saluto, prima di andar via e lasciare gli ultimi quindici anni della mia vita ai piedi di quel banco, per sempre.
Dove sarà la mamma, adesso?
Non deve accorgersi di nulla, mi raccomando; devo essere la Caris di prima, come se nulla fosse cambiato.
Perché nulla cambierà mai: chi è diverso riuscirà mai ad accettarsi, mai una ragazza sciocca e sognatrice come me potrà cambiare questa verità, non conta quanto forte sia la sua magia.
Qualcuno, però, inaspettatamente, mi afferra il polso e c'è qualcosa, dentro, che mi dice che è speciale.
Perché è Will, lo so, lo sento.
Mi giro lentamente ed è così strano essere così vicini dopo tutto questo tempo.
Quegli occhi azzurri che hanno perseguitato i miei sogni per mesi ora mi guardano con una consapevolezza nuova.
Adesso mi vedi, vorrei dire, e le lacrime iniziano a rigarmi silenziosamente le guance.
“Caris” mormora semplicemente lui, afferrando una rossa ciocca ribelle.
Ha lo sguardo di un folle e le mani tremanti, proprio come me. Mi guarda e io non so resistere: chino lo sguardo, e lascio cadere le lacrime raccolte nei miei occhi.
“Si, sono io Will. Ti ricordi di me?”
Lui ha lo sguardo basito, allucinato, di chi ha appena ricevuto una sorpresa inaspettata.
“Ricordo tutto. Ogni momento, ogni pensiero, ogni magia”.
È un mondo intero quello che ha appena recuperato.
Allora esiste davvero qualcosa di così potente da farci ritrovare, penso per un istante, in quel tumulto di emozioni che si agita in me senza sosta.
E no, non sono sicura si tratti della mia magia.
Mi viene da piangere, ancora e ancora: eppure sono così felice!
“Una magia ci ha diviso, una ci fa ritrovare: è stato il suono della tua voce e cambiare ogni cosa. Avevi ragione tu” dice, carezzandomi una guancia.
Poi non ho più pensieri.
Perché lui mi stringe forte in un abbraccio senza fine.
Io ero smarrita e lui mi ha mostrato una via nuova; lui mi aveva perso ed io l’ho ritrovato.
Vaghiamo sempre alla ricerca, noi due, ma spero tanto che, questa volta, mi sia data la possibilità di fermarmi e vivere a pieno.
“Vieni con me” mormora al mio orecchio.
Ed io, io non so cosa succederà da questo momento in poi.
Non siamo più ragazzi, niente può tornare come un tempo, me ne rendo conto. Lui ha Fin, adesso, e questa è una parte di lui di cui io non so nulla. Io ho un futuro certo, al Villaggio, e delle persone che mi amano. Il nostro, di amore, invece, non è scontato, non è certo, non è facile dopo tutto questo tempo. Conoscevo Will, il ragazzo di strada dal passato difficile, ma non so nulla di Will l’adulto, di Will di quasi trent'anni con un figlio e una donna bionda morta nel suo passato.
Eppure so cosa voglio.
Ho deciso per me, perché, in fondo, ho sempre saputo che il Villaggio non sarebbe mai stato abbastanza. Ho deciso nonostante tutto e qualunque cosa il futuro abbiain serbo per noi.
Ho deciso di vivere la vita che ho scelto e non mi importa quanto alto sia il prezzo da pagare: ho abbastanza coraggio, sono abbastanza forte e abbastanza decisa per affrontarlo.
Cerco la sua mano e la stringo forte.
“Ovunque tu voglia” rispondo.
Perché non ho più paura, non ho più freni, sono pronta ad iniziare questa avventura: la vita.
 
 
...
 
 
All’alba di una giornata fredda del gennaio del 1968, una donna ancora giovane cammina per una strada nuova, che taglia per le colline verdi di un angolo ben noto dell’Irlanda occidentale.
È Caris Doherty, la Maga dei Desideri.
È tutto questo e molto di più.
È Caris Stoker, moglie di Will, madre di Finbar, il ragazzo che cammina al suo fianco, e di Brianna, la bimba che tiene per mano, quattro anni e riccioli rossi al vento.
Caris vive a Galway da un paio d’anni.
Prima è stata in Inghilterra e poi in Francia, seguendo quel ragazzo, quell’uomo, che ha cambiato la sua vita. Poi, quando Will ha ottenuto una cattedra come insegnante d’arte, è tornata alla sua terra d’origine insieme alla sua famiglia, a pochi passi dalla sua vera casa.
Caris ha trentatré anni, ormai, eppure non ha mai smesso di esaudire desideri.
In punta di piedi, bisbigliando di nascosto in un mondo scettico e sempre più desolato e scoraggiato, Caris ha provato a portare un po’ di speranza. Ed ecco, la sua vera vocazione.
C’è voluto del tempo, tanta sofferenza e molte scelte difficili, ma ora Carsi è contenta di non aver tenuto la sua magia solo per sé e per i suoi simili. Ha regalato il suo dono al mondo e, finalmente, si sente appagata.
In ogni posto, in ogni città in cui è stata, era per gli altri, per chi aveva bisogno; negli orfanotrofi, ai cigli delle strade, nell’ospedale dove, infine, esercita la professione di infermiera.
Eppure qualcosa manca: a lei, ai suoi figli.
Così Caris sta andando a prendersela.
La strada per il Villaggio la ricorda benissimo e sorride allo stupore della piccola Brianna per tutto ciò che la circonda. Anche lei ha un dono, una magia dentro di sé, che ancora deve esprimere tutto il suo potenziale. Fin, d’altra parte, sa tutto del passato suo e del padre, ed è impaziente di vedere con i suoi occhi.
Caris vuole riabbracciare sua madre: averla abbandonata al mercato, quel giorno lontano, è stata la prova più dura. Si sono scritte, dopo qualche mese, ed è amore quello che trabocca dalle loro lettere.
È stata lei ad invitarla quel giorno, insieme ai bambini.
“Forza Brianna, non possiamo fare tardi, i nonni ci aspettano!” chiama la bimba.
“Fin aiutami tu! Sono stanca di camminare”.
“Che peste che sei, sorellina” sbuffa lui, prendendola sulle spalle.
La piccola ride, vittoriosa, e gli altri due con lei.
Si, va tutto bene e tutto andrà meglio.
Sembra così strano, ma Caris c’è l’ha fatta; Fin sarà la prima persona senza magia autorizzato ad entrare nel Villaggio dalla sua fondazione. Lei è così felice che potrebbe piangere e ridere insieme.
La prime di molte altre, spera.
Che lei e Will e i loro figli siano un esempio; vivere insieme è possibile!
Che il suo messaggio arrivi ovunque: la diversità è bellezza, è ricchezza!









Note
Finisce così, quindi, questa storia!! Spero che chi ha avuto la pazienza di leggere e aspettare sia rimasto soddisfatto… Sta di fatto che è stato un capitolo duro da scrivere, quest’ultimo! Ho come la sensazione che ci sia ancora un mondo da dire, sentimenti e storie non dette da raccontare, e non escludo di farlo, prima o poi!
Grazie a chi è arrivato fin qui … se vi fa piacere fatemi sapere cosa ne pensate nelle recensioni!!!
Ester
  
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