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Autore: Cygnus_X1    24/04/2015    10 recensioni
[SOSPESA]
Sirya vive in un castello sperduto tra le montagne, affidata da sua madre a un vecchio amico; non ha mai visto nulla oltre l'orizzonte frastagliato di quella stretta vallata.
Mizar è uno studente della più prestigiosa scuola aeronavale di Selaera. C'è solo un piccolo problema: lui lì non ci vuole stare.
Sono poco più che bambini, e non sanno dell'esistenza l'uno dell'altro, ma ciò che li lega è vasto. Un disegno ancestrale che guida i destini fin dall'inizio del mondo.
Un disegno che potrebbe trascinarli nella sua distruzione. O farli splendere al di sopra del caos.
[Fantasy/Fantascienza; accenni di Steampunk, Contemporary Fantasy]
Genere: Angst, Science-fiction, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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***†  Eventide   ***


I Figli del Caos






 


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Prologo

La caduta



 

I



suoi occhi erano lì, di fronte a lei, sconvolti e impossibili da ignorare.
Era il suo incubo. L’immagine che si incideva sempre più definita ogni volta, da quando ricordava. Quegli occhi, quel viso, quell’opprimente senso di colpa.
Solo ora se ne rendeva davvero conto, nonostante gli anni che aveva passato al suo fianco. Solo in quel momento, finalmente, ogni tessera andava al proprio posto.
«Perché?» le chiese. Era sfinito, solo una parola uscì dalle sue labbra, solo una delle innumerevoli che sicuramente si affastellavano nella sua mente – lo conosceva bene, ormai.
Ma bastò quell’unica parola.
«Qualcuno deve farlo, lo sappiamo da sempre» rispose. Quasi non si riconobbe, tanto era gelida la sua voce. Ironico, pensò. Anni fa, all’inizio di tutto, era normale per lei comportarsi così freddamente. E ora, di fronte alla fine, il cerchio sembrava chiudersi.
«Qualcuno non significa tu!» rispose lui. Gli occhi si erano fatti lucidi.
«E invece sono io. Sono sempre stata io, ogni volta. È stato così per Karla e per Atlas, e sarà così per me.» La sua stessa voce la tradì e si spezzò sull’ultima parola. Si sentiva come se davanti a lei ci fosse un abisso, e lei si stesse sporgendo giù.
Lei che mai aveva distolto lo sguardo scoprì insostenibile la vista del ragazzo che amava.
 


 
******
 


Qualcosa da qualche parte esplose.
Il contraccolpo la sbalzò in avanti, fu solo per un caso fortuito che non batté la testa contro la cloche.
Una luce rossa cominciò a lampeggiare rapidamente, mentre una sirena d’allarme risuonava fin troppo alta nell’abitacolo. Un forte odore di fumo penetrò all'interno della cabina e ammorbò l'aria già rarefatta, rendendola opaca e grigia in breve tempo.
La spia del motore destro baluginava frenetica. L’avevano colpita all’ala destra, non sarebbe rimasta in volo ancora per molto.
Tossì e tirò la cloche verso di sé, tentando di risollevarsi. I suoi occhi arrossati dal fumo saettavano da uno strumento all’altro. Venti chilometri per arrivare al tempio. Cinquecento metri di altitudine, in diminuzione rapida.
Troppo.
Non ce l’avrebbe fatta.
Si alzò dalla postazione del pilota e non poté impedire ai suoi occhi un’occhiata alla sua destra, al sedile del copilota, desolatamente vuoto.
Con forza strattonò la maniglia di ottone che sigillava la porta alla sua sinistra. Era bloccata, ma era l’unica via d’uscita dall’aeronave rimasta praticabile; non le era difficile immaginare la situazione in cui versava l’uscita principale, nel retro della cabina.
Nello spazio ristretto il fumo nerastro aveva formato una cappa. Stava trattenendo il respiro, ma ormai i polmoni bruciavano, gridando un frenetico bisogno di aria. La violenza con cui litigava contro la maniglia si fece disperata, gli occhi annebbiati di lacrime, irritati dal fumo acre.
Stava per schiantarsi.


 
******
 
 

Oro e cremisi. 
Ecco come appariva la Capitale ai suoi occhi esausti e arrossati, che si sporgevano, forse fin troppo incauti, da dietro le scarlatte tende semitrasparenti, fragili cortine che separavano lei dal mondo. Perché diamine stesse perdendo preziosi secondi là, a osservare pericolosamente lo scenario di distruzione che si spargeva oltre la sua finestra, quando da un momento all’altro poteva essere uccisa - e con lei la speranza di una rinascita - proprio non lo sapeva. 
Forse vedere spezzato il suo sogno, lo scopo della sua intera vita la aiutava a realizzare, ad accettare ciò che avrebbe dovuto fare ora. 
Il rombo lacerante di un caccia perforò la notte, la luce delle fiamme che lo avvolgevano ne squarciò il buio già violato; il propulsore singhiozzava lampi blu, le ali affusolate e divorate. Il velivolo spiraleggiò spento e annerito, precipitò poco lontano dalla sua vetrata. L’esplosione fece tremare i vetri; si unì al caos di mille altre esplosioni, si confuse in esse. La vibrazione si trasmise dalla finestra alla sua fronte, un’altra volta, l’ennesima. 
Le probabilità che un caccia nemico riuscisse ad oltrepassare la barriera di interferenza che circondava il palazzo in cui si trovava erano pressoché inesistenti; d’altro canto, le avevano detto che era altrettanto esigua la possibilità di un attacco alla Capitale, eppure di fronte a lei le fiamme voraci si espandevano sui grattacieli e tra le strade, fameliche e inarrestabili. Consumavano quel che restava delle sue speranze, lasciando dietro di loro solamente cenere. 


 
******
 

 

Si lanciò dalla nave dieci secondi prima che questa si schiantasse a terra. Avrebbe tanto voluto essere una maga del Vento e poter volare. Ma non lo era, e doveva accontentarsi di un paio di ali metalliche, pesanti, raggrinzite e costellate di ruggine, la cui imbragatura di cuoio rigido la stringeva sulle costole impedendole di respirare regolarmente.
L’aria di tempesta le strappava dal volto lacrime di rabbia. Se solo fosse stata più attenta. L’aveva sentito, l’aveva sognato, ma non era stata capace di ricostruire gli indizi. Non aveva voluto vedere quello che in realtà era davanti ai suoi occhi. Non aveva avuto la forza di accettarlo, non era riuscita a crederci.
E questo suo errore rischiava di rovinare tutto.
Solo per la sua dannata ostinazione a voler vedere sempre il buono nelle persone.
Quanto era stata stupida.
Si sforzò di avvertire sotto l’abito, a contatto con la pelle accaldata, il medaglione, la loro unica speranza. Poteva farcela ancora. Almeno lei poteva salvarsi. Certo, ormai gli altri erano morti a causa sua, ma se lei e il pendente si fossero salvati, tutto avrebbe potuto sistemarsi.
Sua figlia era al sicuro.
Eidart era al sicuro.
Loro tre e il medaglione avrebbero potuto sistemare le cose.
Planava sulla foresta, cercando di non farsi sballottare dal vento impetuoso che scuoteva le cime degli alberi con selvagge raffiche. La stanchezza però la tradì, le braccia non seppero mantenere aperte le ali meccaniche e cedettero poco distante dal suo obiettivo.
Cadde malamente con un’imprecazione smozzicata e sentì una forte fitta a una caviglia. Finì a terra con un fianco, ma subito cercò di rialzarsi, anche se a fatica a causa del peso delle ali; le mani le tremavano mentre slacciava le cinghie.
Lasciò cadere le ali e scattò di corsa alla massima velocità che le consentivano le gambe stremate.
Quella volta che aveva dato ascolto alla sua migliore amica! Lo sapeva che non avrebbe dovuto mettere un vestito. Dopo la riunione gli eventi erano precipitati e non aveva avuto modo di cambiarsi – ora la stoffa candida e leggera della gonna si impigliava ovunque nel sottobosco e tra i rami, intralciandola e strappandosi, mentre il corsetto la impacciava come una prigione.
Il tempio ora era dritto davanti a lei, in pietra bianca scurita dai secoli; se ne distingueva appena la sagoma sotto quei rari raggi di Kaheel e Mirva che erano capaci di trafiggere la volta plumbea. Le colonne spezzate fiancheggiavano il sentiero di fronte come seri guardiani dall’aria cupa.
Fu un attimo.
Un sibilo. Un lampo. Il calore improvviso di una bomba incendiaria che esplodeva davanti a lei, ergendosi, scarlatto e fiammeggiante, e togliendole ogni speranza.
E una voce.
Una risata che conosceva fin troppo bene, ma ormai priva di quell’allegria che un tempo la faceva sempre sorridere.


 
******
 
 

«Mia Regina...» 
La voce spezzata di Evelyne sembrò strapparla dalla trance. Ricordò improvvisamente il suo compito, e con quella consapevolezza il macigno sul suo cuore si fece ancora più gravoso. Tuttavia nonostante l’urgenza della sua dama di compagnia, non era capace di staccare gli occhi dalla danza apocalittica delle fiamme. 
Una bomba piovve dal cielo, lontana. Vide chiaramente la bianca vampata tagliente perforare l’oscurità, sbranare cemento, acciaio e vetro nella sua furia. Il contraccolpo fece barcollare pericolosamente il pavimento sopra cui camminavano, lei udì chiaramente il sussulto strozzato di Evelyne. Si controllava, cercava di non avere paura. Avrebbe voluto dirle che non c’era niente di male nell’essere intimorite, era più che giusto. Soltanto lei non avvertiva questo terrore, immersa com’era nell’indefinibile sensazione di caduta. 
«Mia Regina, ora dovremmo proprio andare...» 
Si riscosse nuovamente e sospirò. 
«Ti ho detto di chiamarmi semplicemente Karla» le ricordò dolcemente. Si voltò finalmente, allontanando il viso dalla finestra e rivolgendolo alla giovane davanti a lei. I suoi occhi scuri erano colmi di un mal celato terrore, che riemergeva ad ogni singulto della terra, a ogni nuovo boato. Guizzavano in ogni direzione, seguendo ogni movimento. La ragazza deglutì e torse il velluto porpora della gonna che indossava. 
«Karla, non possiamo restare qui. Il rituale...» 
La regina abbassò lo sguardo. Con la coda dell’occhio, nello spiraglio oltre la tenda, colse la traiettoria fiammeggiante di un’altra delle aeronavi - alleata o nemica, non lo seppe distinguere - incontrare la terra. 
Prese un respiro profondo e lasciò finalmente il lieve tessuto con un gesto lento e quasi esitante della mano. La cortina scese e velò di rosso il panorama. 
Karla si alzò in piedi di scatto. Lisciò la tunica di raso blu che indossava, l’abito più semplice che era riuscita a trovare; girò le spalle alla vetrata e fissò gli occhi su Evelyne. 
«Hai ragione, basta ripensamenti. Andiamo.» 
La mano corse al centro del petto. Era ormai diventata un’abitudine: nei momenti di crisi, il peso rassicurante del medaglione era una bussola, un’ancora.


 
******
 
 

«Ma guarda un po’! Non mi sarei mai aspettato di trovarti qui.»
Il sarcasmo e l’odio che spiravano da quelle parole le fecero perdere la testa.
«Sta’ zitto, bastardo!» urlò, e si gettò veloce contro di lui con il braccio teso e la mano chiusa a pugno, furiosa. Lui però non si fece cogliere di sorpresa; semplicemente si scansò appena e le sferrò un pugno allo stomaco che le strappò un grido e la piegò in due.
La donna si allontanò da lui, barcollante per il colpo subito. Guardò l’uomo che aveva davanti, facendo trasparire tutta la disperazione e la frustrazione che provava. Ora la rabbia se n’era andata, e restava solo quello: la disperazione di vederlo lì come un nemico, e la frustrazione per l’impotenza di sapere che non poteva fare niente per riportarlo indietro.
Proprio lui.
«Perché l’hai fatto, Sharlin?» sussurrò, sfiancata dai suoi stessi mesti pensieri.
Colse un moto d’ira nei suoi occhi cupi, un tempo così caldi e luminosi.
«Sharlin è morto, Aenwyn. Per sempre. Portandosi dietro tutte le sue debolezze. Ora sono Shaula. Forte come Sharlin non è mai stato.» Fece un passo avanti, tendendo la mano. «Dammi il medaglione, Aenwyn.»
Ma lei scosse piano la testa, sfiorando il gioiello attraverso la stoffa dell’abito. «Non lo farò. Sai che non lo farò mai. Sono stata la causa della nostra rovina perché non ho colto i segni, perché non ho voluto accettarli. Ma non farò un altro errore.» Sollevò la testa, guardando Sharlin negli occhi con tutta la sua dignità e fermezza. «Se vuoi il medaglione dovrai prima uccidermi, perché combatterò con tutta me stessa.»
L’uomo piegò la testa di lato, sempre guardandola, e un mezzo sogghigno stirò le sue labbra.
«Posizione interessante, la tua. Ma esaminiamo la situazione. Sei sola e disarmata in mezzo a un bosco, tutti i tuoi amici sono morti o impossibilitati per svariati motivi a soccorrerti. La tua unica salvezza è a tre metri da te, ma sei bloccata da un muro di fuoco. Hai abbandonato le ali da qualche parte, troppo lontane per esserti d’aiuto, e comunque non avresti la forza di manovrarle. Non sperare in un aiuto da Eljrinn, perché si dà il caso che sia, diciamo, bloccata. E io sono troppo potente ora perché tu possa sperare di battermi.» Il suo sorriso divenne un ghigno. «Direi che non hai molta scelta.»
Aenwyn sospirò. «Sai, Sharlin, hai sempre avuto questo problema, e noto con sollievo che nonostante tu abbia cancellato molto di quello che eri, comprese certe cosiddette “debolezze”, il tuo principale punto debole è rimasto.» Lo sguardo della giovane donna divenne d’acciaio, affilato come le lame che sapeva usare così bene. «Sottovalutare i nemici può risultare un grande problema. Ricordatelo, in futuro.»


 
******
 
 

La sua stanza non sembrava la stessa, illuminata dal rosso cremisi delle fiamme che filtravano attraverso la tenda. La luce della catastrofe si spargeva sul tappeto, sul letto a baldacchino sfatto, sulla porta. Le sembrava di trovarsi in un sogno, un terribile incubo dai colori falsati e l’inquietudine intessuta nelle immagini. 
Ma questo non era un incubo, era la realtà. 
Reali i fragori delle bombe e i fischi dei missili, reali le sagome affusolate delle aeronavi che sfrecciavano attraverso il cielo come pugnali, reale l’inferno che divorava la Capitale. 
Involontariamente strinse le dita sul medaglione. Gli intarsi antichi che abbracciavano lo smeraldo si conficcarono nella sua pelle con violenza. 
Il dolore sembrò infine risvegliarla. 
Sollevò la testa, finalmente risoluta. Senza dire un’altra parola, senza più guardarsi indietro, uscì dalla camera, la mano sempre stretta sul gioiello. 


 
******
 
 

Tese un braccio verso il cielo livido, stringendo il medaglione in mano sotto lo sguardo raggelato e confuso di quello che era stato suo amico.
«Cosa staresti cercando di fare?» disse lui, ma la sua sicurezza vacillava. Lei, sibillina, si limitò a rispondere con un sorriso cattivo e soddisfatto, da predatore. Sapeva di aver vinto. E lui sapeva di aver perso.
«Io invoco il sigillo di Naleion secondo la legge di Atlas. L’Equilibrio è un'altra volta spezzato, il nuovo Ciclo è iniziato, l’Eletta è giunta!»
Troppo tardi Sharlin capì cosa Aenwyn volesse fare. Sotto il comando della donna, lo smeraldo incastonato nel gioiello prese a brillare sempre più intensamente, finché un’esplosione di luce verdissima illuminò a giorno la foresta e accecò l’uomo. Quando infine il lampo si diradò e gli occhi di Sharlin si abituarono di nuovo alla plumbea oscurità di una burrascosa notte estiva, Aenwyn era stesa a terra, svenuta, le dita intrecciate alla catena d'argento del gioiello. A guardarla sembrava quasi un angelo caduto, con l’abito bianco strappato in più punti e le braccia nude graffiate dai rami, i capelli biondi sparsi morbidamente sul terreno e il viso atteggiato in un’espressione di sereno sollievo. Eppure Shaula non la degnò di un’altra occhiata, mentre si precipitava sul gioiello nuovamente spento e apparentemente innocuo, lo raccoglieva dal suolo e lo stringeva in mano con ira crescente. Lo scagliò a terra violentemente, mentre alzava il viso al cielo in un grido.
Il potere che aveva cercato per così tanto tempo era svanito nel nulla.


 
******
 
 

La Frontiera si innalzava celando l’orizzonte dietro un velo.
L’energia che emanava si avvertiva enorme, dirompente, la sentiva pervaderla interamente, scorrere dentro di lei e intorno a lei. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato ma niente avrebbe potuto prepararla.
Evitò il suo sguardo, concentrandosi sul compito imminente. Le sue mani tremavano vistosamente quando afferrò il medaglione e lo strinse come per farsi coraggio.
«Ti prego, non lo fare» riprese lui.
È uguale. È il mio incubo.
Aveva visto quella scena un milione di volte, senza ricordare. Sapeva cosa sarebbe successo ora, ma non per il sogno. Lo sapeva perché lo sentiva dentro.
Gli altri erano tutti pronti e ignari. Non poteva farli aspettare.
Mosse un passo avanti, sempre fissando il vuoto, non aveva il coraggio di guardare lui negli occhi.
«Devo.»
Si sentì cadere nel baratro.









 
******* Famigerato Angolino Buio *******
Ciao a tutti!
Esatto, nuova storia. Ormai dovreste conoscermi, sapete che non so stare ferma. Ne cancello una e ne inizio un'altra -.-'
In realtà questa storia non l'ho cominciata random giusto per incasinarmi ulteriormente la vita. Questa storia ha una storia(?) parecchio travagliata. Ne ho ideato la prima atroce versione sei anni e mezzo fa, è stato il mio punto di partenza per quanto riguarda la scrittura. Poi è passata attraverso fin troppe riscritture, e ora spero di aver raggiunto la versione definitiva.
Credo sia la storia a cui tengo di più in assoluto, anche se batte la Guerra solo per "anzianità" visto che adoro anche lei :3
E basta, spero che vi piaccia, se vi va lasciatemi un commentino.
Avviso già che gli aggiornamenti saranno irregolari, causa le solite cose. Scusatemi :/
Alla prossima, gentaglia :3

Vy

P.S. Il titolo è provvisorio. Se mi verrà in mente qualcosa di migliore lo cambierò :3
   
 
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