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Autore: _sonder    23/04/2015    2 recensioni
Dal testo: « Restare nella paralisi gli aveva confermato che tenere quei guanti, impedendo a chiunque di osservare quanto il sentimento per Seishiro fosse una ferita aperta sulla pelle, onnipresente traccia nell'animo, aveva ridotto il cerchio a un cappio asfissiante da condividere in due ».
Raccolta di os incentrate su Subaru Sumeragi, alle prese con la propria lotta interiore per tornare alla normalità.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hokuto Sumeragi, Seishiro Sakurazuka, Subaru Sumeragi
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Le tende si sollevavano al comando del vento. L’aria entrava impetuosa; non c’era bisogno di bussare nel vano aperto, perciò si insinuava libera a scuotere il torpore degli oggetti e scompigliare il sottile strato di polvere depositato sugli arredi.


Il guizzo della brezza non turbava il contorno di una sagoma umana. Sedeva rigida, l’ombra, specchiandosi sulla parete dove acquistava spazio. Dal muro si ravvisava il ritratto sottile di un individuo di corporatura tanto evanescente quanto l’opaca immagine sull’intonaco scrostato.


Dava le spalle alla finestra, rigettando il pulsare della luce, il calore di una tiepida giornata di primavera. C’era chiasso in quella stagione; ma era Hokuto la portavoce civettuola dei prati fioriti, delle mode eccentriche e dei colori spavaldi nelle mattine baciate dal sole. Una giostra di abiti dalle tinte aggressive occupava le ore della ragazza, tra lo scrosciare delle risate, talvolta appese negli angoli di strade affollate e che, non per questo, la intimidivano. Subaru si limitava a essere travolto dagli eccessi di vivacità della sorella, spettatore passivo e spesso vittima di una malizia piccante, che gli movimentava la routine scandita dagli obblighi e dalla morte. La guardava traboccare di parole, mentre lui raccoglieva negli occhi tristi il peso di essere uno sciamano. Curvo sulla sofferenza dei morti e dei vivi, incapace di staccarsi dalla pena delle anime. Si abbeverava di un dolore che rendeva suo.


Hokuto era un’ancora. E la primavera – non lo accettava – si era sprigionata senza di lei, incurante del mancato appuntamento, del cadavere esanime fra le braccia dell’assassino. Altri petali di ciliegio accompagnavano beffardi il marciapiede sul quale lei aveva corso, insinuato – puntandogli il dito contro con un sorriso furbo - che Seishiro fosse la sua persona preferita. Pretendeva di sapere, armata di intuito femminile, cosa gravitasse nei pensieri del fratello; quel gemello che era una parte di lei, copia fisica e spirito toccato dal destino del clan Sumeragi. Distinti e insieme uniti, legati da un ‘buongiorno’ al proprio riflesso, quando erano separati.


Gocce rosee si affacciavano sulle strade di Tokyo. Coloravano l’asfalto e il verde di una sfumatura sinistra; Subaru aveva imparato a osservarla con orrore e smarrimento, le iridi gonfie di lacrime che annegavano alla vista del tradimento. Dietro l’odore dolciastro, sentiva quello più prepotente del sangue; vedeva le dita sporche del Sakurazakomori trapassare il petto di Hokuto. Unite erano diventate una sola lama e avevano reciso una vita.


Come una sposa troppo giovane era stata cullata dalle mani del predatore. Neanche un rantolo sfuggito dalle labbra esangui. Il silenzio l’aveva inghiottita indifferente alle folate capricciose della primavera.


Hokuto giaceva in un’urna e delle sua voce tornava solo quel disperato:  Torna a casa… torna da me… Subaru
Una preghiera estranea alle pretese ferree della ragazza, che trovavano perenne accoglimento nella veloce resa di quanti la conoscevano. Il pensiero di lei, così determinata, inginocchiata nella supplica, piegata a una disperazione giornaliera contro cui Subaru nulla poteva e che aveva macchiato tanti volti durante il suo passaggio, lo dilaniava.


Le ciglia palpitarono nel nervoso tentativo di schiudersi. Un accenno frenetico e incontrollato di vita. Non desiderava muoversi; un’imposizione suscitata dal senso di colpa. Eppure smaniava in preda alla volontà di incontrarla ancora... sebbene riconoscesse di non meritare una simile felicità. Avrebbe potuto sollevare lo sguardo e cercare nello specchio le fattezze della sua gemella, onorando la promessa cui l’aveva vincolato. Bastava dirle Buongiorno Hokuto, per saperla vicina. Un tempo, però, percepiva davvero la presenza spensierata di lei, che scendeva le scale, le dita poggiate sul passamano a ostentare l’eleganza della donna che non era. Allora, sorrideva tra sé e sé, geloso custode della smania di Hokuto di essere guardata, rimuginando su come la nonna le avrebbe rimproverato la sfacciataggine delle minigonne e quella sua confidenza eccessiva nei riguardi degli sconosciuti. Allora, a Subaru bastava immaginarle entrambe, cocciute e arroccate agli angoli della medesima stanza, per affrontare con animo diverso la pratica sciamanica. Pur di rivederle avrebbe sopportato, avrebbe soffocato la solitudine della separazione e il logorio delle radici natie.


Adesso, il ricordo era macchiato dalla rassegnazione; ovunque l’avesse rincorsa sarebbero apparse le lunghe dita del primo amore, imbrattate del suo sangue. Seishiro lo aveva assorbito, rubandone il tepore, come i fiori di sakura accoglievano il sangue e offrivano alla vista una tinta sbiadita, delicata. Sospeso nella postura principesca e affabile, indossava un sorriso amichevole sul volto, estraneo all’accaduto. Le labbra piegate all’insù e lo sguardo diretto, insistente. Sapeva di essere visto e se ne compiaceva, mantenendo la distanza in tutta la sua presenza sfuggente.


Subaru era stato il primo ad avvertire la morte della sorella, ad assistere impotente alla precaria danza dei ciliegi. Uccisa all’ombra di un albero in fioritura. Suonava poetico e senza tempo, una celebrazione della tradizione della sua patria; aveva perduto la vita come un guerriero, misurando la debolezza con la forza dei suoi principi… Ciononostante, era inorridito per il nodo alla gola che gli provocò lo spettacolo delle mani di Seishiro sul corpo di lei. Hokuto era stata degna di un tocco, di un abbraccio letale… mentre lui sedeva dimenticato, privo di valore, solo, senza più una metà alla quale rivolgersi, con la quale completarsi.


Non una volta il Sakurazakomori era tornato a reclamare la preda per concludere l’opera. Doveva aver perso ogni interesse nella sua sorte, si ripeteva con amarezza, giurando che lo avrebbe ucciso. Se ne convinceva, pur ricordando di rappresentare un inutile oggetto ai suoi occhi, un coccio di vetro da calpestare senza lo spettro di un’emozione. Lo avrebbe eliminato, ancora si diceva, cementando una giustificazione che gli concedesse di pensare a lui, di affidargli uno spazio dentro di sé cui aggrapparsi.


Seishiro lo aveva soggiogato. L’espressione bonaria dell’assassino svelava il carico di scherno di cui era stata intrisa lungo l’arco di dodici mesi. E nonostante Subaru professasse di volerlo vedere morto, ciò che gli offriva ragione di vita era l’atto stesso della caccia, l’opportunità di pararglisi di fronte, impedendogli di scappare. Soltanto in quel momento avrebbe potuto metterlo alle strette, strappargli le parole – le profferte d’amore – che avevano pur dovuto significare qualcosa nell’anno trascorso assieme…


Gli occhi fissarono il vuoto, assenti. Sì… dopo aver ottenuto quella confessione avrebbe vendicato la sorella, com’era suo dovere. La bocca si seccò e non contemplò oltre il momento in cui avrebbe posto termine alla sua vita. Forse, lo avrebbe sfidato con un altro serafico sorriso… lui così puro che tentava di ammazzarlo. Patetico, gli suggerì la mente, soppesando il giudizio che avrebbe emesso Seishiro e la mascella s'indurì di frustrazione. Sarebbe stato sufficiente, persino essere paragonato a un verme.

Sudò freddo e un fremito lo investì, spogliandolo della dignità.

Piuttosto decise di indirizzare la mente verso altri pensieri. In alcuni istanti, guardava al modo in cui Seishiro l’aveva tenuta stretta al petto, con un garbo e una premura traditi soltanto da pozze vermiglie.

Sentì il cuore gonfiarsi di vergogna per la propria invidia; nessuna carezza, nessun abbraccio cingeva il corpo di Subaru e l’emozione era così mostruosa da lacerargli il petto in singhiozzi sempre più forti. Non lo avrebbe confidato ad altri, ma dentro di sé desiderava lo sguardo dell’amato, la medesima soddisfazione cristallizzata nell’attimo in cui si era sbarazzato della sorella. Erano stati identici… eppure Hokuto si era rivelata uno strumento migliore. Portò le dita al collo, stringendolo. Lei era morta a causa sua! … e ciò non cambiava il vuoto che lo accompagnava.

Un’unica occhiata e avrebbe reso la propria vita nelle sue mani, se Seishiro avesse ancora voluto ucciderlo. Le lacrime rigavano il viso, mentre l’orgoglio contestava l’arrendevolezza di quel sentimento sbagliato. Gli era impossibile però soffermarsi sull’estremo gesto compiuto da Hokuto; riflettere sul suo amore fraterno segnava a fondo il cambiamento delle priorità e i posti occupati in seno ad esse. Si era innamorato, come tanto aveva auspicato la gemella… della stessa persona verso la quale lo aveva spinto. Un mostro.

L’amore aveva denudato il prezzo da pagare.


Guardando se stesso Subaru avrebbe trovato il volto a lui caro, lineamenti identici senza lo scuro dei crucci che lui, invece, proseguiva a portare sulle spalle… ma allo stesso modo non riuscì a muoversi. Non avrebbe sorriso come lei: imitare il suo amore per la vita era impossibile.


Le pupille non abbandonavano i guanti. Anche indossandoli ormai poteva ripercorrere a memoria il marchio impresso sul dorso di entrambe le mani, nascosto dalla stoffa scura. La carne sfoggiava il simbolo della sua prigionia… La nonna gli aveva proibito di togliere il tessuto e, in intimità con se stesso, Subaru scese a patti con una nuova, cruda realtà.

Restare nella paralisi gli aveva confermato che tenere quei guanti, impedendo a chiunque di osservare quanto il sentimento per Seishiro fosse una ferita aperta sulla pelle, onnipresente traccia nell'animo, aveva ridotto il cerchio a un cappio asfissiante da condividere in due.


Quando chiuse gli occhi e la stanchezza gli regalò riparo dal tormento, il vento aveva lasciato un pegno sul davanzale.

I petali di Seishiro dormivano battuti dal sole, impregnati di nuovo sangue, di altra vita, sulla soglia della stanza. Tagliavano l'orizzonte, in un religioso silenzio. Nella loro apparente precarietà irridevano le pene degli uomini, piegandosi alla morte.

 


L'angolo di Son: Questa raccolta ha come filo conduttore il percorso compiuto da Subaru Sumeragi nell'ultimo volume di Tokyo Babylon, dopo la rivelazione sulla vera natura di Seishiro. Tratta principalmente di alcune sue giornate; queste non sono consecutive, ma possono rappresentare lo stadio successivo l'una dell'altra.

L'idea è nata dal fatto che l'amore, così come l'interruzione di una relazione, è costituito da fasi psicofisiche che condizionano fino ad essere fisiologiche e radicate nel soggetto che le prova. 
Il titolo si riferisce alla natura morta proprio in questo senso; perché si diventa spesso ritratto inanimato di qualcosa che ci scorre davanti agli occhi tutti i giorni. 

Paralisi rappresenta il primo giorno in cui Subaru è privato sia della sorella che di Seishiro. 

  
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