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Autore: Margarinas    22/04/2015    1 recensioni
Dal primo piccolo capitolo:
Già, perché quello, lo sapevo benissimo, era un buco nero senza fine da cui non riuscivi ad uscire mai. Mai. Nemmeno con tutto l'aiuto del mondo, una parte di te ci sarebbe rimasta dentro per sempre.
Fumo, droga, alcool. Un circolo vizioso destinato a ripetersi. Ecco che cosa deve affrontare Elisa il fatidico giorno del 19 maggio. Ripercorrerà il suo percorso, dal giorno in cui conobbe Elena, il suo sole; fino al giorno della sua prima volta e a quella della sua disintossicazione.
Elisa vuole smettere, ma come fare se non si può cancellare una data dal calendario?
Genere: Drammatico, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Aprii le ante del mio armadio con un semplice e ampio movimento delle braccia. I miei vestiti erano tutti piegati e stirati sulle varie mensole e profumavano di marsiglia. Anche se, ormai, vivevo qui da tre mesi non ero abituata a quell'ordine. Mi dava anche un certo senso di fastidio.
 Cominciai a cercare le mie vecchie cose, quella felpa e quei pantaloni vecchi di anni, buttando tutto il resto per terra, alla rinfusa, creando un vero e proprio monte di vestiti. Presi anche una maglietta e mi cambiai in fretta, senza degnarmi di mettere a posto.
 Dal doppio fondo del cassetto prelevai i soldi, l'accendino e le sigarette. E anche... tutto il resto. Infilai tutto nella borsa e uscii in fretta dalla camera chiudendo la porta dietro di me. I miei genitori, in salotto, si accorsero di me, non ero certo la persona più silenziosa del mondo.
 «Dove vai?» chiese mia madre, allegramente.
 «Da Noemi» ovviamente era una balla che avevo inventato sul momento. Non potevo, no, dirle dove stavo andando realmente.
 «Chi è, una tua nuova amica?» chiese mio padre, anche lui, allegro.
 «La conosco da anni, papà» risposi con stizza.
 Mi chinai ad allacciarmi le scarpe, quando vidi, lì, sul tavolino una bella bottiglia di vino e due bicchieri colmi. Scostai una ciocca di capelli che mi era scivolata sul viso e assunsi la faccia più innocente del mondo.
 «Sta sera non torno a dormire. Lascio la casa a vostra completa disposizione.»
 «Grazie Tesoro» mamma sorrise. «Mi raccomando, chiama domani mattina se dobbiamo passarti a prendere!»
 «Certo mamma!» afferrai la maniglia della porta e poco prima di uscire sul viale, mi girai verso di loro.
 «Non entrate in camera mia!» ma ormai, non mi stavano più ascoltando.
 Camminai velocemente, quasi correndo, per fare il più in fretta possibile. Si stava facendo buio, i lampioni erano accesi e illuminavano il marciapiede con la loro luce spettrale. Volevo fare il più in fretta possibile e per non pensare cominciai a canticchiare una canzoncina a caso, sentita da una pubblicità o per radio. Non ricordavano.
 Non volevo pensare, non volevo ricordare. Non volevo pensare a cosa stavo facendo. Eppure lo stavo facendo davvero, dopo aver giurato di smettere. Sarebbe stato così semplice continuare così, ad essere una brava persona, vivere in casa dei genitori, andare al lavoro, uscire con gli amici al sabato, portare il nipotino al parco la domenica, se non fosse stato per Elena.
 Quella mattina mi ero svegliata con l'amaro in bocca senza nemmeno sapere il perché. Era ancora preso, avevo preso a girarmi e rigirarmi nel letto senza riuscire a prendere sonno. Alla fine mi ero arresa, mi ero alzata e avevo deciso che, per una volta, avrei preparato io la colazione per i miei genitori.
 Avevo camminato silenziosamente fino in cucina e avevo iniziato a preparare tutto, quando avevo notato il calendario. E avevo capito. Non sapevo per quanto tempo ero rimasta lì, in cucina, immobile artigliando i bordi del piano in granito senza riuscire a pensare a niente. Possibile che me ne fossi dimenticata? Eppure non era il fatto di essermene dimenticata a farmi quell'effetto, ma era il fatto che quel giorno maledetto, fosse ancora lì. Certo, sapevo che non si potevano cancellare giorni dal calendario per qualcosa di assurdo come quello, ma, se fossi stata in grado di farlo lo avrei fatto.
 Mi ero ripresa soltanto quando avevo sentito mia madre alzarsi e camminare sbadigliando strisciando le ciabatte rosa e pelose sul pavimento di parquet. Quando sulla soglia della cucina aveva sgranato gli occhi vedendomi in piedi, avevo assunto il mio più falso e convincente sorriso.
 «Mamma, vuoi del caffè?»
 Mi sentivo un po' in colpa, era vero. Loro, i miei genitori, nonostante tutto, credevano ancora in me e io, da brava figlia, stavo per rovinare tutto. Di nuovo. Ma era più forte di me. Ricordavo bene la sensazione che si provava, che avevo provato centinaia di volte negli anni passati, in quei fatidici dieci mesi di oblio della mia vita.
 Già, perché quello, lo sapevo benissimo, era un buco nero senza fine da cui non riuscivi ad uscire mai. Mai. Nemmeno con tutto l'aiuto del mondo, una parte di te ci sarebbe rimasta dentro per sempre. E anche se prima, nei primi mesi della mia riabilitazione, avevo creduto che avrei potuto uscirne, era tutto morto quella mattina, quando mi ero svegliata in prede all'agitazione e avevo guardato per ore il calendario appeso in cucina.
 Perché se la prima volta era stato facile non pensarci, per il troppo dolore del primo mese in quell'assurdo posto, che molti credevano "la vera salvezza", la seconda volta non sarebbe stato altrettanto semplice. E non lo sarebbero state nemmeno quelle successive, perché io, al contrario di Elena, ero ancora viva e con molte probabilità lo sarei stata ancora per molti anni. E per molti anni avrei sofferto quel fatidico 19 maggio.
 Raggiunsi il parco della città, e senza farmi notare, con nonchalance presi le vie tortuose e i piccoli sentierini che avevo percorso chissà quante volte. E chissà quante volte le aveva percorse Elena. A piccoli passi raggiunsi la parte "malfamata" del parco, anche se quando calava il buio, tutto il parco diventava un vero e proprio... schifo. Sì, perché era questo che facevano le persone che, calato il buio, si addentravano nel parco con bottiglie di birra, sigarette, erba, droga e chissà quante altre cose, facevano schifo. Me compresa.
 Scivolai a destra seguendo il sentiero. Mi fermai quando sentii dei rumori provenire da dietro una siepe che correva lungo il muretto di pietra. Di sotto ci scorreva il fiume. Sapevo che avevano messo quella siepe per evitare che i ragazzi ubriachi, colti improvvisamente da uno strano tipo euforia, salissero sul muro e poi cadessero di sotto, in acqua. Solo che, avevano sbagliato qualcosa nei calcoli e la siepe era stata posizionata troppo lontana dal muro e quindi, c'era abbastanza spazio per sdraiarsi sull'aiuola in mezzo alle due cose. Sapevo questo perché l'avevo scavalcata varie volte, per affacciarmi sul fiume e vomitarci dentro.
 Quello che sentii furono gemiti di piacere misti a gemiti di dolore. Qualcuno ci stava dando dentro, ma non mi interessava poi più di tanto, quindi scollando le spalle mi allontanai indifferente. Potevano fare sesso anche tutta la notte, io non li avrei interrotti. Mi inoltrai ancora di più verso il centro del parco, fino a che non intravidi le famigliari panchine e la famigliare cabina.
 Eccolo il ritrovo. Nonostante tutto, queste persone erano ancora qui. Avevo imparato a conoscerle, tutte, chi più chi meno, ma ricordavo ancora i loro nomi. Ricordavo ancora tutti i favori che mi avevano fatto nei primi mesi del mio inizio. Ricordavo ancora quante volte, a casa di uno o a casa dell'altra, ci eravamo fatti di questa o quell'altra roba, solo per provare quel brivido in più, solo per sembrare diversi agli occhi degli altri. Ma tra di noi, tra di noi non c'erano segreti, tutti avevamo un vuoto da colmare e, nonostante non ci dicessimo mai niente, tutti noi sapevamo questo, bastava solo una semplice occhiata, per rendersene conto.
 Erano solo le nove e mezza di sera, ma già la maggior parte aveva iniziato a far festa. Un sabato sera da manuale. Vidi Ale, la ragazza dai boccoli scuri ballare ubriaca attaccata ad un ragazzo con i vestiti completamente sporchi di fango. Davide, lo riconobbi. Vidi il solito Vincy con lo stereo sotto braccio, uno di quelli vecchio stile, degli anni 60, eppure faceva ancora la sua figura. La musica rap mi spaccò i timpani da quanto era altra, ma con il passare dei minuti, mi ci sarei abituata.
 Non volevo, però, parlare con nessuno di loro. Non quella sera. Quella sera non sarebbe stata di nessuno di loro. Sarebbe stata mia.
 Mia e di Elena.
 Senza farmi vedere mi avvicinai alla cabina, andai sul retro. La porta era socchiusa, vidi una luce accesa, così mi accinsi a bussare. La porta si aprì e io entrai.
 Era un posto angusto la cabina. Era una vecchia cisterna dell'acqua che non veniva usata da anni e Nik l'aveva trasformata nel suo piccolo "studio" personale. Nik, il mio vecchio balordo Nik. Nik, il ragazzo dai capelli scuri tagliati corti, senza un accenno di barba e perennemente vestito con pantaloni della tuta e una maglietta di qualche band famosa. Quel Nik, quello che era riuscito a trovare le chiavi della cabina chissà dove, il Nik delle storie assurde e della mille risorse. Nik, che mai era stato beccato e che si guadagnava da vivere come pusher, ma nessuno mai avrebbe sospettato di lui vedendolo in giro di giorno per il centro.
 Il Nik che non appena mi vide sgranò gli occhi, chiuse di scatto la porta, buttò nel posacenere la canna fumata a metà ed esclamò tutto d'un soffio il mio nome.
 «Elisa?!»
 Presi dal posacenere ciò che ci aveva buttato. Non fumavo quella roba da mesi. Rovistai nella borsa in cerca dell'accendino e la accesi. Non fu una sensazione nuova, però è così che la vidi. Il fumo mi riempì i polmoni prima che io lo lasciassi uscire. Soffiai tutto in faccia a Nik, che ancora incredulo mi guardava non sapendo cosa dire. Dopo il secondo tiro mi sentii un pochino meglio, ma non ero lì per quello, per quella. Ero lì per altro.
 «Non eri in comunità?» riuscì infine a ritrovare la voce. Mi sedetti su una delle sedie da giardino tutte arrugginite che fungevano da decoro e gli passai la canna. Fece un tiro e si sedette di fronte a me.
 «Come vedi, sono uscita» gli dissi. «Da tre mesi.»
 «Vedo che hai fatto progressi» mi guardò sollevando un sopracciglio. Mi ero dimenticata di questo lato di Nik. Sempre pronto a fare la predica, quando era lui la causa di tutto il nostro male, o almeno, una parte.
 «Non sono affari tuoi» sbottai. Lui alzò le mani in segno di scusa, ripassandomi la canna, io la finii e la spensi nel posacenere.
 «Allora, cosa vuoi?» fu così diretto che mi spiazzò. Ma in fondo, era ciò che volevo. Pura e semplice verità. Volevo solo andarmene in fretta da lì, con la mia roba per stare sola, sola con me stessa. Sola, con il ricordo di Elena.
 «Il solito» risposi. Lui si alzò, lo vidi prendere dirigersi verso un angolo della cabina e aprire un piccolo sportellino. Ci infilò la mano dentro e ne tirò fuori un sacchettino contenente una polvere bianca. Una polvere così famigliare...
 Me la mise in mano e con un cenno del capo mi disse di andarmene. Rimasi seduta al mio posto, senza muovermi. Fu la cosa più strana, perché Nik, nonostante fossimo in buoni rapporti, mai mi aveva dato qualcosa senza prima essere stato pagato.
 «Perché?» gli chiesi semplicemente.
 «Lo so» rispose lui, altrettanto semplicemente. Non ebbi bisogno di chiedergli altro. Mi alzai, mettendo la roba dentro al mio reggiseno. La plastica del sacchetto mi diede un po' di noia, ma presto non ci avrei più pensato.
 «Allora ci vediamo» gli dissi prima di uscire. Incrociai per un attimo il suo sguardo. Aveva le lacrime agli occhi.
 «Mi dispiace per Elena» fu l'ultima cosa che mi disse. Poi uscii, attraversai di nuovo il parco, e mi diressi in centro, verso il mio vecchio appartamento.


Innanzitutto scusatemi per gli errori di battitura, non lo faccio apposta, ma sono spesso sbadata mentre scrivo.
Secondo, chiedo scusa alle persone che conosco da una vita per aver usato i loro nomi per questa storia.
Sarà una storia molto corta, massimo cinque capitoli.
Ho voluto scriverla perché è un argomento, questo, a cui sono molto interessata e ho voluto provare a vedere cosa ne usciva fuori immedesimandomi in una (SPOILER) ex drogata ricaduta di nuovo nel vortice, anche se non so assolutamente niente di tutto ciò. È solo ed esclusivamente frutto della mia fantasia.

 Concludo con il dire che aggiornerò il più presto possibile, nel frattempo tutte le recensioni sono le benvenute, belle o brutte che siano.
 I biscotti sono in omaggio.
 -Marga.

 
  
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