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Autore: Fireslot    26/04/2015    0 recensioni
Esiliato e inorridito nei confronti dell'umanità, un ubriaco Vash troverà la forza di fare un ultimo dono all'umanità?
«Sì, credo proprio che ne varrà la pena, Wolf.»
Genere: Avventura, Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

 
Al tatto poteva sentire la ruvida bandana andare da un capo all’altro delle sue tempie. Si assicurò che il nodo fosse stretto come il maestro gli aveva intimato. Attorno a lui calò l’oscurità, la luce filtrava appena attraverso la stoffa bianca e le palpebre.
«Vash?» lo appellò Nicholas, alzandosi incerto dalla sedia, «Anche questo è allenamento?»
«Qual è, tra i cinque sensi, quello cui ti affidi di più?» lo interrogò il maestro
«Facile: la vista.»
«Esatto. Con gli occhi puoi prendere la mira, osservare la situazione, analizzare indizi e oggetti attorno a te. Però la vista non è l’unica via.»
«Taglia corto Vash, che devo fare?»
Vash sbuffò spazientito: «Perché devi sempre rovinare la festa? Comunque, ora svilupperemo la corteccia del tuo cervello adibita alle sensazioni speciali: ripeterai gli stessi allenamenti ma affidandoti a udito, olfatto e tatto.»
«Non posso sentire quello che non tocco, Vash.»
«Cretino, con tatto non parlo solo dei polpastrelli delle tua dita. La tua zucca vuota può fornire indicazioni precise sulle variazioni di temperatura e pressione, addirittura sulla posizione del tuo corpo rispetto allo spazio, tutte sensazioni percepite dai recettori tattili della tua pelle.»
«Ma tu come le sai tutte queste diavolerie scientifiche?» borbottò sprezzante Wolf.
«Prima di atterrare sulla terra, ho vissuto in una nave colonizzatrice per anni. Noi Plant apprendiamo in fretta e l’anatomia umana è elementare. Ora bando alle ciance e torniamo in città.»
Wolf si rese finalmente conto di quanto fosse snervante essere cieco: ogni suo movimento era guidato dall’incertezza e dal timore di incontrare un qualsiasi ostacolo sulla sua via. Infatti udì distintamente un tintinnio, percependo una superficie fredda entrare in contatto con la fronte, il che lo fece sobbalzare per la sorpresa: con questo brusco movimento, attorno a lui iniziò un concerto di scampanellii.
«Che diavolo era? Mi sono spaventato a morte» abbaiò.
«Ogni giorno a partire da oggi ti sottoporrò a questo esercizio: devi uscire dal covo senza urtare questi campanelli a vento che ho appeso sul soffitto. Ce ne sono moltissimi, legati ad altezze diverse e ovunque nella stanza. Io cambierò sempre la loro disposizione, così che tu non possa affidarti alla memoria. Ti toglierai quelle bende dagli occhi solo quando riuscirai a entrare e uscire da qui senza far tintinnare i campanelli.»
«Puoi almeno dirmi quanti sono?»
«Ti piacerebbe. Io ne ho comprati parecchi ma posso tranquillamente non appenderli tutti. Sta a te doverli schivare.»
La stanza si riempì di imprecazioni e intermittenti trilli metallici, poiché Nicholas colpiva con la sua robusta mole ogni singolo pezzo di metallo pendente dal soffitto. Riuscì perfino a percepirli all’altezza delle ginocchia, urtandoli con i piedi. Vash non aveva mentito: erano dappertutto e non riusciva a scollarseli di torno. Impiegò oltre tre quarti d’ora per uscire da quella trappola per topi, rammaricandosi all’idea che non era stato in grado di schivarne nemmeno uno. I problemi, tuttavia, non si fermarono lì: scoprì che la vista aveva un ruolo chiave anche nella correzione dell’andatura, nel momento in cui andò a schiantarsi contro una parete affacciata all’uscita dalla città. Ebbe l’impressione di aver camminato troppo a sinistra rispetto alla strada principale; per fortuna Vash lo accompagnò all’imboccatura del sentiero che, con immensa sorpresa del ragazzo, era dal lato opposto.
«Accidenti, questo è solo il primo giorno senza vedere. Non resisterò a lungo.» borbottò sommessamente Wolf.
«Resisteresti, zucca vuota, se solo mi prestassi ascolto: non puoi muoverti e camminare come se avessi la vista, devi affidarti agli altri sensi» lo rimproverò il maestro, sballottandolo con il suo unico braccio. Sulle prime Nicholas pensò che il mentore si prendesse gioco di lui, ma si accorse di un dettaglio: quando Vash lo tirava verso sé, la sua pelle percepiva un’insolita aria fresca di cui non si era accorto, mentre allontanandosi da lui il freddo svaniva. Tutto gli fu più chiaro: con quello sciocco scherzetto, il Tifone Umanoide lo rese consapevole di come il suo stesso corpo lo avvertiva di essere coperto dalla lieve brezza che scorreva senza ostacoli lungo la strada. Quando la sensazione cessava era perché si trovava coperto dietro una parete.
«Ho capito, smettila di scuotermi!» ringhiò infastidito il lupachiotto, liberandosi dalla presa. Continuò la sua marcia, con le braccia protese in avanti e senza alzare troppo le suole dal terreno: le mani captavano il cambio di temperatura quando alla sua destra o alla sua sinistra appariva un crocicchio, i piedi lo avvertivano di ogni ostacolo, da grossi sassi a piccoli cumuli di polvere. Impiegando quasi due ore, si spinse fino al versante opposto della città, rendendosi conto di aver lasciato le case alle sue spalle quando ogni angolo della sua testa fu pervaso dalla brezza.
«Siamo usciti dalla città, vero?» chiese soddisfatto.
«Veramente te la sei lasciata alle spalle.» lo canzonò Vash, «Di un bel po’, anche.»
Nicholas avvertì l’impulso di strappare la benda dagli occhi per verificare se il maestro non si stesse prendendo gioco di lui, ma la sua determinazione bloccò la mano.
«Vash, quanto ci impiega la corteccia a sviluppare i sensi che hai detto?»
«Chi lo sa, dipende da persona a persona: possono volerci dei mesi, così come degli anni. Per la tua zucca vuota non saprei calcolare con certezza.»
Irritato e frustrato da quell’imbarazzante esperienza, ascoltò controvoglia il programma che il Tifone Umanoide aveva preparato per allenarlo: avrebbe compiuto gli stessi esercizi di ogni giorno e, tra flessioni e addominali, avrebbe lavorato come garzone all’emporio di Blueberry, sollevando quintali di merce, sia per guadagnare soldi sia per non permettere al ragazzo di aiutarsi ancora con le braccia per orientarsi.
Per quanto l’allenamento non fosse più un ostacolo significativo, lavorare dopo intense ore di sforzo fisico si rivelò faticoso e demotivante, specie perché nei primi giorni non ricevette un soldo a causa di tutta la merce che, da cieco qual era, danneggiava. Tuttavia, con il passare del tempo, la situazione cambiò rapidamente: dopo dieci giorni, Wolf riusciva a camminare a passo sostenuto seguendo una traiettoria rettilinea. La settimana successiva il suo senso dell’equilibrio inconscio era migliorato a tal punto da non far cadere più le casse da portare in negozio. Nel giro di un mese era capace di schivare gli ostacoli del sentiero senza sondare il terreno con passi di formica; in quello successivo, riusciva a distinguere chiaramente le dimensioni delle stanze in cui entrava, basandosi sulle percezioni cutanee e sui rumori attorno a sé. L’udito e l’olfatto si rivelarono ottime per scovare gli ostacoli, addirittura riusciva a contare le persone presenti nello stesso posto e quelle alle sue spalle solo dall’odore. Nell’arco di tre mesi la sua pelle, le sue orecchie e il suo naso erano diventati i circuiti di un sofisticato radar.
Nonostante i passi da gigante, ancora non era in grado di uscire dal covo senza far tintinnare quei fastidiosi campanellini. Dopo cento giorni di cecità, l’allievo sbottò: «Vash, mi sono rotto di questa bandana del cazzo! Non riuscirò mai a scoprire dove sono questi campanelli a vento, sono immobili e innumerevoli in una stanzetta minuscola! Non hanno odore, non fanno rumore, i miei peli non li captano senza che li urti: come dovrei fare a mancarli?»
Dopo questo urlo primitivo e collerico, uno sparo conquistò il silenzio: come avvenne durante il loro primo incontro, Nicholas riuscì a sentire la calda pallottola bruciargli appena l’apice dei capelli.
Anche non potendo vedere il Tifone Umanoide in faccia, Wolf sapeva benissimo che aveva assunto lo stesso volto truce del loro primo duello.
«L’hai sentito questo?» ringhiò Vash sommessamente; il ragazzo annuì.
«Ora drizza le orecchie e ascolta con attenzione.»
Nicholas si concentrò sul suo udito e, con immensa sorpresa, udì i piccoli pezzettini di metallo sfiorarsi tra loro, come un flebile canto di usignoli.
«Se non l’hai sentito fin’ora è perché fai lo stesso errore da pivello che hai fatto quando ci siamo incontrati: ti sei lasciato vincere dai sentimenti.» spiegò Stampede atone, «La rabbia, la paura, il timore di fallire sono tutte condizioni che offuscano la tua mente. Concentrati!»
Wolf obbedì al suo maestro e respirò profondamente per rilassarsi. I suoi sensi gli sussurrarono qual’era la strada da percorrere: la sua cute lo avvertì della secchezza del deserto proveniente dalla porta; il soffio del suo fiato sospinse i piccoli ostacoli pendenti e il loro suono divenne una linea rossa disegnata nel buio della sua cecità. Comprese che la strada per il suo obbiettivo non era una freccia diritta, ma una curvilinea sequenza di movimenti da percorrere.
Così iniziò la sua danza: si abbassava, girava su sé stesso, cambiava direzione e ritornava sui suoi passi per avanzare e trovare una nuova strada. Ogni suo movimento cambiava l’aria attorno a sé, permettendo al suo fine orecchio di captare i tintinnii più lievi e schivarli prima che diventassero sonori scampanellii. Dopo questa danza interminabile di soli pochi minuti, finalmente uscì dal covo senza aver scosso uno solo dei suoi avversari metallici. Compì un solo, trionfante passo verso le sabbie del deserto, quando urtò con la fronte un dischetto metallico.
Si sorprese di come non l’avesse percepito, affidandosi ai suoi sensi per scoprire se fosse uscito o meno dalla catapecchia: ogni suono, pelo del corpo e odore confermarono che si trovasse tra le sabbie del deserto e che l’inferno di metalli pendenti fosse alle sue spalle.
Fu in quel momento che Vash rise di gusto: «Sei stato bravo, alla fine. Volevo metterti un po’ in difficoltà.»
Nicholas balbettò dalla gioia: «Ce l’ho fatta? Posso togliermi questa benda?»
«Nossignore, hai colpito un campanello.»
«Ma che cazzo stai dicendo! Ero fuori dal covo, non è valido.»
«Non ci sono regole prestabilite. Non ci saranno mai: se affronterai orde di avversari, loro non ti rispetteranno e tenteranno di colpirti quando meno te lo aspetteresti. Non devi mai abbassare la guardia, anche se hai vinto.»
Con quest’ultima lezione, lo prese per le spalle e lo portò a festeggiare al saloon, voglioso di ubriacarsi senza ritegno.
«Vash…» lo chiamò l’allievo.
«Dimmi, Wolf.»
«Sei uno stronzo!»
 
 
Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace: non potrò mai farmi perdonare lo sgarro di essermi lasciato questa fiction così tanto alle spalle. Ma abbiate pietà: questa storia la scrivo a tempo perso, quel poco che ho XD. Inoltre, avevo parecchio da fare con il mio lavoro più importante, “Bang! L’avventura di Willy the Kid” che mi ha assorbito totalmente (e vi chiederei, appunto di andare a darle un’occhiata, magari vi piacerà???).
Grazie a voi tutti che seguite Vash e l’irritante Wolf, spero che questa storia alla Luke-Yoda vi stia interessando davvero. Un grazie, grazione a kyonnyuchan e  _sMiLeR_ che sicuramente avranno letto questo mio capitolo e a tutti voi, platea di silenziosi fan.
 
Howdy!
   
 
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